More stories

  • in

    L’Unione Europea e la Nuova Zelanda hanno trovato un accordo per il libero scambio commerciale

    Bruxelles – Si stringono i rapporti tra i due estremi del globo. Sulla base di un commercio bilaterale da 7,8 miliardi di euro all’anno per le merci e da 3,7 miliardi per i servizi – con esportazioni per 5,5 miliardi e importazioni da 2,3 miliardi per Bruxelles – UE e Nuova Zelanda hanno trovato oggi (giovedì 30 giugno) un’intesa commerciale di libero scambio che copre settori come l’agricoltura, il tessile, il digitale, l’energia e, per la prima volta, l’ambiente. Un accordo “solido e moderno” che “rappresenterà un’occasione per i nostri consumatori e agricoltori”, ha voluto sottolineare la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, nel corso della conferenza stampa congiunta con la premier della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern. O, come ha ricordato il vicepresidente esecutivo dell’esecutivo comunitario, Valdis Dombrovskis, “il primo del suo genere a prevedere sanzioni in caso di violazione sostanziale dell’Accordo sul clima di Parigi”.
    La firma dell’accordo di libero scambio tra UE e Nuova Zelanda (30 giugno 2022)
    Secondo i negoziati portati avanti negli ultimi quattro anni, dal giorno dell’entrata in vigore dell’accordo (che dovrà essere prima siglato dal Consiglio e approvato dal Parlamento UE, con la contemporanea ratifica a Wellington), saranno eliminati i dazi su tutte le esportazioni di merci e prodotti industriali e alimentari dai Paesi membri UE verso la Nuova Zelanda, mentre l’Unione eliminerà “o ridurrà sostanzialmente” i dazi sulla maggior parte delle merci neozelandesi, si legge nel testo dell’intesa. Per esempio, il governo di Wellington rinuncerà a tariffe fino al 10 per cento applicate attualmente al settore automobilistico e tessile, o del 5 per cento a quelli chimico, farmaceutico e alimentare.
    Proprio per quanto riguarda quest’ultimo punto, le due parti “collaboreranno per rafforzare le politiche e definire programmi che contribuiscano allo sviluppo di sistemi alimentari sostenibili, inclusivi, sani e resilienti“, anche grazie al fatto che a beneficiare maggiormente dell’accordo saranno “gli agricoltori da entrambe le parti, anche oltre il taglio ai dazi commerciali” su cibo e fertilizzanti, ha specificato la presidente von der Leyen. In questo senso va letta la “crescita dell’80 per cento degli investimenti”, ma anche la tutela delle oltre 200 indicazioni geografiche protette dell’UE. Saranno inclusi “l’intero elenco dei vini e degli alcolici” (tra cui il Prosecco) e “le più rinomate indicazioni geografiche alimentari” (come il formaggio Asiago). Nel capitolo sul regime di protezione che sarà applicato dalla controparte neozelandese si legge che “sarà illegale la vendita di imitazioni” – come il divieto dell’uso di un termine IG “per prodotti non genuini”, o espressioni come ‘genere’, ‘tipo’, ‘stile’, ‘imitazione’ – e l’uso “ingannevole” di simboli, bandiere o immagini che suggeriscono una falsa origine geografica.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e la premier della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern (30 giugno 2022)
    Ma nell’intesa tra UE e Nuova Zelanda risalta in particolare il capitolo dedicato a Commercio e sviluppo sostenibile, che include questioni ambientali e climatiche. Le due parti si impegnano a collaborare su questioni come la determinazione del prezzo del carbonio e la transizione verso un’economia a basse emissioni, includendo “impegni sanzionabili in linea con l’Accordo di Parigi” del 2015. Nella logica di favorire tutto ciò che contribuisce al raggiungimento degli obiettivi ambientali e climatici “prevenendo, limitando, minimizzando o rimediando ai danni ambientali all’acqua, all’aria e al suolo”, sarà facilitato il commercio e gli investimenti in beni, servizi e tecnologie a basse emissioni di carbonio, a partire dall’azzeramento delle tariffe su energie rinnovabili e prodotti ad alta efficienza energetica.
    A questo si riconnette il capitolo sull’energia e le materie prime, che specifica l’eliminazione delle restrizioni all’esportazione di beni energetici, rinnovabili incluse. L’intesa “vieta i monopoli”, ma anche l’intervento “ingiustificato” nella determinazione dei prezzi e la doppia tariffazione (in cui i prezzi all’esportazione vengono fissati al di sopra dei prezzi interni). Saranno invece promossi il commercio e gli investimenti per le energie rinnovabili e i prodotti ad alta efficienza energetica, “affrontando le principali barriere non tariffarie specifiche per ogni tecnologia”: accesso non discriminatorio alla rete, utilizzo da parte di un’autorità di regolamentazione indipendente, bilanciamento dei mercati e promozione della cooperazione su standard comuni.
    Di rilievo è anche la parte dell’accordo riservata alla sfera digitale e alla proprietà intellettuale. Saranno facilitati i flussi di dati transfrontalieri, vietando i requisiti “ingiustificati” di localizzazione dei dati e mantenendo il livello di protezione dei dati personali secondo il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) dell’UE, “che contribuisce in modo significativo alla fiducia nell’ambiente digitale”. In questo modo le imprese potranno contare sulla “prevedibilità e certezza del diritto” e i cittadini comunitari e neozelandesi su “un ambiente online sicuro” nel momento in cui effettuano transazioni commerciali digitali a livello transfrontaliero. Per quanto riguarda le disposizioni in materia di proprietà intellettuale, saranno protetti il diritto d’autore, i marchi, i disegni e i modelli industriali, con un aumento degli standard accettati da Wellington: 20 anni per i diritti di autori, esecutori e produttori di registrazioni sonore e 15 anni per disegni e modelli registrati.

    La Commissione Europea e il governo guidato da Jacinda Ardern hanno siglato un’intesa sull’eliminazione dei dazi sulle rispettive esportazioni industriali e alimentari. Ma è anche la prima a prevedere sanzioni in caso di “violazione sostanziale” dell’Accordo sul clima di Parigi

  • in

    L’Unione Europea cerca di coordinare gli Stati membri per il cambio delle banconote dei profughi in fuga dall’Ucraina

    Bruxelles – Nelle ultime sette settimane, da quando la Russia ha aggredito militarmente l’Ucraina, l’Unione Europea è diventata un luogo di rifugio per oltre quattro milioni di ucraini. Aldilà degli sforzi di solidarietà annunciati e messi in atto dai Ventisette, ci sono molti aspetti problematici che riguardano la vita di tutti i giorni e le necessità pratiche di cittadini di un Paese extra-UE che sono stati accolti in massa e in tempi record alle frontiere dell’Unione (grazie alla prima attivazione della Direttiva europea sulla protezione temporanea). Uno di questi riguarda le banconote che i rifugiati in arrivo dall’Ucraina hanno in portafoglio e quelle che servono loro per effettuare pagamenti nell’UE.
    Dopo aver risolto la questione degli animali domestici e delle comunicazioni tra profughi e famiglie rimaste in Ucraina (grazie a un accordo storico tra operatori telefonici), gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) ha approvato una raccomandazione sul cambio di banconote di grivnia ucraina nelle valute in circolazione nell’UE, a sostegno delle persone che – dopo essere fuggite dalla guerra – stanno riscontrando problemi nella conversione di denaro. La raccomandazione invita gli Stati membri a istituire schemi nazionali che permettano la conversione fino a 10 mila grivnie (circa 310 euro) a persona, bambini compresi, per un minimo di tre mesi. La conversione di banconote avverrebbe senza spese e al tasso di cambio ufficiale pubblicato dalla Banca centrale dell’Ucraina.
    Dall’inizio dell’invasione militare russa, la Banca centrale dell’Ucraina ha dovuto sospendere il cambio di banconote di grivnia per proteggere le riserve limitate di valuta estera del Paese, influenzando a sua volta la convertibilità della valuta ucraina negli Stati membri UE: molte banche non sono più state disposte a cambiare la grivnia proprio a causa dei rischi di cambio, rendendo più difficile per i rifugiati convertire il denaro che hanno portato con sé fuggendo dalla guerra. Il primo aprile la Commissione Europea ha presentato una proposta di raccomandazione per promuovere un approccio coordinato per gli schemi nazionali, in modo che gli sfollati dall’Ucraina possano convertire alle stesse condizioni le banconote di grivnia in valuta locale, indipendentemente dallo Stato membro che li ospita (euro, lev bulgaro, corona ceca, corona danese, corona svedese, fiorino ungherese, kuna croata, złoty polacco, leu romeno). In questo modo si stabiliranno condizioni di parità per gli istituti di credito e si potranno prevenire comportamenti speculativi sul mercato.
    L’adozione formale della raccomandazione da parte del Consiglio è prevista per il 19 aprile con procedura scritta. Le raccomandazioni non sono atti giuridicamente vincolanti, ma l’implementazione effettiva e l’istituzione degli schemi devono essere decise dagli Stati membri secondo le proprie legislazioni nazionali.

    I 27 ambasciatori UE hanno approvato la raccomandazione sulla conversione di grivnia ucraina nelle valute in circolazione nei Paesi membri a condizioni paritarie e senza spese, per prevenire comportamenti speculativi sul mercato

  • in

    La timida fuga dei colossi aziendali italiani dalla Russia: la metà prende tempo o non rinuncia ancora agli affari

    Bruxelles – Una ritirata scoordinata, con tanti che restano, alcuni che temporeggiano e altri ancora che – ognuno a proprio modo – fanno le valigie. Le grandi aziende italiane (ma anche globali) stanno mettendo in luce diverse strategie di approccio alla risposta dura dell’Unione Europea e dei 40 partner in tutto il mondo all’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina. È quanto emerge dallo studio della Yale School of Management, che ha affinato la ricerca su oltre mille aziende internazionali e la loro risposta all’aggressione militare russa e al regime di misure restrittive messo in atto dall’Occidente.
    Come già era emerso un mese fa, quando lo studio era stato pubblicato nella sua prima versione, non esiste un approccio coordinato da parte delle aziende, anche perché la decisione di abbandonare il Paese avviene per motivi morali, economici o politici, ma non strettamente legali. È per questo motivo che oltre 600 multinazionali hanno già preso la decisione di fare un passo indietro – ritirandosi, sospendendo o riducendo le attività – ma ancora molte non rinunciano a fare affari in Russia, in particolare quelle cinesi (in tre casi su quattro), o cercano di prendere tempo per capire in che direzione proseguirà la guerra e come indirizzare gli investimenti futuri.

    In questo discorso rientrano in pieno anche le aziende italiane, che dimostrano un tasso limitato di disimpegno dalle operazioni industriali e commerciali in Russia. Su 27 gruppi industriali, quasi un terzo ha deciso di rimanere nel Paese, a causa di “un’esposizione significativa” al mercato russo e al rischio sia di andare incontro a ingenti perdite di fatturato, sia di esporsi a grosse incognite di approvvigionamento di materie prime. In questa categoria rientrano soprattutto i gruppi industriali dell’abbigliamento e calzaturieri come Calzedonia, Zegna Group e Geox, ma anche quelli del settore alimentare, come Cremonini Group e De Cecco. Spiccano anche l’istituto bancario UniCredit, oltre alla casa farmaceutica Menarini Group e all’impresa multinazionale attiva nella produzione di cemento e calcestruzzo Buzzi Unichem.
    Cinque gruppi aziendali cercano di prendere tempo, rimandando i futuri investimenti pianificati e contemporaneamente continuando a fare affari “sostanziali”. Non è un caso se in questa categoria compare anche il colosso alimentare Barilla (per la stessa questione dell’approvvigionamento di grano dalla Russia, che insieme all’Ucraina rappresenta il 30 per cento del commercio mondiale), oltre a Campari. A trovarsi in una posizione scomoda anche i giganti del settore energetico, come Saipem e Maire Tecnimont, così come dei piccoli elettrodomestici, come Delonghi, e Intesa Sanpaolo.
    Sulle 27 grandi aziende italiane individuate dallo studio della Yale School of Management, meno della metà (13) ha deciso di intraprendere un’azione di smarcamento dal mercato della Russia, a diversi livelli. Assicurazioni Generali, ENI, Ferragamo e YOOX (moda) hanno interrotto gli impegni commerciali o industriali e si sono ritirati definitamente dal Paese. Altri gruppi, come CNH Industrial (macchine per agricoltura e costruzioni), Ferrari, Leonardo, Moncler e Prada, hanno invece deciso di sospendere temporaneamente la maggior parte delle operazioni, mantenendo aperte le opzioni di ritorno. Infine, un’altra categoria di imprese ha ridotto le operazioni, ridimensionando alcuni ambiti in modo “significativo” e proseguendone altri: sono Enel, Ferrero, Iveco e Pirelli.

    Da Calzedonia a De Cecco, Geox, Intesa e UniCredit: uno studio della Yale School of Management ha individuato 8 aziende italiane (su 27) che sono rimaste nel Paese nonostante le sanzioni UE. Altre 6 posticipano a data da destinarsi i nuovi investimenti (anche Barilla, Campari e Delonghi)

  • in

    L’UE studia il sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca, sul tavolo l’embargo sul petrolio russo

    Bruxelles – C’è l’ipotesi embargo sul petrolio russo nelle discussioni in corso sul sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina a cui lavora la Commissione Europea. “Stiamo guardando il settore del petrolio per capire come includere anche quello nel prossimo pacchetto di sanzioni”, ha confermato la portavoce della Commissione UE, Dana Spinant, lunedì 11 aprile nel briefing quotidiano con la stampa, richiamando le parole della presidente Ursula von der Leyen pronunciate in conferenza stampa venerdì al termine dell’incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che hanno fatto cenno al fatto che un sesto pacchetto di sanzioni è in cantiere, “se la Russia non dovesse porre fine alle ostilità”.
    Bruxelles conferma la necessità di un approccio graduale alle nuove misure restrittive contro Mosca. Venerdì l’UE ha varato il quinto pacchetto di sanzioni andando a colpire per la prima volta le entrate della Russia sul carbone, per un valore di circa 8 miliardi di euro l’anno (con i dati del 2021). La strategia con cui l’UE lavora su nuove sanzioni è quella di individuare in che modo andare a colpire l’economia russa, senza danneggiare troppo la propria. Il 27% circa del petrolio europeo è importato dalla Russia.

    Anche se non formalmente in agenda, il tema embargo sul petrolio russo è sul tavolo anche al Consiglio Affari Esteri in corso lunedì a Lussemburgo, come hanno confermato diversi ministri europei all’arrivo alla riunione. Per ora non c’è ancora un accordo a livello europeo per vietare le importazioni di petrolio greggio da Mosca, ma buona parte dei governi è favorevole a incrementare le sanzioni. “L’Unione europea sta spendendo centinaia di milioni di euro per importare petrolio dalla Russia, il che sta sicuramente contribuendo a finanziare questa guerra”, ha detto il ministro degli Esteri irlandese Simon Coveney, confermando che si sta lavorando per garantire che il petrolio faccia parte del prossimo pacchetto di sanzioni.
    Favorevoli a questa ipotesi anche gli omologhi olandese, ceco e lituano che si sono detti aperti a incrementare il regime di sanzioni per mettere pressione sulla Russia. In arrivo al Consiglio questa mattina l’alto rappresentante UE per la politica estera e di sicurezza Josep Borrell ha confermato la posizione della Commissione UE secondo cui un embargo sul petrolio dell’UE dovrà arrivare “prima o poi”, sostenendo la posizione già assunta dalla presidente von der Leyen di fronte all’Eurocamera riunita in plenaria la scorsa settimana. Gli eurodeputati, in una risoluzione non vincolante, hanno chiesto ai leader dell’UE di alzare il tiro sulle sanzioni, proponendo un embargo totale e immediato su tutte le importazioni energetiche, gas, nucleare, petrolio, non solo il carbone.
    Ago della bilancia sarà la posizione che assumerà la Germania, tra i Paesi europei che frenano di più sull’embargo energetico totale da Mosca perché fortemente dipendente. La dipendenza energetica da Mosca varia molto da Paese a Paese in UE, anche l’Ungheria – che già aveva mostrato una certa resistenza sull’embargo sul carbone – ha fatto sapere di essere molto cauta sull’embargo sul petrolio russo, e di non poterlo sostenere. La ministra tedesca degli Esteri Annalena Baerbock in arrivo Lussemburgo ha espresso la necessità di un “piano coordinato per eliminare completamente i combustibili fossili” dalla Russia, anche se Berlino sta cercando di mantenere un approccio più possibile graduale sulle sanzioni. E così anche l’UE.

    L’Esecutivo europeo lavora sul nuovo regime di sanzioni contro Putin per l’aggressione all’Ucraina, mentre i governi europei al Consiglio Esteri di Lussemburgo cercano un consenso sul bando delle importazioni sul greggio russo

  • in

    Gas e petrolio russi, il Consiglio affari esteri ufficialmente non parlerà di embargo

    Bruxelles – Gas e petrolio russi, il Consiglio affari esteri ufficialmente non parlerà di embargo ai principali prodotti energetici di cui l’Unione europea è fortemente dipendente. In occasione della riunione dei 27 ministri degli Esteri di lunedì (11 aprile) il tema “non sarà sul tavolo”, fanno sapere fonti UE, nonostante il voto dell’Europarlamento che solleva il tema e nonostante la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, abbia espressamente detto proprio in Aula che dopo le misure contro il carbone al centro del quinto pacchetto di sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina è ora tempo di iniziare a ragionare sul petrolio.
    Eppure l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, nell’agenda dei lavori che pure prevede la questione ucraina tra i temi di confronto, ha deciso di non inserire la discussione di una stretta sugli acquisti di gas e petrolio. Una scelta per certi versi a sorpresa, che però non sorprende del tutto. Tra i Ventisette c’è chi dipende in maniera molto più forte di altri dalle risorse fornite da Mosca e dalle sue controllate. E’ soprattutto il quadrante orientale – Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia, Bulgaria – ad essere più esposto, e quindi colpita, da un eventuale stop agli acquisti. “Su gas e petrolio servirà comunque l’unanimità, tra Paesi che hanno dipendenze energetiche diverse“, riconoscono le stesse fonti, che non nascondono la complessità delle decisioni da prendere e la delicatezza del tema. “Ci sono difficoltà tecniche e politiche” sull’argomento. Dunque, meglio non parlarne, per evitare spaccature e tensioni che possano offrire l’immagine di un’Europa fin qui unita e decisa nella risposta all’invasione della Russia.
    Si gioca la carta delle tempistiche per giustificare la scelta di tenere fuori sul tavolo le questioni di gas e petrolio. “E’ stato appena approvato un quinto pacchetto di sanzioni, molto sostanzioso”. Troppo presto, in sostanza, per iniziare a ragionare su un sesto set di misure restrittive”. Però il senso di necessità di intervento è avvertito, come l’irritazione per chi ancora punta i piedi. “E’ un fatto che i Paesi che pagano per petrolio e gas russo danno forza economica a Putin“, si ragiona a denti stretti tra gli addetti ai lavori.
    Sarebbe nell’interesse di Borrell e dell’Unione un’accelerazione sull’argomento, ma certo è che bisogna tenere conto della fattibilità della cosa. Le ripercussioni economiche potrebbero essere di forte entità, specie tra i membri del club a dodici stelle che maggiormente hanno bisogno dell’energia russa per il proprio sistema produttivo. Ad ogni modo “trattandosi di un dibattito politico, non escludiamo che qualcuno possa sollevare il tema” durante i lavori di lunedì.
    Se il Consiglio affari esteri ufficialmente non parlerà di embargo al petrolio e al gas di Russia, emerge l’eventualità che il punto sarà discusso in via informale. A ben vedere questa potrebbe essere la soluzione migliore per evitare imbarazzi in caso di divergenze di vedute, su un tema ufficialmente non all’ordine del giorno e per cui, proprio per questo, non sono attese conclusioni. La parola ai ministri. A Bruxelles comunque ribadiscono: “Non se ne parlerà”. Non ufficialmente, almeno.

    Nell’agenda dei lavori non risulta il punto. “Non sarà sul tavolo”, confermano fonti. Possibile un dibattito su richiesta, a questo punto informale, su un argomento divisivo

  • in

    Stop a carbone e vodka, tagliato di 15 miliardi di euro l’import-export: ecco il quinto pacchetto di sanzioni UE alla Russia

    Bruxelles – Non solo carbone, ma pure trasporti e materiali. Il quinto e ulteriore pacchetto di sanzioni approvato dal Consiglio dell’UE opera una stretta commerciale volta a ridurre le capacità di business del Cremlino così da togliere fonti di finanziamento alla guerra sferrata in Ucraina. Divieto alle esportazioni per complessivi 10 miliardi di euro, cui si aggiunge un divieto alle importazione per un valore di 5 miliardi di euro, per un totale di 15 miliardi di euro in restrizioni. Non ci sono ancora strette su gas e petrolio, come richiede il Parlamento europeo, ma il nuovo set di misure restrittive vede certamente delle novità senza precedenti.
    Carbone, stop a contratti vecchi e nuoviIl principale elemento di questo pacchetto riguarda certamente l’azione dell’UE sul carbone comprato sul mercato dell’est. Si stabilisce il divieto di stipulare nuovi contratti. Così facendo Mosca dovrebbe perdere circa otto miliardi di euro l’anno, secondo le stime della Commissione europea. Mentre per quelli in essere è stata introdotta una moratoria di quattro mesi. Da Bruxelles comunque precisano che la stretta su questa fonte fossile è di fatto iniziata ancora prima dell’adozione del nuovo pacchetto di sanzioni. “Nelle ultime quattro settimane gli acquisti di carbone russo si sono ridotti del 9 per cento in valore e del 20 per cento in volume“, fanno sapere fonti comunitarie, che non si sbilanciano su eventuali passi avanti in materia energetica. In generale, ricordando, “con tutte queste misure dobbiamo stare attenti a non avere conseguenze indesiderate per noi“.
    Restrizione per il settore trasportiPer la prima volta dall’inizio dell’invasione in Ucraina si interviene nel settore trasporti. Si introduce un divieto sul trasporto merci su strada. Riguarda le imprese stabilite in Russia, a cui viene impedito di viaggiare verso il mercato unico europeo. E soprattutto si colpisce “gran parte del trasporto dall’UE alla Russia”. Previste alcune esenzioni per “elementi essenziali”, come i prodotti agricoli e alimentari, e gli aiuti umanitari. Decretato inoltre il divieto di approdo nei porti dell’EU a tutte le imbarcazioni battenti bandiera russa.
    Export, cosa l’Europa non può più vendere Il capitolo più sostanzioso delle misure commerciali che valgono in totale 15 miliardi di euro. Il lavoro tecnico delle 27 delegazioni ha prodotto divieti all’esportazione mirati nelle aree in cui la Russia è vulnerabile a causa della sua elevata dipendenza dalle forniture dell’UE. Ciò include, ad esempio, l’informatica quantistica, semiconduttori avanzati, macchinari sensibili, trasporti e prodotti chimici. Include anche catalizzatori specializzati per l’uso nell’industria delle raffinerie. “Ciò continuerà a degradare la base tecnologica e la capacità industriale della Russia“, assicurano a Bruxelles. Ai divieti di vendite già esistenti vengono aggiunti carburante e additivi per carburante per aerei. Una misura, da sola, che vale 10 miliardi di euro, e che “rappresenta l’intero commercio degli Stati Uniti con la Russia in un anno”. Gradi di paragone non casuali. Quanto deciso, precisano fonti Ue, “è molto più significativo in termini di impatto diretto, perché ovviamente siamo molto più esposti rispetto, ad esempio, agli Stati Uniti o al Regno Unito”.
    Import, cosa l’Europa non può più comprareUlteriori divieti di importazione, per un valore di 5,5 miliardi di euro, riguardano cemento, prodotti in gomma, legno, alcolici (compresa la vodka), liquori, frutti di mare di fascia alta (compreso il caviale). Solo dalla Vodka l’economia russa conoscerà una perdita stimata in 50 milioni di euro l’anno. Oltretutto il superalcolico rappresenta il 98 per cento dell’import totale dell’UE nel settore delle bevande spiritose, e dunque questa singola componente del pacchetto restrittivo da 15 miliardi di euro sull’import-export rappresenta un duro colpo per il mercato russo.

    Per la prima volta toccato anche il settore trasporti. Fermate le merci su strada da e per la Federazione russa. Tutte misure per togliere soldi a Putin da usare per la guerra contro l’Ucraina

  • in

    Il governo tedesco assume il controllo della filiale di Gazprom

    Bruxelles – Il governo tedesco ha preso il controllo di Gazprom Germania, attraverso l’Autorità di regolamentazione tedesca per garantire la sicurezza energetica. Lo ha annunciato il ministro dell’Economia Robert Habeck, dopo che la casa madre russa ha “abbandonato” la sua filiale.
    Tutti i diritti di voto nella società saranno trasferiti all’autorità di regolamentazione, la Bundesnetzagentur, ha detto Habeck in una conferenza stampa.
    “L’ordine dell’amministrazione fiduciaria serve a proteggere la sicurezza e l’ordine pubblico e a mantenere la sicurezza dell’approvvigionamento”, ha affermato Habeck. “Questo passaggio è obbligatorio”.
    La Bundesnetzagentur assumerà il controllo fino al 30 settembre 2022. Avrà il diritto di rimuovere dirigenti, assumere nuovo personale e indicare alla direzione come procedere.
    “Il nostro obiettivo sarà gestire la Gazprom Germania nell’interesse della Germania e dell’Europa”, ha dichiarato Klaus Mueller, capo della Bundesnetzagentur.
    Gazprom non ha fornito dettagli o spiegazioni sulla sua decisione di cessare la sua partecipazione in Gazprom Germania e tutte le sue attività, che includono filiali in Gran Bretagna, Svizzera e Repubblica Ceca.

    Dopo che la casa-madre russa aveva deciso di abbandonare la sua partecipazione nella succursale

  • in

    Putin impone il pagamento del gas in rubli. Kiev: “Se l’UE cede, aiuterà la Russia a uccidere gli ucraini”

    Bruxelles – Basta euro e dollari, solo rubli: per ordine di Vladimir Putin. “Ho deciso di attuare una serie di misure per trasferire il pagamento delle nostre forniture di gas ai Paesi ostili in rubli russi“, ha affermato l’autocrate russo in una riunione di gabinetto ieri (mercoledì 23 marzo), concedendo alle autorità competenti una settimana di tempo per attuare il passaggio al sistema in valuta locale.
    È una decisione di portata storica, che potrebbe avere una duplice spiegazione. Prima di tutto, dovrebbe servire a rafforzare il valore della moneta russa, in caduta libera dopo le dure sanzioni imposte dai Paesi UE e del G7 con quattro pacchetti di misure restrittive che hanno colpito l’economia, la finanza, l’industria e la cerchia degli oligarchi vicini a Putin. Chiunque vorrà ancora acquistare il gas russo, dalla prossima settimana dovrà cambiare euro (o dollari) in rubli, creando domanda di valuta locale dove ora non esiste. Non è però ancora chiaro se questa misura riuscirà davvero a controbilanciare gli effetti devastanti delle sanzioni occidentali sull’economia russa. In secondo luogo, l’imposizione di Putin sul pagamento delle forniture di gas in rubli ha il sapore di una contro-sanzione e di umiliazione – non solo simbolica ma anche pratica – ai danni dei “Paesi ostili” che hanno tagliato fuori la Russia dal commercio e dalla finanza globale. Questa scelta però secondo gli esperti porterà anche un aumento dell’inflazione in Russia, che già viaggia ora al 2 per cento a settimana.
    “Se qualche Paese dell’UE si inchina alle umilianti richieste di Putin di pagare il petrolio e il gas in rubli, sarà come aiutare l’Ucraina con una mano e aiutare i russi a uccidere gli ucraini con l’altra“, ha avvertito con un tweet il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. “Esorto i Paesi interessati a fare una scelta saggia e responsabile”, è l’appello ai leader europei e occidentali nel giorno dei tre vertici cruciali (NATO, G7 e UE) a Bruxelles.

    If any EU country bows to Putin’s humiliating demands to pay for oil and gas in rubles, it will be like helping Ukraine with one hand and helping Russians kill Ukrainians with the other. I urge relevant countries to make a wise and responsible choice.
    — Dmytro Kuleba (@DmytroKuleba) March 24, 2022

    Tra i “Paesi ostili” a cui si riferisce Putin c’è anche l’Italia e proprio il premier, Mario Draghi, ha illustrato ieri i primi effetti della decisione sui pagamenti in rubli nel corso delle sue comunicazioni in Parlamento, in vista della due-giorni di vertice dei leader UE: “Il prezzo spot del gas sul mercato europeo è dimezzato rispetto alle punte di circa 200 euro per megawattora raggiunte l’8 marzo, ma questa è una notizia vecchia”. La novità introdotta dall’autocrate russo “ha portato il prezzo del gas a salire di circa 15 euro per megawattora“, ha spiegato Draghi in Aula. Un nuovo punto in agenda da affrontare al Consiglio Europeo che si aprirà tra poche ore a Bruxelles, nello spinoso capitolo dell’indipendenza energetica dalla Russia e del contenimento dei prezzi del gas.

    La decisione dell’autocrate russo punta a colpire i “Paesi ostili” e a rafforzare l’economia russa, creando domanda di moneta locale dove ora non c’è. Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, esorta i Ventisette a “non inchinarsi alle umilianti richieste” di Mosca