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    L’Ucraina guarda all’ingresso della Finlandia nella Nato come esempio per il proprio futuro: “È nel nostro piano strategico”

    Bruxelles – Nel giorno storico della Finlandia per l’ingresso nella Nato, c’è un altro amico dell’Alleanza che guarda da vicino l’esempio di Helsinki. Non la Svezia, a un passo dall’adesione ma ancora bloccata dalla mancata ratifica da parte di Turchia e Ungheria, ma l’Ucraina, il Paese invaso da più di un anno dalla Russia di Vladimir Putin. “Sono qui anche per discutere i piani strategici del futuro, uno su tutti il futuro ingresso dell’Ucraina nella Nato“, ha messo in chiaro il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, nel punto con la stampa prima del vertice ministeriale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord di oggi (4 aprile) a Bruxelles.
    Da sinistra: il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba, e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg (4 aprile 2023)
    Un’intenzione non nuova, ma che nel giorno dell’anniversario della firma del Trattato del Nord Atlantico a Washington nel 1949 e dell’allargamento dell’Alleanza Atlantica al 31esimo membro assume un significato ancora più simbolico. “Le mie sincere congratulazioni alla Finlandia, nel mezzo dell’aggressione russa l’Alleanza è diventata l’unica effettiva garanzia di sicurezza nella regione”, ha commentato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, mettendo in chiaro di aspettarsi che “il Summit di Vilnius [in programma l’11 e 12 luglio, ndr] avvicini l’Ucraina al nostro obiettivo euro-atlantico” Già il 30 settembre dello scorso anno il presidente ucraino ha annunciato di aver presentato formalmente la domanda di adesione alla Nato, chiedendo per il proprio Paese di diventarne membro “de jure, in modo accelerato”. In quell’occasione il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha confermato che ogni democrazia ha il diritto di presentare domanda, come dimostrato al Summit di Madrid del giugno dello scorso anno, quando gli allora 30 leader (la Finlandia ancora non partecipava ancora a pieno titolo) hanno ribadito la libertà dell’Ucraina – in quanto Paese sovrano e indipendente – di fare liberamente le proprie scelte di sicurezza nazionale.
    La riunione della commissione Nato-Ucraina a Bruxelles (4 aprile 2023)
    Nell’immediato però la questione più urgente è quella dell’invio delle armi a Kiev. “Sono qui per chiedere la velocizzazione nelle consegne di quanto già stabilito, dalle munizioni ai veicoli di fanteria blindati, tutto quello che serve per la controffensiva“, ha precisato il ministro Kuleba prima della riunione della commissione Nato-Ucraina a Bruxelles. Mentre l’aggressione russa continua, l’obiettivo degli alleati rimane l’aumento del supporto per i “bisogni urgenti e lo sviluppo dell’interoperabilità e degli standard Nato”, ha confermato Stoltenberg, attraverso un “programma di lungo termine” sul piano militare ed economico. Lo stesso segretario generale dell’Alleanza Atlantica si è detto “colpito dalla forza della leadership ucraina, delle forze armate e del popolo in generale, capaci di respingere l’offensiva russa” e di iniziare a preparare un contrattacco nei territori occupati. Sul piano geopolitico “la Russia e la Cina si stanno avvicinando sempre di più, lavorano insieme e rendono le cose difficili”, ha avvertito Stoltenberg, sottolineando come “la sicurezza non è una questione regionale, ma globale“. Ecco perché “anche noi dobbiamo essere più vicini ai nostri partner nell’Indo-Pacifico”, dalla Nuova Zelenada al Giappone, dall’Australia alla Corea del Sud: “Quello che succede in Europa ha riflesso in Asia, e viceversa”.
    Il processo di adesione (eventuale) dell’Ucraina alla Nato
    Per diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso nella Nato di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.
    La procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale della Nato a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.
    Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

    Il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, ha ribadito la scelta di Kiev prima del vertice ministeriale dell’Alleanza Atlantica, a cui da un anno è invitato. Nell’immediato però il focus rimane sempre sulla consegna rapida “di quanto già stabilito, dalle munizioni ai veicoli di fanteria blindati”

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    Ue, Nato e Ucraina rispondono al discorso alla nazione di Putin: “Prepara nuova offensiva, ma nessuno attacca Russia”

    Bruxelles – La risposta è netta, come da copione. “Non vediamo nessun segnale di apertura di Putin alla pace, oggi ha dimostrato che si prepara solo a una nuova offensiva con un ammassamento di truppe al confine e rivolgendosi a Corea del Nord e Iran”, è l’attacco del segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, in un punto stampa con il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba, e l’alto rapprendente Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Una controffensiva verbale alle quasi due ore di discorso alla nazione da parte dell’autocrate russo, Vladimir Putin, in cui ha rimarcato la sua visione delle cause e delle motivazioni di un anno di guerra in Ucraina (che ovviamente per il Cremlino rimane sempre “un’operazione militare speciale”).
    Da sinistra: il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e l’alto rapprendente Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (21 febbraio)
    Per la prima volta riuniti in un formato a tre Ue-Nato-Ucraina, a Bruxelles Borrell, Stoltenberg e Kuleba hanno discusso di fornitura e produzione di armi a sostegno della difesa armata di Kiev. Ma l’attenzione dell’opinione pubblica si è concentrata principalmente sulla reazione alle accuse di Putin sul fantomatico progetto dell’Occidente (da leggere come Stati Uniti) di invadere la Russia sfruttando l’assist della guerra in Ucraina. “Un anno fa è iniziata la sua guerra a un vicino pacifico, ma è chiaro che nessuno sta attaccando la Russia, è l’Ucraina la vittima“, ha incalzato Stoltenberg, rifacendosi al passaggio in cui l’autocrate russo ha parlato di “pericolo esistenziale” per il Paese.
    Chi affronta davvero un pericolo esistenziale è piuttosto l’Ucraina, da un anno sotto le bombe del Cremlino. “La situazione è dura, con bombardamenti sui civili”, ha ricordato l’alto rappresentante Borrell, rimarcando con forza che Putin “non sta certo andando nella direzione di un cessate il fuoco che stiamo chiedendo da tempo“. Riprendendo le parole di ieri (20 febbraio) a proposito della visita a sorpresa a Kiev del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, Borrell ha esortato i partner internazionali a “fare in modo che lo Stato di diritto prevalga sullo Stato della guerra e della violenza”, accusando l’autocrate russo per aver deciso la sospensione dell’applicazione del Trattato sulla riduzione delle armi nucleari (Start): “La Russia è una potenza nucleare e un membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma continua a violarne i principi”. Anche il segretario generale della Nato Stoltenberg si è soffermato su questo punto, esortando il Cremlino a “riconsiderare questa decisione”.
    Nella “guerra di logoramento e logistica” in Ucraina – per cui a Kiev “hanno bisogno che diamo loro tutto ciò che possa permettere loro di vincere”, ha ricordato Stoltenberg – cresce la preoccupazione per il ruolo di Pechino: “Temiamo che la Cina possa fornire armamenti leggeri alla Russia“, ha confessato il segretario generale della Nato. Ma l’alto rappresentante Ue ha cercato di frenare gli allarmismi: “Dobbiamo restare vigili, ma non ci sono prove” che il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, possa avergli mentito nel corso della conversazione telefonica in cui sono state fornite “rassicurazioni” a riguardo.
    I deliri di Putin sulla guerra in Ucraina
    Il discorso alla nazione di Vladimir Putin a Mosca, 21 febbraio 2023 (credits: Dmitry Astakhov / Sputnik /Afp)
    Il discorso alla nazione di Putin andato in scena questa mattina (21 febbraio) a Mosca era atteso per possibili annunci roboanti capaci di rendere ancora più instabile la situazione sul fronte di guerra. Le parole dell’autocrate russo sono invece sembrate molto meno minacciose di quelle pronunciate il 30 settembre dello scorso anno in occasione dell’annessione illegale delle quattro regioni occupate in Ucraina – Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Il succo delle quasi due ore di discorso è una riproposizione della solita propaganda sul presunto neonazismo del governo ucraino che avrebbe minacciato i russofili del Donbass, condita con un pizzico di vittimismo per le “crude bugie” dell’Occidente, mentre Mosca sarebbe stata impegnata dal 2014 al “dialogo e vie pacifiche”.
    La visione di Putin è tutta uno strenuo arroccarsi su una finta posizione di auto-difesa, quando è l’esercito russo ad aver violato la sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina. Quello che si può rilevare sul piano pratico per i prossimi mesi è un prosieguo della guerra, senza nessun tipo di apertura a negoziati di pace da parte di Mosca: “Più armi a lungo raggio arriveranno a Kiev, più lontano dovremo portare l’operazione speciale per la sicurezza dei nostri confini“, è la minaccia più dura di Putin. Il resto del discorso è una pseudo-analisi della situazione interna in Russia – la cui economia secondo l’autocrate non sarebbe ormai in ginocchio – e un attacco agli Stati Uniti per i “miliardi e miliardi di dollari all’Ucraina”. In nessun passaggio del discorso di Putin qualche indizio o atteggiamento che suggerisca la consapevolezza dell’autocrate russo di avere le spalle coperte da Pechino. È qui che si gioca davvero il futuro della guerra in Ucraina.

    Riuniti in un nuovo formato a tre, l’alto rappresentante Borrell, il segretario generale Stoltenberg e il ministro degli Esteri Kuleba hanno replicato alle accuse dell’autocrate russo sulle cause della guerra e sulle intenzioni dell’Occidente di invadere il Paese sfruttando Kiev

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    La Corte penale internazionale dell’Aia annuncia un portale per denunciare i crimini in Ucraina

    Bruxelles – La Corte penale internazionale (CPI) ha annunciato l’apertura di un portale ad hoc, dedicato a chiunque possa avere informazioni rilevanti sui crimini di guerra perpetrati in Ucraina. Lo ha reso noto il procuratore capo Kharim Khan, in seguito all’apertura (il 2 marzo) dell’indagine (IC-01/22) sui crimini commessi nel Paese dal 21 novembre 2013.
    “Sono soprattutto i testimoni, i sopravvissuti e le comunità colpite a dover essere messi nelle condizioni di contribuire attivamente alle nostre indagini”, sostiene Khan nel comunicato stampa. Aggiunge: “Non possono esserci spettatori negli nostri sforzi per stabilire la verità e perseguire i responsabili dei crimini internazionali”. Le prove che sta raccogliendo dalla Corte dell’Aia coprono un lasso di tempo che va dalle violenze avvenute durante le manifestazioni pro-europee osteggiate con violenza dall’allora amministrazione filo-russa chiamate Euromaidan (21 novembre 2013) agli ultimi eventi dopo l’aggressione russa.
    Il nuovo canale si pone l’obiettivo di creare un contatto diretto con gli investigatori della CPI. Si procede compilando un modulo identificativo, per poi essere (eventualmente) ricontattati per fornire delle prove o fare un breve colloquio. È possibile mantenere l’anonimato, per quanto, in questo caso, le informazioni diventano “più difficili da usare nei procedimenti giudiziari”, come riporta il portale.
    La Missione consultiva dell’Unione Europea (EUAM), che era in Ucraina prima della guerra, verrà ora utilizzata per cooperare e “per garantire l’indagine (della Corte, ndr) e la raccolta delle prove sul campo”, come ha affermato l’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell, nella conferenza stampa dopo il Consiglio degli affari esteri di oggi (11 aprile). La Missione è nel Paese dalla fine del 2014, con l’obiettivo di sostenere l’Ucraina nello sviluppo di servizi di sicurezza che rafforzino lo stato di diritto. “Sosterremo i procuratori sia finanziariamente che con il nostro team”, ha sottolineato Borrell.
    Già negli scorsi giorni le autorità ucraine avevano istituito un archivio online proprio allo scopo di documentare i crimini di guerra russi. Il sito, in inglese, riporta materiale fotografico e singole storie, riferibili a violazioni delle Convenzioni di Ginevra, una serie di trattati internazionali nati per tutelare le associazioni umanitarie e i civili in caso di guerra. Uno dei “capitoli” dell’archivio cita l’articolo 3, della IV Convenzione: “Le persone che non prendono parte attiva alle ostilità dovranno, in ogni circostanza, essere trattate umanamente”. Un altro, il divieto di torturare o prendere ostaggi (articoli 32 e 34 della IV Convenzione), un altro ancora, quello di deportare individui o gruppi di persone (art. 49).
    “Le prove raccolte delle atrocità commesse dall’esercito russo in Ucraina garantiranno che questi criminali di guerra non sfuggano alla giustizia”, aveva dichiarato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba nel tweet che annunciava la nascita dell’archivio.

    We have created an online archive to document Russia’s war crimes.
    The evidence gathered of atrocities committed by the Russian army in Ukraine will ensure that these war criminals cannot escape justice.
    Visit the archive here and share it far and wide: https://t.co/jTqLXYGO5U pic.twitter.com/76e6TEssK5
    — Dmytro Kuleba (@DmytroKuleba) April 9, 2022

    Negli scorsi giorni le autorità di Kiev avevano istituito un archivio online proprio per documentare le violazioni russe dei trattati internazionali

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    La NATO avverte sul rischio di una guerra lunga “mesi, se non anni” in Ucraina: “Rafforzeremo gli aiuti militari a Kiev”

    Strasburgo, dall’inviato – Che non si parli di ritirata in Ucraina da parte dell’esercito russo, ma piuttosto di “riorganizzazione strategica”. A lanciare il monito sugli sviluppi sul campo di battaglia è il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO), Jens Stoltenberg, al termine della due-giorni di vertice dei ministri degli Esteri dell’Alleanza (6-7 aprile). “Ci aspettiamo una grande offensiva nel Donbass, per questo c’è urgenza di un sostegno a livello militare e di continuare sulla strada delle sanzioni”, ha aggiunto il segretario generale della NATO, avvertendo che la guerra in Ucraina “può durare settimane o mesi, se non addirittura anni”.
    Il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg
    Il messaggio principale che dal Consiglio Atlantico è il rafforzamento del supporto armato a Kiev da parte dei partner occidentali. “Stiamo dando armi a un Paese che si sta difendendo da un’aggressione”, ha precisato Stoltenberg, anche se non si è è voluto troppo esporre sul tipo di equipaggiamento che verrà fornito all’esercito ucraino: “Non posso entrare nello specifico per ragioni operative, ma la divisione tra armi offensive e armi difensive ha poco senso, visto che il Paese ha il diritto di difendersi da un’aggressione”. Un’ambiguità che va incontro al messaggio forte inviato questa mattina dal ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba, ospite a Bruxelles della riunione ministeriale: “Ho tre richieste per il Consiglio Atlantico: contro la guerra, armi, armi, armi“.
    Il segretario generale Stoltenberg ha sottolineato in conferenza stampa che “è visibile l’impatto del nostro sostegno sul campo, considerato il fatto che dopo l’invasione del Paese voluta dal Cremlino l’esercito ucraino ha inflitto perdite consistenti a quello russo“. Decisivo il via libera all’invio di più armi a Kiev deciso al vertice dei leader dello scorso 24 marzo. Ma sulle nuove decisioni dell’Alleanza influisce anche la scoperta dei massacri commessi dai soldati russi a Bucha e Irpin’, a cui i ministri degli Affari esteri hanno deciso di rispondere con un “supporto alle indagini internazionali“, perché “tutti i fatti devono essere stabiliti e i responsabili portati davanti alla giustizia”, ha attaccato Stoltenberg. Da parte della NATO è arrivato anche un messaggio di apprezzamento alle nuove sanzioni contro la Russia da parte degli alleati: “Sono senza precedenti e stanno danneggiando la macchina da guerra di Vladimir Putin in Ucraina”.

    Alla riunione del Consiglio Atlantico i ministri degli Esteri dell’Alleanza hanno deciso di fornire più supporto militare per respingere l’esercito di occupazione russo. Stoltenberg: “Ci aspettiamo una grande offensiva di Mosca nel Donbass”

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    Ucraina-Cina, colloquio tra i ministri Kuleba e Wang: “Non siamo indifferenti”

    Bruxelles – “La Cina non ha un approccio indifferente rispetto alla questione ucraina”. La posizione di Pechino sulla guerra è stata ribadita il 4 aprile nella telefonata tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e l’omologo ucraino Dmytro Kuleba, la seconda dallo scoppio della guerra. La parola “pace” ricorre per ben sette volte nel comunicato stampa riportato dal ministero degli Esteri cinese, insieme all’invito, continuo, a procedere con i negoziati, “per quanto grandi le difficoltà e numerose le divergenze”.
    “Il mantenimento della pace e l’essere contrari ai conflitti sono parte della tradizione culturale della storia cinese”, ha sottolineato Wang, “e appartengono da sempre alla nostra politica estera”. Nessuna parola di condanna però verso la Russia, come già durante il vertice di venerdì scorso tra Unione Europea e Cina. “La guerra finirà a un certo punto”, ha incalzato il ministro degli Esteri, quasi in un monito, aggiungendo che sarà “cruciale” imparare da questo momento di crisi “per difendere la sicurezza duratura dell’Europa”. “La Cina ritiene che si debba, in conformità con il principio di sicurezza indivisibile e attraverso un dialogo equo, stabilire realmente un meccanismo di sicurezza europea equilibrato, valido e sostenibile”, continua il comunicato. Lo stesso principio era stato invocato anche dal ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov già lo scorso febbraio.
    Il termine “principio di sicurezza indivisibile” compare per la prima volta nell’Atto finale di Helsinki (1975), lo storico documento che ha messo nero su bianco una serie di principi fondamentali riconosciuti dal blocco della Nato e da quello sovietico. È da qui che in ambito di quella che diventerà l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) nasce la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE, dal 1994 OSCE). Un’idea che torna nella Carta di Parigi per una Nuova Europa (OSCE, 1990), secondo cui “la sicurezza è indivisibile e la sicurezza di ogni Stato partecipante è inseparabilmente connessa a quella di tutti gli altri”. Mentre nel Documento di Istanbul (1999), viene ulteriormente articolata in “uno spazio di sicurezza comune e indivisibile, promuovendo un’area OSCE priva di linee divisorie e zone con diversi livelli di sicurezza”. Nello stesso Documento di Istanbul, si stabilisce che “gli Stati non rafforzeranno la propria sicurezza a scapito della sicurezza di altri Stati”: cosa che, secondo l’interpretazione unilaterale di Mosca, un ulteriore allargamento a est della Nato comporterebbe per la Russia.
    Kuleba in un Tweet nel quale non mostra particolare soddisfazione per il colloquio, ha spiegato che nella telefonata è stato ribadito che la fine della guerra “soddisfa i comuni interessi di pace, della sicurezza alimentare e del commercio internazionale.”

    Had a call with State Councilor and Foreign Minister Wang Yi. Grateful to my Chinese counterpart for solidarity with civilian victims. We both share the conviction that ending the war against Ukraine serves common interests of peace, global food security, and international trade.
    — Dmytro Kuleba (@DmytroKuleba) April 4, 2022

    Wang Yi ha espresso solidarietà verso i civili ucraini e ringraziato il governo di Kiev e tutti coloro che hanno contribuito finora all’evacuazione dei cittadini dal Paese, chiedendo anche che si continui a garantire la sicurezza dei cinesi ancora presenti sul territorio.

    Pechino però continua a non sbilanciarsi sull’attacco russo

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    Putin impone il pagamento del gas in rubli. Kiev: “Se l’UE cede, aiuterà la Russia a uccidere gli ucraini”

    Bruxelles – Basta euro e dollari, solo rubli: per ordine di Vladimir Putin. “Ho deciso di attuare una serie di misure per trasferire il pagamento delle nostre forniture di gas ai Paesi ostili in rubli russi“, ha affermato l’autocrate russo in una riunione di gabinetto ieri (mercoledì 23 marzo), concedendo alle autorità competenti una settimana di tempo per attuare il passaggio al sistema in valuta locale.
    È una decisione di portata storica, che potrebbe avere una duplice spiegazione. Prima di tutto, dovrebbe servire a rafforzare il valore della moneta russa, in caduta libera dopo le dure sanzioni imposte dai Paesi UE e del G7 con quattro pacchetti di misure restrittive che hanno colpito l’economia, la finanza, l’industria e la cerchia degli oligarchi vicini a Putin. Chiunque vorrà ancora acquistare il gas russo, dalla prossima settimana dovrà cambiare euro (o dollari) in rubli, creando domanda di valuta locale dove ora non esiste. Non è però ancora chiaro se questa misura riuscirà davvero a controbilanciare gli effetti devastanti delle sanzioni occidentali sull’economia russa. In secondo luogo, l’imposizione di Putin sul pagamento delle forniture di gas in rubli ha il sapore di una contro-sanzione e di umiliazione – non solo simbolica ma anche pratica – ai danni dei “Paesi ostili” che hanno tagliato fuori la Russia dal commercio e dalla finanza globale. Questa scelta però secondo gli esperti porterà anche un aumento dell’inflazione in Russia, che già viaggia ora al 2 per cento a settimana.
    “Se qualche Paese dell’UE si inchina alle umilianti richieste di Putin di pagare il petrolio e il gas in rubli, sarà come aiutare l’Ucraina con una mano e aiutare i russi a uccidere gli ucraini con l’altra“, ha avvertito con un tweet il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. “Esorto i Paesi interessati a fare una scelta saggia e responsabile”, è l’appello ai leader europei e occidentali nel giorno dei tre vertici cruciali (NATO, G7 e UE) a Bruxelles.

    If any EU country bows to Putin’s humiliating demands to pay for oil and gas in rubles, it will be like helping Ukraine with one hand and helping Russians kill Ukrainians with the other. I urge relevant countries to make a wise and responsible choice.
    — Dmytro Kuleba (@DmytroKuleba) March 24, 2022

    Tra i “Paesi ostili” a cui si riferisce Putin c’è anche l’Italia e proprio il premier, Mario Draghi, ha illustrato ieri i primi effetti della decisione sui pagamenti in rubli nel corso delle sue comunicazioni in Parlamento, in vista della due-giorni di vertice dei leader UE: “Il prezzo spot del gas sul mercato europeo è dimezzato rispetto alle punte di circa 200 euro per megawattora raggiunte l’8 marzo, ma questa è una notizia vecchia”. La novità introdotta dall’autocrate russo “ha portato il prezzo del gas a salire di circa 15 euro per megawattora“, ha spiegato Draghi in Aula. Un nuovo punto in agenda da affrontare al Consiglio Europeo che si aprirà tra poche ore a Bruxelles, nello spinoso capitolo dell’indipendenza energetica dalla Russia e del contenimento dei prezzi del gas.

    La decisione dell’autocrate russo punta a colpire i “Paesi ostili” e a rafforzare l’economia russa, creando domanda di moneta locale dove ora non c’è. Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, esorta i Ventisette a “non inchinarsi alle umilianti richieste” di Mosca

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    La Commissione UE ha proposto la prima attivazione della direttiva sulla protezione temporanea per i rifugiati

    Bruxelles – La dimensione storica della proposta si era intuita già domenica (27 febbraio), quando al Consiglio Affari Interni straordinario ne era stata discussa la possibilità. Per la prima volta da quando è entrata in vigore la base legislativa e normativa per l’applicazione dei corridoi umanitari nel 2001, la Commissione UE ha proposto formalmente di attivare la Direttiva europea sulla protezione temporanea, quella che stabilisce uno status di protezione di gruppo in “situazioni di crisi derivanti da un afflusso massiccio di persone in fuga da una situazione di grande pericolo”.
    A rendere necessaria la proposta di attivazione (che dovrebbe essere approvata domani dal Consiglio dell’UE) è stato l’arrivo di più di 650 mila persone dall’Ucraina nei vicini Stati membri dell’Unione, dopo l’invasione russa iniziata una settimana fa. “Tutti coloro che fuggono dalle bombe di Vladimir Putin sono i benvenuti in Europa”, ha spiegato la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, sottolineando che l’Unione fornirà “protezione a coloro che cercano riparo e aiuto a coloro che cercano un modo sicuro per tornare a casa“. La direttiva sulla protezione temporanea è stata pensata specificamente per dare “protezione immediata alle persone che ne hanno bisogno e per evitare di sovraccaricare i sistemi di asilo degli Stati membri”, spiega la Commissione UE, grazie alle linee-guida operative fornite alle guardie di frontiera degli Stati membri.
    Secondo la proposta, “cittadini ucraini e persone che hanno fatto dell’Ucraina la loro casa”, sfollati o in fuga dalla guerra, avranno il diritto alla protezione in tutta l’Unione Europea. Sono inclusi – ed è bene ricordarlo – “anche i cittadini non ucraini e gli apolidi che risiedono legalmente in Ucraina e che non possono tornare nel loro Paese d’origine, come i richiedenti asilo o i beneficiari di protezione internazionale”. Nei giorni scorsi sono stati denunciati diversi casi di discriminazione razziale ed etnica alle frontiere dell’Unione sull’accoglienza di profughi in arrivo dall’Ucraina, anche dal ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, che ieri su Twitter ha messo in chiaro: “Le perone africane che cercano di essere evacuate sono nostri amici e devono avere le stesse opportunità di tornare ai loro Paesi d’origine in sicurezza”.

    Russia’s invasion of Ukraine has affected Ukrainians and non-citizens in many devastating ways. Africans seeking evacuation are our friends and need to have equal opportunities to return to their home countries safely. Ukraine’s government spares no effort to solve the problem.
    — Dmytro Kuleba (@DmytroKuleba) March 1, 2022

    Considerata la “natura straordinaria ed eccezionale dell’attacco russo e l’entità dei nuovi arrivi nell’UE”, la direttiva sulla protezione temporanea fornirà tutti i diritti di protezione internazionale riconosciuti ai rifugiati: residenza, accesso al mercato del lavoro e all’alloggio, assistenza sociale e medica, mezzi di sussistenza, tutela legale e accesso all’istruzione per bambini e adolescenti. Di fondamentale importanza anche la solidarietà e la condivisione delle responsabilità tra Stati membri nell’ospitare gli sfollati ucraini o in arrivo dal Paese invaso dalle truppe di Putin: sarà attivata una piattaforma di solidarietà per lo scambio di informazioni tra i Ventisette sulle capacità di accoglienza e una redistribuzione che tenga conto anche della presenza di amici e parenti sul territorio UE delle persone in arrivo.
    Per quanto riguarda la gestione delle frontiere, le linee-guida della direttiva sulla protezione temporanea prevedono la semplificazione delle procedure alle frontiere dell’UE con l’Ucraina, con un allentamento dei controlli previsti dalle regole Schengen “in circostanze eccezionali per certe categorie di persone” (di cui sopra). In questo modo si riuscirà ad “aiutare coloro che fuggono dalla guerra a trovare riparo senza ritardi, pur mantenendo un alto livello di controlli di sicurezza”, specifica la proposta della Commissione. Per esempio, se non si riesce a stabilire l’identità di una persona, si può procedere alle verifiche di frontiera anche dopo il trasporto in un luogo sicuro e non al valico. O ancora, le guardie di frontiera possono autorizzare cittadini extra-UE a fare ingresso nello Stato membro per motivi umanitari “anche se non soddisfano tutte le condizioni di ingresso” (se non hanno un passaporto o un visto valido). Nel caso in cui le strade verso i valichi ufficiali di frontiera siano bloccate o congestionate, può essere consentito l’attraversamento da valichi temporanei per “aiutare a ridurre i ritardi”.
    La direttiva che non è mai stata attivata in più di 20 anni – nemmeno quando sei mesi fa è scoppiata la crisi in Afghanistan – prevede “accordi speciali” per facilitare entrata e uscita di servizi di soccorso, polizia e vigili del fuoco per fornire assistenza di ogni tipo alle persone in attesa di attraversare il confine, oltre alla possibilità per i rifugiati di portare effetti personali senza alcun dazio doganale e anche animali domestici. Le linee-guida raccomandano “vivamente” agli Stati membri di sfruttare il supporto delle agenzie Frontex ed Europol, rispettivamente per l’assistenza nella registrazione delle persone in arrivo dall’Ucraina e per il supporto ai controlli secondari. Una volta adottata, la protezione temporanea dell’UE durerà un anno, con la possibilità di rinnovi semestrali per un altro anno: se le condizioni dovessero rimanere critiche, il Consiglio potrà decidere a maggioranza qualificata (su proposta della Commissione), l’estensione per un terzo anno.

    Europe stands by those in need of protection.
    All those fleeing Putin’s bombs are welcome in Europe.
    We will provide protection to those seeking shelter and we will help those looking for a safe way home.
    Our proposal to support people fleeing the war in Ukraine ↓
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) March 2, 2022

    Gli oltre 650 mila profughi dall’Ucraina hanno reso necessaria la proposta dell’esecutivo UE. Saranno previsti allentamenti dei controlli di frontiera, solidarietà tra Paesi membri nell’accoglienza e facilitazioni di ingresso per chi fugge dalla guerra

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    L’UE invierà (in Ucraina) per la prima volta una squadra di esperti per sostenere un Paese sotto attacco informatico

    Bruxelles – Non ci sono solo le sanzioni contro la Russia e le autoproclamate Repubbliche Donetsk e Luhansk nella risposta dell’UE alla “violazione della sovranità dell’Ucraina”. Secondo quanto riferito ieri sera (22 febbraio) in conferenza stampa dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, Bruxelles è pronta a “inviare una missione di esperti per aiutare l’Ucraina ad affrontare gli attacchi informatici” che sta subendo da settimane.
    Si tratta del primo dispiegamento del Cyber Rapid Response Team, la squadra operativa di intervento rapido del programma di cooperazione per la difesa PESCO. Comprende una decina di funzionari nazionali di sicurezza informatica di sei Paesi membri (Croazia, Estonia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia e Romania), che possono fornire assistenza ai Paesi UE ed extra-UE sotto cyberattacco. La richiesta di Kiev di ricevere il sostegno UE per affrontare gli attacchi informatici costanti alle infrastrutture critiche (civili e militari) era arrivata lo scorso 18 febbraio, in una lettera inviata dal ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, a Bruxelles che chiedeva anche l’invio di attrezzature tecniche e software.
    Il via libera è stato deciso durante il Consiglio Affari Esteri di lunedì (21 febbraio), al margine del quale l’alto rappresentante Borrell ha incontrato anche il ministro ucraino, confermandogli il sostegno dell’UE nell’affrontare gli attacchi informatici. A dire il vero, la disponibilità dell’Unione era già nota da metà gennaio, in occasione del primo cyberattacco su larga scala contro le infrastrutture di Kiev. Allora, Borrell aveva dichiarato senza mezzi termini che “l’Unione Europea sta mobilitando tutte le sue risorse per offrire supporto all’Ucraina” ed era anche stata convocata una riunione d’emergenza degli ambasciatori del comitato politico e di sicurezza “per capire quale assistenza tecnica si può fornire a Kiev”.
    Dopo l’episodio di gennaio, i siti web del governo ucraino sono stati colpiti la scorsa settimana da un’enorme quantità di attacchi mirati, che i servizi di sicurezza nazionali avevano indicato come “il più grande cyberattacco di sempre” al Paese. Nel 2017 l’Ucraina era stata anche l’epicentro di una ‘pandemia informatica’ di malware (programmi informatici usati per disturbare le operazioni svolte dagli utenti) nota come NotPetya, che aveva colpito l’Europa tra il 2016 e il 2017 e che si era poi diffusa in tutto il mondo, paralizzando multinazionali come il gigante danese delle spedizioni Maersk, della logistica FedEx e la società farmaceutica Merck.

    Quello a sostegno di Kiev sarà il primo dispiegamento del Cyber Rapid Response Team, la squadra operativa del programma di cooperazione per la difesa (PESCO) specializzata in risposte ai cyberattacchi