More stories

  • in

    Il governo tedesco assume il controllo della filiale di Gazprom

    Bruxelles – Il governo tedesco ha preso il controllo di Gazprom Germania, attraverso l’Autorità di regolamentazione tedesca per garantire la sicurezza energetica. Lo ha annunciato il ministro dell’Economia Robert Habeck, dopo che la casa madre russa ha “abbandonato” la sua filiale.
    Tutti i diritti di voto nella società saranno trasferiti all’autorità di regolamentazione, la Bundesnetzagentur, ha detto Habeck in una conferenza stampa.
    “L’ordine dell’amministrazione fiduciaria serve a proteggere la sicurezza e l’ordine pubblico e a mantenere la sicurezza dell’approvvigionamento”, ha affermato Habeck. “Questo passaggio è obbligatorio”.
    La Bundesnetzagentur assumerà il controllo fino al 30 settembre 2022. Avrà il diritto di rimuovere dirigenti, assumere nuovo personale e indicare alla direzione come procedere.
    “Il nostro obiettivo sarà gestire la Gazprom Germania nell’interesse della Germania e dell’Europa”, ha dichiarato Klaus Mueller, capo della Bundesnetzagentur.
    Gazprom non ha fornito dettagli o spiegazioni sulla sua decisione di cessare la sua partecipazione in Gazprom Germania e tutte le sue attività, che includono filiali in Gran Bretagna, Svizzera e Repubblica Ceca.

    Dopo che la casa-madre russa aveva deciso di abbandonare la sua partecipazione nella succursale

  • in

    Putin impone il pagamento del gas in rubli. Kiev: “Se l’UE cede, aiuterà la Russia a uccidere gli ucraini”

    Bruxelles – Basta euro e dollari, solo rubli: per ordine di Vladimir Putin. “Ho deciso di attuare una serie di misure per trasferire il pagamento delle nostre forniture di gas ai Paesi ostili in rubli russi“, ha affermato l’autocrate russo in una riunione di gabinetto ieri (mercoledì 23 marzo), concedendo alle autorità competenti una settimana di tempo per attuare il passaggio al sistema in valuta locale.
    È una decisione di portata storica, che potrebbe avere una duplice spiegazione. Prima di tutto, dovrebbe servire a rafforzare il valore della moneta russa, in caduta libera dopo le dure sanzioni imposte dai Paesi UE e del G7 con quattro pacchetti di misure restrittive che hanno colpito l’economia, la finanza, l’industria e la cerchia degli oligarchi vicini a Putin. Chiunque vorrà ancora acquistare il gas russo, dalla prossima settimana dovrà cambiare euro (o dollari) in rubli, creando domanda di valuta locale dove ora non esiste. Non è però ancora chiaro se questa misura riuscirà davvero a controbilanciare gli effetti devastanti delle sanzioni occidentali sull’economia russa. In secondo luogo, l’imposizione di Putin sul pagamento delle forniture di gas in rubli ha il sapore di una contro-sanzione e di umiliazione – non solo simbolica ma anche pratica – ai danni dei “Paesi ostili” che hanno tagliato fuori la Russia dal commercio e dalla finanza globale. Questa scelta però secondo gli esperti porterà anche un aumento dell’inflazione in Russia, che già viaggia ora al 2 per cento a settimana.
    “Se qualche Paese dell’UE si inchina alle umilianti richieste di Putin di pagare il petrolio e il gas in rubli, sarà come aiutare l’Ucraina con una mano e aiutare i russi a uccidere gli ucraini con l’altra“, ha avvertito con un tweet il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. “Esorto i Paesi interessati a fare una scelta saggia e responsabile”, è l’appello ai leader europei e occidentali nel giorno dei tre vertici cruciali (NATO, G7 e UE) a Bruxelles.

    If any EU country bows to Putin’s humiliating demands to pay for oil and gas in rubles, it will be like helping Ukraine with one hand and helping Russians kill Ukrainians with the other. I urge relevant countries to make a wise and responsible choice.
    — Dmytro Kuleba (@DmytroKuleba) March 24, 2022

    Tra i “Paesi ostili” a cui si riferisce Putin c’è anche l’Italia e proprio il premier, Mario Draghi, ha illustrato ieri i primi effetti della decisione sui pagamenti in rubli nel corso delle sue comunicazioni in Parlamento, in vista della due-giorni di vertice dei leader UE: “Il prezzo spot del gas sul mercato europeo è dimezzato rispetto alle punte di circa 200 euro per megawattora raggiunte l’8 marzo, ma questa è una notizia vecchia”. La novità introdotta dall’autocrate russo “ha portato il prezzo del gas a salire di circa 15 euro per megawattora“, ha spiegato Draghi in Aula. Un nuovo punto in agenda da affrontare al Consiglio Europeo che si aprirà tra poche ore a Bruxelles, nello spinoso capitolo dell’indipendenza energetica dalla Russia e del contenimento dei prezzi del gas.

    La decisione dell’autocrate russo punta a colpire i “Paesi ostili” e a rafforzare l’economia russa, creando domanda di moneta locale dove ora non c’è. Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, esorta i Ventisette a “non inchinarsi alle umilianti richieste” di Mosca

  • in

    Dombrovskis rilancia il TTIP: “Riaprire dibattito” su accordo commerciale UE-USA

    Bruxelles – Adesso l’UE rilancia il TTIP, l’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. Il mutato scenario internazionale, le nuove tensioni geopolitiche e la necessità di farvi fronte mostrano “quanto sia importante avere partner affidabili”, e quale miglior momento per rilanciare le relazioni transatlantiche? La vicepresidente esecutiva della Commissione Ue, Margrethe Vestager, non ha dubbi che “la situazione in Ucraina influenzerà senza dubbio la nostra cooperazione” con Washigton, ma la prende alla lontana. Il suo collega, il vicepresidente esecutivo responsabile per il Commercio, Valdis Dombrovskis, va dritto al punto. “Il TTIP è qualcosa su cui occorre discutere“, riconosce nel corso dell’audizione in commissione Commercio internazionale del Parlamento europeo.
    Si riprende dunque un accordo commerciale su cui l’UE allora investì molto, fino all’avvento di Donald Trump, che decise di fermare la macchina negoziale. Anche se, anche nel vecchio continente, le riserve non mancarono. L’UE si mostrò poco convinta, con 12 Paesi sugli allora 28 decide ad andare avanti e gli altri più restii, per i dubbi legati alla sostenibilità ambientale dell’accordo e prodotti alimentari considerati troppo ‘OGM e ormoni-friendly’. Il progetto di TTIP (acronimo inglese per Parteniariato transatlantico per commercio e investimenti) “non ha avuto un lieto fine, per problemi sia nell’UE sia negli Stati Uniti”, ma a detta di Dombrovskis “il dibattito dovrebbe essere riaperto“.
    Il comitato bilaterale UE-Stati Uniti per la tecnologia e il commercio è allo stato attuale un consesso limitato, non concepito per rapporti commerciali bilaterali completi e onnicomprensivi. Rappresenta fin qui il compromesso per nuove relazioni, che gli ultimi eventi non possono non considerare. “Forti relazioni  politiche, economiche, commerciali e di sicurezza transatlantiche sono più importanti che mai“, scandisce Dombrovskis. La guerra in Ucraina “mostra che il comitato UE-USA era la cosa giusta da fare”, ma potrebbe non bastare.
    L’UE dunque rilancia il TTIP, chiede agli Stati Uniti di gettare il cuore oltre l’ostacolo e tornare a lavorare per una nuova stagiona euro-atlantica. “Se UE e USA non indicano la via per dare forma alle nostre regole, ai nostri standard e ai nostri strumenti del futuro, vediamo chiaramente quale sia l’alternativa”, insiste riferendosi al presidente russo Vladimir Putin. Resta da capire fino a che punto gli Stati Uniti potranno essere interessati a ripetere l’esperienza. Si potrà capire già giovedì (24 marzo), quando Joe Biden sarà a Bruxelles per partecipare al vertice straordinario della NATO e, poi, a quello dei capi di Stato e di governo dell’UE.

    Il vicepresidente esecutivo della Commissione europea riapre un tavolo negoziale che sembrava morto e sepolto. “Occorre discuterne”

  • in

    Da Coca-Cola a Pirelli, Nestlé e Ferragamo: i colossi globali che ancora non si sono ritirati dalla Russia

    Bruxelles – Una sorta di boycott Russia, ma questa volta organizzato dalle multinazionali, non dai consumatori. Quella scatenata da  Mosca contro Kiev (che ha il sostegno dell’Occidente) è una guerra che si combatte ormai su tutti i fronti: militare, politico, finanziario ed economico. Oltre all’unità e alla velocità delle sanzioni delle potenze occidentali, ciò che Vladimir Putin difficilmente si poteva aspettare era il boicottaggio su larga scala da parte delle aziende di tutto il mondo contro il mercato e la produzione in Russia. Una ricerca della Yale School of Management ha individuato 250 colossi globali che hanno annunciato il proprio ritiro dalla Russia in segno di protesta contro l’invasione dell’Ucraina e come conseguenza delle misure restrittive messe in campo dall’Unione Europea.
    L’argomento rimane delicato, soprattutto quando c’entrano i soldi: “Altre aziende hanno continuato a operare in Russia imperterrite“, si legge nello studio, complice anche la percentuale di fatturato o produzione che viene realizzata sul territorio russo. Giorno dopo giorno si allunga la lista delle imprese multinazionali che boicottano il Cremlino, ma a oggi (martedì 8 marzo) è possibile identificarne 35 che hanno “un’esposizione particolarmente significativa ai mercati russi”. Non è da escludere che nei prossimi giorni, sull’onda del contraccolpo dell’opinione pubblica, diverse di queste aziende ancora reticenti decidano di seguire l’esempio di chi ha già ritirato o sospeso i propri affari in Russia.

    È soprattutto il settore dell’alimentazione che sta cercando di non esporsi eccessivamente contro Mosca. Coca-Cola, come la principale concorrente Pepsi (che fattura 3,4 miliardi di dollari l’anno in Russia), rischiano di accusare pesantemente il colpo da un eventuale ritiro da questo mercato. Così come Nestlé (1,7 miliardi annuali), Starbucks (130 punti vendita) e McDonald’s (tra Russia e Ucraina balla quasi un 10 per cento del fatturato globale). Ne risentirebbero pesantemente anche i colossi del settore alberghiero, su tutti Marriott (10 strutture in Russia), Hilton (29) e Accor (55). Rimane in attesa anche la casa di moda italiana Salvatore Ferragamo, che vede arrivare dalla Russia l’uno per cento dei propri ricavi (circa 10 milioni di dollari), così come i maggiori operatori nel settore degli pneumatici (Pirelli e Bridgeston, a differenza di quanto deciso da Michelin) e dell’industria del tabacco.
    Ma la questione della perdita di fatturato o di produzione è una scusante fino a un certo punto, considerato il fatto che le 250 aziende che si sono già ritirate dalla Russia hanno dovuto rinunciare a una fetta di mercato difficilmente sostituibile nel breve periodo. L’elenco comprende ogni settore economico e vede una serie di misure che vanno dallo stop delle vendite, delle operazioni commerciali, dei voli sul territorio russo al taglio delle connessioni, delle prenotazioni e delle spedizioni, fino alla chiusura dei punti vendita e degli uffici. Nell’ambito tecnologico ci sono Apple (chiusi i negozi), Alphabet, Microsoft, Netflix, Nintendo, Panasonic e TikTok (operazioni sospese), Meta e Amazon (inserzionisti e venditori russi disattivati), eBay, Ericsson, Nokia e Samsung (stop alle spedizioni), Intel e Sandvik (sospesa la vendita di tecnologie sensibili), Spotify, Twitter e YouTube (che eliminano la propaganda di regime sulle piattaforme).
    Di primo piano, per la questione energetica, sono le decisioni prese da compagnie attive in questo settore. Eni ha deciso di cedere la propria quota del gasdotto Blue Stream con Gazprom, ExxonMobil uscirà dalle joint venture con la russa Rosneft, così come BP (che cederà le sue quote), e Shell ha annunciato oggi che si ritirerà da ogni coinvolgimento in idrocarburi russi e chiuderà tutte le stazioni di rifornimento nel Paese. Sul fronte bancario/finanziario vanno ricordati il taglio dei servizi e dell’accesso ai mercati di capitali da parte di American Express, Asian Infrastructure Investment Bank, Bank of China, BlackRock, Credit Suisse, HSBC, London Stock Exchange, JP Morgan, Mastercard, Nasdaq, PayPal, mentre, su quello della consulenza e assicurazioni, hanno abbandonato la Russia Accenture, Allianz, Generali Assicurazioni, Deloitte, KPMG, McKinsey.
    Nella moda hanno fatto un passo indietro Chanel, H&M, Hermes, Levi Strauss, Mango, Moncler, Nike, Prada e Puma, ed è stata intensa anche la reazione del settore dei motori: hanno fermato le spedizioni e le vendite Stellantis, Aston Martin, Bentley, Ford, General Motors, Harley Davidson, Honda, Jaguar, Mazda, Mercedes-Benz, Nissan, Renault, Rolls Royce, Subaru, Toyota, Volkswagen e Volvo. A mettere sotto pressione il mercato russo saranno soprattutto i colossi della logistica a livello globale, FedEx e Maersk su tutti, ma anche grandi aziende come Ikea, Lego, Danone e Swatch. Tra le prime ad attivarsi già a poche ore dall’invasione dell’Ucraina erano state le federazioni sportive: a oggi sono stati annullati eventi in territorio russo o sono state sospese le squadre russe da Formula 1, calcio a livello UEFA e FIFA, tennis maschile e femminile, rugby, ciclismo, pattinaggio su ghiaccio, hockey, pugilato, atletica e sollevamento pesi, mentre il Comitato Olimpico Internazionale ha impedito a tutti gli atleti russi la partecipazione alle competizioni. A livello di spettacoli ed entertainment, Live Nation ha sospeso tutti i concerti in Russia, Disney, Paramount, Sony e Warner Media hanno messo in pausa ogni nuova uscita di film, e la Federazione Internazionale Felina ha messo al bando i gatti russi da tutte le competizioni internazionali.

  • in

    Le sanzioni UE non fermano il commercio della Bielorussia: nel 2021 aumentate le importazioni dei Paesi baltici

    Bruxelles – Sono stati tra i Paesi UE che hanno fatto avanzare la linea più dura nei confronti della Bielorussia di Alexander Lukashenko, ma alla prova del nove i Baltici hanno dimostrato di avere non poche difficoltà a rispettare nei fatti le proprie politiche aggressive. Nei primi dieci mesi del 2021 in Estonia, Lettonia e Lituania le importazioni dalla Bielorussia hanno toccato livelli record, nonostante le dure sanzioni economiche imposte da Bruxelles contro Minsk a giugno.
    Analizzando le statistiche degli Istituti nazionali di ricerca dei tre Paesi baltici, è facile osservare come le relazioni commerciali con la Bielorussia si siano cementate, anziché essere scoraggiate dai rapporti lacerati tra l’Unione Europea e il regime di Lukashenko. Con 522 milioni di euro complessivi, le importazioni dell’Estonia sono più che raddoppiate rispetto all’anno precedente (221 milioni) e anche nei mesi di crisi più acuta – tra maggio e ottobre – la media mensile non è mai scesa sotto i 50 milioni di euro. Discorso simile può essere fatto per la Lettonia, che ha registrato importazioni per 406,5 milioni di euro, il livello più alto negli ultimi 10 anni (nel 2020 si era fermato a 298,5). Ancora più esemplificativo il caso della Lituania, il Paese che per primo ha adottato dure misure per opporsi alla “guerra ibrida” di Lukashenko: nel 2021 le importazioni commerciali hanno toccato il miliardo di euro (erano 830 milioni nel 2020).
    Questi forti aumenti rivelano la complessità in termini economici per i Paesi baltici nel trovare un equilibrio con la retorica aggressiva adottata in politica estera. La Bielorussia è e rimane un importante partner commerciale per questa regione, anche considerato il flusso di merci in arrivo dall’Asia e che vi transita prima di arrivare in Europa Occidentale. Le importazioni da Minsk includono prodotti dell’industria del legno, dei fertilizzanti e del settore del petrolio, quest’ultimo nella lista delle misure restrittive UE e statunitensi.
    Dopo aver negato a dicembre qualsiasi violazione delle sanzioni, il governo estone rischia ora di farsi travolgere dalle polemiche per la crescita di un commercio che evidentemente non riguarda solo “merci di transito” attraverso il Paese. Anche il ministero degli Esteri lettone ha assicurato che gli affari commerciali stanno avvenendo nel rispetto del regime di sanzioni. Ma il rischio è quello di dover affrontare la stessa bufera che si è scatenata poche settimane fa a Vilnius, quando sia il ministro lituano degli Esteri, Gabrielius Landsbergis, sia quello dei Trasporti, Marius Skuodis, hanno presentato le dimissioni (poi respinte) a causa delle rivelazioni sul trasporto mai cessato del potassio bielorusso sottoposto alle sanzioni di Bruxelles sulla rete ferroviaria nazionale.

    Nonostante le posizioni aggressive in politica estera contro il regime di Alexander Lukashenko, nel 2021 si è registrato un forte aumento delle esportazioni da Minsk in direzione Lituania, Estonia e Lettonia

  • in

    La Svizzera abbandona i negoziati per rinnovare le intese con l’Unione europea

    Bruxelles – In pratica sembra essere una questione di ciliegie: la Svizzera vorrebbe scegliere quali cogliere, invece si ritroverà lì a vederle cadere marce.
    Questo pomeriggio (26 maggio) il Consiglio Federale della Confederazione elvetica ha deciso di rompere le trattative con l’Unione europea che erano tese (da sette anni) a trovare un’intesa su un “Accordo istituzionale” che adeguasse “dinamicamente” gli accordi tra le due parti per l’accesso al Mercato Unico europeo, che attualmente sono invece cristallizzati in un centinaio di intese nate tra 50 e 20 anni fa, e che dunque stanno rapidamente invecchiando.
    Le ciliegie, dicevamo. Un noto detto britannico definisce come “cherry piking” il tentativo di fare un accordo nel quale si tenta di prendere solo le cose più convenienti per la propria parte. Di questo l’Unione europea accusa la Svizzera, che dopo sette anni di negoziati ha bloccato la trattativa su tre temi: gli aiuti di Stato, la libera circolazione delle persone, protezione dei salari. “I colloqui hanno consentito di migliorare la comprensione reciproca delle rispettive posizioni, che sono tuttavia rimaste distanti in termini di contenuto”, è scritto nella nota del Consiglio Federale nella quale si annuncia la rottura delle trattative, auspicando comunque una generica “ripresa del dialogo”.
    E qui vengono le ciliegie marce. La Commissione non ha potuto che “prendere atto” della decisione svizzera, ma un alta fonte brussellese coinvolta nel negoziato ha spiegato che già da oggi ci saranno forti problemi per la Confederazione, poiché le intese bilaterali sono appunto vecchie “e ci saranno problemi immediati, come ad esempio sui dispositivi medici, che fino ad oggi la Svizzera poteva esportare nell’Unione con un trattamento di assoluto favore, poiché bastava la certificazione loro per poterli mettere in commercio. Da oggi sono entrate in vigore le nuove regole sulla commercializzazione di questi prodotti nel Mercato Unico, e la Confederazione semplicemente non potrà più esportare verso i 27 con le vecchie norme. Altri problemi immediati – ha continuato la fonte – ci saranno nel settore agricolo, ed anche sul tema della protezione dei dati da oggi dovremo avre un occhio diverso”.
    Perché qui era un po’ il cuore della proposta dell’Unione: arrivare ad un allineamento “dinamico” delle regole, che permettesse agli accordi vecchi di decenni di procedere al passo con le nuove regole che nel tempo l’Unione si darà.
    Anche per la Svizzera, come fu per la Gran Bretagna c’è poi un problema sulla competenza della Corte di Giustizia UE a giudicare su questa materia, “ma per noi non è una scelta – sottolinea la fonte – la Corte europea è l’unica che può giudicare sulle norme europee, è un obbligo legale dal quale non possiamo prescindere”.
    Con questa decisione di Berna resta dunque ferma anche la collaborazione nella ricerca, anche perché dal 2013 la Svizzera non paga più le sue quote per la politica di coesione “e dunque nessuna collaborazione è possibile – spiega la fonte -. Nel Bilancio pluriennale dell’Unione avevamo previsito dei capitoli di spesa su questo, ma senza un Accordo istituzionale come pre-requisito tutto è bloccato”.
    Ora l’Unione rifletterà sul da farsi, ma certo, spiegano alla Commissione “se non si arriverà ad una nuova intesa la Svizzera non avrà nuovi accessi al Mercato interno UE, mentre nel frattempo i vecchi accordi si indeboliranno, perché noi evolviamo”.
    Du questa situazione sfavorevole alla Confederazione sembrano coscienti i Cantoni, che in una nota congiunta affermano di aver “sempre sostenuto la necessità di un accordo con l’UE come garanzia di una relazione duratura e stabile con il nostro vicino diretto e partner economico più importante”. Secondo i governi cantonali l’approccio bilaterale deve continuare ad essere perseguito anche se i negoziati sono falliti, e “le conseguenze di questo fallimento e le questioni in sospeso nelle relazioni con l’UE dovrebbero venir chiarite il più presto possibile”. Anche l’organizzazione Economiesuisse (che rappresenta più di 100.000 aziende) non è felice di questo stop: “Spetta ora al Consiglio federale stabilizzare il percorso bilaterale e minimizzare i danni”, si legge in una nota, nella quale sottoolinea che la via bilaterale “deve quindi rimanere l’obiettivo prioritario della politica economica estera elvetica. A tal fine, dopo il fallimento dell’accordo istituzionale, in una prima fase è necessario stabilizzare gli accordi esistenti e minimizzare i danni”.

    Berna non è soddisfatta delle proposte su aiuti di Stato, la libera circolazione delle persone, protezione dei salari. “Senza una nuova intesa la Confederazione non avrà nuovi accessi al Mercato interno UE, mentre nel frattempo i vecchi accordi si indeboliranno”

  • in

    Commercio con la Cina, Okonjo-Iweala (WTO) a Dombrovskis: “Servono più tavoli di discussione”

    Bruxelles – Nei rapporti commerciali con la Cina, la lezione alla Commissione europea arriva direttamente dalla direttrice dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) Ngozi Okonjo-Iweala. Per convincere Pechino a commerciare alle stesse condizioni con cui lo fanno le economie di libero mercato serve un approccio costruito “in maniera adeguata”, che le dimostri soprattutto “di non essere presa di mira”. Altrimenti “quello che si ottiene dalla Cina sono solo le resistenze”.
    Un messaggio chiaro, quello giunto alle orecchie del vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis durante un evento dedicato alle politiche commerciali dell’Unione Europea, e rivolto mentre in un confronto si parlava di come affrontare il problema degli ingenti sussidi dal governo cinese alle imprese nazionali, colpevoli di distorcere la concorrenza internazionale e di limitare l’accesso ai mercati. “Comprendo come gli altri membri della WTO siano preoccupati di come questo possa creare una disparità di condizioni”, ha continuato Okonjo-Iweala. “Ma questioni del genere rimarcano quanto sia necessario aprire tavoli di discussione, solo così la Cina potrà rendersi conto dell’impatto negativo delle sue politiche commerciali”. La parola d’ordine è quindi “coinvolgere la Cina” e farlo senza usare l’Organizzazione Mondiale del Commercio “come arma con il secondo fine di risolvere problemi politici”, ha esplicitamente affermato l’economista nigeriana.
    Ma Dombrovskis ha lasciato intendere di non voler abbandonare un approccio difensivo. “Le relazioni con la Cina sono sbilanciate”, ha detto il commissario spiegando come questo abbia giustificato la stipulazione dell’ultimo accordo commerciale con Pechino firmato a fine 2020. L’UE vuole difendersi per eventuali violazioni degli accordi e soprattutto vuole considerare le trattative con il governo di Xi Jinping “nell’ambito del più ampio sistema di relazioni con la Cina”, ha detto riferendosi alle ultime schermaglie in tema di sanzioni registratesi tra Bruxelles e Pechino. Insieme al multilateralismo, però, l’Unione Europea non ha intenzione di rinunciare alla carta interna per proteggere i propri interessi (attualmente si sta mettendo mano al regolamento UE di applicazione delle norme commerciali).
    È ancora all’UE che Okonjo-Iweala si rivolge quando lamenta che “il nazionalismo dei vaccini non funziona”. La numero uno della WTO ha ringraziato la Cina, l’India e l’UE stessa per gli sforzi fatti nell’esportare una buona parte delle dosi prodotte sui loro territori, ma si è detta anche “profondamente dispiaciuta” del meccanismo istituito a livello europeo per controllare le esportazioni di vaccini al fine di salvaguardare i contratti firmati con le cause farmaceutiche. “Capiamo la scelta politica ma dobbiamo dire ai cittadini che è nel loro interesse condividere che i Paesi a basso reddito non aspettino per troppo tempo in fila per accedere ai vaccini”, ha continuato Okonjo-Iweala lanciando un appello a Gran Bretagna e Stati Uniti, che invece hanno destinato alla somministrazione interna quasi la totalità delle dosi prodotte sui loro territori. Secca la risposta di Dombrovskis: “L’Unione Europea sta rispettando i suoi impegni internazionali e attualmente è il primo esportatore di vaccini al mondo, ma dobbiamo assicurarci che i nostri contratti vengano rispettati”.
    C’è invece sintonia tra i due sul tema della sospensione dei brevetti sui vaccini scelta che permetterebbe a tutti di accedere con più facilità al know-how necessario per la produzione del siero anti COVID. “L’obbligo per le aziende farmaceutiche di cedere le loro licenze, reso possibile dalle deroghe all’accordo internazionale sulla proprietà intellettuale TRIPs, deve essere accompagnato da un aumento della capacità produttiva nelle aree dove si vuole intervenire”, ha affermato Okonjo-Iweala. L’obiettivo però è anche quello di assicurarsi che una mossa simile “non disincentivi la produzione dei vaccini che servono per il futuro”.
    Dombrovskis ha infine dedicato un’ultima osservazione all’accordo commerciale con la Gran Bretagna sulla Brexit. “È sicuramente una soluzione migliore rispetto a un ‘no deal’, ma non abbiamo ancora visto gli effetti a lungo termine”, ha commentato. “Lo scambio di beni e servizi non sarà più senza intoppi come lo era con la Gran Bretagna nell’unione doganale e imprese e consumatori dovranno imparare a orientarsi con le nuove procedure e con i nuovi costi”.

    L’Unione Europea cerca da tempo un accordo con Pechino per convincerla ad allinearsi alle normative occidentali in materia di aiuti di Stato. Tra i temi toccati nel confronto con la direttrice generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio anche la sospensione dei brevetti sui vaccini

  • in

    Boeing-Airbus, Ue verso 4 miliardi di dazi sulle importazioni Usa

    RebHarmsThey won‘t give up until former President leaves: Uchodi Lukashenka! #StandWithBelarus #Belarus https://t.co/J3G6Lj0RnS

    EPPGroupThe people of #Belarus continue their peaceful protest and are met with consistent brutality by the #Lukashenko reg… https://t.co/yytTKBk26o

    FedericaMogHere my interview on #USAelection2020 #BidenHarris2020 #EU – #US relations with @camanpour on @cnni https://t.co/qTd5MHc9DS

    EPPGroupRT @listenlund: EU negotiators from the parliament and member states are due this week to discuss a longstanding plan that would force plat…

    jduchMEPs want the amount of €672,5 billion euros in grants and loans to be available to finance national measures desig… https://t.co/ktTNnxk9Ji

    nomfupRT @TIME: Capping off a contentious two-year stint, Rep. Cheri Bustos, the head of House Democrats’ campaign arm, has decided to exit her p…

    ManfredWeberRT @simoncoveney: It’s for UK Parl to legislate as it sees fit. But understand, if UK passes law designed to break International Law, WI &…

    nomfupRT @nytimes: Dan Quayle, a Republican who was vice president to President George H.W. Bush when their ticket lost to Bill Clinton in 1992,…

    nomfupNel frattempo, in un universo parallelo https://t.co/3QmNFak9qO

    FedericaMogRT @camanpour: Former EU Foreign Policy Chief @FedericaMog says she has been saddened to see the US “denying so many of its fundamental val…

    LJahierEUThis is simply…. unique #Music make miracles and it’s #Magic https://t.co/x9sOkq0EAK

    EP_PresidentIf COVID-19 has taught us one thing, it’s that we need to strengthen European democracy. The Conference on the Futu… https://t.co/p6DXSP3tXz

    EP_PresidentWenn uns COVID-19 eines gelehrt hat, dann, dass wir europäische Demokratie stärken müssen. Die Konferenz zur Zukunf… https://t.co/w7edejh97P

    ecrgroupECR MEP Jadwiga Wiśniewska: “We support all measures aimed at protecting the Union’s budget, but they must be legal… https://t.co/5er2wtGGs3

    JosepBorrellFWe often say ‘Europe comes out of the crisis stronger’. To this end, we need to be mobilised on all fronts and EU D… https://t.co/3Kkm1rr2o8

    nomfupRT @nytpolitics: Even in defeat, Republicans saw clear indicators of the enduring power of Trump-style populism. By the time Joe Biden gave…

    nomfupRT @nytopinion: The competitiveness of the Trump coalition, the fact that his party came through the election in better-than-expected shape…

    EPPGroupIt’s what we have been saying for weeks. @eucopresident agrees with us that there can be no impunity for those glor… https://t.co/pReP9DIBKI

    nomfupEmpatia si sta rucolizzando, siamo già nei paraggi della resilienza

    ansaeuropaCoinvolgere le regioni di confine dotandole di risorse specifiche e procedure accelerate, concludere i negoziati pe… https://t.co/qXz4DP80Rk