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    Tra gli europei resta forte il sostegno all’Ucraina, anche inviando armi. Ma dicono “no” a un intervento delle truppe

    Bruxelles – Un nuovo report basato su sondaggi, pubblicato oggi dallo European Council on Foreign Relations (Ecfr), rileva che, nonostante eventi come il ritardo degli aiuti all’Ucraina da parte degli Stati Uniti, lo spostamento verso i partiti populisti di estrema destra in Europa e la recente intensificazione degli attacchi militari russi in Ucraina, non vi sia alcun crollo visibile del morale in Ucraina né un cambiamento nel sostegno allo sforzo bellico ucraino tra gli alleati europei. Lo studio dell’Ecfr, “The meaning of sovereignty: Ukrainian and European views of Russia’s war on Ukraine”, si basa su sondaggi condotti da Datapraxis con YouGov, Norstat, Alpha Research e Rating Group in 15 Paesi (Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Italia, Polonia, Portogallo, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera e Ucraina). Rivela che, mentre gli ucraini credono di poter vincere contro la Russia, gli europei sono più inclini a sostenere che il risultato finale della guerra sarà un negoziato, come ad esempio il 43% degli intervistati in Italia. Questa opinione è maggiormente diffusa tra gli Stati membri dell’Ue come Gran Bretagna, Polonia e Svezia, i più convinti sostenitori dell’Ucraina. I risultati del sondaggio mostrano anche come nell’Ue vi sia un consenso schiacciante contro l’invio di truppe europee a supporto dell’Ucraina. Gli autori del report, Ivan Krastev e Mark Leonard, ritengono che queste divergenze tra l’Ucraina e gli alleati europei potrebbero rappresentare sfide significative per i leader mondiali, in vista degli incontri del 75° vertice annuale della Nato che si terrà la prossima settimana a Washington D.C. Sostengono inoltre che la riluttanza di Kiev a scendere a compromessi, già dati per scontati dagli europei, invece, potrebbe rendere difficoltosa l’adesione dell’Ucraina all’Ue e alla Nato.I risultati più importanti dell’ultimo sondaggio dell’EcfrIn Europa c’è un forte sostegno all’incremento della fornitura di armi e munizioni all’Ucraina da parte degli alleati. Il sostegno è più pronunciato tra gli intervistati in Estonia (dove il 74% considera l’incremento di munizioni e armi una “buona idea”), Svezia (66%), Polonia (66%), Gran Bretagna (59%), Paesi Bassi (58%) e Portogallo (57%). Il sostegno è forte anche in Spagna (45%), Germania (44%), Francia (43%) e Repubblica Ceca (43%). Dei quindici Paesi intervistati, Bulgaria, Grecia e Italia sono gli unici con maggioranze (rispettivamente del 63%, 54% e 53%) che vanno in senso opposto, cioè che ritengono che aumentare la fornitura di munizioni e armi all’Ucraina da parte degli alleati sia una “cattiva idea”. La maggior parte degli europei non è preparata ad un aumento dei costi per la difesa, nonostante la guerra in Ucraina. Solo in Polonia (53%), Estonia (45%), Svezia (41%) e Germania (40%) una buona percentuale dell’opinione pubblica è favorevole all’aumento della spesa per la difesa nazionale, “anche se ciò significa [dover] tagliare i fondi in altri settori come la sanità, l’istruzione e la prevenzione della criminalità”. Ma nella maggior parte degli altri Paesi, l’opinione prevalente (e, in Italia, Grecia, Spagna e Svizzera quella della maggioranza) è contro un aumento dei costi per la difesa, nonostante la guerra.  Gli europei sono contrari all’invio di truppe in Ucraina. Quest’opinione è molto diffusa anche nei Paesi più “bellicosi”. In ogni Paese intervistato, la maggioranza della popolazione (dal 54% in Svezia al 90% in Bulgaria) si oppone all’impegno delle truppe in questo modo. In Italia, un’ampia maggioranza dell’80% è contraria all’invio di truppe in Ucraina. Tuttavia, gli europei sono comunque propensi ad approvare il coinvolgimento delle truppe nazionali nella guerra in modi diversi, ad esempio fornendo assistenza tecnica all’esercito ucraino o pattugliando il confine tra Ucraina e Bielorussia. Gli atteggiamenti nei confronti della guerra in Europa si possono suddividere in tre gruppi distinti: quelli che vogliono che l’Ucraina sconfigga la Russia (il “campo della giustizia”); quelli che vogliono che la guerra finisca il prima possibile (il “campo della pace”) e quelli che sono bloccati nel mezzo (gli “Stati indecisi”). Gli intervistati in Estonia (68%), Svezia (54%), Polonia (50%), Gran Bretagna (46%) e Portogallo (42%) sostengono che “l’Europa dovrebbe appoggiare l’Ucraina nel combattere i territori occupati dalla Russia”. Gli intervistati che ritengono che “l’Europa dovrebbe spingere l’Ucraina a negoziare un accordo di pace con la Russia” sono più numerosi in Bulgaria (61%), Grecia (59%) e Italia (57%). Gli “Stati indecisi” dell’Europa sono Francia (il 30% a favore della guerra, il 36% a favore di un accordo di pace), Spagna (32% contro il 31%), Paesi Bassi (36% contro il 31%), Germania (31% contro il 41%), Svizzera (29% contro il 42%) e Repubblica Ceca (34% contro il 46%). Gli europei sono scettici sulla capacità di Kiev di sconfiggere la Russia. Un gran numero di intervistati ritiene che la guerra tra Russia e Ucraina si concluderà con un negoziato, soprattutto in Grecia (49%), Italia (48%), Bulgaria (46%) e Spagna (45%). Solo in Estonia una percentuale elevata di intervistati (38%) ritiene che l’Ucraina vincerà la guerra. Le aspettative europee di una vittoria ucraina aumentano tuttavia di 12 punti percentuali, in media, nell’eventualità in cui il Paese dovesse ricevere un maggiore rifornimento di armi e munizioni dagli alleati. Tuttavia, in 11 dei 15 Paesi la maggioranza ritiene che il risultato più probabile sarà un negoziato. In Italia, il 18% degli intervistati ritiene che la guerra in Ucraina finirà “entro il prossimo anno”. Il 22% degli italiani crede che “la Russia vincerà la guerra”, mentre il 3% ritiene che l’Ucraina abbia speranze di vincere sul campo di battaglia. Gli ucraini ritengono di poter sconfiggere la Russia e di poter continuare a contare sul supporto degli alleati internazionali. Solo l’1% degli ucraini ritiene che la Russia vincerà la guerra, mentre la maggioranza (58%) ritiene che sarà l’Ucraina a vincere. Meno di un terzo (30%) crede che il risultato più probabile sarà un negoziato. Nell’eventualità di un incremento della fornitura di armi e munizioni da parte degli alleati, la percentuale di chi crede nella vittoria dell’Ucraina aumenta al 69%. Resilienza e sicurezza sono evidenti anche nella fiducia che gli ucraini hanno nei propri alleati, con il 72% che valuta l’UE un alleato affidabile. Questa fiducia raggiunge il picco dell’84% nei confronti del Regno Unito ed appare molto forte anche nei confronti degli Stati Uniti (78%) e della Lituania (77%). Infine, il 76% e il 73% degli ucraini considerano rispettivamente Germania e Francia alleati affidabili, nonostante il sostegno di queste due nazioni fosse molto incerto nei primi mesi della guerra. Tuttavia, l’Ucraina appare molto divisa in relazione ai possibili compromessi che potrebbero porre fine al conflitto. Quando è stato presentato un ipotetico compromesso tra l’adesione alla NATO e l’integrità territoriale, più di sette ucraini su dieci (il 71%) hanno dichiarato di essere contrari all’ingresso nella NATO in cambio di cedere il territorio occupato dalla Russia. In un secondo scenario presentato agli intervistati, il 45% ha affermato che preferirebbe perdere parti del territorio attualmente occupato ma rimanere sovrano, “con il proprio esercito e la libertà di scegliere le proprie alleanze, come l’UE e la NATO”. Solo il 26% ha affermato che preferirebbe riconquistare il territorio attualmente occupato, ma, in cambio, accettare la smilitarizzazione e diventare un Paese neutrale che non potrebbe unirsi ad alleanze come l’UE e la NATO. Il restante 29% non ha saputo dare una risposta. La fiducia nelle Forze armate dell’Ucraina e nel Presidente del Paese, Volodymyr Zelenskyy, è forte. Il 79% degli intervistati ucraini ha affermato di avere “molta fiducia” nelle Forze armate dell’Ucraina, con un ulteriore 17% che ha affermato di avere “moltissima fiducia”. Quasi due terzi (il 65%) hanno dichiarato di avere “molta fiducia” o “moltissima fiducia” nel Presidente del Paese, Volodymyr Zelenskyy, nonostante le lotte sul campo di battaglia e le incombenze dettate dal proprio ruolo. La forza militare della Russia è vista come il principale ostacolo al successo ucraino, sia dagli ucraini che dalla maggior parte degli europei. L’opinione che la forza militare della Russia costituisca un ostacolo “grande” o “moderato” alla rivendicazione del territorio da parte dell’Ucraina è più diffusa in Ucraina (81%), Grecia ed Estonia (79%), Bulgaria (76%), Repubblica Ceca (74%), Polonia (73%), Gran Bretagna (72%) e Spagna (71%). La Svezia rappresenta un’eccezione, infatti solo il 56% ritiene che la forza militare russa costituisca un ostacolo importante alla rivendicazione del territorio da parte dell’Ucraina. In Italia, il 64% ritiene che la forza militare della Russia rappresenti un ostacolo “moderato” o “grande”. Gli italiani sono anche pessimisti sulla probabilità che si verifichi un “importante cambiamento politico” in Russia entro i prossimi due anni: il 25% lo ritiene “probabile”, mentre il 53% “improbabile”. Gli europei sono divisi sui vantaggi dell’ammissione dell’Ucraina all’Ue. Il sondaggio dell’Ecfr rileva un forte sostegno all’adesione ucraina all’UE in Portogallo (il 59% crede che l’adesione sia una “buona idea”, mentre il 20% una “cattiva idea”), Estonia (58% contro il 27%), Svezia (53% contro il 28%), Spagna (51% contro il 24%) e Polonia (48% contro il 31%). Lo scetticismo è maggiormente diffuso in Germania (54% afferma che sia una “cattiva idea”, mentre il 31% una “buona idea”), Bulgaria (50% contro 26%), Repubblica Ceca (48% contro 36%) e Francia (40% contro 36%). Tra gli stessi ucraini, quasi due terzi (64%) ritengono che l’adesione all’Ue sia cruciale per il futuro del proprio Paese quanto l’adesione alla Nato.Ivan Krastev, coautore e Presidente del Centre for Liberal Strategies di Sofia, commentando i dati del sondaggio, ha affermato che “la cosa sorprendente dell’opinione pubblica nei confronti dell’Ucraina, è la sua stabilità: mentre il conflitto non si è congelato, per molti aspetti gli atteggiamenti dei cittadini sì”.Mark Leonard, coautore e Direttore fondatore dell’ECFR, ha aggiunto: “Il nostro nuovo sondaggio suggerisce che una delle sfide chiave per i leader occidentali sarà quella di conciliare le posizioni contrastanti tra europei e ucraini sulla fine della guerra. Mentre entrambi riconoscono la necessità di una continua fornitura militare occidentale per continuare a respingere l’aggressione russa, c’è un profondo divario su quale sia concretamente una vittoria e quale sia in realtà lo scopo del sostegno dell’Europa”.Secondo Leonard, “mentre gli europei ritengono che l’esito più probabile della guerra sarà un negoziato, gli ucraini non sono ancora pronti a considerare compromessi territoriali per l’adesione alla Nato, né ad impegnarsi con l’idea di ‘finlandizzazione’, con cui manterrebbero il territorio ma rinuncerebbero alle loro ambizioni Ue e Nato.”

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    Frédéric Grare (ECFR): “Affare AUKUS un tradimento per la Francia, ma un problema per tutta l’Europa”

    Bruxelles – La pubblicazione della Strategia dell’UE per la cooperazione nell’Indo Pacifico e la nascita di AUKUS, il patto militare tra Australia, USA e Regno Unito, segnalano un cambio di passo nei rapporti tra Stati Uniti, Cina e paesi membri dell’Unione europea. Il sodalizio militare dei paesi anglosassoni minaccia di escludere le nazioni europee dalla regione (oltre che dalla cooperazione nel settore industriale), proprio negli stessi giorni in cui viene varato il primo documento programmatico per un approccio condiviso sull’Indo Pacifico. Nell’intervista rilasciata ad Eunews, Frédéric Grare, esponente dell’European Council on Foreign Relations, spiega come leggere gli avvenimenti dell’ultima settimana, a partire dai reali interessi dei 27 e dalla tensione tra alleati.
    Eunews: Molti analisti in Italia hanno attaccato la Strategia dell’UE per la cooperazione nell’Indo Pacifico, perché ritengono che abbia un approccio poco strategico e troppo economico. Secondo lei questo documento rappresenta davvero un cambio di passo oppure si tratta di un insieme di dichiarazioni di circostanza?
    Grare: “Il documento è frutto di un compromesso tra i paesi che vogliono un approccio più strategico alla regione e quelli che vedono un’opportunità. Questa è una via di mezzo. Se si guarda alle conclusioni del Consiglio europeo di aprile e le si confronta con questo documento, forse l’aspetto strategico è maggiore: menziona la Cina come un problema e può fungere da quadro per gli obiettivi europei nell’area. In generale, se si considerano le singole questioni della strategia, si può decidere quale approccio adottare. Il documento vede l’area come uno spazio di compteizione tra Cina e Stati Uniti in termini di influenza economica: se la Cina lo ottiene, avrà anche influenza politica. Tutto dipende dal modo in cui il documento verrà effettivamente implementato. È un documento di compromesso. La strategia non è molto ambiziosa: riflette l’approccio tipico degli Stati membri dell’UE, ma non significa che il documento non abbia alcun potenziale. Dobbiamo tenere conto della realtà e quindi non possiamo impegnarci in qualcosa che non saremo in grado di realizzare”.
    E: Quanto sono profondi gli interessi dell’Unione Europea nell’Indopacifico? La nuova attenzione per questa regione riguarda gli interessi europei oppure la relazione speciale dell’Europa con gli Stati Uniti?
    Frédéric Grare, Senior Policy Fellow with the Asia Programme at the European Council on Foreign Relations
    G: “Entrambe le cose. Dobbiamo partire dalla realtà che il documento è un compromesso e che gli interessi di politica estera sono diversi per ogni Stato membro: ad esempio, se si prende la Francia, che è potenza residente nell’Indo Pacifico perché ha territori e popolazione sia nell’Oceano Indiano che nell’Oceano Pacifico, appare ovvio che deve essere presente in loco sia che lo voglia o no. Chiaramente è un interesse molto profondo. Altri paesi, come gli Stati baltici, hanno altre priorità (principalmente la Russia). Sebbene quasi tutti gli Stati membri dell’UE (con l’eccezione forse dell’Ungheria) vedano sempre di più la Cina come un qualcosa con cui fare i conti, per molti paesi essere presenti nell’Indo Pacifico significa guadagnarsi la buona volontà degli Stati Uniti a garantire la loro sicurezza (in Europa)”.
    E: Perché crede che gli Americani non abbiano informato nessun altro partner delle trattative per AUKUS? Addirittura arrivando a indispettire platealmente la Francia per la questione della commessa dei sottomarini?
    G: “Se la Francia avesse saputo sarebbe rimasta con le mani in mano? Ovviamente no. Il trattato doveva rimanere segreto, per presentare ai Francesi il fatto compiuto. Ma questo ha conseguenze in tutta Europa, anche perché la Francia è una parte importante dell’industria europea della difesa. In generale però, riesco a capire la logica che ha spinto a concludere la trattativa in segreto. L’accordo francese è stato stracciato, dal loro punto di vista è naturale che si sentano traditi dall’Australia e dagli Stati Uniti”.
    E: L’Unione adesso ha una strategia, ma molti paesi europei (Francia, Germania, Olanda) ne hanno già una a livello nazionale ed è possibile che altri paesi se ne dotino a breve. Saranno complementari a quella della UE? Magari verranno coniugate direttamente in un approccio europeo?
    G: “No, penso che gli approcci nazionali rimarranno. Come ho detto, questo documento riflette il compromesso, cioè gli interessi di ogni paese e su alcune questioni (come la sicurezza) è difficile avere un approccio comune. Inoltre, per come funziona il sistema UE, gli interventi che vedremo saranno su base volontaria. I governi continueranno ad avere iniziative indipendenti in politica estera nell’Indo Pacifico e saranno allo stesso tempo parte dell’approccio europeo all’area. Non è detto che queste iniziative (europee e nazionali) non possano essere complementari tra di loro”.
    E: Come pensa che la strategia europea sarà percepita dalla Cina? Secondo lei la RPC deve essere contenta perchè non è esplicitamente nominata come un avversario oppure no, dato che è probabile che da qui a poco l’Indo Pacifico sarà più affollato?
    G: “In generale non credo che i Cinesi abbiano qualche motivo per essere felici. La Cina è già stata nominata nella EU China Strategy come un rivale sistemico. Il termine rivale è già presente ed utilizzato. Se si guarda il documento, si parla comunque di corrosione economica e militarizzazione dell’area con la Cina come uno dei responsabili. L’obiettivo resta comunque quello di spingere Pechino a comportarsi in modo più accettabile a livello internazionale. In definitiva, la Cina non ha motivo di essere particolarmente felice di questo documento, ma nemmeno di esserne così preoccupata. I risultati di questo primo passo non sono ancora chiari. Diciamo che si tratta di un primo passo, una direzione, ma alla fine dipenderà dagli Stati membri se e come si arriverà al passo successivo”.

    Per il Senior Policy Fellow del think-tank pan-europeo a questo punto diventa fondamentale la strategia UE per la cooperazione nell’Indo Pacifico. Ma “tutto dipende dal modo in cui verrà attuata”, dice a Eunews