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    Ucraina, l’Ue promette nuove sanzioni alla Russia (ma è in ritardo sul 19esimo pacchetto). Metsola incontra Zelensky a Kiev

    Bruxelles – Scossa per l’ennesima volta da Donald Trump, l’Ue promette una nuova stretta sugli import energetici dalla Russia e cerca di coordinarsi con l’alleato transatlantico per aumentare ulteriormente la pressione sul Cremlino. Almeno a parole, Washington e Bruxelles sembrerebbero aver ritrovato una qualche unità d’intenti sul delicatissimo dossier della guerra in Ucraina. Ma dalle parole bisognerà passare ai fatti.Stando a quanto riportato da Ursula von der Leyen, lei e il tycoon avrebbero avuto una “buona conversazione” ieri sera (16 settembre), incentrata “sul rafforzamento dei nostri sforzi congiunti per aumentare la pressione economica sulla Russia” tramite un nuovo round di misure restrittive. La Commissione “presenterà presto il suo 19esimo pacchetto di sanzioni“, garantisce il capo dell’esecutivo comunitario, “che riguarderà le criptovalute, le banche e l’energia“.I had a good call with @POTUS on strengthening our joint efforts to increase economic pressure on Russia through additional measures.The Commission will soon present its 19th package of sanctions, targeting crypto, banks, and energy.Russia’s war economy, sustained by revenues…— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) September 16, 2025In particolare, nel mirino di von der Leyen e Trump sembrano finite le esportazioni di gas e petrolio della Federazione, uno dei principali introiti con cui Vladimir Putin finanzia la sua guerra. A tale scopo, dice la numero uno del Berlaymont, “la Commissione proporrà di accelerare l’eliminazione graduale delle importazioni di combustibili fossili” da Mosca.Per il momento non sono disponibili maggiori dettagli, ma le maglie da stringere sono quelle del regolamento con cui Bruxelles ha fissato alla fine del 2027 la scadenza per il phase-out completo dei prodotti energetici russi, adottato lo scorso giugno. Era stato del resto Trump a suggerire, sempre ieri, che “l’Europa dovrà smetterla di comprare petrolio dalla Russia“.L’inquilino della Casa Bianca ha anche strigliato nuovamente il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky, sostenendo che “dovrà fare un accordo” con Putin se vuole mettere fine al conflitto. I due dovrebbero incontrarsi di persona nei prossimi giorni, ai margini dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite in corso a New York.Sia come sia, il famigerato 19esimo pacchetto di sanzioni comunitarie – sul quale si lavora da quando è stato adottato il 18esimo, lo scorso luglio – sbandierato dalla stessa von der Leyen pochi giorni fa durante il suo discorso sullo stato dell’Unione, non si è ancora materializzato.Al Berlaymont minimizzano (non era mai stata fissata una data per la sua presentazione, dunque non c’è alcun ritardo, ragionano), ma i rappresentanti dei Ventisette avrebbero dovuto discutere la proposta già oggi. Secondo alcune ricostruzioni, il ritardo sarebbe da imputarsi proprio al tentativo di von der Leyen di coordinarsi con Trump in sede G7 (in parallelo all’accelerazione sul phase-out), anziché andare avanti da soli.La presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, e quello della Verchovna Rada, Ruslan Stefanchuk (foto: Vladyslav Musiienko/Parlamento europeo)Nel frattempo, oggi la presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola si è recata a Kiev per la quarta volta per portare la sua solidarietà al Paese aggredito. Il viaggio, nell’occasione dei 1300 giorni dall’inizio dell’invasione russa su larga scala, è servito anche per celebrare l’apertura di una delegazione del Parlamento europeo nella capitale ucraina, alloggiata nel medesimo edificio che ospita la delegazione dell’Ue, danneggiato da un bombardamento russo meno di un mese fa.Rivolgendosi ai deputati della Verchovna Rada, il legislativo monocamerale di Kiev, la numero uno dell’Aula di Strasburgo ha sottolineato la necessità di continuare a sostenere la resistenza contro l’aggressione e l’importanza di arrivare ad una “pace giusta e duratura” (inclusi i lavori della coalizione dei volenterosi sulle garanzie di sicurezza), così come il bisogno di alzare la pressione su Mosca.Anche l’adesione all’Ue “è di per sé una garanzia di sicurezza”, osserva Metsola. Ed esorta tanto Kiev a procedere senza indugi sulla strada delle riforme – “il ripristino dei poteri dei vostri organismi anticorruzione è stato un segnale importante”, dice riferendosi alla breve ma fulminante crisi di luglio – quanto Bruxelles a mantenere gli impegni presi, dando al più presto il via libera all’apertura del primo cluster di capitoli negoziali, quello dei cosiddetti “Fondamentali”.Il primo ministro slovacco Robert Fico (sinistra) e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Una decisione che tuttavia rimane ostaggio dei veti delle cancellerie, a partire dall’Ungheria di Viktor Orbán e dalla Slovacchia di Robert Fico. I due Stati membri, cavalli di Troia dello zar tra i Ventisette, stanno bloccando sistematicamente non solo l’avvio dei negoziati per far entrare Kiev nel club a dodici stelle ma anche l’imposizione delle sanzioni contro la Russia e l’esborso degli aiuti all’Ucraina. Budapest e Bratislava dicono di temere per la propria sicurezza energetica, essendo entrambe ancora dipendenti dagli idrocarburi russi.Ma la realtà è diversa. Lo sanno bene i cittadini slovacchi, che a decine di migliaia di cittadini sono scesi in piazza nelle ultime ore per protestare contro il marcato scivolamento del governo verso il Cremlino. Scivolamento la cui cartina da tornasole è, tra le altre cose, una stretta sempre più asfissiante sui diritti e le libertà fondamentali nel Paese mitteleuropeo, finalmente costata all’autoritario premier nazional-populista l’espulsione definitiva dai Socialisti europei.

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    Ucraina, 26 Paesi forniranno garanzie di sicurezza a Kiev. Ma tutti aspettano Trump

    Bruxelles – L’incontro della coalizione dei volenterosi tenutosi a Parigi stamane ha sancito la disponibilità di 26 Paesi a partecipare a vario titolo alle garanzie di sicurezza per l’Ucraina. Gli europei offriranno a Kiev asset terrestri, aerei e marittimi per monitorare i termini un’eventuale tregua, che però ancora non si vede all’orizzonte. I leader del Vecchio continente hanno poi sentito Donald Trump, concordando maggiore coordinazione sulle future sanzioni ai danni della Russia.Pur tra mille incertezze, inizia a diradarsi la nebbia intorno alle famigerate garanzie di sicurezza che gli alleati occidentali di Kiev dovrebbero fornire all’Ucraina una volta terminata la guerra, in corso da più di tre anni e mezzo. Nella loro ennesima riunione svoltasi stamattina (4 settembre) nella capitale transalpina, i leader della coalizione dei volenterosi hanno discusso gli elementi principali intorno ai quali dovrebbe imperniarsi il mantenimento della pace nel dopoguerra, delineati ieri dai capi di Stato maggiore.Al meeting convocato da Emmanuel Macron erano fisicamente presenti, oltre a Volodymyr Zelensky, diversi leader della coalizione di 35 membri tra cui il primo ministro polacco Donald Tusk, il presidente finlandese Alexander Stubb e la premier danese Mette Frederiksen, più il presidente del Consiglio europeo António Costa, la numero uno della Commissione Ursula von der Leyen e l’inviato speciale della Casa Bianca Steve Witkoff. Il premier britannico Keir Starmer ha co-presieduto l’incontro da remoto, mentre si sono collegati online anche Giorgia Meloni e il cancelliere tedesco Friedrich Merz.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (sinistra) e quello francese Emmanuel Macron (foto via Imgagoeconomica)Stando a quanto dichiarato dal padrone di casa, “26 Paesi si sono impegnati” a partecipare alla cosiddetta “forza di rassicurazione” per stabilizzare l’Ucraina nel post-conflitto, mettendo a disposizione asset di vario tipo per le tre componenti principali di tale operazione, “via terra, via mare o via aria“. Zelensky ha descritto come una “vittoria” la disponibilità di un numero così ampio di alleati, aggiungendo che “contiamo anche sul sostegno degli Stati Uniti“, che verrà definito in dettaglio “nei prossimi giorni”. Non è stato fornito un elenco ufficiale dei 26 Paesi suddetti.Il primo pilastro di tale forza di rassicurazione sarà dunque un contingente terrestre multinazionale che verrà schierato distante dal fronte, a differenza di quanto avviene nel peacekeeping tradizionale, dove i soldati stranieri si interpongono tra gli eserciti belligeranti lungo la linea di contatto. L’unica cosa certa è che dovranno essere gli europei a fornire le truppe, ma per ora non è chiaro né quanti militari verranno impegnati né, soprattutto, con quali regole d’ingaggio.Il secondo elemento sarà la protezione dei cieli ucraini, pattugliati dai caccia dei volenterosi. Anche in questo caso restano fumosi alcuni dettagli chiave, ad esempio se i piloti dovranno imporre una no-fly zone oppure alzarsi in volo solo per fornire supporto aereo in caso di necessità. Infine, verrà organizzata una missione navale per sminare le coste ucraine e rendere nuovamente navigabili le rotte commerciali del Mar Nero.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Il nodo più intricato da sciogliere rimane quello dell’invio di soldati sul campo. Gli europei sembrano restii ad esporsi direttamente, soprattutto finché gli Usa non specificheranno quale sarà il loro contributo. Si sa già che Washington non manderà truppe di terra: linea condivisa anche da Italia, Germania e Polonia. A fornire soldati ci dovrebbe pensare, tra gli altri, la Francia, che però è in preda ad una profonda crisi politica e potrebbe rimanere presto senza un governo.Meloni ha reiterato “la proposta di un meccanismo difensivo di sicurezza collettiva ispirato all’articolo 5 del Trattato di Washington” (la clausola di mutua difesa della Nato) e ha ribadito “l’indisponibilità dell’Italia a inviare soldati in Ucraina”. La premier ha invece segnalato apertura per “iniziative di monitoraggio e formazione al di fuori dei confini ucraini“.Sicuramente, non si stancano di ripetere i volenterosi, il nucleo di qualunque futura garanzia di sicurezza saranno le forze armate ucraine. “Dobbiamo trasformare l’Ucraina in un porcospino d’acciaio, indigesto per gli aggressori presenti e futuri”, ha ribadito in merito von der Leyen, promettendo che “l’Europa continuerà ad addestrare i soldati ucraini“.Concluso l’incontro, alcuni leader hanno sentito al telefono Donald Trump per aggiornarlo sull’esito dei colloqui. Secondo Macron, il presidente statunitense avrebbe concordato di collaborare più strettamente con gli alleati europei su future sanzioni contro la Russia e, potenzialmente, anche la Cina, puntando a colpire in particolare l’export energetico di Mosca. A sentire Zelensky, il tycoon si sarebbe anche detto “molto scontento” del fatto che Ungheria e Slovacchia stiano continuando ad acquistare combustibili fossili russi (proprio per questo Budapest e Bratislava sono da tempo in collisione diretta con Kiev).Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Nel frattempo, le iniziative diplomatiche per giungere ad una composizione della decennale crisi russo-ucraina sembrano languire su un binario morto. Dopo il faccia a faccia di ferragosto con Vladimir Putin, Trump si era mostrato fiducioso sulle possibilità di mediare un accordo in tempi brevi, da sancire tramite un bilaterale Putin-Zelensky ed eventualmente un trilaterale con lo stesso tycoon. Nelle ultime settimane, tuttavia, le prospettive di una svolta nelle trattative sono sfumate rapidamente e le posizioni dei belligeranti rimangono reciprocamente irricevibili.Lo stesso Trump, che aveva millantato in passato di poter far finire la guerra “in 24 ore”, ha recentemente ammesso che “sembra un po’ più difficile” far cessare le ostilità, mentre la Federazione continua a bombardare pesantemente l’Ucraina. L’inquilino della Casa Bianca non ha mai dato seguito alle minacce di colpire il Cremlino con “pesanti dazi” se lo zar non avesse accettato una tregua, e giusto ieri Putin ha provocato nuovamente Zelensky invitandolo a Mosca per negoziare.

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    Gli alleati di Kiev cercano la quadra sulle garanzie di sicurezza. Doccia fredda da Mosca sul bilaterale Putin-Zelensky

    Bruxelles – Sono giorni frenetici per i partner occidentali dell’Ucraina, che stanno cercando di far accelerare la macchina diplomatica per raggiungere una soluzione negoziata della guerra con la Russia, nonostante le richieste del Cremlino rimangano irricevibili per Kiev. Nell’attesa di un faccia a faccia tra Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin, gli alleati transatlantici stanno discutendo di quali garanzie di sicurezza fornire al Paese aggredito una volta cessate le ostilità.Dopo lo storico incontro alla Casa Bianca tra Donald Trump e una mezza dozzina di leader europei, incluso Volodymyr Zelensky, i responsabili politici e militari della Nato e della coalizione dei volenterosi si sono confrontati in una serie di riunioni per provare a definire la forma concreta che potrebbero prendere le famigerate garanzie di sicurezza promesse tante volte a Kiev in termini fumosi.Stando alle ricostruzioni circolate sulla stampa internazionale, nella giornata di ieri (21 agosto) i capi di Stato maggiore degli alleati transatlantici hanno presentato ai rispettivi consiglieri per la sicurezza nazionale diverse opzioni, di cui cominciano ad emergere alcuni dettagli parziali. L’unica cosa certa, a questo punto delle discussioni, è che i Paesi del Vecchio continente dovranno fare “la parte del leone“, come sottolineato ripetutamente dall’amministrazione a stelle e strisce.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)Per quanto Trump abbia espresso disponibilità a partecipare alle garanzie di sicurezza per l’Ucraina (un esito tutt’altro che scontato e dipinto dalle cancellerie del Vecchio continente come un grande successo), il tycoon ha messo in chiaro che Washington non manderà truppe, rimanendo ambiguo rispetto al tipo di supporto che gli Stati Uniti potranno fornire una volta cessate le ostilità sul campo.Ora, pare che gli europei stiano chiedendo allo zio Sam di continuare a condividere le preziose informazioni d’intelligence e, soprattutto, di garantire una qualche forma di copertura aerea. Che potrebbe declinarsi in vari modi: attraverso l’impiego diretto di piloti statunitensi, ad esempio, per facilitare eventuali operazioni di terra oppure per mettere in piedi una no-fly zone nei cieli ucraini, ma anche tramite la fornitura di ulteriori sistemi antiaerei a Kiev. Un’ulteriore ipotesi potrebbe comportare il comando Usa della missione terrestre europea.Nel solco delle discussioni che si protraggono da mesi, ad ogni modo, il nodo più delicato rimane l’invio di truppe in Ucraina. Secondo alcune stime, per proteggere un’eventuale tregua saranno necessarie svariate decine di migliaia di soldati (nell’ordine dei 30-40mila come minimo), che dovrebbero rimanere stazionati in Ucraina nel medio-lungo periodo ed essere pronti a intervenire tempestivamente in caso di necessità.Al momento attuale, tuttavia, solo la Francia sembra disposta a schierare un proprio contingente in Ucraina. Tra le altre potenze militari europee, l’Italia ha chiuso da tempo la porta a quest’opzione (a meno che non se ne parli all’interno di una cornice Onu), in Germania la discussione è accesissima (in ogni caso la Bundeswehr è tutt’altro che in buona salute), e persino il Regno Unito starebbe riconsiderando l’impiego di truppe, che pareva certo fino a poco tempo fa. La Polonia, tra i più fervidi alleati di Kiev, non intende sguarnire le sue frontiere orientali con la Bielorussia e l’exclave russa di Kaliningrad.Il presidente francese Emmanuel Macron (foto via Imagoeconomica)Di sicuro, tutti concordano nel considerare l’esercito ucraino la “prima linea” fondamentale per respingere una potenziale nuova aggressione. A questo obiettivo mirano in effetti gli aiuti militari e finanziari occidentali, e in tre anni e mezzo di guerra le forze armate di Kiev hanno aumentato sensibilmente la loro preparazione mentre l’industria bellica nazionale ha fatto progressi sostanziali, come dimostra il nuovo missile balistico Flamingo con gittata di 3mila chilometri.Ma è proprio sulla “forza di rassicurazione” internazionale che rischia di impantanarsi tutto, dal momento che il Cremlino si oppone nettamente alla presenza di truppe dell’Alleanza in Ucraina. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha dichiarato nei giorni scorsi che Mosca vuole essere consultata nella definizione delle garanzie di sicurezza per Kiev, e si è addirittura spinto a suggerire che tra i garanti della pace dovrebbero esserci i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, incluse la Cina e, appunto, la Russia.A proposito del Cremlino, in queste ore stanno circolando anche le precise richieste avanzate da Vladimir Putin durante il suo faccia a faccia con Trump ad Anchorage, in Alaska, lo scorso 15 agosto. Per porre fine alla propria aggressione, Mosca esige che Kiev ceda definitivamente la Crimea e l’intero Donbass alla Federazione (quest’ultimo, costituito dalle oblast’ di Donetsk e Luhansk, è occupato solo parzialmente dai russi), rinunci per sempre all’ingresso nella Nato, mantenga uno status di neutralità permanente e non ospiti sul proprio territorio truppe occidentali.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Difficilmente la leadership ucraina potrà accettare tutti i desiderata di Putin, che pure ha ridimensionato le sue ambizioni rispetto all’anno scorso. All’epoca voleva anche le oblast’ di Kherson e Zaporizhzhia (anch’esse parzialmente occupate e, come Donetsk e Luhansk, annesse unilateralmente con un referendum farsa nel settembre 2022). Ora, lo zar sarebbe disposto a “congelare” il fronte in queste due regioni lungo l’odierna linea di contatto e a ritirare le proprie truppe da alcune aree nei dintorni di Kharkiv, Sumy e Dnipropetrovsk.Se è prevedibile che Kiev non aderisca all’Alleanza nell’immediato futuro (stante l’opposizione di svariati membri, a partire dagli Usa), Zelensky ha detto chiaro e tondo che qualunque cessione territoriale andrà discussa al massimo livello tra lui e Putin. Da giorni si parla di un possibile bilaterale tra i leader dei Paesi belligeranti, cui dovrebbe dar seguito un trilaterale con Trump, per raggiungere un accordo di pace complessivo. Finora, i tre round di colloqui tra Russia e Ucraina non hanno portato ad alcun progresso in tal senso.Del resto, lo stesso Lavrov nelle scorse ore ha raffreddato gli entusiasmi, avvertendo che per arrivare ad un simile risultato servirà una meticolosa preparazione e reiterando i dubbi sulla legittimità del presidente ucraino, il cui mandato è scaduto nel maggio 2024 (la legge marziale in vigore nel Paese impedisce tuttavia di tenere nuove elezioni). Mosca, insomma, non ha alcuna fretta e può permettersi di prendere in giro ancora un po’ il presidente statunitense e la sua megalomania, a partire dal disattendere l’ennesimo ultimatum di due settimane fissato dal tycoon.

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    Non si placa lo scontro tra Ungheria e Ucraina sul petrolio russo

    Bruxelles – Mentre l’Europa cerca di tradurre in risultati concreti il super-summit alla Casa Bianca, l’Ungheria procede nella sua rotta di collisione con l’Ucraina. Non solo ostruendo il cammino di Kiev verso l’adesione al club a dodici stelle (sul quale lo stesso Donald Trump ha chiesto spiegazioni a Viktor Orbán), ma anche minacciando il Paese aggredito di sospendere le forniture di elettricità, come ritorsione per il bombardamento dell’oleodotto Druzhba – da cui Budapest importa il petrolio russo – ad opera degli ucraini.Non sembra destinata a finire tanto presto la pantomima tra Ungheria e Ucraina sulle forniture energetiche. L’ultimo scambio al vetriolo l’ha cominciato il ministro magiaro degli Esteri, Péter Szijjártó, scagliatosi contro il governo di Kiev per aver colpito, nelle operazioni militari contro la Russia, un paio di stazioni di pompaggio lungo l’oleodotto Druzhba, il serpente di metallo lungo 4mila chilometri che irrora l’Europa centro-orientale col petrolio di Mosca passando per Bielorussia e Ucraina.L’oleodotto Druzhba e la rete di distribuzione del petrolio (foto: Wikimedia Commons)Dal cosiddetto “oleodotto dell’amicizia” si è recentemente staccata la Cechia, ma ora Ungheria e Serbia vogliono prolungarlo per farlo arrivare nel Paese balcanico, contro i piani di Bruxelles sul phase-out dei combustibili fossili russi. Anche la Slovacchia (che ha a lungo strumentalizzato la questione della propria sicurezza energetica puntando i piedi sulle sanzioni contro il Cremlino) ha visto interrompersi l’afflusso di petrolio come conseguenza degli attacchi ucraini.“L’Ucraina ha nuovamente attaccato l’oleodotto che porta in Ungheria, interrompendo le forniture. Questo ultimo attacco alla nostra sicurezza energetica è scandaloso e inaccettabile!”, ha lamentato in un post su X il capo della diplomazia di Budapest, accusando Kiev e Bruxelles di voler “trascinare l’Ungheria in guerra“.“Questa non è la nostra guerra“, ha ribadito Szijjártó, condendo il tutto con una minaccia tutt’altro che velata: “Un promemoria per i decisori ucraini: l’elettricità proveniente dall’Ungheria svolge un ruolo fondamentale nell’alimentare il vostro Paese…”, ha aggiunto. Stando ai dati del governo ungherese, nel 2024 Kiev ha importato da Budapest circa 2,14 terawattora di elettricità, pari a circa il 40 per cento del fabbisogno totale ucraino.Peter, it is Russia, not Ukraine, who began this war and refuses to end it. Hungary has been told for years that Moscow is an unreliable partner. Despite this, Hungary has made every effort to maintain its reliance on Russia. Even after the full-scale war began. You can now send… https://t.co/yvMq8slTG0— Andrii Sybiha (@andrii_sybiha) August 18, 2025Accuse rispedite al mittente dall’omologo ucraino Andrij Sybiha: “Da anni si ripete all’Ungheria che Mosca è un partner inaffidabile”, ha risposto il titolare degli Esteri, eppure “l’Ungheria ha fatto di tutto per mantenere la sua dipendenza dalla Russia“. “Ora puoi inviare le tue lamentele – e le tue minacce – ai tuoi amici a Mosca“, ha concluso.Del resto, l’Ungheria è in cima alle cronache politiche di questi giorni anche per altri due episodi, entrambi legati a Donald Trump e al processo di pace che il tycoon sta cercando di avviare per concludere la guerra d’Ucraina. Durante l’incontro fiume svoltosi lunedì (18 agosto) alla Casa Bianca, il presidente statunitense ha alzato la cornetta per sentire Viktor Orbán, tra i suoi più fedeli sostenitori nel Vecchio continente, non prima di aver chiamato Vladimir Putin.Nello scambio con l’autoritario premier ungherese, su presunta pressione dei leader Ue presenti Trump avrebbe chiesto conto del sistematico ostruzionismo praticato da Orbán sul dossier dell’ingresso di Kiev nell’Unione. Il primo ministro magiaro giustifica la propria opposizione sulla base della sicurezza continentale, rovesciando la narrazione prevalente a Bruxelles. Se per il resto dei Ventisette integrare Kiev in Ue significa aumentare la sicurezza di tutti, per lui “l’adesione dell’Ucraina all’Ue non fornisce alcuna garanzia di sicurezza“: né per gli ucraini né per gli europei che, sostiene, si porterebbero la guerra in casa.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)In quella stessa telefonata, Orbán avrebbe proposto a Trump di ospitare a Budapest un vertice trilaterale con Putin e Volodymyr Zelensky, fortemente caldeggiato dal presidente Usa. Tuttavia, il simbolismo per l’Ucraina sarebbe infausto. Proprio lì, nel 1994, Kiev e Mosca siglarono il memorandum con cui l’ex repubblica sovietica consegnò alla Russia le proprie testate nucleari in cambio della promessa che la Federazione avrebbe rispettato la sua integrità territoriale. Vent’anni dopo – senza che Londra e Washington fornissero le garanzie di sicurezza previste dal trattato – il Cremlino annesse la Crimea e sostenne l’insurrezione dei separatisti filorussi in Donbass.Ovunque si terrà, comunque, l’incontro Trump-Putin-Zelensky dovrebbe dare seguito ad un faccia a faccia tra i leader dei due Paesi belligeranti, al quale stanno lavorando le diplomazie di mezzo mondo. Uno dei luoghi papabili per il bilaterale potrebbe essere Ginevra, in Svizzera, come suggerito da Francia e Italia. Il governo elvetico ha già annunciato che fornirebbe allo zar l’immunità dal mandato di cattura spiccato nel marzo 2023 dalla Corte penale internazionale, se decidesse di recarsi nello Stato alpino per i colloqui di pace.

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    Dal petrolio russo che l’Ue compra ancora rischi per l’accordo sui dazi con gli Usa

    Bruxelles – Commercio Unione europea-Stati Uniti, nella questione dazi ora rischia di pesare il petrolio russo. L’accordo politico annunciato dalle parti a fine luglio ancora non è entrato a regime e già tutto potrebbe essere rimesso in discussione, visto che il presidente Usa, Donald Trump, è deciso a ‘punire’ quanti acquistano energia da Mosca e dai suoi fornitori, Gazprom e Lukoil. Una decisione in tal senso è già stata presa nei confronti dell’India e adesso la ‘scure anti-Putin’ di Washington potrebbe abbattersi sull’Europa a dodici stelle e i suoi Stati membri.La linea della Casa Bianca è stata già espressa, ma è il minaccioso messaggio del senatore repubblicano Lindsey Graham a gettare ombre sull’immediato futuro. “La decisione del presidente Trump di attaccare i paesi che sostengono la macchina da guerra di Putin acquistando petrolio russo a basso costo è una svolta”, premette. Quindi l’avvertimento per l’Ue: “Ai miei amici europei che hanno aiutato l’Ucraina, dico che lo apprezzo molto. Tuttavia, né a me né ad altri sfugge che state acquistando petrolio dall’India, che l’India originariamente acquistava dalla Russia. Stiamo osservando. Tutto questo deve finire subito”.President Trump’s decision to go after countries that prop up Putin’s war machine by buying cheap Russian oil is a gamechanger. These countries are about to pay a long overdue and heavy price.To my European friends who have been helping Ukraine, it is much appreciated.…— Lindsey Graham (@LindseyGrahamSC) August 6, 2025Ue sotto osservazione, dunque. Un messaggio che si inserisce nel delicato quanto sempre più complicato accordo sui dazi rimesso subito in discussione. Trump ha già avvertito che l’Ue deve mantenere l’impegno di fare acquisti di energia dagli Usa per 750 miliardi di dollari, o le tariffe del 15 per cento verranno aumentate al 35 per cento. Il richiamo sul petrolio russo si inserisce inevitabilmente nel contesto e nelle condizioni dell’intesa raggiunta con la Commissione europea.E’ un dato di fatto che gli Stati membri dell’Ue continuino ad acquistare ancora gas e petrolio russi. In maniera minima e residuale, certo, ma comunque si garantiscono ancora introiti al Cremlino. Secondo la tabella di marcia europea il conto sarà estinto a zero non prima della fine del 2027. Un elemento noto, ma che ora l’amministrazione americana potrebbe utilizzare a proprio vantaggio per non applicare un accordo sui dazi che fatica a decollare e che produce nervosismo a Bruxelles.I dazi per le auto ancora non sono scesi dal 27,5 per cento al 15 per cento, e ancora non è chiaro se i semiconduttori saranno parte dell’accordo. “Abbiamo un accordo politico e lavoriamo per stabilizzarlo”, si limita a commentare Olof Gill, portavoce dell’esecutivo comunitario per il Commercio. Per quanto riguarda il momento in cui entreranno in vigore i termini dell’accordo e cosa riguarderanno “non possiamo dare una risposta”, ammette. “Le domanda vanno rivolte agli Stati Uniti, adesso tutto dipende da loro”. L’accordo annunciato è sempre più un grande punto interrogativo.

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    Trump promette nuovi aiuti umanitari per Gaza. E torna a minacciare Putin con un nuovo ultimatum

    Bruxelles – Dopo Ursula von der Leyen, è stato il turno del premier britannico Keir Starmer di incontrare Donald Trump durante la visita di quest’ultimo in Scozia. Una conversazione a tutto campo, dall’accordo sui dazi doganali appena stretto con l’Ue alla carneficina che Israele sta compiendo a Gaza, passando per un nuovo ultimatum a Vladimir Putin.Non ha certo lasciato a bocca asciutta i giornalisti accalcati al golf club di Turnberry, in Scozia, Donald Trump, neanche per il secondo giorno di fila. Dopo aver annunciato ieri (27 luglio) insieme a Ursula von der Leyen l’avvenuto accordo commerciale con l’Unione europea (lui l’ha definito “il più grande accordo mai fatto”, al netto dei dubbi di diverse cancellerie tra i Ventisette), oggi il presidente statunitense ha avuto un faccia a faccia col primo ministro di Sua Maestà, sir Keir Starmer.Trump ha riservato alcune lusinghe anche per l’inquilino di Downing Street, complimentandosi per il “fantastico lavoro” compiuto da quest’ultimo nell’ottenere una tariffa base ancora più bassa di quella offerta a Bruxelles (il 10 contro il 15 per cento). “Hanno voluto un accordo commerciale per anni, molti anni”, ha ricordato il tycoon riferendosi alle difficoltà dei vari gabinetti succedutisi a Londra dal 2016 nel trovare una quadra con Washington nell’era post-Brexit, nonostante la special relationship tra i due Paesi.Il primo ministro britannico Keir Starmer (foto: Lauren Hurley via Imagoeconomica)Ma soprattutto, l’inquilino della Casa Bianca ha usato parole piuttosto nette in merito a due delle questioni internazionali che più preoccupano il Regno Unito e l’Europa tutta. Anzitutto, sull’immane massacro perpetrato da Israele nella Striscia di Gaza negli ultimi 21 mesi, giustificato da Benjamin Netanyahu come una necessaria risposta agli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 ma ingiustificabile sotto il profilo del diritto internazionale (al punto da essere valso al leader dello Stato ebraico un mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale).Proprio mentre prendeva il via alla sede dell’Onu di New York la conferenza internazionale sulla Palestina co-presieduta da Francia e Arabia Saudita, tra i colli scozzesi Trump e Starmer sembravano concordare sulla necessità di fare immediatamente rispettare un cessate il fuoco e di far entrare con urgenza gli aiuti umanitari nella martoriata enclave costiera. “Dobbiamo aumentare gli aiuti umanitari“, ha notato il padrone di casa, per farsi rispondere dal suo ospite che Washington è “pronta ad aiutare” per risolvere la “terribile situazione” in cui versa Gaza, collaborando col Regno Unito (che sta già effettuando lanci aerei di generi alimentari sulla Striscia).Bambini palestinesi aspettano la distribuzione degli aiuti umanitari (foto: Bashar Taleb/Afp)“Dobbiamo nutrire i bambini“, ha continuato il tycoon, promettendo che gli Usa si impegneranno “ancora di più” e forniranno “cibo buono e sostanzioso” alla popolazione civile, deliberatamente affamata dal governo israeliano, garantendo l’istituzione di “centri di distribuzione di cibo“. La speranza è che tali operazioni non si risolvano in decine di palestinesi assassinati quotidianamente come avviene ora con la Gaza humanitarian foundation, l’ente israelo-statunitense che gestisce gli aiuti umanitari (quelli che Tel Aviv fa entrare col contagocce, scaricando sull’Onu la colpa per la loro penuria).Le immagini circolate negli scorsi giorni mostrano “gente che muore davvero di fame, non si può fingere una cosa del genere“, ammette Trump, apparentemente contraddicendo le bugie di Netanyahu per cui “non c’è fame a Gaza“. Ma senza mai riconoscere le responsabilità genocidiarie dello Stato ebraico, che rimane pur sempre l’alleato di ferro dello zio Sam nel cruciale scacchiere mediorientale. “Israele può fare molto” per far arrivare ai gazawi il cibo di cui hanno bisogno, dice il presidente, ma bisogna fare in modo “che le persone possano entrare” nella Striscia.Trump è parso insofferente anche sul tema del cessate il fuoco, sostenendo di aver fatto notare al premier israeliano che “ora forse dovrai agire in modo diverso” per “porre fine a tutto questo” e osservando che una tregua “è possibile”, se non altro per far tornare a casa la ventina di ostaggi ancora nelle mani di Hamas (detenzione bollata come “molto ingiusta” dal miliardario repubblicano).Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Quanto alla guerra d’Ucraina, il presidente statunitense si è mostrato ancora più rigido nei confronti dell’omologo russo Vladimir Putin, nei confronti del quale si è detto “molto deluso“. Tanto da ritrattare il precedente ultimatum di 50 giorni, rivolto un paio di settimane fa all’inquilino del Cremlino affinché accetti di sedersi al tavolo delle trattative: “Fisserò un nuovo termine di circa 10 o 12 giorni a partire da oggi“, ha ammonito, riservandosi di annunciarlo pubblicamente nelle prossime ore.“Non c’è motivo di aspettare“, spiega il tycoon, dal momento che “non vediamo alcun progresso” nei negoziati per porre fine alle ostilità che durano ormai da quasi tre anni e mezzo, come certificato dall’ennesimo buco nell’acqua dei colloqui di Istanbul tra le delegazioni di Kiev e Mosca. Se le armi non tacciono e non si raggiunge un accordo, minaccia, Washington comminerà “sanzioni e forse dazi secondari” contro la Federazione.

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    “Cambiamo insieme il Wto”. L’invito dell’Ue al Giappone (in senso anti-Trump)

    Bruxelles – “Possiamo cambiare le regole dell’Organizzazione mondiale per il commercio (Wto), così da rispondere alle sfide di oggi e di domani”. E’ la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, a offrire il senso politico, che poi è geo-strategico, del summit Ue-Giappone ospitato dal partner asiatico. La dichiarazione finale serve a ribadire la volontà di una maggiore cooperazione bilaterale, ma il documento è anche un manifesto dichiaratamente anti-Trump.Contro le iniziative anti-commerciali dell’attuale amministrazione degli Stati Uniti, recita il documento, “riaffermiamo l’importanza della cooperazione Ue-Giappone per sostenere il sistema commerciale multilaterale libero e basato su regole con l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc, o Wto) al suo centro“. Ed è qui che arriva la specifica di von der Leyen, che fa leva sul ruolo politico del Giappone in veste di membro dell’Accordo globale e progressivo per il partenariato transpacifico (CPTPP), l’area di libero scambio che comprende Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Peru, Singapore e Vietnam.La Bce: “Con la Cina nel Wto meno democrazia nel mondo in nome del commercio, ma l’Ue ha le sue colpe”“Insieme, l’Ue e i paesi aderenti al CPTPP possono guidare una riforma significativa dell’Organizzazione mondiale del commercio, in modo che le regole del commercio globale riflettano le sfide odierne e i rischi futuri”, insiste von der Leyen. E’ questa la chiamata alle armi per un nuovo ordine globale che sia chiaro, certo, e prevedibile, ora più  che mai.La riforma del Wto è un obiettivo strategico per l’Unione europea, fissato nell’agenda politica a dodici stelle ormai da anni, e con cui, da più tempo ancora, ragiona sempre con Tokyo. Ora è il momento di rilanciare il processo, come conferma anche il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa: “Siamo uniti nel difendere un ordine economico prevedibile e basato su regole“. E’ questo un passaggio chiave, che è un messaggio contro l’approccio dell’America di Trump, a cui l’Ue risponde con una presa di distanze. E non finisce qui, perché, spiega ancora Costa, “in un mondo di crescente incertezza, stiamo anche intensificando gli sforzi congiunti per rafforzare la sicurezza e la resilienza economica”. Da sinistra: il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, il primo ministro del Giappone, Shigeru Ishiba, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen [Tokyo, 23 luglio 2025]Ue e Giappone sono decisi ad approfondire le relazioni bilaterali già esistenti, che riguardano commercio, materie prime, e soprattutto difesa. E’ previsto per il prossimo anno il primo dialogo sulla difesa Ue-Giappone, oltre al lancio di una piattaforma industriale del settore. La base di aziende del comparto di entrambe le parti sarà dunque rilanciata, perché, questo il sentore comune, una maggiore sicurezza nippo-europea contribuisce ad una maggiore stabilità della regione dell’indo-pacifico cara al Giappone come all’Europa.“Relazioni forti e stabili trar Unione europea e Giappone sono essenziali per mantenere e rafforzare un ordine internazionale libero e aperto basato sulle regole e sullo stato di diritto”, sottolinea il primo ministro giapponese, Shigeru Ishiba. Una visione che vale soprattutto per gli aspetti economico-commerciali. “Siamo d’accordo a lavorare insieme per mantenere e rafforzare il sistema basato sulle regole”, che passa attraverso “il multilateralismo con il Wto al centro” di questo ordine. La sfida a Trump è dunque lanciata, mentre viene rilanciata l’agenda di riforma dell’organizzazione mondiale per il commercio.

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    I vertici Ue a Tokyo, Trump annuncia un accordo sui dazi con il Giappone. È la corsa ad un nuovo ordine mondiale del commercio

    Bruxelles – Meno dazi e più commercio: l’Unione europea vuole trovare in Asia alternative commerciali agli Stati Uniti, che però nel continente arrivano prima degli europei. L’Ue ha capito che occorre darsi da fare, ma gli Usa sembrano aver giocato d’anticipo. Nel momento in cui i presidenti di Commissione e Consiglio europeo, Ursula von der Leyen e Antonio Costa, mettono piede in Giappone, proprio con Tokyo la Casa Bianca annuncia l’intesa per nuove relazioni commerciali. In estrema sintesi: per i beni giapponesi dazi ‘solo’ del 15 per cento, ma opportunità di investimento giapponese negli Usa per 550 miliardi di dollari.Le mosse dell’amministrazione Trump intendono creare una concorrenza tutta nuova che va nella direzione di un senso anti-europeo, in un momento in cui l’Ue tenta la penetrazione commerciale mondiale per stessa ammissione di von der Leyen. “Stiamo ovviamente lavorando per ristabilire il nostro partenariato commerciale con gli Stati Uniti su basi più solide, ma sappiamo anche che l’87 per cento del commercio globale avviene con altri Paesi, molti dei quali alla ricerca di stabilità e opportunità”, afferma la presidente dell’esecutivo comunitario nel discorso pronunciato in occasione del conferimento della laurea honoris causa dell’università di Keio. In questa corsa l’annuncio di Trump brucia sui tempi l’Ue, con le ripercussioni del caso.Se il Giappone cede all’intesa con Trump gli europei potrebbero correre il rischio di aver già perso un potenziale alleato nella nuova idea di commercio del futuro. “Sia l’Europa che il Giappone vedono un mondo tutto intorno a sé in cui gli istinti protezionistici crescono, le debolezze vengono trasformate in armi e ogni dipendenza viene sfruttata”, ragiona a voce alta von der Leyen, convinta che “è quindi normale che due partner con idee simili si uniscano per rafforzarsi a vicenda”. Però il governo giapponese potrebbe averla smentita, con la complicità dell’azione di governo di Trump.In America latina l’Ue è arrivata tardi e male, e ora sconta la forte presenza della CinaLa Commissione europea e la sua presidente hanno certamente goduto di un vantaggio di qualche mese. Prima dell’insediamento di Trump sono state raggiunte intese commerciali con i Paesi dell’area Mercosur (Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay, Uruguay) e con il Messico, chiusi entrambi proprio in previsione di un ritorno dell’attuale presidente degli Stati Uniti alla guida del Paese. Due colpi messi a segno in quella che gli Usa storicamente e tradizionalmente considerano una propria zona di interesse, se non di influenza. Ora che Trump è saldamente al suo posto l’Ue ha perso il vantaggio iniziale, e il colpo affondato sotto il naso degli europei proprio con i vertici Ue presenti sul posto ne è la riprova.C’è molto da perdere, e von der Leyen ne è ben consapevole: “Sono convinta che il periodo in cui ci troviamo ora, e il modo in cui lo gestiamo, definirà il resto di questo secolo“, la considerazione offerta al pubblico dell’università di Keio. L’America di Trump continua a marciare e conquistare terreno, gettando le basi per questo nuovo ordine, che però non è quello che hanno in mente gli europei. Von der Leyen non si arrende, e prova a far ragionare i partner: “Non possiamo accettare di cadere nella fallacia che le cose torneranno come prima, se solo una guerra in una regione finisse, o un accordo tariffario venisse raggiunto o un’elezione andasse diversamente la prossima volta”. Peccato che Trump annunci un accordo Usa-Giappone, mentre l’Ue deve attendere.