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    Il congelamento degli aiuti Usa mette in ginocchio le organizzazioni umanitarie, soprattutto in Ucraina

    Bruxelles – “Il governo statunitense non è un ente benefico“. Sta tutta in queste parole, pronunciate ieri (30 gennaio) dal nuovo Segretario di Stato Marco Rubio, la direzione che la nuova amministrazione a stelle e strisce intende seguire già dal suo avvio. Tra i primi ordini esecutivi firmati da Donald Trump il giorno del suo insediamento, lo scorso 20 gennaio, c’era il congelamento per 90 giorni dei generosi aiuti allo sviluppo che Washington elargiva in giro per il mondo.Questa decisione, come prevedibile, sta mettendo in seria difficoltà moltissime organizzazioni umanitarie internazionali, che ora non saranno più in grado di operare sul campo. E i problemi maggiori si stanno già riscontrando in Ucraina, che da sola era beneficiaria di quasi metà dei fondi federali bloccati.Fondi congelatiStando ai dati compilati dal governo statunitense, nel 2023 l’Agenzia federale per lo sviluppo internazionale (Usaid) ha destinato oltre 36,5 miliardi di dollari a progetti umanitari nel mondo, di cui quasi 16,5 miliardi a Kiev. Ma, dallo scorso 24 gennaio, la quasi totalità di quei fondi è stata bloccata per un periodo iniziale di 90 giorni, cui dovrebbe seguire una revisione per valutare se continuare su questa strada o rimodulare la sospensione.In estrema sintesi, l’ordine di sospensione impone – oltre allo stop ai lavori sul campo finanziati con le risorse dell’Usaid e la proibizione di avviare nuovi progetti – anche il divieto di utilizzare i fondi già stanziati per qualunque tipo di spesa, incluso il pagamento degli stipendi del personale per tre mesi.“Stiamo eliminando gli sprechi“, si legge in un comunicato del Dipartimento di Stato pubblicato per fornire ulteriori dettagli sulla storica decisione della Casa Bianca. “Stiamo bloccando i programmi ‘woke’ e stiamo smascherando le attività contrarie ai nostri interessi nazionali“, aggiunge la nota.The U.S. contributes roughly 40% of global humanitarian aid. Americans deserve transparency and accountability. As we pause and review U.S. foreign aid, @SecRubio issued a waiver for life-saving humanitarian assistance programs. https://t.co/Kwr6Bi8MES— Department of State (@StateDept) January 29, 2025Bancarotta forzata?“Se devo essere sincero, è un maledetto disastro per l’intero settore“, confessa preoccupato a Eunews un membro dello staff di un’organizzazione attiva nella tutela dei diritti umani, che ha condiviso le sue riflessioni in condizione di anonimato poiché l’ordine esecutivo proibisce agli operatori umanitari di diffondere dettagli in materia. “Mi aspetto che entro la fine del periodo di revisione molte organizzazioni che svolgono un lavoro importante in tutto il mondo saranno in bancarotta“, spiega, aggiungendo che “questo è probabilmente, almeno in parte, intenzionale da parte di Trump” per evitare di dover continuare a sostenere programmi non più in linea con le priorità della Casa Bianca.“Ci hanno legato le mani dietro la schiena“, prosegue, illustrando la situazione: “Al momento abbiamo circa mezzo milione di dollari nel nostro conto, ma il 90 per cento non lo possiamo spendere perché proviene dal governo statunitense“, il quale evidentemente “si aspetta che noi restiamo a galla in questo modo per tre mesi, mentre loro spuntano qualche casella”. Il team della sua organizzazione attivo in Ucraina, invece, è finanziato interamente da Washington.“Per le organizzazioni più piccole che ricevevano tutti i loro finanziamenti dal governo Usa potrebbe essere più realistico riuscire a ottenere delle sovvenzioni di emergenza altrove”, ragiona, mentre la sua si troverà con ogni probabilità in difficoltà più grosse. “Anche se sospendiamo tutte le nostre attività” come richiesto dall’ordine presidenziale, “avremo bisogno di circa 450mila dollari solo per pagare il personale in questo trimestre, e non credo che nessun donatore sia disposto a concedere una simile somma ad una singola organizzazione“, dice, visto che un numero altissimo di entità stanno già richiedendo con urgenza sostegno finanziario.La situazione in UcrainaQuesta settimana, Rubio ha introdotto ulteriori esenzioni dal congelamento per i programmi umanitari che forniscono medicine salvavita, servizi medici, cibo, ripari e assistenza di sussistenza, che si vanno ad aggiungere alle deroghe inizialmente previste unicamente per i programmi alimentari di emergenza e gli aiuti militari ad Israele ed Egitto (che nel 2023 hanno ricevuto 3,3 e 1,2 miliardi rispettivamente).Il Dipartimento di Stato e il Pentagono hanno assicurato che continuerà anche l’aiuto militare all’Ucraina, così come il sostegno ai programmi “salva vita”. Ma questo lascia ancora col fiato sospeso – e in preda alla confusione – non solo i programmi civili indispensabili allo sforzo bellico di Kiev (incluso il sostegno agli stipendi pubblici che mantengono in funzione la macchina statale ucraina) ma anche l’affollata galassia di organizzazioni umanitarie attive nell’ex repubblica sovietica, dove tra meno di un mese si celebrerà il terzo anno dall’inizio dell’invasione russa su larga scala.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)“Il problema sta nella natura improvvisa della decisione“, ha spiegato a Euractiv Ivona Kostyna, direttrice di un’ong che si occupa di assistere i veterani ucraini. “Se avessimo avuto un preavviso, avremmo potuto ristrutturare le nostre attività, cercare altri donatori ed evitare danni ai nostri clienti”, ha osservato, spiegando di aver dovuto chiudere uno dei centri di lavoro.Come la sua, sono numerose le organizzazioni che, nonostante svolgano attività che di fatto salvano vite umane, sono comunque rimaste fuori dalle deroghe. Molte di queste sono costrette a licenziare personale, altre a chiudere definitivamente. C’è chi, a poche decine di chilometri dalla linea del fronte, fornisce servizi essenziali come aggiornamenti costanti sulla dislocazione delle mine antiuomo, oppure sui siti dove poter recuperare acqua non contaminata, o ancora i giubbotti antiproiettile per i giornalisti che seguono l’evoluzione della guerra, e non potrà più contare sulle sovvenzioni di Washington.Come prevedibile, dal Paese aggredito si stanno moltiplicando gli appelli di un numero crescente di organizzazione ai loro partner europei, affinché entrino in azione per compensare, almeno parzialmente, la voragine che il ritiro degli Stati Uniti ha aperto nei loro bilanci, che si traduce inevitabilmente nell’incapacità di proseguire le proprie attività in un momento in cui non è certo cessata l’urgenza.

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    Trump a Putin: sei indebolito, lavoriamo subito ad un cessate il fuoco in Ucraina

    Bruxelles – Non si è ancora insediato ufficialmente, ma il presidente-eletto degli Stati Uniti Donald Trump ha già iniziato a chiedere al suo (futuro) omologo russo Vladimir Putin di sedersi al tavolo delle trattative per stipulare al più presto un cessate al fuoco in Ucraina. Anche perché Putin “è indebolito”, per via della guerra e “del cattivo stato dell’economia”, continuare l’invasione potrebbe avere “effetti molto più grandi e molto peggiori”, ha detto Trump in un’intervista al New York Post.Anche per gli alleati della Nato il messaggio è sempre lo stesso: se non fate la vostra parte in termini di spesa militare, non contate sulla protezione di Washington.Il presidente ucraino Volodymyr “Zelensky e l’Ucraina vorrebbero fare un accordo e fermare la follia”, ha scritto il tycoon newyorkese sulla sua piattaforma Truth, dopo aver suggerito in un’intervista andata in onda lo scorso weekend che è “probabile” che la sua amministrazione – il cui insediamento formale è in calendario per il 20 gennaio – riduca gli aiuti militari a Kiev. “Dovrebbe esserci un cessate il fuoco immediato e dovrebbero iniziare i negoziati”, ha scritto sul social, aggiungendo: “Conosco bene Vladimir (Putin, ndr). È il suo momento di agire. La Cina può aiutare. Il mondo sta aspettando”.Sempre lo scorso weekend, Trump ha incontrato a Parigi (dove si trovava per assistere alla riapertura della cattedrale di Notre-Dame dopo l’incendio che l’ha devastata nel 2019) Zelensky alla presenza del padrone di casa, il presidente francese Emmanuel Macron. Durante un trilaterale all’Eliseo, il capo dello Stato transalpino ha cercato di proporsi come facilitatore tra i due, tra i quali non si è ancora instaurato un canale diretto e stabile nonostante i contatti siano già avviati almeno dalla scorsa estate.Il presidente ucraino ha descritto i colloqui con il futuro inquilino della Casa Bianca come “costruttivi” ma ha voluto ribadire per l’ennesima volta che la pace con la Russia dovrà essere “giusta e solida”, una pace “che i russi non possano distruggere in pochi anni come hanno fatto prima”, ha dichiarato all’indomani dell’incontro. Il punto è sempre lo stesso: “Dobbiamo parlare prima di tutto di garanzie di pace efficaci”, ha ribadito Zelensky, per il quale la migliore garanzia di sicurezza per l’ex repubblica sovietica continua a rimanere l’adesione alla Nato.Da sinistra: il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il presidente-eletto statunitense Donald Trump e il presidente francese Emmanuel Macron a Parigi, il 7 dicembre 2024 (foto: Julien De Rosa/Afp)Nella sua intervista, Trump si è addirittura spinto a ventilare l’ipotesi di ritirare Washington dalla Nato, segnalando che la partecipazione statunitense durante il suo prossimo mandato non potrà essere data per scontato se gli altri Stati membri non terranno fede agli impegni presi in termini di spesa per la difesa, cui in base agli obiettivi decisi nel 2014 dovrebbe andare almeno il 2 per cento del Pil nazionale. “Se pagano i loro conti e se penso che ci trattino in modo equo”, ha detto il presidente-eletto, “resterei assolutamente nella Nato”.Queste esternazioni hanno messo in allarme la leadership ucraina, gli altri membri dell’Alleanza nordatlantica e gli stessi esperti di sicurezza negli Usa. Il futuro presidente non ha rivelato se è già entrato in contatto personalmente con Putin (“perché non voglio fare nulla che possa ostacolare i negoziati”, ha spiegato) ma è evidente che, almeno nei circoli di quella che sarà la prossima amministrazione, i preparativi per arrivare al più presto ad una cessazione delle ostilità sono già in atto, almeno a giudicare dalla leggerezza con cui l’argomento viene affrontato dal prossimo presidente degli States.Tuttavia, almeno ufficialmente, non sono stati diffusi piani concreti su come si potrebbe arrivare a un esito del genere. Considerando sia l’impazienza che sembra avere Trump sia le recenti osservazioni di Zelensky, il quale ha ammesso per la prima volta dall’inizio della guerra nel febbraio 2022 che sarà impossibile per l’Ucraina riprendere militarmente il controllo delle regioni occupate, molti osservatori immaginano che qualunque piano negoziale per la fine del conflitto comporti una cessione (perlomeno temporanea) di una parte delle oblast’ finite sotto occupazione russa – senza considerare la Crimea, annessa unilateralmente da Mosca nel 2014.

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    Lange (Spd/S&D): “Chiudere l’accordo commerciale con il Messico”

    Bruxelles – Commercio, commercio, commercio. A partire dal Messico. La priorità dell’Ue è tutta qui, in una necessità tutta nuova dettata da un quadro geopolitico che impone ripensamenti obbligati. Uno di questi riguarda proprio la partita geo-strategica. Su questo Bernd Lange (Spd/S&D), presidente della commissione Commercio internazionale del Parlamento europeo, non ha dubbi. “Dovremmo guardare all’accordo commerciale con il Messico”, sottolinea. Nel Paese “c’è un nuovo presidente (Claudia Sheinbaum Pardo, dall’1 ottobre 2024, ndr)”, e si aggiunge “l’attitudine di Donald Trump nei confronti del Messico” non c’è dubbio che bisogna spingere per chiudere un accordo.“In questa situazione globale è importante avere una rete commerciale di partner affidabili”, continua Lange nel corso di un incontro ristretto con i giornalisti, tra cui Eunews. Il ritorno di Trump alla testa degli Stati Uniti stravolgerà senza dubbio l’agenda a dodici stelle. “Ci attendiamo che qualche dazio arrivi presto”, visto che “Trump usa dazi anche come strumento di pressione”. E poi l’accordo con i Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay più il Venezuela sospeso) non sembra promettere nulla di buono.“Il testo è vecchio, è fermo al 2019“, sottolinea Lange. L’accordo Ue-Mercosur non è aggiornato, insomma. “E’ stato aggiunto un protocollo e dobbiamo vedere se i protocollo aggiuntivi sono sufficienti” a convincere Parlamento europeo, Consiglio Ue e poi i parlamenti nazionali per l’eventuale ratifica. Inoltre il negoziato sembra essersi riaperto. “Non si parla di questioni ambientali, ma di riforma dell’agricoltura”, sulla spinta di Parigi. “La Francia è un problema”, ammette il presidente della commissione parlamentare. Questioni di politica interna inducono il governo francese a frenare. “Il Mercosur aiuta Le Pen?”, commenta a voce alta. E’ questo uno degli ostacoli. E poi, aggiunge ancora Lange, anche ammettendo che la Commissione Ue chiuda l’accordo, “non ho idea se possa esserci una maggioranza e quale” in Parlamento.

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    Sull’Ucraina l’Ue rimane divisa, nonostante lo spettro di Trump

    Bruxelles – Dopo uno dei peggiori attacchi missilistici russi sull’Ucraina dall’inizio della guerra, a Bruxelles si sono riuniti stamattina (18 novembre) i ministri degli Esteri dei Ventisette per discutere, tra le altre cose, di come assicurare il sostegno europeo al Paese aggredito. Soprattutto alla luce della recente rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca: mentre l’Ue fatica a mantenere le sue stesse promesse sugli aiuti militari a Kiev, nelle stanze dei bottoni aleggia lo spettro di un eventuale stop alle forniture statunitensi e la possibilità che il nuovo presidente possa forzare l’omologo ucraino Volodymyr Zelensky ad accettare una pace che avvantaggi Mosca. Ma gli Stati membri continuano a rimanere divisi su come sostenere l’ex repubblica sovietica.Via libera agli Atacms in RussiaLa settimana si è aperta con l’annuncio del presidente uscente degli Stati Uniti, Joe Biden, che Washington autorizza l’esercito di Kiev a usare gli Atacms (dei missili a lunga gittata, capaci di raggiungere bersagli a 300 chilometri di distanza) per attaccare il nemico sul suo territorio. Il via libera non è un assegno in bianco, ha fatto sapere la Casa Bianca, ma andrà valutato di caso in caso ogni volta che l’Ucraina avrà bisogno di colpire obiettivi militari oltre i propri confini.La speranza di Biden è quella di dissuadere la Corea del Nord dall’inviare ulteriori truppe nella Federazione, proprio quando 10mila soldati di Pyongyang stanno prendendo parte alla controffensiva russa nell’oblast’ di Kursk (in cui gli ucraini sono penetrati lo scorso agosto). La decisione, presa ieri, rappresenta un cambiamento importante nell’approccio di Washington, ad appena due mesi dall’inaugurazione ufficiale della seconda presidenza Trump.La mossa della Casa Bianca è stata accolta positivamente dall’Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, che ha presieduto il suo probabilmente ultimo Consiglio Affari esteri a Bruxelles: “Secondo me gli ucraini dovrebbe poter usare le armi non solo per respingere gli attacchi ma anche per colpire da dove partono questi attacchi”, ha dichiarato, ribadendo la sua posizione sul tema. Ma la questione, come ha ricordato lo stesso capo della diplomazia Ue, è di competenza nazionale e saranno le cancellerie a decidere.L’Alto rappresentante dell’Unione per la politica estera e di sicurezza comune, Josep Borrell (foto: European Union)“Lavorare alla pace”Decisamente meno entusiasta il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani: “Noi continueremo a seguire la linea che abbiamo sempre seguito”, ha dichiarato ai giornalisti, cioè “quella dell’utilizzo delle nostre armi all’interno del territorio ucraino”. Il vicepremier forzista ha ricordato che “tutti quanti dobbiamo lavorare per la pace” (una pace giusta che “non significa la sconfitta dell’Ucraina”), ma sicuramente “bisogna sempre lasciare uno spazio aperto alla diplomazia”.Tuttavia, a detta del ministro azzurro, la telefonata tra il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente russo Vladimir Putin dello scorso venerdì – in cui ha chiesto al suo interlocutore di ritirare le truppe dall’Ucraina e di sedersi al tavolo per negoziare una “pace giusta”, per farsi rispondere che qualunque trattativa dovrà tenere conto delle “nuove realtà territoriali” (cioè dell’occupazione di circa un quinto del territorio ucraino) – non ha “ottenuto grandi effetti”. Secondo Tajani, serve “una scelta unitaria e coesa da parte di tutti gli interlocutori” che deve portare ad “una conferenza di pace” sul modello di quella tenuta in Svizzera, ma ha anche sottolineato che “non si può pensare di arrivare ad una trattativa senza la Russia“.Il titolare della Farnesina incontrerà martedì (19 novembre) a Varsavia i suoi omologhi di Francia, Germania, Regno Unito e Polonia (e la futura Alta rappresentante Kaja Kallas) nel cosiddetto formato “Weimar plus”, un forum per discutere della posizione europea rispetto alla guerra in Ucraina. Il ministro degli Esteri polacco, Radoslaw Sikorski, ha definito quelli di domani come “i più importanti colloqui” sul conflitto.Il ministro degli Esteri e vicepremier italiano Antonio Tajani (foto: Samuel Corum/Afp)Divisioni intestineMa nemmeno nel resto dei Ventisette le posizioni sono unanimi. Parigi è possibilista sull’uso delle armi occidentali in territorio russo: “Abbiamo detto apertamente che questa era un’opzione che avremmo preso in considerazione”, ha dichiarato il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot. La Francia e il Regno Unito hanno già fornito missili a lungo raggio a Kiev ma hanno sempre sostenuto che non ne avrebbero autorizzato l’uso oltre i confini ucraini finché Washington non avesse fatto lo stesso. Ora, la mossa di Biden potrebbe sparigliare le carte in tavola.Niente da fare, invece, per il governo tedesco, che continua a rifiutare di inviare a Kiev i missili Taurus a lungo raggio: “Il governo tedesco era informato della decisione di Washington di consentire all’Ucraina di utilizzare missili ad ampio raggio contro la Russia”, ha dichiarato Wolfgang Buechner, portavoce del cancelliere, ma “questo non modifica la posizione” dell’esecutivo. Invece, Berlino ha annunciato la fornitura di una grossa partita di droni kamikaze (circa 4mila unità), la cui consegna dovrebbe iniziare a dicembre.Per il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, la strategia seguita dall’Ue in questi mille giorni di guerra “è fallita”: “Una pace attraverso la de-escalation è una strategia fallimentare”, ha dichiarato ai cronisti, e a questo punto “abbiamo bisogno di una strategia che venga dalla forza”, come chiesto da tempo sia da Kiev sia dagli Stati baltici. Si tratta in altre parole “di una vera rimozione di tutte le restrizioni e di una strategia effettivamente vincente”, ha incalzato Landsbergis, per garantire “un supporto effettivo all’Ucraina che aiuterebbe l’Ucraina a vincere”.Un lanciarazzi multiplo utilizza dei missili a lunga gittata Atacms (foto: Wikimedia Commons)Del medesimo tenore anche l’omologo estone Margus Tsahkna, secondo cui Putin “non ha intenzione di cambiare rotta” e, dunque, “nessuna telefonata rafforza la nostra posizione” a fianco dell’Ucraina e contro l’aggressione russa. “Domani saranno mille giorni dall’inizio dell’invasione”, ha continuato, ma “in realtà sono quattromila dal 2014”, quando Mosca ha occupato illegalmente la Crimea e ha stazionato le sue truppe in Donbass. “È buona cosa, se vera, che gli Stati Uniti hanno tolto le restrizioni” sull’uso degli Atacms, qualcosa che Tallinn chiedeva “fin dall’inizio” dell’invasione nel febbraio 2022.Droni cinesi e asset russiAl Consiglio Affari esteri di oggi ci sono state discussioni anche su altri punti relativi all’Ucraina. C’è la questione dei droni cinesi: secondo fonti di intelligence che a Bruxelles si ritengono “convincenti”, nel territorio della Repubblica popolare verrebbero assemblati dei droni di nuova generazione che sarebbero poi trasferiti in Russia per essere usati in Ucraina.Se questo fosse confermato, ha avvertito Tajani, “sarebbe un grande errore”, poiché costituirebbe l’ennesimo salto di qualità del conflitto: “Nessuna escalation è un messaggio anche per la Cina”. Al momento le indagini sono ancora in corso, hanno riferito la scorsa settimana funzionari europei, ma in caso di conferma ci saranno non meglio specificate “conseguenze concrete” per Pechino (l’extrema ratio sarebbe rappresentata dalle sanzioni, come quelle che Bruxelles ha già comminato ai danni di Iran e Corea del Nord per il rifornimento di armi alla Federazione).Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Vyacheslav Prokofyeva via Sputnik)Inoltre, c’è la questione degli aiuti finanziari a Kiev. Nello Strumento europeo per la pace (Epf) ci sono 6,6 miliardi di euro bloccati dall’Ungheria, ma a Bruxelles si sta escogitando un modo per bypassare il veto di Budapest e far arrivare nelle casse ucraine i fondi comunitari, magari ricorrendo ad un meccanismo di contributi volontari. Dopo la prima tranche da 1,4 miliardi dello scorso agosto, l’Ue vorrebbe staccare il secondo assegno da 1,9 miliardi già il prossimo marzo, ma sta ancora mettendo a punto i dettagli concreti dell’esborso. Si tratta di risorse derivanti dagli interessi straordinari (i famosi extraprofitti) generati dagli asset russi congelati in Europa.Altri obiettivi dell’Unione sono poi quello di consegnare a Kiev un milione di proiettili d’artiglieria (un target che dovrebbe essere raggiunto entro fine anno, otto mesi in ritardo rispetto alla scadenza originariamente fissata per marzo) e quello di addestrare 75mila soldati ucraini (per ora ne sono stati addestrati circa 63mila) entro la fine dell’inverno nell’ambito della missione Eumam Ukraine, recentemente estesa fino al novembre 2026.

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    La proposta politica della Finlandia: Alleanza Ue-Stati Uniti in senso anti-Cina

    Bruxelles – Meno Cina nell’agenda dell’Unione europea, e più Stati Uniti. La Finlandia prova a riorganizzare la politica dell’Unione europea, suggerendo ai partner di entrambe le sponde dell’Atlantico il modo di andare avanti. Suggerisce un’alleanza commerciale tutta euro-americana e dazi contro Pechino, il tutto in considerazione delle alleanze sullo scacchiere internazionale, prime fra tutte quelle militari. Elina Valtonen, ministra degli Esteri finlandese, tiene a ricordare come il conflitto russo-ucraino si sia allargato, con la partecipazione di Corea del Nord, Iran e “anche Cina” al fianco di Mosca.“Se la Cina sta ostacolando in modo così importante la sicurezza e l’architettura della sicurezza dell’Europa non possiamo continuare con le relazioni normali”, scandisce la ministra al suo arrivo a Bruxelles per i lavori del consiglio Affari esteri: “Non possiamo andare avanti con il ‘business as usual’ con la Cina per quanto riguarda il nostro commercio”.Da qui l’invito di Valtonen, che “vale anche per l’Europa” e non solo per gli Stati Uniti, di tessere nuove relazioni trans-atlantiche. Per ragioni storiche e contingenti “la relazione tra Ue e Usa è più importante che mai, e in tal senso siccome siamo alleati così uniti e condividiamo gli stessi valori non possiamo imporci dazi l’uno contro l’altro“.La sottolineatura di Valtonen conferma una volta di più i timori dell’Ue per una guerra commerciale che il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca potrebbe innescare, vista la natura molto più decisa del presidente eletto a tutelare e difendere interesse ed economia degli Stati Uniti. Allo stesso tempo le considerazioni della ministra finlandese offrono un esempio di realpolitik: visto che a Washington si vede nella Repubblica popolare il principale concorrente economico un’alleanza in senso anti-cinese potrebbe aiutare entrambe le parti. Del resto l’imposizione a titolo definitivo di dazi Ue sulle auto elettriche cinesi ha già aperto un fronte di guerra commerciale a cui aggiungerne un altro per l’Europa diventerebbe complicato.

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    Alla Cop29 il focus è su chi paga per il cambiamento climatico. Da von der Leyen a Lula, i leader disertano

    Bruxelles – Comincia oggi (11 novembre) la 29esima Conferenza delle parti (Cop), il forum delle Nazioni unite dove si discute di come combattere il cambiamento climatico. I leader mondiali si riuniscono quest’anno a Baku, in Azerbaigian, ma l’edizione 2024 non si annuncia come risolutiva. Da un lato, non ci si aspettano grandi progressi nei negoziati tra i partecipanti, soprattutto quando si parlerà di chi dovrà pagare la transizione energetica. Dall’altro, nella capitale caucasica si registrano una serie di assenze di peso, dall’Ue al Brasile. Infine, aleggerà sui dibattiti il fantasma della prossima presidenza Trump, che ritirerà (di nuovo) gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi, complicando ulteriormente il già difficile cammino globale verso la neutralità carbonica.Il nodo dei finanziamentiLa Cop29, iniziata ufficialmente oggi a Baku, durerà fino al 22 novembre, ma gli osservatori non si aspettano che dalla sessione di negoziati escano risultati particolarmente ambiziosi. L’argomento principale sul tavolo dovrebbe essere quello dei finanziamenti, vale a dire di chi metterà i soldi (e quanti) per tradurre in pratica le decisioni prese l’anno scorso alla Cop28 di Dubai, che in molti avevano definito “storica”. Tra gli accordi raggiunti a nel dicembre 2023 nella capitale emiratina c’era quello sull’introduzione di un fondo internazionale di compensazione per le perdite e i danni provocati dal cambiamento climatico, nonché per sostenere gli sforzi di adattamento e mitigazione.In teoria, dovrebbero essere i Paesi più ricchi e sviluppati a sostenere almeno in parte i costi della transizione ecologica nei Paesi in via di sviluppo e sottosviluppati, nonché a rimediare ai danni che l’inquinamento storico delle economie più avanzate ha causato nel sud del mondo. Uno dei punti più controversi riguarderà l’eventuale partecipazione di Pechino a questo fondo monstre – che era stato istituito con l’obiettivo di fornire 100 miliardi di dollari all’anno ai Paesi in via di sviluppo, una cifra che i diretti interessati vorrebbero aumentare fino a 1000 miliardi. La Cina, pur essendo la seconda economia mondiale, viene ancora considerata un Paese in via di sviluppo, il che le permetterebbe di usufruire dei generosi finanziamenti climatici senza dovervi contribuire – un vantaggio che le cancellerie occidentali reputano indebito.Nel suo discorso alla cerimonia di apertura Simon Stiell, capo della Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici (Unfccc), ha tenuto a precisare che “il finanziamento degli aiuti climatici da parte dei paesi ricchi non è un beneficenza ed è nell’interesse di tutti”, poiché “nessuna economia, neanche quelle del G20, potrà sopravvivere a un riscaldamento globale fuori controllo”. Sulla falsariga di Stiell anche l’intervento di António Guterres, segretario generale dell’Onu: “Coloro che cercano disperatamente di ritardare e negare l’inevitabile fine dell’era dei combustibili fossili cercano di trasformare l’energia pulita in una parolaccia. Perderanno. L’economia è contro di loro. Le soluzioni non sono mai state più economiche e accessibili”.Il segretario generale dell’Onu António Guterres (foto: Joaquin Sarmiento/Afp)A supportare queste considerazioni c’è uno studio dello scorso settembre intitolato Why investing in climate action makes good economic sense (“Perché investire nell’azione climatica ha senso economicamente”) e condotto dal Boston consulting group insieme alla Cambridge judge business school e al Cambridge climate traces lab. Il dato evidenziato dalla rilevazione è che, se gli Stati non intervengono con azioni coordinate per contrastare il cambiamento climatico, le perdite economiche potrebbero ammontare al 10-15 per cento del Pil globale entro il 2100. Tali impatti potrebbero essere scongiurati con un investimento di meno del 2 per cento del Pil mondiale, che dovrebbe permettere di mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2ºC.L’ombra di TrumpA pendere sopra i negoziati sul clima come un’enorme spada di Damocle c’è l’indiscrezione dei media statunitensi che il giorno stesso del proprio insediamento Donald Trump ritirerà gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi del 2015, uno degli architravi della lotta al cambiamento climatico targata Onu, come aveva già fatto nel 2019 (prima che il suo successore Joe Biden riportasse dentro Washington nel 2021). Gli Usa sono il maggior produttore globale di petrolio e gas, e uno dei principali responsabili delle emissioni di CO2 a livello planetario (con quasi 15 tonnellate pro-capite nel 2022, contro le 8 della Cina).Il neo-rieletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump (foto: Mandel Ngan/Afp)Alla Cop21 ospitata nella capitale transalpina i leader mondiali erano riusciti a concordare degli obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti per contenere il riscaldamento globale entro dei limiti che avrebbero dovuto impedire conseguenze catastrofiche per il pianeta: un amento di non oltre 2ºC rispetto all’era preindustriale (1850-1900), e possibilmente inferiore agli 1,5ºC. Ma quei target potrebbero ormai essere irraggiungibili. Stamattina, l’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) ha dichiarato che quegli obiettivi “sono in grave pericolo” dopo aver annunciato che il 2024 è “sulla strada” per diventare l’anno più caldo mai registrato, con temperature medie di 1,54ºC superiori ai livelli preindustriali nel periodo tra gennaio e settembre.Ora che la partecipazione degli Usa è rimessa in discussione, secondo un alto funzionario Ue ci sarà “incertezza” nella cooperazione internazionale in ambito di contrasto al cambiamento climatico. John Podesta, l’inviato dell’amministrazione del presidente uscente Joe Biden, ha provato a gettare acqua sul fuoco: “Anche se il governo federale degli Stati Uniti sotto Donald Trump sospenderà l’azione sul clima, il lavoro per contenere il cambiamento climatico continuerà negli Stati Uniti con impegno, passione e fede”. Ma già dall’inizio del 2025 (l’inaugurazione del 47esimo presidente è in calendario per il 20 gennaio) questo impegno verrà meno.Assenze e contraddizioniA pesare sulla Cop29 ci sono poi una serie di assenze di peso tra i leader mondiali, cui è dedicata una sessione specifica tra martedì 12 e mercoledì 13. Mancheranno all’appello, tra gli altri, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz (alle prese con una crisi di governo che rischia di precipitare Berlino nel caos proprio nel momento in cui va approvato il bilancio per il 2025), la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (impegnata con la transizione istituzionale verso il suo secondo mandato, proprio mentre gli eurodeputati interrogheranno i suoi vicepresidenti esecutivi nell’ultimo giorno delle audizioni parlamentari dei commissari designati), il presidente russo Vladimir Putin e quello brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva. A rappresentare l’Ue ci sarà, martedì 12 novembre, il commissario uscente al Clima Wopke Hoekstra, mentre oggi c’è il presidente del Consiglio europeo Charles Michel.Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel (sinistra) incontra il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev ai margini della Cop29 a Baku (foto: European Union)Infine, la conferenza di Baku si terrà all’insegna di una lampante contraddizione: come già l’edizione dell’anno scorso negli Emirati Arabi Uniti, la Cop29 è ospitata da un grande produttore di petrolio e gas naturale (da cui Bruxelles sta acquistando ingenti quantità di metano per sostituire la propria dipendenza energetica da Mosca), che non brilla certo per gli impegni presi nella tutela dell’ambiente.E nemmeno, se è per quello, per il rispetto dei diritti fondamentali o della democrazia, a partire dalla libera espressione del dissenso: nei giorni e settimane precedenti alla riunione dell’Onu, nel Paese caucasico sono stati arrestati svariati attivisti ambientalisti. La co-capogruppo dei Verdi all’Europarlamento, Terry Reintke, ha scritto su X che i lavori della Conferenza sono ospitati “da un regime corrotto, che vive di petrodollari” e che “mette dietro le sbarre i critici”. Il tutto dopo che Baku ha ripreso il controllo, nell’autunno 2023, dell’enclave armena del Nagorno-Karabakh con un’operazione militare che ha provocato una grave crisi umanitaria condannata da Bruxelles.

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    Kiev e l’Ue tentano di capire cosa succederà all’Ucraina con la rielezione di Trump

    Bruxelles – Ora che Donald Trump è stato rieletto alla Casa Bianca, l’Europa cerca di prevedere quali saranno le sue mosse su uno dei fronti internazionali più caldi, quello della guerra in Ucraina. Mentre a Bruxelles si teme che il sostegno militare e finanziario a stelle e strisce possa diminuire drasticamente o addirittura interrompersi, a preoccupare Kiev c’è soprattutto la promessa del presidente (ri)eletto di mettere fine al conflitto “in 24 ore”. Il capo dello Stato ucraino, Volodymyr Zelensky, sta lanciando messaggi decisamente eloquenti al suo omologo statunitense, per impedire che imponga all’ex repubblica sovietica un processo di pace accelerato che rischia di tramutarsi in una “sconfitta”.Zelensky a BudapestDopo essersi congratulato con Trump per la sua vittoria nelle urne, il presidente ucraino è tornato sulla questione del sostegno di Washington agli sforzi bellici di Kiev ieri (7 novembre) in occasione del quinto incontro della Comunità politica europea, ospitato a Budapest dal premier ungherese Viktor Orbán. Lì, parlando ai giornalisti, ha ammesso che “il presidente Trump vuole davvero una decisione rapida” su come giungere alla fine delle ostilità con la Russia, ma ha aggiunto che “ciò non significa che andrà in questo modo”. Perché, ha insistito, “tutti vogliamo che questa guerra finisca, ma con una fine giusta”: se il processo di pace “è troppo veloce, sarà una sconfitta per l’Ucraina”, ha detto chiaro e tondo.Anche il padrone di casa è apparso fiducioso sulle prospettive per una risoluzione diplomatica del conflitto aperte dal ritorno di Trump alla Casa Bianca. “Quelli che vogliono la pace sono sempre più numerosi”, ha dichiarato Orbán, rinnovando il suo appello per un cessate il fuoco immediato. “La precondizione per la pace è la comunicazione”, ha spiegato il leader magiaro, e “la condizione per la comunicazione è un cessate il fuoco”, il quale “può fornire margine e tempo alle parti in conflitto” per “cominciare a negoziare la pace”.Il primo ministro ungherese, Viktor Orbán (foto: European Council)Appello immediatamente bollato come “pericoloso” e “irresponsabile” da Zelensky, secondo cui una tregua in questo momento – cioè con circa un quinto del territorio ucraino in mano alle forze di Mosca, che stanno peraltro avanzando anche sul fronte del Donbass – equivarrebbe a “distruggere la nostra indipendenza e la nostra sovranità”. “Abbiamo già provato” a raggiungere un cessate il fuoco nel 2014, ha ricordato il presidente ucraino, “e abbiamo perso la Crimea, e poi abbiamo avuto l’invasione su larga scala nel 2022”. Come a dire: non è possibile fidarsi di Vladimir Putin, perché non è realmente interessato alla pace.Qual è l’idea di pace secondo Trump?Cercare di capire l’idea di “pace” che avrebbe in mente Trump è dunque, comprensibilmente, la questione centrale che arrovella l’intera leadership ucraina. Per ora, il presidente eletto non ha fatto trapelare pubblicamente alcun dettaglio su come intende risolvere la crisi che da dieci anni tormenta l’ex repubblica sovietica, ma alcune indiscrezioni giornalistiche parlano di diverse opzioni sul tavolo del leader repubblicano.E tutte, allontanandosi dall’approccio seguito dall’amministrazione Biden (cioè quello di lasciar decidere a Kiev quando avviare le trattative), prevedono che l’Ucraina rinunci ad una parte del suo territorio riconosciuto internazionalmente, cioè quello disegnato dai confini del 1991. In alcune versioni si tratterebbe delle regioni occupate militarmente da Mosca, in altre di una sorta di zona cuscinetto demilitarizzata (sul modello delle due Coree) i cui contorni andrebbero negoziati a tavolino e che andrebbe pattugliata da truppe internazionali. Le quali, beninteso, dovranno essere europee e non statunitensi: “Non manderemo uomini e donne americani a difendere la pace in Ucraina”, ha dichiarato un membro dell’entourage di Trump, suggerendo di farlo fare “ai polacchi, ai tedeschi, agli inglesi e ai francesi”.Un altro elemento ricorrente sarebbe l’imposizione di una qualche forma di neutralità a Kiev, quella che veniva ironicamente chiamata “finlandizzazione” dell’ex repubblica sovietica prima che Helsinki decidesse di entrare nella Nato poco dopo l’avvio dell’invasione russa. Sempre secondo questi ipotetici piani, l’ingresso nell’Alleanza nordatlantica verrebbe congelato almeno temporaneamente per l’Ucraina, che in cambio continuerebbe a ricevere sistemi d’arma occidentali come deterrente contro un’eventuale nuova aggressione.L’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, celebra la rielezione il 6 novembre 2024 (foto: Jim Watson/Afp)Un’ulteriore opzione, ancora più radicale, proposta da alcuni collaboratori della prima amministrazione Trump per costringere Kiev a sedersi al tavolo delle trattative sarebbe invece quella di interrompere le forniture di armi alla resistenza ucraina. Si tratta dell’ipotesi peggiore per Zelensky e i suoi: non solo entrerebbero nei negoziati da una posizione di estrema debolezza, ma non riuscirebbero nemmeno a contenere ulteriori attacchi russi se Putin decidesse che, prima di trattare, vuole annettere alla Federazione qualche altro pezzo dell’ex repubblica sovietica. Si tratterebbe, in altre parole, di lasciare carta bianca al Cremlino.Visione strategicaPer Kiev, l’imperativo è far capire a Trump che sostenere l’Ucraina è nello stesso interesse di Washington. Da un lato, perché qualunque soluzione temporanea al conflitto che sia troppo vantaggiosa per la Russia rischia di trasmettere a Mosca il messaggio che, alla fine, l’ha avuta vinta e che quindi può ritentarci quando vuole. Che poi è quello che è successo quando, dieci anni fa, non ci sono state grosse conseguenze per l’annessione unilaterale della Crimea e lo stazionamento di truppe in Donbass, due violazioni della sovranità ucraina che hanno posto le basi per la guerra su larga scala del 2022.Dall’altro perché, se parti dell’Ucraina cadranno definitivamente in mano alla Russia, l’Europa e gli Stati Uniti perderanno l’accesso alle risorse naturali del Paese aggredito, nonché agli asset militari che Kiev ha sviluppato in due anni e mezzo di guerra e che potrebbero essere utilizzati per la sicurezza del Vecchio continente in sinergia con le forze Nato.È questo, in fin dei conti, il senso del “piano per la vittoria” che Zelensky ha presentato ai leader dei Ventisette il mese scorso: al netto della richiesta di far entrare l’Ucraina nell’Alleanza, il presidente ha messo nero su bianco quello che il suo Paese può offrire in cambio dell’aiuto internazionale. Per far passare il messaggio che l’investimento occidentale è strategico, a lungo termine, e che cedere a Putin ora significherebbe compromettere la sicurezza dell’Europa intera.Nel frattempo, l’Ue cerca di correre ai ripari come può. Proprio oggi (8 novembre) il Consiglio ha esteso di altri due anni – fino al novembre 2026 – il mandato della sua missione di assistenza militare all’Ucraina (Eumam Ukraine), dotandola di un budget da circa 409 milioni di euro. Un messaggio simbolico di sostegno a Kiev, ma poco più che noccioline se si considera l’entità delle spese che deve sostenere la resistenza. Allo stato attuale, difficilmente i Ventisette sarebbero in grado di mantenere a galla l’Ucraina da soli nel caso in cui dovessero realmente venire meno gli aiuti dall’altro lato dell’Atlantico.

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    L’Ue sul filo del rasoio

    Di Ian LesserL’Europa non è stata colta di sorpresa. I circoli politici all’interno e all’esterno dell’Ue si stanno preparando da tempo per una potenziale vittoria di Donald Trump.La preoccupazione attuale, tuttavia, è diversa da quella del 2016, quando l’attenzione era rivolta alla gestione di Trump come personalità politica. La questione persiste, ma ora ci sono altre questioni più preoccupanti.In primo luogo, è probabile che le differenze commerciali e regolamentari esistenti nell’Atlantico impallidiscano di fronte alle sfide poste dalle tariffe proposte da Trump. C’è la prospettiva di una guerra commerciale aperta degli Stati Uniti con la Cina, con implicazioni negative per l’Europa. Con ogni probabilità, questo protezionismo si estenderà all’UE. Il ritorno di Trump alimenterà il nazionalismo economico, già in crescita su entrambe le sponde dell’Atlantico. L’Europa, già alle prese con una crescita lenta e una competitività in calo, non ha carte forti in questo gioco.In secondo luogo, Trump farà sicuramente molta più pressione sull’Europa per quanto riguarda la condivisione degli oneri della difesa. È improbabile che si concretizzino gli scenari più estremi di un ritiro americano dalla Nato o di un completo disimpegno dalla sicurezza europea. Ma la prospettiva di un più rapido allontanamento degli Stati Uniti dall’Europa in termini di sicurezza è scoraggiante anche per coloro che vedono con favore una maggiore autonomia strategica europea. Questo obiettivo, tuttavia, rimane in gran parte aspirazionale. La capacità dell’Europa di compensare i cambiamenti nella posizione e nella credibilità della difesa americana è lontana, nella migliore delle ipotesi, molti anni. Su una serie di questioni di politica internazionale vicine agli interessi europei, dall’Iran alla sicurezza energetica, Bruxelles e Washington non saranno sulla stessa pagina.In terzo luogo, il contrasto con gli anni di Biden sarà probabilmente più pronunciato nell’atteggiamento di Washington verso l’Ue stessa. L’amministrazione uscente vedeva il blocco come un interlocutore chiave su una serie di questioni di politica internazionale, non solo sul commercio. C’è stata una relazione particolarmente stretta tra la Casa Bianca e la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e il suo gabinetto. Si tratta di un fatto insolito. Le precedenti amministrazioni statunitensi, indipendentemente dal partito, erano generalmente meno entusiaste, preferendo un impegno bilaterale con i principali alleati europei. Una seconda amministrazione Trump probabilmente inquadrerà le relazioni con l’Europa in termini bilaterali, con i singoli Stati e i singoli leader, alcuni dei quali saranno abbastanza a loro agio con l’esito delle elezioni statunitensi. Bruxelles potrebbe essere emarginata.Questo commento è stato originariamente pubblicato sul sito del German Marshall Fund of the United States.