More stories

  • in

    Commercio, trapela ottimismo sui negoziati Usa-Cina. Ma la svolta è ancora lontana

    Bruxelles – Prove di disgelo tra Stati Uniti e Cina, ad un paio di mesi dopo l’avvio della guerra commerciale scatenata da Donald Trump. I negoziatori di Washington e Pechino si stanno incontrando a Londra per il secondo giorno di fila per discutere di terre rare e semiconduttori, centrali per l’economia e le capacità strategiche statunitensi. Ma per quanto il clima sia generalmente positivo, è ancora presto per una svolta decisiva. Nel frattempo, l’Europa subisce i danni collaterali dello scontro tra i due giganti globali.Dopo un primo giorno di colloqui ieri, continuano anche oggi (10 giugno) le trattative tra le delegazioni di Stati Uniti e Cina a Londra. L’obiettivo è disinnescare la guerra dei dazi avviata da Donald Trump, o per lo meno le sue conseguenze più disastrose per le due superpotenze economiche mondiali.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)La squadra negoziale a stelle e strisce comprende il titolare del Tesoro Scott Bessent, il segretario al Commercio Howard Lutnick e il rappresentante del governo Usa per il commercio estero Jamieson Greer. Le controparti cinesi sono il vicepremier He Lifeng, il ministro al Commercio Wang Wentao e il consigliere Li Chenggang. In mattinata, l’inquilino della Casa Bianca ha dichiarato di aver ricevuto “solo buoni resoconti” dai suoi emissari, sostenendo che “stiamo lavorando bene con la Cina, la Cina non è facile“. Ma non ha voluto scoprire del tutto le sue carte: “Vedremo” se rimuovere i controlli sulle esportazioni, ha detto il tycoon.Cosa c’è sul tavoloLe misure restrittive imposte reciprocamente da Washington e Pechino sui propri export sono il fulcro delle discussioni in corso nella capitale britannica, e rappresentano una delle minacce più serie all’intera economia mondiale determinate dall’escalation tariffaria di questi mesi. Nello specifico, il nodo principale riguarda le esportazioni di terre rare, minerali critici e una serie di tecnologie avanzate (soprattutto i semiconduttori) dalla Cina verso gli Usa.Si tratta di materiali cruciali per un’ampia gamma di applicazioni fondamentali, dall’elettronica di consumo come gli smartphone agli F-35 passando per l’energia rinnovabile. Il punto è che la loro catena del valore a livello globale è in massima parte nelle mani di Pechino: anche dove non ha il monopolio dell’estrazione, il Dragone detiene comunque il controllo della lavorazione.Per questo, almeno stando alle indiscrezioni della stampa statunitense, Trump avrebbe autorizzato il team a stelle e strisce a negoziare una potenziale rimozione delle restrizioni sulla vendita di software per la produzione di chip, parti di motore a reazione ed etano. In cambio, gli Usa si aspettano che la Repubblica popolare allenti i controlli sulle terre rare. Tuttavia, al netto dei proclami altisonanti, nessuno si aspetta una svolta decisiva dalle discussioni odierne.ll presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping (foto via Imagoeconomica)La posta in palio nei negoziati, dopo tutto, è pur sempre il primato di uno dei due colossi globali nell’economia del XXI secolo: le tecnologie di cui si discute a Londra sono alla base degli scambi d’informazione, dell’intelligenza artificiale, dell’economia dei big data, dell’hi-tech, ma anche dell’industria pesante, dell’automotive e della difesa.L’incontro londinese, deciso da Trump e dal leader cinese Xi Jinping durante una telefonata la scorsa settimana (la prima da gennaio), dovrebbe servire a rimettere in carreggiata il “consenso” raggiunto a inizio maggio a Ginevra. Lì, i rappresentanti di Washington e Pechino avevano concordato una pausa di 90 giorni sui maxi-dazi reciproci: abbassando quelli statunitensi dal 145 al 30 per cento e quelli cinesi dal 125 al 10 per cento. Ma da allora, entrambe le parti si sono accusate a vicenda di aver violato i termini della tregua: gli Usa criticano la lentezza di Pechino nell’allungare la lista dei minerali critici esenti da restrizioni, venendo a loro volta redarguiti per i controlli sull’export di chip e per le restrizioni sui visti degli studenti cinesi.L’Europa nel mezzoDel resto, nella guerra commerciale tra le due superpotenze si contano anche pesanti danni collaterali. L’Ue è rimasta schiacciata nel mezzo e sta cercando di correre ai ripari da quando, un paio di mesi fa, il presidente statunitense ha annunciato i suoi dazi “reciproci” durante quello che ha ribattezzato Liberation Day. Tra i settori che pagano maggiormente il costo dell’imprevedibilità in cui il tycoon newyorkese ha piombato il commercio globale ci sono quello della difesa – dove Bruxelles sta tentando di darsi un tono tramite il piano ReArm Europe e, nello specifico, il fondo Safe da 150 miliardi – e quello dell’industria automobilistica, già in crisi nera da un paio d’anni.L’esecutivo comunitario sta provando a dialogare tanto con Washington quanto con Pechino. Il titolare del Commercio, Maroš Šefčovič, è possibilista nonostante i nuovi dazi del 50 per cento su acciaio e alluminio imposti dalla Casa Bianca, ma la verità è che non si vede ancora la luce in fondo al tunnel. Come ammesso in mattinata dal portavoce del Berlaymont Olof Gill, i negoziati con gli Usa sono “in corso”, e per il momento non è stato programmato alcun bilaterale tra Trump e Ursula von der Leyen al vertice Nato dell’Aia tra due settimane.Il commissario Ue al Commercio, Maroš Šefčovič (foto: Consiglio europeo)Allo stesso modo non pare prossima a sbloccarsi nemmeno l’impasse con la Repubblica popolare, con cui pure l’Ue ha in calendario un summit di alto livello per il mese prossimo. Šefčovič, che ha incontrato la sua controparte cinese la scorsa settimana a Parigi, ha definito “allarmante” la situazione attuale. Per il portavoce Gill, alla Commissione sono “felici di vedere che il nostro approccio sta dando risultati“.Ma non sembrano esserci grandi risultati di cui gioire, almeno per ora. I negoziati sui veicoli elettrici cinesi, colpiti dalle misure restrittive a dodici stelle, sono tutt’ora in corso. Ed è verosimile che i controlli introdotti da Pechino sulle esportazioni delle materie prime critiche – non solo verso gli Usa, ma anche verso i Ventisette – sia una rappresaglia per le indagini e le restrizioni dell’Ue. Oltre che una mossa deliberata per incrinare ulteriormente l’unità transatlantica, o quello che ne resta.L’Ue sta inoltre guardando altrove per ridurre la propria dipendenza da Pechino, ma non è un risultato che si ottiene dall’oggi al domani. La scorsa settimana, il commissario all’Industria Stéphane Séjourné ha annunciato l’approvazione di 13 nuovi progetti strategici in Paesi terzi nel quadro del Critical raw materials act, secondo il quale nessuno Stato estero dovrebbe fornire all’Ue più del 65 per cento di determinati minerali. Il problema di fondo, però, rimane lo stesso: controllando quasi il 90 per cento del mercato globale, la Cina mantiene saldamente il coltello dalla parte del manico.

  • in

    Merz visita Trump: possibile un accordo sui dazi, ma niente sanzioni alla Russia (per ora)

    Bruxelles – Friedrich Merz evita lo scontro con Donald Trump, ma non riesce a convincerlo delle ragioni europee. Nel suo primo faccia a faccia col presidente statunitense, il cancelliere tedesco si è mostrato deferente e accomodante per non irritare la controparte, evitando di discutere di fronte alle telecamere i temi più controversi nelle relazioni tra Berlino e Washington. Dall’incontro, però, non ha portato a casa alcuna concessione particolare.Continua la processione dei leader mondiali alla corte di Donald Trump. Ieri (5 giugno) è stato il turno del cancelliere tedesco, che ha recato al tycoon un dono particolare: la copia del certificato di nascita del nonno incorniciata in oro. Friedrich Trump nacque nel 1869 a Kallstadt, un villaggio nell’attuale Länd del Palatinato che al tempo faceva parte della Baviera, ed emigrò successivamente negli Stati Uniti.Il Bundeskanzler ha dimostrato di aver studiato bene il proprio interlocutore. Ha saputo schivare gli argomenti che avrebbero potuto far precipitare la loro conversazione in uno scontro frontale, come avvenuto fra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e quello sudafricano Cyril Ramaphosa. Merz si è detto “estremamente soddisfatto” dell’incontro, aggiungendo di “aver trovato nel presidente americano una persona con cui posso parlare molto bene a livello personale”. Per contro, Trump ha descritto Merz come “una persona con cui è molto facile trattare“.Il presidente statunitense Donald Trump (sinistra) accoglie alla Casa Bianca il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il 5 giugno 2025 (foto via Imagoeconomica)Nel tentativo di creare un clima amichevole col tycoon newyorkese, il leader della Cdu ha ricordato che il giorno successivo, cioè oggi, sarebbe occorso l’81esimo anniversario dello sbarco in Normandia. “È stato allora che gli americani hanno liberato l’Europa“, ha notato il Bundeskanzler. Con l’operazione Overlord, il 6 giugno 1944 gli alleati arrivarono sulla costa atlantica della Francia, allora sotto occupazione nazista, mentre altre armate occidentali risalivano lo Stivale dalla Sicilia e i sovietici marciavano da est su Berlino.“Non è stata una giornata piacevole per voi“, ha ribattuto Trump alludendo al fatto che il D-Day segnò l’inizio della fine per Adolf Hitler. “A lungo  termine, signor presidente, questa è stata la liberazione del mio Paese dalla dittatura nazista“, ha risposto Merz, aggiungendo che “sappiamo cosa vi dobbiamo”. Il cancelliere ha poi colto la palla al balzo, tracciando un parallelo tra l’invasione dell’Europa da parte del Terzo Reich e quella dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin. Gli Stati Uniti, ha osservato, sono “di nuovo in una posizione molto forte per fare qualcosa per porre fine a questa guerra“.“Stiamo cercando di esercitare una maggiore pressione sulla Russia, dovremmo parlarne”, ha rimarcato Merz. Ma sulla guerra d’Ucraina non è riuscito a scucire alcuna concessione all’inquilino della Casa Bianca. Al contrario, e con buona pace delle sue stesse promesse di porre rapidamente fine al conflitto, Trump ha suggerito che potrebbe essere opportuno lasciare che Mosca e Kiev “continuino a combattere per un po’”, paragonando i due belligeranti a dei bambini litigiosi difficili da separare.Ma l’amministrazione a stelle e strisce non imporrà nuove sanzioni sul Cremlino, almeno per il momento. Se diventerà chiaro che le trattative in corso (o meglio in stallo) non porteranno a nulla, ha ammonito Trump, le contromisure di Washington potrebbero “riguardare entrambi i Paesi”. Il presidente Usa è apparso frustrato con l’Ucraina per gli attacchi condotti sul territorio della Federazione negli scorsi giorni, di cui ha parlato al telefono col suo omologo russo: Putin “è scontento”, ha detto, e “io sono scontento”. Una posizione che stona con quella degli alleati su questo lato dell’Atlantico, dove è netta la distinzione tra aggredito e aggressore, come ricordato stamattina dai portavoce della Commissione europea.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Gli altri due temi chiave dell’incontro sono stati la questione della sicurezza transatlantica e la guerra commerciale tra Stati Uniti ed Unione europea. Sul primo punto, Merz ha strappato a Trump l’impegno a non ritirare nessuno dei 40mila militari statunitensi stazionati in Germania. Il timore di un disimpegno dello zio Sam dal Vecchio continente è reale tra le cancellerie europee, che si stanno preparando a dare il disco verde alla richiesta di Washington di aumentare significativamente le spese per la difesa in ambito Nato, alzando l’asticella dal 2 al 5 per cento del Pil.Quanto ai dazi, il presidente statunitense è fiducioso che “un buon accordo commerciale” con Bruxelles sia a portata di mano. Attualmente, Washington ha imposto dazi del 10 per cento su tutte le importazioni europee, più il 25 per cento sulle auto (una catastrofe per l’economia tedesca, della quale l’automotive è un pilastro fondamentale) e il 50 per cento su acciaio e alluminio. Giorni fa, Trump ha compiuto l’ennesima giravolta sospendendo fino al 9 luglio l’attivazione di un’ulteriore dazio del 50 per cento sugli import a dodici stelle.Infine, Merz ha evitato di toccare determinati temi, come ad esempio le pesanti ingerenze da parte di membri di spicco dell’amministrazione Trump nella politica interna tedesca – con il vicepresidente JD Vance e l’ormai ex braccio di ferro del tycoon, Elon Musk, che hanno apertamente sostenuto l’ultradestra di Alternative für Deutschland (AfD) – o le relazioni di Berlino e Washington col premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ma anche il rapporto burrascoso della Casa Bianca con la Corte penale internazionale. Proprio ieri, il governo Usa ha imposto sanzioni su quattro giudici della Cpi a causa delle indagini in corso sui crimini di guerra dell’esercito di Tel Aviv, in una mossa senza precedenti fermamente condannata dai vertici Ue.

  • in

    Ucraina, Trump sente Putin (di nuovo). Ma all’orizzonte non c’è nessuna tregua

    Bruxelles – La pace in Ucraina è ancora lontana. È quanto emerso dalla nuova conversazione telefonica avvenuta ieri sera (4 giugno) tra Vladimir Putin e Donald Trump, durante la quale il capo del Cremlino ha promesso una dura rappresaglia agli attacchi compiuti da Kiev negli ultimi giorni (che gli Stati Uniti non sembrano interessati a impedire). Il presidente russo avrebbe anche offerto alla Casa Bianca una sponda nei complessi negoziati sul programma nucleare iraniano.La chiamata è stata riassunta dal presidente statunitense con un post sul suo social personale, Truth: “È stata una buona conversazione, ma non una conversazione che porterà ad una pace immediata“, ha scritto il tycoon. “Il presidente Putin ha detto, e molto fermamente, che dovrà rispondere al recente attacco sugli aeroporti“, ha aggiunto Trump, senza specificare se nella conversazione di circa 75 minuti abbia tentato di dissuadere il suo interlocutore dal portare a compimento suddetta rappresaglia. Stamattina, il palazzo dell’amministrazione regionale di Cherson è stato colpito con le famigerate “bombe plananti” dall’aviazione russa.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Lo smacco che lo zar non poteva lasciare impunito è una serie di attacchi compiuti negli scorsi giorni dai servizi ucraini contro diversi obiettivi sul territorio russo. Sono stati colpiti alcuni ponti – nelle oblast’ di Kursk, invasa dalle truppe di Kiev lo scorso agosto e recentemente “bonificata” da Mosca, e di Bryansk, ma soprattutto quello di Kerch che collega la Federazione con la Crimea occupata – e sono stati distrutti una quarantina di bombardieri strategici (usati per sganciare appunto le bombe plananti mantenendosi a distanza di sicurezza dalla contraerea nemica), cioè circa un terzo del totale.Bollando il governo ucraino come una “organizzazione terrorista“, Putin ha sostenuto che non ci sono più le condizioni per trattare col suo omologo Volodymyr Zelensky (nonostante lui stesso avesse aperto a questa possibilità poco più di un mese fa), confermando il sostanziale buco nell’acqua del secondo round di colloqui tra le delegazioni dei due Paesi belligeranti svoltisi a Istanbul all’inizio di questa settimana.Del resto, appare sempre più evidente il fiasco della mediazione statunitense nel complicatissimo processo negoziale tra Mosca e Kiev. Al netto di una serie di false partenze, le trattative per una tregua nel conflitto sono sostanzialmente ferme, date le posizioni inconciliabili di Russia e Ucraina su praticamente qualsiasi punto, a partire dalle condizioni per accettare un cessate il fuoco.Dalla prospettiva europea, peraltro, il disimpegno dello zio Sam dal Vecchio continente sembra ormai incontrovertibile. Per la prima volta in quasi tre anni e mezzo, il capo del Pentagono Pete Hegseth era assente alla riunione del gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina (il cosiddetto formato Ramstein) tenutasi ieri a Bruxelles. E, stando alle indiscrezioni circolate nelle scorse ore, l’amministrazione a stelle e strisce ha anche definitivamente rifiutato di fornire copertura aerea ad eventuali operazioni della “forza di rassicurazione” franco-britannica, una richiesta su cui avevano a lungo insistito i membri della coalizione dei volenterosi.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Un altro punto importante della chiamata Trump-Putin ha riguardato i difficili negoziati in corso (o meglio in stallo) sul nucleare iraniano. Secondo il tycoon, lo zar sarebbe “d’accordo” sul fatto che Teheran “non può possedere” un’arma atomica. Il presidente russo si sarebbe addirittura offerto di “partecipare nelle discussioni” con la Repubblica islamica, suggerendo di poter portare le discussioni “ad una rapida conclusione” mentre gli ayatollah starebbero rallentando le trattative. “Avremo bisogno di una risposta definitiva in un tempo molto breve!”, ha concluso l’inquilino della Casa Bianca.Dopo aver sentito Trump, Putin ha parlato brevemente anche col papa Leone XIV. L’inquilino del Cremlino avrebbe ringraziato il pontefice per la disponibilità mostrata dalla Santa Sede a ospitare in Vaticano futuri colloqui di pace tra Russia e Ucraina, un cambio di passo non indifferente da parte di Robert Francis Prevost rispetto al suo predecessore José Maria Bergoglio.Ma, appunto, non sembra ancora giunto il momento delle trattative. Per ora, Mosca ha proposto delle tregue temporanee (48 o 72 ore) limitate ad alcune zone del fronte per permettere a entrambi gli eserciti di recuperare i cadaveri dei caduti, ma Kiev ha rispedito l’offerta al mittente. Le diplomazie dei belligeranti sarebbero tuttavia impegnate per portare a termine un nuovo scambio di prigionieri di guerra e per la restituzione reciproca di diverse migliaia di salme. La Russia avrebbe anche accettato di rilasciare diverse centinaia di minori ucraini deportati dalle regioni occupate.

  • in

    I dazi di Trump sono illegali: una Corte federale Usa blocca l’arma commerciale di Washington

    Bruxelles – Una sentenza storica emessa dalla Corte del commercio internazionale degli Stati Uniti ha dichiarato illegittima l’imposizione dei dazi generalizzati annunciata da Donald Trump nel ‘Liberation Day’, lo scorso 2 aprile. Un colpo di scena clamoroso, che mette un freno alla linea aggressiva del presidente in materia di politica commerciale e che rimescola le carte nella complessa partita delle negoziazioni che i partner commerciali di Washington – Unione europea compresa – stanno portando avanti con la nuova amministrazione americana.La decisione, giunta ieri sera (28 maggio) da un collegio di tre giudici presso la sede della corte a New York, arriva a seguito di numerosi ricorsi presentati da imprese e stati americani, che accusano il tycoon di aver abusato dei propri poteri presidenziali. Al centro della contesa, l’uso dell’International emergency economic powers act (Ieepa), una legge nata per gestire minacce “inusuali e straordinarie” in tempi di emergenza nazionale, che secondo la corte non può essere utilizzata per introdurre dazi su scala globale. La corte ha dichiarato che gli ordini tariffari di Trump “superano qualsiasi autorità conferita al presidente in materia di regolamentazione dell’importazione tramite dazi”.Nella sentenza si sottolinea come i giudici non abbiano espresso alcun giudizio sull’opportunità o efficacia delle misure tariffarie in sé, ma piuttosto abbiano rilevato la loro incompatibilità con l’attuale quadro normativo. “L’uso dei dazi è inammissibile non perché è inefficace o poco saggio, ma perché la legge federale non lo consente”, si legge nella motivazione.Il presidente statunitense Donald Trump annuncia l’imposizione di dazi sulle importazioni dai partner globali, il 2 aprile 2025 (foto: Brendan Smialowski/Afp)La sentenza mette in discussione uno degli strumenti chiave del trumpismo economico: l’utilizzo di dazi punitivi per esercitare pressione su partner commerciali, rilocalizzare la produzione e ridurre il deficit commerciale statunitense, che ammonta a oltre 1.200 miliardi di dollari. Secondo la corte, il presidente non può aggirare il Congresso giustificando tali misure con la semplice esistenza di un disavanzo commerciale, che non costituisce di per sé un’emergenza nazionale. Il pronunciamento giudiziario invalida immediatamente tutti gli ordini tariffari emessi tramite l’Ieepa. Trump, dunque, sarà costretto a revocare i provvedimenti e, eventualmente, emettere nuovi ordini che riflettano l’ingiunzione permanente, entro dieci giorni. Va precisato che la decisione non si applica ai dazi settoriali del 25 per cento su auto, componenti, acciaio e alluminio, imposti da Trump all’Ue precedentemente e già in vigore.I mercati finanziari hanno accolto con entusiasmo la notizia. Il dollaro ha registrato un’impennata, guadagnando terreno su euro, yen e franco svizzero. In Europa, le principali borse hanno chiuso in rialzo: il Dax di Francoforte è salito dello 0,9 per cento, il Cac 40 di Parigi dell’ 1 per cento, il Ftse 100 di Londra ha guadagnato lo 0,1 per cento mentre il Ftse Mib di Milano si attesta a +0,3 per cento. I mercati asiatici hanno condiviso la scia positiva, mentre i futures a Wall Street indicano un’apertura in forte rialzo.Nonostante ciò, la Casa Bianca ha reagito duramente alla decisione. Kush Desai, portavoce dell’amministrazione, ha contestato con forza l’autorità dei giudici: “Non spetta a giudici non eletti decidere come affrontare un’emergenza nazionale”. Stephen Miller, vice-capo di gabinetto, ha parlato di “un colpo giudiziario fuori controllo”, mentre Donald Trump non ha ancora reagito ufficialmente alla questione. La decisione sarà impugnata in appello presso la Corte federale di Washington e, potenzialmente, davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Il verdetto mette in seria difficoltà la strategia di Trump, costruita su dazi estesi che miravano a rinegoziare gli equilibri commerciali globali. Senza il ricorso all’Ieepa, l’amministrazione dovrebbe ora seguire iter più lenti e complessi, basati su indagini commerciali formali e l’applicazione di altre leggi specifiche in materia doganale.US President Donald Trump speaks with European Commission President Ursula von der Leyen prior to their meeting at the World Economic Forum in Davos, on January 21, 2020. (Photo by JIM WATSON / AFP)La corte si è pronunciata su due cause principali. La prima è stata intentata da un gruppo di piccole imprese americane, che hanno lamentato danni economici ingenti, mentre la seconda è stata avviata da una dozzina di stati, guidati dall’Oregon. Il procuratore generale dello stato, Dan Rayfield, ha commentato: “Questa sentenza ribadisce che le nostre leggi contano e che le decisioni commerciali non possono dipendere dai capricci del presidente”. Gli avvocati dei ricorrenti hanno sostenuto che il deficit commerciale non costituisce un’emergenza ai sensi dell’Ieepa, ricordando che gli Stati Uniti registrano un disavanzo commerciale da 49 anni consecutivi. La tesi centrale era che l’utilizzo della legge d’emergenza per introdurre dazi fosse un abuso di potere, e la corte ha dato loro ragione.Il caso resta aperto a ulteriori sviluppi giudiziari ma intanto, con questa sentenza, i giudici mettono un argine alle derive unilaterali della politica commerciale statunitense, riaffermando la centralità del diritto, e del Congresso, nelle decisioni economiche di portata globale, e ricordando a Trump che spesso avere carte in mano non significa poterle giocare a proprio piacimento.The judicial coup is out of control. https://t.co/PRRZ1zU6lI— Stephen Miller (@StephenM) May 28, 2025

  • in

    Von der Leyen chiama Trump, nuova giravolta sui dazi: sospesi fino al 9 luglio

    Bruxelles – Nuovo passo indietro di Donald Trump sui dazi alle merci Ue. Dopo la minaccia, arrivata come un fulmine a ciel sereno, di tariffe del 50 per cento su tutte le importazioni a partire dal primo giugno, ieri (25 maggio) il presidente americano ha ricevuto la telefonata di Ursula von der Leyen. La leader Ue l’avrebbe convinto – il condizionale ormai è d’obbligo – a congelare i dazi reciproci e mantenere aperto il dialogo fino al 9 luglio, riconfermando la proroga di 90 giorni decisa lo scorso 9 aprile.“Una buona telefonata”, l’ha definita von der Leyen. La prima, da quando il tycoon è tornato alla Casa Bianca. “L’Unione europea e gli Stati Uniti intrattengono il rapporto commerciale più stretto e importante al mondo. L’Europa è pronta a far avanzare i colloqui con rapidità e decisione. Per raggiungere un buon accordo avremmo bisogno di tempo fino al 9 luglio“, ha affermato la presidente della Commissione europea in un post su X. Dall’altro capo della cornetta, Trump ha “acconsentito alla proroga” chiesta da von der Leyen. “È stato un privilegio per me farlo. La presidente della Commissione ha affermato che i colloqui inizieranno rapidamente. Grazie per l’attenzione dedicata a questa questione!”, ha scritto sul suo social Truth. In realtà, i Paesi Ue continuano comunque a essere soggetti a tariffe reciproche del 10 per cento su tutto l’export negli Stati Uniti, e a dazi del 25 per cento sull’export di acciaio, alluminio e derivati, auto e componenti.Di buono c’è che per la prima volta Washington e Bruxelles hanno stabilito un confronto diretto al massimo livello sulla questione. “È grazie all’Italia se si è avuto questo rapporto diretto von der Leyen-Trump”, si è affrettato a dire questa mattina il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. Nel tentativo di mantenere il ruolo di mediatore abilmente ritagliatosi – e minacciato dal ponte diretto tra i due leader -, Giorgia Meloni starebbe accelerando il lavoro diplomatico per orchestrare un vertice europeo prima del D-Day.Il presidente statunitense Donald Trump annuncia l’imposizione di dazi sulle importazioni dai partner globali, il 2 aprile 2025 (foto: Brendan Smialowski/Afp)Ruolo effettivo o presunto di Roma a parte, la telefonata e le dichiarazioni immediatamente successive di Trump e von der Leyen portano una ventata di ottimismo. Lo confermano le borse europee, che oggi si sono svegliate in deciso rialzo, con il Dax di Francoforte al +1,76 per cento, il Cac40 di Parigi al +1,36 per cento e il Ftse Mib di Milano al +1,53 per cento.Ora la palla torna nelle mani di Maroš Šefčovič, il commissario europeo per il commercio, che guida i complessi negoziati con le controparti americane. Finora, il socialista slovacco sta tornando da Washington ogni volta a mani vuote: venerdì scorso (23 maggio), l’ultimo round di negoziati ha portato all’annuncio furioso di Trump – che ha addirittura raddoppiato l’onere delle tariffe sull’import Ue rispetto a quanto previsto nel ‘Liberation Day‘ – accompagnato dal commento: “Le nostre discussioni con loro non stanno andando da nessuna parte!“.Lo stesso Šefčovič aveva dichiarato piccato, dopo i colloqui con il rappresentante commerciale americano Jamieson Greer e il segretario al Commercio Howard Lutnick, che il commercio tra Ue e Stati Uniti “deve essere guidato dal rispetto reciproco, non dalle minacce“. Aggiungendo che Bruxelles è “pronta a difendere i nostri interessi”. Il piano B svelato dalla Commissione europea, in caso le trattative naufragassero, prevede contromisure su una lunga lista di prodotti americani, dal valore di 95 miliardi di euro, e una procedura formale contro Washington all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Ma anche Bruxelles ha un asso nella manica con cui minacciare Trump: lo strumento anti-coercizione, con cui potrebbe tassare pesantemente i profitti delle big tech americane nel vecchio continente. La Commissione europea ha fatto sapere che già oggi pomeriggio Šefčovič avrà un nuovo contatto telefonico con Lutnick.

  • in

    Il Vaticano è “disponibile” ad ospitare i negoziati Ucraina-Russia

    Bruxelles – Il Vaticano come cornice per nuovi negoziati tra Russia e Ucraina? È la domanda che sta serpeggiando tra le cancellerie di mezzo mondo nelle ultime ore, dopo una serie di contatti tra Washington, le capitali dell’Ue, quella italiana e la Santa Sede. Intorno alla città eterna – e al nuovo pontefice Leone XIV – sembrano stringersi le maglie della diplomazia internazionale per portare al tavolo delle trattative Mosca e Kiev, superando i fallimenti dei round negoziali precedenti.A dare nuova linfa alle speculazioni sul potenziale ruolo del Vaticano nei negoziati tra Russia e Ucraina è stata, nella serata di ieri (21 maggio), una scarna nota di Palazzo Chigi che rendeva conto di una conversazione telefonica tra la premier Giorgia Meloni e il nuovo papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost.La presidente del Consiglio ha trovato “nel Santo Padre la conferma della disponibilità ad ospitare in Vaticano i prossimi colloqui tra le parti“, si legge nel comunicato. Il confronto tra i due ha dato seguito, si scopre, alla “richiesta” di Donald Trump di sondare il terreno presso la Santa Sede rispetto ad un potenziale coinvolgimento della diplomazia pontificia nei negoziati in corso (o meglio in stallo) sulla guerra d’Ucraina.Da sinistra: il vicepresidente statunitense JD Vance, la premier italiana Giorgia Meloni e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto via Imagoeconomica)Poco dopo l’elezione al soglio di Pietro, il papa ha espresso il desiderio di dare una nuova centralità al Vaticano come mediatore nei conflitti globali, pur senza menzionare direttamente il conflitto in Ucraina. Negli scorsi giorni, Leone XIV ha incontrato Volodymyr Zelensky e il numero due della Casa Bianca, JD Vance, accompagnato dal Segretario di Stato Marco Rubio. In quello che è stato sbandierato dal governo italiano come un successo politico per la premier, Vance si è confrontato anche con Ursula von der Leyen, che finalmente sembra venire presa in qualche considerazione da Trump.Il capo della diplomazia a stelle e strisce si aspetta che il Cremlino presenti i propri termini per un cessate il fuoco in breve tempo, “forse tra qualche giorno”. La proposta russa sarà a quel punto esaminata dall’amministrazione statunitense, sostiene Rubio, per determinare la “serietà” di Vladimir Putin rispetto ad un processo negoziale inceppato da mesi e che sta indispettendo non poco Washington, che ha già minacciato più volte di sfilarsi dalle trattative.Nonostante le dichiarazioni pubbliche di apertura a colloqui diretti con la dirigenza ucraina, i gesti concreti dello zar non lasciano intendere per ora alcuna disponibilità ad intavolare reali negoziati con Kiev. A dimostrarlo, sotto la luce del sole, ci sono i buchi nell’acqua collezionati finora negli incontri tra le delegazioni dei belligeranti: quello indiretto di Riad, lo scorso marzo, e quello diretto di Istanbul della scorsa settimana.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Del resto, non sembrano esserci grandi incentivi per Mosca per cessare le ostilità, almeno in questa fase. Sul campo, la situazione è favorevole all’esercito russo, mentre diplomaticamente il fronte degli alleati di Kiev si è scoperto particolarmente fragile da quando Trump ha deciso di prendere in mano personalmente la questione, mostrandosi esageratamente morbido nei confronti dell’aggressore e offrendo addirittura a quest’ultimo opportunità commerciali con gli Stati Uniti.Lo zar, peraltro, non ha mai riconosciuto esplicitamente la legittimità di Zelensky né dell’Ucraina come nazione sovrana e indipendente. Anzi, le richieste massimaliste che la squadra negoziale russa continua a mettere sul tavolo – tra cui “neutralizzazione” dello Stato ucraino, rinuncia all’adesione alla Nato e cessione de jure dei territori occupati alla Federazione – sembrano andare nella direzione opposta. Questo almeno il leitmotiv a Bruxelles, dove giusto ieri i Ventisette hanno dato il via libera al 17esimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino per continuare a “mettere pressione” su Putin.I had a good conversation with the President of the Council of Ministers of Italy @GiorgiaMeloni. As always, cool ideas.We discussed yesterday’s talks with President Trump and European leaders. We are coordinating our positions. Italy supports all efforts aimed at achieving a… pic.twitter.com/YdEl26IZ3g— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) May 20, 2025Sia come sia, la diplomazia internazionale non vuole ancora darsi per vinta. La chiamata Meloni-Prevost è l’ennesima di un’incessante girandola di telefonate che sta facendo squillare freneticamente gli apparecchi delle cancellerie in molti Paesi. Da Tirana a Washington, da Bruxelles a Istanbul, da Londra a Varsavia, da Parigi a Helsinki, da Berlino a Kiev passando, appunto, per Roma e il Vaticano.“È stato concordato di mantenere uno stretto coordinamento tra i partner in vista di un nuovo ciclo di negoziati per un cessate il fuoco e un accordo di pace”, fa sapere Palazzo Chigi. Le dietrologie sui pasticci diplomatici tra alleati si sprecano e alimentano il dibattito politico nazionale (e non solo). I prossimi incontri, a sentire gli interessati, adotteranno formati “fluidi” e potranno prevedere geometrie variabili. Resta sempre da vedere quanto tali incontri siano in grado di avvicinare sul serio una soluzione diplomatica alla crisi che da 11 anni sta dilaniando il cuore dell’Europa.

  • in

    Ucraina, l’Ue adotta il 17esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – Approvato un pacchetto, se ne fa un altro. L’Ue non crede a Vladimir Putin, accusandolo di non essere realmente interessato a sedersi al tavolo col suo omologo Volodymyr Zelensky per negoziare una tregua in Ucraina. E così, il giorno dopo la telefonata di Donald Trump con lo zar, i Ventisette hanno dato il disco verde all’ennesimo giro di vite contro Mosca (il 17esimo dall’inizio della guerra) e si sono già messi al lavoro sul prossimo.Tra i file sul tavolo del Consiglio Affari esteri di oggi (20 maggio) c’era di nuovo quello delle sanzioni alla Russia. I ministri dei Ventisette hanno formalmente adottato il 17esimo pacchetto dall’inizio dell’invasione su larga scala nel febbraio 2022, che era stato approvato dagli ambasciatori la scorsa settimana. Niente di eclatante a livello di contenuti: si tratta sostanzialmente di un’estensione delle misure restrittive già in piedi, soprattutto per quanto riguarda le navi della cosiddetta “flotta ombra” con cui il Cremlino aggira l’embargo sul suo greggio.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Il mantra di Bruxelles è sempre lo stesso: le sanzioni servono per mettere pressione su Mosca e spingere lo zar Vladimir Putin a sedersi al tavolo delle trattative. “Penso sia importante, come abbiamo stabilito tutti e 27, che ci debba essere un cessate il fuoco completo e incondizionato“, ha ripetuto per l’ennesima volta Kaja Kallas ai giornalisti arrivando al Palazzo Europa. “L’Ucraina l’ha già accettato più di 60 giorni fa, e abbiamo concordato che se la Russia non accetta, come abbiamo visto ieri, allora aumenteremo la pressione“, ha aggiunto l’Alta rappresentante.Il riferimento è alla lunga telefonata (più di due ore) di ieri tra Donald Trump e l’inquilino del Cremlino, della quale tuttavia i due hanno dato due resoconti piuttosto diversi. Il presidente Usa si è detto molto soddisfatto della chiamata e ha annunciato trionfalmente sul suo social Truth che i due belligeranti “avvieranno immediatamente i negoziati per un cessate il fuoco e, cosa più importante, per la fine della guerra“.Putin, invece, si è limitato a dire che Mosca è pronta a lavorare con Kiev ad un “memorandum su un possibile futuro accordo di pace“. Il presidente russo ha sostenuto che tale documento potrebbe includere elementi come “i princìpi di una soluzione, i tempi di un possibile accordo di pace e così via, compreso un possibile cessate il fuoco per un certo periodo di tempo se si raggiungono accordi adeguati“, senza tuttavia fornire ulteriori dettagli.Per gli europei quello di Putin è un bluff. E dunque, garantisce il capo della diplomazia comunitaria, “continueremo a lavorare al prossimo forte pacchetto di sanzioni“: “Parliamo del tetto al prezzo del petrolio, del settore energetico e bancario“, spiega. E tira la giacca a Trump affinché faccia lo stesso: “Dagli Stati Uniti abbiamo sentito che senza una tregua ci sarebbero state delle reazioni forti, delle conseguenze, e ora vogliamo vedere queste conseguenze“, ha concluso l’ex premier estone lamentando l’assenza di “serie pressioni” da parte dell’amministrazione a stelle e strisce nei confronti del Cremlino.Tra i Ventisette la linea sembra essere condivisa. Per il titolare della Difesa tedesco, Boris Pistorius, Putin “non sembra ancora realmente interessato alla pace o a un cessate il fuoco, almeno non a condizioni che siano accettabili” per Kiev e i suoi alleati. Secondo il ministro socialdemocratico, il presidente russo sta “giocando col tempo” e non ha ancora rinunciato alle condizioni massimaliste che ripete da oltre tre anni.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Più soddisfatto della mediazione di Washington è parso invece il capo dell’Alleanza nordatlantica Mark Rutte, che partecipava al Consiglio Difesa di stamattina. “Sono davvero contento che Donald Trump abbia assunto un ruolo di leadership“, ha commentato, sostenendo che “l’amministrazione americana è molto coinvolta e sta dialogando con i colleghi dell’Ue“. Secondo il numero uno della Nato, non ci si deve aspettare risultati immediati perché “si tratta di un conflitto molto complesso”, ma “è importante che Trump abbia aperto canali di comunicazione” diretti con Putin.La chiamata tra Casa Bianca e Cremlino (la terza da quando il tycoon è ritornato allo Studio ovale) è arrivata in seguito al sostanziale buco nell’acqua dei colloqui di Istanbul, dove il leader ucraino aveva provocatoriamente invitato il suo omologo russo – che non si è mai presentato – a incontrarsi di persona per avviare trattative di alto livello su una tregua nei combattimenti e gettare le basi per futuri negoziati di pace. Ma l’unica cosa concordata dalle delegazioni di Mosca e Kiev è stato uno scambio di prigionieri e l’impegno a organizzare, in futuro, un faccia a faccia tra i rispettivi presidenti.

  • in

    Zelensky “convoca” Putin a Istanbul per colloqui diretti

    Bruxelles – Per la prima volta in oltre tre anni di conflitto, Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin potrebbero incontrarsi di persona nei prossimi giorni. I due presidenti hanno indicato la Turchia come luogo di un potenziale colloquio, per il quale spinge fortemente anche Donald Trump, che oggi ha anche annunciato che potrebbe partecipare all’incontro “se lo ritenessi importante per raggiungere un accordo”. Ma finora la diplomazia ha messo in fila solo una serie di buchi nell’acqua, e non si vede all’orizzonte alcuna tregua nei combattimenti.Il carrozzone della diplomazia internazionale è parso rimettersi in moto durante lo scorso weekend intorno alla guerra d’Ucraina. Uno spiraglio di cauto ottimismo era sembrato pervadere le cancellerie europee dopo che, al termine di una visita a Kiev sabato (10 maggio), i leader di Francia, Germania, Polonia e Regno Unito erano riusciti a portare anche il presidente statunitense dalla loro.La proposta messa sul tavolo da Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Donald Tusk e Keir Starmer – in accordo con Volodymyr Zelensky – era quella di un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni a partire da oggi (12 maggio), come dimostrazione di buona fede da parte di Vladimir Putin rispetto all’avvio di negoziati sostanziali su una soluzione politica del conflitto. Persino Donald Trump, che dal suo re-insediamento è parso allontanarsi sempre più da Kiev per avvicinarsi a Mosca, aveva dato il suo assenso.Da sinistra: il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il premier polacco Donald Tusk e quello britannico Keir Starmer a Kiev, il 10 maggio 2025 (foto: Genya Savilov/Afp)Nello stile cui ha abituato il mondo, il presidente russo ha però risposto picche sul cessate il fuoco, dichiarandosi tuttavia disponibile ad intavolare delle trattative dirette con la leadership ucraina in Turchia, evitando di legarsi le mani con qualunque precondizione. Nella Repubblica anatolica si terrà, il 14 e 15 maggio, una ministeriale informale proprio sul dossier Ucraina, e il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha ribadito per l’ennesima volta di essere disposto ad ospitare colloqui di pace tra le delegazioni di Kiev e Mosca.Tanto è bastato a Trump per tornare a mettere pressione su Zelensky. “Incontratevi ora!“, ha scritto il tycoon newyorkese sul suo social Truth, esortando l’omologo ucraino ad “accettare immediatamente” l’offerta dello zar russo. “Almeno saranno in grado di determinare se un accordo è possibile o meno e, in caso contrario, i leader europei e gli Stati Uniti sapranno come stanno le cose e potranno procedere di conseguenza“, ha ragionato l’inquilino della Casa Bianca.Ieri sera (11 maggio), Zelensky ha dunque rilanciato sfidando Putin a incontrarsi “personalmente” ad Istanbul giovedì prossimo, auspicando che “stavolta i russi non cerchino scuse” per sfilarsi dalle trattative. “Attendiamo un cessate il fuoco totale e duraturo“, ha aggiunto il presidente ucraino, “per fornire la base necessaria alla diplomazia”. Se avesse effettivamente luogo, il faccia a faccia tra i due leader sarebbe il primo da oltre tre anni a questa parte.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Ramil Sitdikov via Afp)Quella dei colloqui diretti tra Zelensky e Putin è un’opzione sulla quale entrambi i leader avevano fatto delle aperture in linea di principio già il mese scorso, ma sulla quale non si sono mai registrati progressi in termini concreti. I due belligeranti, come recentemente certificato dallo stesso Trump, rimangono distanti anni luce da una vera intesa e tutte le proposte di cessate il fuoco, da qualunque parte provenissero, sono finora cadute nel vuoto.Stando alla retorica ufficiale, Zelensky sembra mantenere la linea adottata fin qui: niente trattative senza tregua. Che è l’opposto di quella del Cremlino: prima il dialogo, poi (eventualmente) una pausa delle ostilità. Appare improbabile, tuttavia, che Kiev possa ignorare le pressioni dell’amministrazione a stelle e strisce, soprattutto alla luce della ratifica da parte del Parlamento ucraino, lo scorso 8 maggio, del famigerato accordo sullo sfruttamento delle materie prime critiche.Il giorno prima della visita di Macron, Merz, Tusk e Starmer a Kiev, Putin aveva ospitato sulla Piazza Rossa a Mosca decine di leader mondiali per le celebrazioni dell’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista nel 1945 (incluso lo slovacco Robert Fico, in barba alla conclamata unità dei Ventisette al fianco dell’Ucraina).L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (centro), e il primo ministro ucraino Denys Shmyhal (foto: European Council)Lo stesso giorno, alcuni ministri degli Esteri dell’Ue guidati dal capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas, avevano annunciato a Leopoli l’imminente creazione di un tribunale ad hoc per i crimini d’aggressione dell’Ucraina che dovrebbe perseguire la leadership della Federazione.L’Alta rappresentante si trova in queste ore a Londra per partecipare alla riunione del gruppo Weimar+ (composto da Francia, Germania, Italia, Polonia, Regno Unito e Spagna). “Dobbiamo mettere pressione sulla Russia“, ha ribadito, “affinché si sieda al tavolo e parli con l’Ucraina”. “Se non c’è un cessate il fuoco, non ci possono essere negoziati sotto il fuoco” delle bombe, ha aggiunto, accusando Mosca di “giocare” con le iniziative diplomatiche. Gli europei insistono a sostenere che, se il Cremlino non accetterà di sospendere le ostilità entro la fine della giornata, imporranno nuove sanzioni.