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    Elezioni Australia, l’effetto Trump avvantaggia il premier laburista Albanese

    Bruxelles – Il ciclone Trump sembra sul punto di colpire anche l’Australia. Come appena accaduto in Canada, anche nel Paese oceanico gli elettori potrebbero finire per farsi guidare, nel segreto dell’urna, più dalle preoccupazioni relative alle “minacce” da Washington che dalle questioni domestiche. A tutto vantaggio del premier uscente, il laburista Anthony Albanese, e a discapito del leader liberale Peter Dutton, che paga la vicinanza politica al tycoon newyorkese.Il prossimo sabato (3 maggio) gli australiani saranno chiamati a rinnovare il mandato triennale del Parlamento bicamerale di Canberra, sciolto lo scorso 28 marzo. Il sistema elettorale è relativamente complesso (e il voto è obbligatorio per tutti i cittadini maggiorenni), ma quello che appare probabile è che dalle schede emergerà vincitore il Partito laburista del primo ministro dimissionario, Anthony Albanese, alla guida del governo dal 2022.In realtà, i laburisti sono passati in vantaggio nelle intenzioni di voto piuttosto recentemente, cioè dopo che Donald Trump ha iniziato a terremotare la politica mondiale. Fino a gennaio, quando si è insediato il 47esimo presidente degli Usa, era in testa la Coalizione, il polo liberale di centro-destra guidato da Peter Dutton, ma poi gli umori in Australia sono cambiati.Il leader della Coalizione liberale australiana, Peter Dutton (foto: David Gray/Afp)I liberali, storicamente più vicini agli Stati Uniti rispetto alle altre forze politiche, hanno sofferto in particolare l’imposizione dei dazi doganali da parte della Casa Bianca e l’esito delle attività del Dipartimento per l’efficienza governativa (Doge) di Washington – tramite il quale Elon Musk ha preso a picconate le agenzie federali – che erano state emulate da Dutton nel suo gabinetto ombra.Il voto di sabato, che doveva essere un giudizio sull’operato di Albanese negli ultimi tre anni (il suo governo non è stato particolarmente amato dagli elettori), è diventato così un’introspezione su chi potrà proteggere meglio l’Australia in questa fase di incertezza globale, con quasi il 70 per cento dei cittadini che, secondo le rilevazioni, ritengono Trump “un male” per il Paese oceanico. Canberra è dipendente da Washington soprattutto nella sfera economica e in quella della sicurezza.Nel complicato sistema australiano, molti sondaggi dedicano una rilevazione specifica per determinare quale partito vincerebbe se la competizione si svolgesse a due: in questo caso, la forbice tra i laburisti di Albanese e la Coalizione di Dutton varia tra i 3 e i 6 punti percentuali, con una media del 52 per cento per i primi e del 48 per cento per i secondi.Il presidente statunitense Donald Trump annuncia l’imposizione di dazi doganali sulle importazioni, il 2 aprile 2025 (foto: Brendan Smialowski/Afp)Una dinamica che richiama da vicino quella appena andata in scena in Canada, dove il premier di centro-sinistra uscente, Mark Carney, è riuscito a capovolgere una situazione difficile per il suo partito e a mantenersi in sella per un altro mandato, tutto grazie a quello che gli analisti hanno ribattezzato “effetto Trump” (sentito ancora di più ad Ottawa a causa delle sparate del tycoon sull’annessione del vicino artico).Nella Camera dei rappresentanti, il ramo basso del Parlamento australiano dove dalla prossima legislatura ci sarà un tetto massimo di 150 deputati, la soglia della maggioranza sarà fissata a 76 seggi. Se i laburisti non riuscissero ad ottenere la maggioranza assoluta, dovranno formare un esecutivo di minoranza o, più probabilmente, allearsi con partiti minori o con i deputati indipendenti e dare vita ad un governo di coalizione.

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    Yemen, il Regno Unito si unisce all’operazione Usa contro gli Houthi

    Bruxelles – L’aviazione britannica ha lanciato il suo primo attacco congiunto con gli Stati Uniti contro i ribelli Houthi in Yemen da quando Donald Trump siede alla Casa bianca.A riportarlo è stato il segretario alla difesa del Regno Unito, John Healey, che ha fornito questa mattina (30 aprile) informazioni dettagliate sul motivo del raid: “Questa azione è stata intrapresa in risposta alla minaccia persistente degli Houthi alla libertà di navigazione. La riduzione del 55 per cento del commercio attraverso il Mar Rosso è già costata miliardi, alimentando l’instabilità della regione e mettendo a rischio la sicurezza economica delle famiglie nel Regno Unito”.Secondo le fonti sarebbero stati lanciati diversi raid contro la capitale Sanaa, in mano agli Houthi dal 2014, mentre altri attacchi hanno colpito l’area attorno Saada. Healey ha descritto l’obiettivo dell’operazione come: “Un raggruppamento di edifici utilizzato dagli Houthi per costruire droni, della tipologia impiegata per attaccare le navi nel Golfo di Aden, situato a 25 km a sud di Sanaa”. Per l’operazione sono stati utilizzati Jet Typhoon FGR4s della Royal air force, che hanno sganciato bombe teleguidate sugli obiettivi. Quanto ai danni causati o alla presenza di eventuali vittime, il Regno Unito non ha fornito alcun dettaglio, mentre il Comando centrale statunitense non ha ancora ufficialmente riconosciuto l’attacco. “Il raid è stato condotto dopo il tramonto, quando la possibilità che civili si trovassero nell’area era ridotta ulteriormente” ha fatto sapere il Ministero della difesa britannico.Il Regno Unito ha già preso parte a operazioni congiunte con gli Stati Uniti in Yemen sotto l’amministrazione di Joe Biden, che ha lanciato la campagna contro i filo-iraniani Houthi nel gennaio 2024. Tuttavia, questa nuova operazione costituisce il primo coinvolgimento nella campagna condotta da Trump. Dallo scorso 15 marzo la sua amministrazione ha lanciato oltre 800 attacchi in Yemen, in particolar modo colpendo questo lunedì (28 aprile), come riportano i media yemeniti, un centro di detenzione per migranti a Saada, causando la morte di 68 persone, principalmente civili africani. Il 18 aprile un raid contro il porto di Ras Isa ha invece ucciso 74 persone, ferendone 171. Gli Stati Uniti, che hanno mantenuto una politica tutt’altro che trasparente nei confronti delle loro operazioni nell’area, hanno intensificato gli scontri contro gli Houthi in un’ottica di sostegno a Israele e soprattutto di contrasto all’Iran. Dopo la caduta di Hezbollah ,di Assad e della leadership di Hamas, gli Houthi restano gli ultimi alleati di Teheran nella regione.La decisione dei britannici di unirsi agli americani proprio in questo momento potrebbe essere legata alle iniziative di negoziato che Trump intende intraprendere con l’Iran, visti i rapidi progressi che la Repubblica Islamica ha raggiunto nel suo programma nucleare.

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    I liberali di Mark Carney hanno vinto le elezioni in Canada, anche contro Trump

    Bruxelles – Il ciclone Donald Trump si fa sentire anche in Canada. Alle elezioni federali anticipate ha vinto, contro i pronostici di qualche mese fa, il Partito liberale del primo ministro Mark Carney. Sono state soprattutto le sparate del presidente statunitense, che da mesi fantastica sull’annessione del vicino settentrionale come 51esimo Stato dell’Unione, a pesare sul voto canadese trasformandolo di fatto in una prova di unità nazionale di fronte al voltafaccia di Washington.Le urne si sono chiuse alle 22 di ieri sera (28 aprile), ora locale, ma il conteggio è ancora in corso. I risultati preliminari hanno assegnato la vittoria ai liberali di centro-sinistra dell’attuale premier Mark Carney col 43,5 per cento, contro il 41,4 per cento dei conservatori guidati da Pierre Poilievre.Dei 343 deputati della Camera dei comuni, il ramo basso del legislativo federale, almeno 168 andranno così al Partito liberale, mentre i conservatori dovrebbero fermarsi a quota 144. Dato che la soglia per la maggioranza in Aula è fissata a 172 seggi, Carney potrebbe guidare un esecutivo di minoranza oppure cercare di mettere in piedi un governo di coalizione. Sia come sia, il premier ha ottenuto la sua investitura popolare in seguito alla successione a Justin Trudeau lo scorso marzo, ritiratosi dalla scena pubblica dopo 12 anni al timone del partito.Mark Carney viene scelto per succedere a Justin Trudeau come leader del Partito liberale e premier canadese, il 9 marzo 2025 (foto via Imagoeconomica)Rispetto alla consultazione del 2021, i liberali hanno aumentato i propri consensi del 10,8 per cento e gli avversari conservatori del 7,8 per cento, mentre tutti gli altri partiti hanno perso sostegno: meno 1,1 per cento sia per i Verdi sia per il Bloc Québécois, meno 4,2 per cento per il Partito popolare e meno 11,7 per cento per il Nuovo partito democratico.E pensare che, fino a qualche mese fa, alle elezioni anticipate (la scadenza naturale della legislatura sarebbe stata il prossimo ottobre) il favorito era proprio Poilievre, dopo nove anni in cui la guida del Paese era rimasta in mano ai liberal-democratici. Ma per il leader conservatore è stata fatale la vicinanza politica a Donald Trump. Il voto di ieri si è di fatto trasformato in una questione di unità e sicurezza nazionale, e contemporaneamente in un referendum sull’inquilino della Casa Bianca.Il quale da mesi insiste sul potenziale ingresso del Canada negli Stati Uniti come 51esimo membro dell’Unione, ha colpito Ottawa con pesanti dazi commerciali e si è spinto fino a compiere, ieri, un’interferenza elettorale in piena regola, suggerendo agli elettori di votare per Poilievre. Una vittoria di quest’ultimo, ha scritto sul suo social Truth il tycoon newyorkese, avrebbe portato prosperità economica e sicurezza al “Grande popolo del Canada”.Un’ingerenza che non è andata giù nemmeno allo stesso Poilievre, che ha dovuto rivolgersi al suo (ex?) alleato chiedendogli di “starsene fuori” dai processi democratici di una nazione sovrana. “Le uniche persone che decideranno il futuro del Canada sono i canadesi alle urne“, ha scritto il leader conservatore su X, ribadendo che “il Canada sarà sempre orgoglioso, sovrano e indipendente e non sarà MAI il 51esimo Stato“. “Oggi i canadesi possono votare per il cambiamento, in modo da rafforzare il nostro Paese, stare in piedi da soli e affrontare l’America da una posizione di forza“, ha aggiunto.Carney ha proclamato la vittoria all’alba di oggi, dichiarando che Ottawa non si piegherà “mai” al neo-imperialismo che è una cifra fin troppo chiara del trumpismo e promettendo di “rappresentare tutti coloro che chiamano il Canada casa“. “Il presidente Trump sta cercando di spezzarci per far sì che l’America possa possederci”, ha affermato, per poi promettere che “questo non accadrà mai e poi mai“.Si tratta di uno spartiacque storico nella politica canadese, che tradizionalmente ha sempre guardato agli States come ad un solido alleato (entrambi i Paesi fanno parte del G7 e della Nato insieme ai partner europei). “Abbiamo superato lo shock del tradimento americano, ma non dobbiamo mai dimenticare la lezione”, ha osservato Carney, ammonendo che ora “dobbiamo guardarci le spalle, e soprattutto dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri”. Il primo ministro si è impegnato a ridurre la dipendenza dell’economia nazionale da Washington, approfondendo al contempo i legami con gli alleati più “affidabili”. In una mossa insolita, ha condotto il suo primo viaggio all’estero da premier in Europa, incontrando funzionari francesi e britannici.Il leader del Partito conservatore canadese, Pierre Poilievre (foto: Peter Power/Afp)Parallelamente, Poilievre ha riconosciuto la sconfitta. Il leader conservatore rischia addirittura di non rientrare in Parlamento, essendo rimasto indietro nella sfida uninominale nel suo collegio in Ontario. “Metteremo sempre il Canada al primo posto, mentre ci troviamo di fronte ai dazi e alle altre minacce irresponsabili del presidente Trump“, ha dichiarato prendendo le distanze dalle posizioni indifendibili del tycoon. Ha promesso di lavorare con Carney per il bene del Paese, pur osservando che il premier dovrà ora guidare un “governo di minoranza sottile come un rasoio”.Dall’altro lato dell’Atlantico, la vittoria dei liberali è stata accolta positivamente. Il capo dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, ha sottolineato che “il legame tra Europa e Canada è forte e si sta rafforzando” anticipando di voler collaborare per difendere “i nostri valori democratici condivisi”, promuovere “il multilateralismo” e sostenere “un commercio libero ed equo”. Anche il presidente del Consiglio europeo, António Costa, ha voluto ribadire che Ue e Canada sono “alleati e forti partner commerciali” e che, soprattutto, condividono “gli stessi valori” tra cui l’attaccamento “alla Carta delle Nazioni Unite e all’ordine internazionale basato sulle regole“.

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    Putin ha proposto un cessate il fuoco temporaneo in Ucraina

    Bruxelles – Sembra continuare a crescere la pressione internazionale per porre fine alla guerra in Ucraina. Qualche ora fa, Vladimir Putin ha proposto una tregua di tre giorni a inizio maggio, rispondendo indirettamente alle recenti esortazioni di Donald Trump, spazientito per lo stallo nei negoziati. Mosca e Kiev potrebbero avviare presto dei colloqui diretti, riprendendo un canale diplomatico interrotto da tre anni. Ma ci sono ancora molte incognite, sia sul campo di combattimento sia sui tavoli delle trattative, e i prossimi giorni si annunciano intensi dal punto di vista diplomatico.L’annuncio di PutinNel primissimo pomeriggio di oggi (28 aprile), il Cremlino ha annunciato di voler sospendere i combattimenti tra l’8 e l’11 maggio per “motivi umanitari”, ritenendo che anche Kiev “debba seguire questo esempio”. Il cessate il fuoco entrerebbe in vigore in concomitanza con le celebrazioni dell’80esimo anniversario della vittoria dell’Armata rossa contro i nazifascisti nella Seconda guerra mondiale (chiamata Grande guerra patriottica in Russia).Il 9 maggio, il cosiddetto “giorno della Vittoria“, si terrà nella Piazza Rossa a Mosca una grande cerimonia alla quale parteciperanno una ventina di ospiti di alto livello – tra cui il leader cinese Xi Jinping, il dittatore bielorusso Alexandr Lukashenko e addirittura il premier slovacco Robert Fico – ed è comprensibile che Vladimir Putin voglia tenere tutti al sicuro da potenziali attacchi dei droni ucraini, dimostratisi particolarmente efficaci.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)“In caso di violazione del cessate il fuoco da parte ucraina, le forze armate della Federazione Russa forniranno una risposta adeguata ed efficace”, recita il comunicato del Cremlino diffuso su Telegram. Lì si aggiunge anche che Mosca “dichiara ancora una volta la sua disponibilità a negoziati di pace senza precondizioni, volti a eliminare le cause alla radice della crisi ucraina, e a un’interazione costruttiva con i partner internazionali”.Le reazioni di Kiev e WashingtonLa proposta russa per una tregua temporanea è stata accolta con freddezza a Kiev. Il titolare degli Esteri ucraino, Andrij Sybiha, ha fatto notare che “se la Russia vuole veramente la pace, deve cessare il fuoco immediatamente” e per almeno 30 giorni, dimostrando che si tratta di un impegno “reale, non solo per una parata”. Del resto, i soldati di Mosca hanno recentemente violato la pausa di 30 ore proposta dallo stesso Putin in occasione della Pasqua.Dall’altro lato dell’Atlantico, a Washington, si insiste sulla necessità di un cessate il fuoco permanente. La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha ribadito che Donald Trump “rimane ottimista sulla possibilità di trovare un accordo” e che “vuole essere un presidente pacificatore”. Ma ha anche sottolineato che il tycoon sarebbe “sempre più frustrato coi leader di entrambi i Paesi“, i quali dovrebbero muoversi per “negoziare la loro via d’uscita” dal conflitto.If Russia truly wants peace, it must cease fire immediately.Why wait until May 8th? If the fire can be ceased now and since any date for 30 days—so it is real, not just for a parade.Ukraine is ready to support a lasting, durable, and full ceasefire. And this is what we are…— Andrii Sybiha (@andrii_sybiha) April 28, 2025Al rientro negli States dopo la trasferta in Vaticano, dove ha avuto un breve colloquio con Volodymyr Zelensky in occasione dei funerali di papa Francesco lo scorso 26 aprile, Trump aveva esortato il presidente russo a far tacere le armi e sedersi al tavolo delle trattative. “Non aveva motivo di sparare missili in aree civili e città negli ultimi giorni”, ha scritto sul suo social Truth, aggiungendo che l’atteggiamento di Putin “mi fa pensare che forse non vuole fermare la guerra, che mi sta prendendo in giro e che deve essere trattato in modo diverso”, ad esempio ricorrendo a nuove sanzioni.“Voglio che smetta di sparare, si sieda e firmi un accordo“, ha concluso. Solo poche ore prima, Trump aveva sostenuto che i due belligeranti sarebbero stati “molto vicini ad un accordo, e le due parti dovrebbero ora incontrarsi a livelli molto alti per ‘farla finita’” dal momento che “c’è un accordo sulla maggior parte dei punti principali“.Il nodo dei territori occupatiIn realtà, su almeno un punto fondamentale si registra ancora profondo disaccordo tra Mosca e Kiev. Nelle scorse ore, il capo della diplomazia del Cremlino, Sergei Lavrov, ha ripetuto che il riconoscimento internazionale delle rivendicazioni territoriali della Russia – che riguardano la Crimea e le porzioni occupate delle oblast’ di Luhansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Cherson – sarà “imperativo” in qualunque negoziato di pace. All’indomani dell’incontro con Zelensky, il presidente Usa si era detto convinto che Kiev cederà a Mosca la Crimea, che la Federazione occupa dal 2014.Il presidente statunitense Donald Trump (sinistra) incontra il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky nella basilica di San Pietro, in Vaticano, il 26 aprile 2025 (foto via Imagoeconomica)Tuttavia, per l’Ucraina il riconoscimento formale delle regioni occupate è una linea rossa, non solo politicamente ma anche giuridicamente: a tale scopo andrebbe modificata la Costituzione e organizzato un referendum popolare, che avrebbe scarse possibilità di successo. Secondo gli osservatori, Kiev potrà al massimo avallare un riconoscimento de facto dell’occupazione, ma solo temporaneamente (nella speranza di poterla riconquistare in futuro, militarmente o diplomaticamente) e senza accettare de jure la sovranità di Mosca.Lo stesso discorso si applica, almeno in linea di principio, anche alle altre regioni ucraine parzialmente occupate dall’esercito russo. Soprattutto, gli ucraini insistono sul fatto che qualunque discussione relativa a eventuali cessioni territoriali dev’essere avviata solo dopo che un cessate il fuoco “completo e incondizionato” sia entrato in vigore per sospendere i combattimenti terrestri, aerei e marittimi.Quale pace per l’Ucraina?Si tratterebbe, almeno stando alle indiscrezioni giornalistiche, di uno degli elementi centrali nella controproposta di Kiev per mitigare alcuni aspetti del controverso piano di pace elaborato dall’amministrazione a stelle e strisce, giudicato troppo sbilanciato a favore della Russia, di cui Zelensky avrebbe brevemente discusso con Trump a San Pietro.Tra le principali richieste ucraine c’è la rimozione di qualunque clausola che limiti le dimensioni delle forze armate nazionali e, contemporaneamente, l’ammissione nel Paese di un contingente militare europeo (quella “forza di rassicurazione” che Emmanuel Macron e Keir Starmer stanno cercando di assemblare tramite la coalizione dei volenterosi) per garantire la sicurezza. Il presidente statunitense parrebbe aperto a considerare la fornitura di supporto logistico e, soprattutto, di condividere l’intelligence con tale contingente europeo, come chiedono da tempo Parigi, Londra e Kiev.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto: Ole Berg-Rusten/Afp)Prossimo alla firma sembra invece (forse, stavolta, sul serio) il famigerato accordo sulle materie prime critiche ucraine, rimbalzato per mesi tra Washington e Kiev. Il primo ministro ucraino Denys Shmyhal ha confermato che “il documento non considera l’assistenza fornita prima della sua stessa stipula“, come invece avrebbe preteso Trump (che chiedeva a Zelensky un risarcimento da 500 miliardi di dollari per gli aiuti inviati dal suo predecessore Joe Biden), e ha specificato che le clausole del contratto non violeranno gli obblighi che il Paese dovrà rispettare in termini di libera concorrenza con le aziende europee nell’ottica dell’adesione all’Ue.Nelle parole del segretario di Stato di Washington, Marco Rubio, quella appena iniziata sarà una “settimana decisiva” per i negoziati sul conflitto. La Casa Bianca, dice, nei prossimi giorni valuterà “se entrambe le parti vogliono davvero la pace”. “Ci sono ragioni per essere ottimisti, ma anche per essere realisti“, ha aggiunto il capo della diplomazia a stelle e strisce, osservando che “siamo vicini (ad un accordo, ndr) ma non abbastanza”. La scorsa settimana, per la prima volta da tre anni a questa parte, Putin ha aperto alla possibilità di colloqui diretti con la leadership ucraina per raggiungere un’intesa negoziale.Staremo a vedere. Di sicuro c’è che, se è vero che la piccola porzione dell’oblast’ russa di Kursk conquistata dagli ucraini la scorsa estate è effettivamente stata liberata, Putin potrà sedersi al tavolo dei negoziati da una posizione ancora più forte. Proprio stamattina, peraltro, Mosca e Pyongyang hanno ufficialmente confermato che alla controffensiva russa hanno partecipato anche soldati nordcoreani, dei quali lo Stato maggiore della Federazione ha pubblicamente elogiato “l’eroismo”.

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    La “mediazione” di Trump in Ucraina non avanza: premia Mosca e penalizza Kiev

    Bruxelles – Tira una brutta aria per l’Ucraina. Negli ultimi giorni, il processo negoziale è parso muoversi lungo due binari paralleli, nettamente separati. Da un lato gli Stati Uniti che dialogano apertamente con la Russia. Dall’altro, l’Ucraina e i suoi alleati europei, che mantengono posizioni più intransigenti ma faticano a trovare un punto di caduta definitivo.Dopo il sostanziale stallo nelle trattative seguito al buco nell’acqua dei colloqui di Riad, Donald Trump ha ora impresso l’ennesima accelerazione ai negoziati tra Russia e Ucraina. L’impressione, tuttavia, è che l’ex repubblica sovietica sia stata messa con le spalle al muro da quello che dovrebbe essere il suo più potente alleato ma che, invece, appare decisamente intenzionato a chiudere la questione il più rapidamente possibile. Anche se questo significa di fatto darla vinta a Mosca.Gioco di sponda tra Mosca e WashingtonQuando, la scorsa settimana, l’inviato speciale della Casa Bianca Steve Witkoff è volato in Russia per incontrare Vladimir Putin, avrebbe ottenuto dall’inquilino del Cremlino l’impegno a fermare l’avanzata delle sue truppe, congelando di fatto la linea del fronte. Nello specifico, il presidente russo si sarebbe offerto di “cedere” a Kiev le aree ancora sotto il controllo ucraino nelle quattro oblast’ parzialmente occupate (Luhansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson), rinunciando a completarne la conquista militare. Rinunciando, cioè, a dei territori di cui non dispone e per ottenere i quali non sono bastati tre anni di guerra.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Un’offerta che, a quanto pare, è stata giudicata soddisfacente dall’amministrazione a stelle e strisce. Da giorni, tanto il presidente quanto il suo numero due, JD Vance, minacciano di ritirare Washington dalla mediazione se i due belligeranti non raggiungeranno rapidamente un accordo. “Abbiamo fatto una proposta molto esplicita sia ai russi sia agli ucraini“, ha ribadito ieri (23 aprile) il vicepresidente, “ed è ora che ci dicano ‘sì’ oppure gli Stati Uniti abbandoneranno questo processo”.Proprio l’altro ieri, Putin si è dichiarato disponibile ad intavolare dei negoziati diretti con la controparte, un cambio di tono rispetto alle posizioni rigide mantenute fin qui che ha fatto eco ad un’analoga apertura da parte del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Non è chiaro, tuttavia, se o quando i due leader potranno incontrarsi di persona.Il piano Trump (che non piace a Kiev)Ma la proposta cui si riferisce Vance è piuttosto problematica, per usare un eufemismo. Tanto che la leadership ucraina nega di averne ricevuto notifica formale dalla Casa Bianca. Zelensky ha liquidato le indiscrezioni giornalistiche circolate nelle ultime ore come “segnali, idee, discussioni“, ma nulla di ufficiale. Un modo diplomatico per prendere tempo senza scatenare un’altra scomposta reazione del suo irascibile omologo statunitense, si direbbe. La realtà è che ci sono diversi punti del “piano Trump” che sono semplicemente irricevibili per Kiev.La stringata “offerta finale” del tycoon newyorkese prevede anzitutto il riconoscimento de jure della penisola di Crimea come parte della Federazione Russa, 11 anni dopo l’annessione unilaterale del febbraio 2014. Un secondo elemento è il riconoscimento de facto del controllo di Mosca sulla quasi totalità del Luhansk e sulle porzioni occupate delle altre tre regioni menzionate prima, che la Russia considera proprio territorio dopo il referendum farsa del settembre 2022. C’è poi la promessa che Kiev non aderirà mai alla Nato, mentre rimarrebbe aperta la porta all’ingresso nell’Unione europea.La bozza, che sembra decisamente sbilanciata a favore della Russia, menziona inoltre la rimozione di tutte le misure restrittive imposte contro il Cremlino dal 2014, anche se parrebbero esserci dei mal di pancia all’interno dell’amministrazione Usa rispetto a questo punto. Punto che rimane politicamente controverso e che presenta delle complessità legali non indifferenti, ad esempio quelle legate al fatto che molte sanzioni non sono state comminate unilateralmente da Washington ma a livello di G7.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)Le concessioni che otterrebbe l’Ucraina sono invece più limitate. A Kiev verrebbe assicurata una “robusta garanzia di sicurezza” da parte degli europei e di altri Paesi, anche se il documento rimane vago sull’entità e le regole di ingaggio di tale contingente. Il riferimento più naturale sarebbe alla cosiddetta “forza di rassicurazione” che Parigi e Londra stanno cercando di assemblare con la coalizione dei volenterosi, ma l’unica cosa certa per ora è che non ci sarà il coinvolgimento di truppe statunitensi.Trump sembra intenzionato a prendersi in carico la gestione della centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa attualmente occupata dai russi, e a vendere l’elettricità prodotta dall’impianto sia a Kiev sia a Mosca. Il testo menziona poi il famigerato accordo sulle materie prime critiche ucraine, che ancora non è stato finalizzato, e propone infine di consentire la libera navigazione lungo il fiume Dnipro, che attualmente segna una parte del fronte tra i due eserciti.Reazioni e controreazioniDi sicuro c’è anche che Zelensky non ha gradito il piano di Trump. Soprattutto il passaggio sulla penisola del Mar Nero, considerata da Kiev una linea rossa invalicabile: “L’Ucraina non riconoscerà l’occupazione della Crimea“, ha ribadito il presidente per l’ennesima volta, spiegando che “è il nostro territorio, il territorio del popolo d’Ucraina, non c’è nulla da discutere“. Accoglienza fredda anche per quanto riguarda l’allentamento del regime sanzionatorio contro Mosca.Una risposta, quella dell’omologo ucraino, che ha irritato l’inquilino della Casa Bianca. In un post condiviso ieri sul suo social Truth, quest’ultimo ha bollato come “molto dannosa” la posizione di Kiev sulla Crimea poiché, dice, la penisola “è stata persa anni fa” quando fu “consegnata” ai russi dal suo predecessore Barack Obama. “Sono le dichiarazioni incendiarie come quelle di Zelensky che rendono così difficile risolvere questa guerra“, ha continuato il tycoon, aggiungendo che la scelta di fronte a Kiev è ora quella tra “avere la pace” e “combattere per altri tre anni prima di perdere l’intero Paese”.“Siamo molto vicini ad un accordo“, ha concluso, “ma l’uomo che non ha carte da giocare dovrebbe finalmente darsi una mossa“, riprendendo le sue stesse parole denigratorie usate contro Zelensky durante il litigio nello Studio ovale di fine febbraio. Le conseguenze sono riverberate anche nella sfera diplomatica. Nella mattinata di ieri, i colloqui previsti a Londra tra i ministri degli Esteri di Stati Uniti, Ucraina, Regno Unito, Francia e Germania sono saltati dopo che il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, e Witkoff hanno annullato all’ultimo la propria partecipazione. Una consultazione è comunque avvenuta, ma ad un livello più basso e “tecnico”.Binari separati?Nel Vecchio continente l’attivismo della Casa Bianca non è accolto positivamente. In un’ulteriore rappresentazione plastica della distanza siderale tra le due sponde dell’Atlantico, l’Eliseo ha risposto al “piano Trump” ribadendo che qualunque soluzione negoziale della crisi russo-ucraina non può prescindere dalla salvaguardia dell’integrità territoriale dell’ex repubblica sovietica, chiudendo di fatto la porta alle ipotesi di riconoscimento della Crimea o di altre regioni come parte della Federazione.Una posizione, quella di Parigi, condivisa anche dall’esecutivo comunitario. “L’Ue non riconoscerà mai la Crimea come russa“, ha dichiarato il capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas, che ha denunciato il recente attacco aereo di Mosca su Kiev come “una presa in giro” degli sforzi per raggiungere la pace. Dal Berlaymont si ribadisce che “l’Ucraina è l’unica che può decidere sulle condizioni per la pace” e che “è cruciale” difenderne “l’indipendenza, l’integrità territoriale e la sovranità”.Quanto al capitolo sanzioni, i Ventisette non intendono allentare le proprie e anzi sono al lavoro su un 17esimo pacchetto di misure restrittive, mentre a inizio maggio dovrebbe arrivare un’ulteriore stretta sulla stipula di nuovi contratti energetici con la Russia nei confronti delle aziende europee. Ma il vero problema è che l’Ue non sta toccando palla nella partita diplomatica per tentare di mettere fine alle ostilità nell’ex repubblica sovietica, bloccata dalle posizioni divergenti degli Stati membri. Da Bruxelles continuano a giungere molte dichiarazioni e qualche stanziamento finanziario, ma poco altro.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: European Council)Del resto, la riprova che i binari politici e strategici su cui si muovono Ue e Usa si sono ormai completamente separati arriva anche dalla notizia che Witkoff è nuovamente in viaggio verso Mosca, per parlare con Putin domani (25 aprile) per la quarta volta in tre mesi. L’inviato speciale di Trump ha dichiarato candidamente che sta sviluppando “un’amicizia” col presidente russo ed è tra i principali fautori della normalizzazione economica e diplomatica tra i due Paesi.Nel frattempo, proprio in queste ore il segretario generale della Nato Mark Rutte è a Washington, dove sta incontrando Rubio, il capo del Pentagono Pete Hegseth e il consigliere della Casa Bianca per la Sicurezza nazionale Michael Waltz. Non sono invece previsti in agenda, per il momento, incontri tra la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il presidente Trump, che saranno entrambi a Roma il prossimo sabato (26 aprile) per i funerali di papa Francesco insieme alle delegazioni di quasi tutti i Paesi del mondo.

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    Se le materie prime critiche ucraine servono di più all’Ue che agli Usa

    Bruxelles – Da mesi si parla di un fantomatico accordo sulle “terre rare” ucraine, che Donald Trump vorrebbe concludere come risarcimento per il sostegno di Washington a Kiev (passato e futuro) e che, dice, il suo omologo Volodymyr Zelensky dovrebbe accogliere come la miglior garanzia di sicurezza per il proprio Paese. Ma di cosa si tratta realmente, e a chi converrebbe realmente mettere le mani sulle ricchezze del sottosuolo dell’ex repubblica sovietica?Lo scorso giovedì (17 aprile), la ministra dell’Economia ucraina Julija Svyrydenko ha annunciato la firma di un memorandum d’intesa con il segretario al Tesoro Usa Scott Bessent che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe costituire un primo “passo verso un accordo di partenariato economico congiunto” più ampio. “È importante riaffermare con i nostri accordi il desiderio del popolo americano di investire insieme al popolo ucraino in un’Ucraina libera, sovrana e sicura”, ha dichiarato, sottolineando che il testo finale del documento dovrà essere approvato sia dal Parlamento di Kiev sia dal Congresso statunitense.We are happy to announce the signing, with our American partners, of a Memorandum of Intent, which paves the way for an Economic Partnership Agreement and the establishment of the Investment Fund for the Reconstruction of Ukraine. pic.twitter.com/AQsHPkWh5X— Yulia Svyrydenko (@Svyrydenko_Y) April 17, 2025Il condizionale rimane d’obbligo, dopo l’agguato teso a Volodymyr Zelensky da Donald Trump e il suo vice, JD Vance, nello Studio ovale a fine febbraio. L’inquilino della Casa Bianca interpreta l’accordo sui minerali ucraini come un risarcimento dovuto al proprio Paese da parte dell’ex repubblica sovietica a fronte dei generosi aiuti – finanziari e militari – elargiti in oltre tre anni di guerra.Kiev e Washington stanno lavorando da mesi per trovare la quadra sui termini dell’intesa, dopo la bocciatura da parte della leadership ucraina di diverse versioni ritenute esageratamente onerose (tanto che alcuni osservatori le hanno definite addirittura “coloniali”). Ora, non è chiaro cosa sia contenuto precisamente nel memorandum, ma si sa da tempo che tra i punti cardine dell’accordo dovrebbe esserci l’istituzione di un fondo d’investimento ad hoc con “proprietà congiunta” tra i due Paesi.L’Ucraina dovrebbe contribuirci col 50 per cento dei proventi derivanti dalla commercializzazione delle risorse minerarie nazionali, e con quei soldi andrebbero finanziati progetti di ricostruzione i quali, è lecito immaginare, prevederanno una sorta di “prelazione” per le aziende a stelle e strisce. L’accesso privilegiato alle ricchezze del sottosuolo ucraino (incluso il petrolio e il gas naturale) assicurato agli Usa costituirebbe inoltre, sostiene Trump, un elemento cruciale delle famigerate garanzie di sicurezza chieste da Kiev per assicurare la sostenibilità di qualunque tregua o pace stipulata con Mosca.Il presidente statunitense Donald Trump (destra) accoglie nello Studio ovale il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Tuttavia, i dettagli tecnici del patto non sono l’unica cosa fumosa. È poco chiaro anche quale sia la reale entità delle risorse ucraine al centro delle trattative, nonché il loro valore commerciale e strategico. La dicitura “terre rare” include 17 minerali ferrosi come l’ittrio, il lantanio, il lutezio e lo scandio. Ma sarebbe più corretto, nel caso dell’accordo Ucraina-Usa, parlare di materie prime critiche, una gamma più ampia di elementi indispensabili ai settori strategici al centro della competizione globale – che si basa sulle batterie per la transizione verde, sul nucleare, sull’industria aerospaziale e della difesa, giusto per citarne alcuni – tra cui si annoverano anche berillio, grafite, litio, titanio e uranio.Il punto è che, come sostengono diversi analisti, l’Ucraina non è così ricca di tali risorse, o quantomeno non particolarmente più ricca di altri Paesi in altre regioni del mondo. Di sicuro, inoltre, non si tratta di risorse sfruttabili nel breve-medio termine: al netto del fatto che la guerra è ancora in corso (e che molti giacimenti si trovano vicini al fronte o addirittura sotto occupazione russa), per individuare ed estrarre i minerali in questione si impiega in media una dozzina d’anni.Nell’ex repubblicano sovietica ci sarebbero importanti depositi di uranio, che però rappresentano solo il 2 per cento delle risorse recuperabili a livello globale (contro il 28 per cento dell’Australia, il 13 per cento del Kazakistan o il 10 per cento del Canada). Si contano poi circa l’1 per cento delle riserve mondiali di titanio e di grafite, ma non sono stati condotti studi approfonditi in epoca recente sulla redditività di una potenziale estrazione, ad esempio, di litio e altre terre rare (la cui presenza è documentata sin dai tempi dell’Urss).Peraltro, l’unica potenza globale per cui risulterebbe effettivamente conveniente sfruttare le riserve ucraine è l’Unione europea, sia per la vicinanza geografica (che accorcia le catene di approvvigionamento) sia per la sostanziale carenza di tali materie prime nel sottosuolo dei Ventisette, cui è molto più complesso sopperire dopo lo smantellamento degli imperi coloniali.Da sinistra: Antonio Costa, Volodymyr Zelensky e Ursula von der Leyen (foto: European Council)Del resto, l’Ue ha in piedi un memorandum d’intesa con l’Ucraina dal 2021, in cui i materiali critici giocano un ruolo primario. E può mettere sul tavolo la prospettiva dell’adesione di Kiev al club a dodici stelle, anche se la Commissione ha messo in guardia rispetto ad eventuali violazioni delle norme comunitarie sulla libera concorrenza nel caso in cui l’accordo con lo zio Sam favorisca sproporzionatamente le imprese statunitensi a scapito di quelle europee.A maggior ragione dato l’approccio di Trump al commercio globale, a Bruxelles farebbe molto più comodo mettere le mani sul tesoretto di Kiev di quanto non servirebbe a Washington, che ha già in casa una quantità non indifferente di risorse minerarie (e di idrocarburi). Semmai, osservano gli esperti, quello che le terre rare forniscono agli Stati Uniti è una giustificazione accettabile – soprattutto nell’ottica della competizione sistemica con la Cina – per la prosecuzione di un impegno militare nel Vecchio continente. Impegno che cozza pesantemente con la politica estera isolazionista sbandierata dal tycoon in campagna elettorale con l’agenda America first.

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    Putin ha aperto a colloqui di pace diretti con l’Ucraina

    Bruxelles – Per la prima volta in oltre tre anni, Vladimir Putin ha segnalato la volontà di intavolare colloqui diretti con Kiev per raggiungere una tregua. Per il momento, tuttavia, in pochi credono alla buona fede dell’inquilino del Cremlino, mentre crescono le pressioni internazionali sulla Casa Bianca per giungere in tempi rapidi alla stipula di un cessate il fuoco sostenibile.Parlando ai media statali ieri sera (21 aprile), il presidente russo ha affermato che la Federazione è disposta a discutere con l’ex repubblica sovietica la possibilità di sospendere gli attacchi reciproci alle infrastrutture energetiche e civili. “Abbiamo un atteggiamento positivo nei confronti di qualsiasi iniziativa di pace“, ha dichiarato, augurandosi “che i rappresentanti del regime di Kiev la pensino allo stesso modo”.Come confermato dal suo portavoce, Dmitry Peskov, “il presidente aveva in mente negoziati e discussioni con la parte ucraina”. È la prima volta che l’inquilino del Cremlino si rende disponibile a intavolare trattative dirette con l’Ucraina dopo aver lanciato l’invasione su larga scala nel febbraio 2022. Nei tempi recenti, si è sempre riferito alla leadership di Kiev come a un “regime nazista“, sostenendo di non voler negoziare col suo omologo Volodymyr Zelensky, ritenuto illegittimo.Il leader ucraino ha ribadito di essere aperto al dialogo, sostenendo che la sua amministrazione è “pronta per qualsiasi conversazione” capace di avvicinare la fine del conflitto. E ha reiterato la proposta, accettata il mese scorso dalla squadra negoziale ucraina sulla base di una proposta statunitense (ma mai presa in seria considerazione dalla parte russa), su una pausa di 30 giorni degli attacchi aerei e delle operazioni navali nel Mar Nero. Rilanciando ulteriormente, Zelensky ha scritto su X che Kiev, col sostegno dei suoi alleati occidentali, è disposta a lavorare per ottenere “un cessate il fuoco incondizionato, seguito dall’instaurazione di una pace reale e duratura“.Now, after Easter, the whole world can clearly see the real issue — the real reason why the hostilities continue. Russia is the source of this war. It is from Moscow that a real order must come for the Russian army to cease fire. And if there is no such firm Russian order for… pic.twitter.com/jS9cTiRQqd— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) April 21, 2025Nel suo intervento di ieri sera, Putin ha inoltre fatto riferimento anche ad una proposta, da lui stesso avanzata qualche giorno prima, per un’interruzione dei combattimenti nei giorni delle festività pasquali. Una tregua limitata che, tuttavia, lo stesso esercito russo non ha rispettato attaccando strutture civili, una settimana dopo il bombardamento su Sumy costato la vita ad oltre trenta persone.Del resto, storicamente gli accordi per la cessazione (parziale o totale) delle ostilità tra Russia e Ucraina non hanno quasi mai funzionato. Dopo dieci anni dalla stipula del memorandum di Budapest nel 1994 – col quale Kiev cedette a Mosca il proprio arsenale nucleare ereditato dall’Urss, in cambio dell’assicurazione che la Federazione avrebbe rispettato l’integrità territoriale dell’ex repubblica sovietica – il Cremlino ha annesso unilateralmente la Crimea per poi sostenere i separatisti filorussi nel Donbass.Da allora, due deboli accordi di pace noti come protocolli di Minsk (siglati nel 2014 e 2015) avrebbero dovuto portare ad una tregua nei combattimenti ma sono stati ripetutamente violati, con entrambe le parti che si sono scambiate accuse a vicenda. Secondo Zelensky, nell’ultimo decennio l’ingombrante vicino ha infranto almeno 25 volte i termini del cessate il fuoco concordati nella capitale bielorussa.Ad ogni modo, a livello internazionale sta crescendo la pressione per giungere il più rapidamente possibile ad una qualche forma di composizione politica della crisi russo-ucraina. Dopo un apparente rallentamento a seguito degli infruttuosi colloqui di Riad, le iniziative diplomatiche si sono moltiplicate di recente con gli incontri di alto livello tra i vertici dell’amministrazione a stelle e strisce e quelli di Francia, Regno Unito e Germania. I quali si sono incontrati a Parigi la scorsa settimana e si riuniranno nuovamente a Londra domani (23 aprile), per discutere con la delegazione ucraina delle prossime mosse.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)Donald Trump, che ha adottato nei confronti di Mosca posizioni decisamente più morbide rispetto al proprio predecessore e dei partner europei, sembra spazientito dalla lentezza delle trattative. Il segretario di Stato Marco Rubio ha ammonito che gli Usa potrebbero fare un passo indietro e abbandonare gli sforzi di mediazione tra i due belligeranti se non si otterranno progressi visibili nel giro di “giorni”, mentre il tycoon newyorkese ha ribadito ieri di vedere “ottime possibilità” di trovare a stretto giro una quadra su un cessate il fuoco.A quanto riferito nelle scorse ore, la Casa Bianca avrebbe elaborato una bozza di piano di pace che prevederebbe, tra le altre cose, il riconoscimento della Crimea come territorio russo de jure e l’impegno dell’Ucraina a non cercare l’adesione alla Nato. Zelensky ripete da tempo che non intende cedere nessuna delle regioni occupate da Mosca e che le garanzie di sicurezza dell’Alleanza nordatlantica sono le uniche possibili per mettere al sicuro l’ex repubblica sovietica.Ma è evidente che l’esercito ucraino non ha alcuna speranza di riconquistare con la forza le aree cadute sotto il controllo nemico, e che la Federazione tratta da una posizione nettamente più forte. Dietro le quinte si starebbe lavorando ad un incontro diretto tra Trump e Putin, anche se per il momento non è stato annunciato nulla di preciso al riguardo.Washington e Kiev sarebbero peraltro sul punto, sempre stando a indiscrezioni mediatiche, di concludere il famigerato accordo sullo sfruttamento delle risorse minerarie e delle materie prime critiche ucraine, la cui ultima versione presenterebbe condizioni più favorevoli all’ex repubblica sovietica rispetto alle precedenti. Ma da oltreoceano rimane ferma la contrarietà ad ogni coinvolgimento militare diretto nel monitoraggio di un’eventuale tregua che venisse raggiunta in Ucraina, con lo zio Sam che si è sfilato da tempo dalle discussioni su una potenziale “forza di rassicurazione” proposta dal presidente francese Emmanuel Macron e il premier britannico Keir Starmer.

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    Meloni strappa a Trump la promessa di incontro con l’Europa. Ma sui dazi nessuna novità

    Bruxelles – Mantenere la linea europea e sposare contemporaneamente il pensiero della Casa Bianca. Nel più difficile degli equilibrismi, la premier italiana Giorgia Meloni rientra da Washington forte degli elogi di Donald Trump nello studio ovale, con in tasca un sì del tycoon ad una visita a Roma. “Il presidente Trump – recita il comunicato finale congiunto – ha accettato l’invito del primo ministro Meloni a recarsi in visita ufficiale in Italia nel prossimo futuro. Si sta inoltre valutando la possibilità di organizzare, in tale occasione, un incontro tra Stati Uniti ed Europa”.Questo al costo di mostrarsi totalmente allineata al fanatismo del presidente americano su ideologia woke e immigrazione, e facendosi piccola piccola quando si passa al dossier più caldo, quello dei dazi commerciali.Poteva andare meglio, ma poteva anche finire molto peggio. Dopo Emmanuel Macron e Keir Starmer, Meloni è la terza leader del vecchio continente ad essere ricevuta da Trump, ma la prima dopo lo strappo di Washington sui dazi. E, a conti fatti, è riuscita più degli altri a svolgere quel ruolo di pontiere che rivendicava da mesi, grazie alla sua indiscutibile affinità politica con Trump, che l’ha elogiata affermando che “sta facendo un lavoro fantastico” e che “ha conquistato l’Europa”. In uno scambio di carinerie, Meloni ha preso in prestito lo slogan trumpiano riadattandolo a “Make western great again” e non ha forzato la mano sulla questione dei dazi, limitandosi a mostrare ottimismo sulla possibilità che le due sponde dell’Atlantico trovino presto un accordo.Possibilmente a Roma, in occasione di un viaggio del presidente americano che secondo Meloni potrebbe avvenire “nel prossimo futuro” e che – a seconda degli umori di Trump – potrebbe includere anche altri leader europei. In realtà, nell’ormai abituale ‘one man show‘ davanti ai cronisti nello studio ovale, Trump ha sottolineato che “le tariffe ci stanno facendo ricchi” e che sui dazi non cambierà idea, sicuro che “non avremo grandi problemi a raggiungere un accordo con l’Europa o con chiunque altro, perché abbiamo qualcosa che tutti vogliono”.Giorgia Meloni e Donald Trump nello Studio ovale della Casa Bianca (Photo by Brendan SMIALOWSKI / AFP)Di concreto, non c’è molto di più. D’altronde, come ribadito più volte da Bruxelles, le negoziazioni sulle barriere doganali le conduce la Commissione europea. Non c’è spazio per fughe in avanti, che sarebbero una vera e propria pugnalata alle spalle delle altre cancellerie del vecchio continente. Anche se Meloni un piccolo strappo l’ha dato, suggerendo che “dovremmo acquistare più gas dagli Stati Uniti“. Un tema che Trump vuole mettere sul tavolo dei negoziati e che Bruxelles preferirebbe invece tenere separato.Diverso il discorso sulle spese militari, competenza nazionale, su cui Trump stuzzica Meloni e l’Italia, uno degli otto Paesi dell’Alleanza atlantica ancora al di sotto del 2 per cento del Pil. “Non abbiamo parlato di limiti massimi a cui può spingersi l’Italia, ma del fatto che il nostro Paese manterrà gli impegni. Al vertice dell’Aia (della Nato, ndr) di fine giugno noi arriveremo al 2 per cento. Siamo una nazione seria“, ha rassicurato la premier. Sull’Ucraina invece, mentre Trump ha ribadito di “non essere un fan” di Zelensky, Meloni non si discosta dalla linea europea e afferma: “Credo ci sia stata un’invasione e che l’invasore fosse Putin. Ma oggi quello che è importante è che insieme vogliamo lavorare per arrivare a una pace giusta e duratura”.Se Meloni può esultare per essere riuscita indubbiamente a mantenere aperto un dialogo al massimo livello con gli Stati Uniti, di certo il bilancio del primo incontro con un leader europeo dopo l’escalation – ora congelata – sui dazi è positivo anche per Trump. La premier italiana, nonostante l’Ue tutta sia stata bistrattata dall’alleato americano, è stata accondiscendente su tutto: sull’acquisto di gas dagli Stati Uniti, sulla possibilità di rivedere le imposte sui colossi del digitale a stelle e strisce, su maggiori investimenti diretti negli Usa.Fino a che punto questa linea morbida fosse stata concordata con Bruxelles, non è dato saperlo. La Commissione europea ha affermato che Ursula von der Leyen è stata in stretto contatto con Meloni nei giorni precedenti alla visita. Ed oggi le due leader hanno avuto un nuovo colloquio telefonico per tracciare un bilancio dell’incontro. “E’ stata una buona telefonata”, fanno trapelare fonti a Bruxelles, e si precisa che intanto da parte Ue i contatti con gli Usa “continuano a livello tecnico”.