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    L’Ue attende Trump sui dazi: “Finora solo dichiarazioni, risponderemo a notifiche ufficiali”

    Bruxelles – L’Unione europea attende gli Stati Uniti e il suo presidente, Donald Trump. Sui dazi minacciati contro beni Ue, l’esecutivo comunitario sceglie la linea del silenzio. “Non risponderemo ad annunci generici privi di dettagli o chiarimenti scritti“, spiega il comunicato ufficiale diramato a Bruxelles, dove si fa presente che “in questa fase non abbiamo ricevuto alcuna notifica ufficiale in merito all’imposizione di tariffe aggiuntive sui beni dell’Ue“, e che questo fa dunque fede. Si risponderà se e quando arriverà il momento, in sostanza. Lo spiega chiaramente Olof Gill, portavoce dell’esecutivo comunitario responsabile per il Commercio: “Stiamo ancora parlando di minacce, non c’è niente di concreto, nessun dazio è stato ancora imposto”. Per questa ragione la linea dell’esecutivo comunitario è di evitare di concentrarsi su un tema ammantato da troppi punti interrogativi. Certamente, riconosce Gill, eventuali tariffe “metterebbero in discussione relazioni tra partner” di lungo corso. Fermo restando, aggiunge, che con dazi ai prodotti Ue “gli Stati Uniti tasserebbero i propri cittadini, aumentando i costi per le imprese e alimentando l’inflazione”.Olof Gill, portavoce della Commissione europea responsabile per questioni di commercio [Bruxelles, 10 febbraio 2025]In ogni caso, ribadisce la Commissione europea, “reagiremo per proteggere gli interessi delle aziende, dei lavoratori e dei consumatori europei da misure ingiustificate”. In tal senso il team von der Leyen sottolinea che alla luce degli annunci privi di documenti di accompagnamento e così come raccontati tramite dichiarazioni pubbliche, “l’Ue non vede alcuna giustificazione per l’imposizione di tariffe sulle sue esportazioni“, anche perché la bilancia commerciale non è così sbilanciata come sostiene la Casa Bianca.Secondo la Commissione europea l’Ue ha un surplus commerciale di 154 miliardi di euro in beni con gli Stati Uniti, mentre gli Stati Uniti mantengono un surplus di 104 miliardi di euro in servizi con l’Ue, con un conseguente surplus commerciale complessivo dell’Ue del tre percento su un flusso commerciale totale di 1,5 trilioni di euro. Nel 2023, gli Usa erano il principale partner per le esportazioni di beni dell’Ue e il secondo partner per le importazioni di beni dell’Ue.

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    Dazi, clima, diritto internazionale: Trump detta l’agenda del Parlamento europeo

    Bruxelles – Commercio, innovazione e competitività, salute. Praticamente Donald Trump in tutte le sue declinazioni più una, l’ultima: l’attacco del presidente degli Stati Uniti alla Corte penale internazionale. L’inquilino della Casa Bianca irrompe nei lavori di un Parlamento europeo che finisce col disegnare la propria agenda attorno a quella di Trump, oggetto di tre diversi dibattiti d’Aula. La sessione plenaria prevede la questione dazi (martedì 11 febbraio alle 9), restrizione all’export di chip verso l’Ue (martedì 11 febbraio alle 18), ritiro dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dall’accordo sul clima (mercoledì 12 febbraio alle 16): il Parlamento europeo ruota attorno alle dichiarazioni e alle minacce del presidente Usa.C’è chiaramente la questione dazi a tenere banco, con il diffuso timore, tra i diversi gruppi, che si possa innescare una guerra commerciale che non gioverebbe a nessuno. L’approccio generale e condiviso tra le diverse anime dell’Aula, è quello di cercare di evitare quanto più possibile di arrivare ad avere sovra-costi statunitensi ai beni europei, ma di essere pronti a rispondere. I socialisti vorrebbero in particolare che la Commissione europea mettesse a punto già delle contromisure, così da avere una risposta “tempestiva e decisa” in caso di scenario peggiore.Per Popolari (Ppe) e conservatori (Ecr) la priorità resta la cooperazione per quello che si continua a considerare un partner strategico e di lungo corso. “Su Trump attendiamo, sappiamo che è un grande mediatore”, confida Denis Nesci (Fdi/Ecr), che conferma come “siamo in fase di dibattito”, e quindi “dobbiamo essere pronti a quello che può succedere ma attendere”. I Verdi vorrebbero una risposta unita e non procedere in ordine sparso, come spiega Ignazio Marino (Europa Verde/Verdi): “Su Trump purtroppo l’Europa si sta dimostrando debole e divisa”, e quindi “il bullo prevale”.Ma è il dibattito del 12 febbraio – senza risoluzioni – che rischia di infiammarsi ancora di più, perché alle questioni Oms e la seconda uscita dagli accordi di Parigi sul clima si aggiungono le minacce di sanzioni alla Corte penale internazionale. Uscite, queste ultime, che infiammano già il dibattito che verrà. “Trump sta invitando alla pulizia etnica a Gaza, e ora attacca la Corte penale internazionale, con Ursula von der Leyen che non fa niente“, le critiche che piovono da laSinistra nei confronti della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “La Corte penale internazionale è un luogo quasi sacro che deve essere tutelato”, tuona Valentina Palmisano (M5S), convinta delle necessità della “protezione del diritto internazionale anche alla luce delle ultime dichiarazioni di Trump”Mentre la portavoce del gruppo dei socialisti fa notare come nonostante un’agenda dalla forte connotazione di politica estera (si parla anche del terzo anno di guerra russo-ucraina, disordini e proteste in Serbia, deterioramento della situazione in Georgia), critica l’assenza dell’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas. “Sarebbe stato bello averla in Aula”, commemta.Infine le restrizioni degli Stati Uniti alle esportazioni di chip utili alla doppia transizione. Il nuovo regime voluto da Trump avrà ripercussioni per 17 Stati membri su 27 (Austria, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria), e questo rende il dibattito necessario per organizzare una risposta.  Neppure in questo caso sono previste risoluzioni. Si vuole censurare Trump, senza censurare Trump. Che impone la sua agenda nell’agenda del Parlamento europeo

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    La proposta politica della Finlandia: Alleanza Ue-Stati Uniti in senso anti-Cina

    Bruxelles – Meno Cina nell’agenda dell’Unione europea, e più Stati Uniti. La Finlandia prova a riorganizzare la politica dell’Unione europea, suggerendo ai partner di entrambe le sponde dell’Atlantico il modo di andare avanti. Suggerisce un’alleanza commerciale tutta euro-americana e dazi contro Pechino, il tutto in considerazione delle alleanze sullo scacchiere internazionale, prime fra tutte quelle militari. Elina Valtonen, ministra degli Esteri finlandese, tiene a ricordare come il conflitto russo-ucraino si sia allargato, con la partecipazione di Corea del Nord, Iran e “anche Cina” al fianco di Mosca.“Se la Cina sta ostacolando in modo così importante la sicurezza e l’architettura della sicurezza dell’Europa non possiamo continuare con le relazioni normali”, scandisce la ministra al suo arrivo a Bruxelles per i lavori del consiglio Affari esteri: “Non possiamo andare avanti con il ‘business as usual’ con la Cina per quanto riguarda il nostro commercio”.Da qui l’invito di Valtonen, che “vale anche per l’Europa” e non solo per gli Stati Uniti, di tessere nuove relazioni trans-atlantiche. Per ragioni storiche e contingenti “la relazione tra Ue e Usa è più importante che mai, e in tal senso siccome siamo alleati così uniti e condividiamo gli stessi valori non possiamo imporci dazi l’uno contro l’altro“.La sottolineatura di Valtonen conferma una volta di più i timori dell’Ue per una guerra commerciale che il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca potrebbe innescare, vista la natura molto più decisa del presidente eletto a tutelare e difendere interesse ed economia degli Stati Uniti. Allo stesso tempo le considerazioni della ministra finlandese offrono un esempio di realpolitik: visto che a Washington si vede nella Repubblica popolare il principale concorrente economico un’alleanza in senso anti-cinese potrebbe aiutare entrambe le parti. Del resto l’imposizione a titolo definitivo di dazi Ue sulle auto elettriche cinesi ha già aperto un fronte di guerra commerciale a cui aggiungerne un altro per l’Europa diventerebbe complicato.

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    Sanchez all’Ue: ripensiamo i dazi sulle auto elettriche cinesi

    Bruxelles – L’imposizione di dazi sui veicoli elettrici cinesi dovrebbe essere “riconsiderata” dall’Unione europea. Lo ha detto ieri (11 settembre), durante la sua visita in Cina, il presidente del governo spagnolo Pedro Sánchez: “Non abbiamo bisogno di una nuova guerra, in questo caso una guerra commerciale”, ha affermato.La Commissione dovrebbe imporre le sue tariffe entro la fine di ottobre, dopo un annuncio della fine di agosto.La paura spagnola sembra essere quella di ritorsioni da parte cinese, dopo che da alcuni mesi Pechino ha avviato diverse indagini antidumping e antisovvenzioni su prodotti europei, tra cui la carne di maiale, delle quali la Spagna è il principale esportatore dell’Ue.Entro la fine di ottobre gli Stati membri saranno chiamati a votare sull’approvazione di dazi sui veicoli elettrici cinesi, che potrebbero essere bloccati se una maggioranza qualificata di Stati membri votasse contro.All’inizio di luglio, dazi provvisori sono stati approvati da undici Paesi, mentre altri quattro hanno votato contro e nove si sono astenuti.

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    Dal primo luglio l’Ue imporrà pesanti dazi sull’import di cereali e derivati da Russia e Bielorussa

    Bruxelles – Nel 2023, l’Ue ha rimpinguato le casse del Cremlino con 1,3 miliardi di euro acquistando dalla Russia la cifra record di 4,2 milioni di tonnellate di cereali, semi oleosi e derivati. Dal primo luglio, la speranza di Bruxelles è dare però un taglio netto all’import da Mosca: oggi (30 maggio) il Consiglio dell’Ue ha dato il via libera all’imposizione di pesanti dazi commerciali sui prodotti agricoli che arrivano da Russia e Bielorussia.Il grano di Mosca e Minsk potrebbe arrivare a costare circa il 40 per cento in più, attraverso una tariffa fissata a 95 euro per tonnellata. I cereali – anche se il prezzo varia a seconda della qualità – costano oggi in Ue più o meno tra i 200 e i 220 euro per tonnellata. Raddoppierà invece il prezzo di semi oleosi e derivati, pellet di polpa di barbabietola (utilizzati come mangimi) e piselli secchi, su cui i 27 hanno deciso di imporre una maggiorazione del 50 per cento.La mossa del blocco – proposta dalla Commissione europea lo scorso 22 marzo – è stata concepita per prevenire eventuali attacchi ibridi da Mosca, che potrebbe utilizzare i prodotti agricoli per “invadere” e destabilizzare il mercato dell’Ue, ma anche per contrastare le esportazioni di cereali “rubati” ai territori occupati in Ucraina e rietichettati come russi. E in generale, per tagliare un’importante fonte di reddito per Mosca nel tentativo di limitare la sua capacità di finanziare la guerra contro Kiev.“Il nostro impegno per la sicurezza alimentare globale rimane fermo, garantendo che i Paesi in via di sviluppo non siano colpiti negativamente da queste misure”, assicura il vicepresidente della Commissione europea e commissario per il Commercio, Valdis Dombrovskis. Le maggiorazioni non saranno applicate infatti ai prodotti in transito verso Paesi extra-Ue, ma colpiranno solo quelli destinati al consumo nei 27 Paesi membri.Dai dazi su cereali e semi oleosi russi beneficeranno in modo indiretto gli agricoltori europei, che l’anno scorso hanno visto diminuire i prezzi a causa dell’aumento vertiginoso dell’import da Mosca. Per la Coldiretti, il via libera alle maggiorazioni “è importante per salvare le aziende agricole italiane”, dopo che nel 2023 sono entrate in Italia “quasi mezzo milione di tonnellate” di grano russo, “abbattendo fino al 60 per cento il prezzo del grano italiano”. Viceversa, Bruxelles garantisce che non esiste il rischio di un forte impatto sui prezzi per i consumatori perché, anche sommando le 4,2 milioni di tonnellate importate dalla Russia e le 610 mila tonnellate dalla Bielorussia, si parla comunque di circa l’1 per cento del totale dei cereali prodotti o importati dall’Ue.La presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue ha dichiarato – a margine dell’incontro tra i ministri dei 27 – che la Svezia ha suggerito di estendere i dazi ad altri prodotti made in Russia e Bielorussia. “La Commissione europea valuterà l’ipotesi – ha aperto alla possibilità Dombrovskis -, e fornirà diverse opzioni ai Paesi membri”.

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    L’Ue estende il sostegno commerciale all’Ucraina per un altro anno

    Bruxelles – La sospensione dei dazi all’importazione e delle quote sulle esportazioni ucraine verso l’Unione Europea sarà prorogata per un altro anno, a seguito dell’adozione odierna da parte del Consiglio e del voto del 23 aprile del Parlamento europeo.Le misure tengono conto anche delle preoccupazioni delle parti interessate dell’Ue e contengono un meccanismo di salvaguardia rafforzato. Esso consente di adottare rapidamente misure correttive in caso di gravi perturbazioni del mercato dell’Ue o dei mercati di uno o più Stati membri. Inoltre, alle uova, al pollame, allo zucchero, all’avena, al mais, alle semole e al miele si applica un freno di emergenza che scatterà automaticamente se i volumi delle importazioni raggiungeranno la media annuale delle importazioni registrate tra il 1° luglio 2021 e il 31 dicembre 2023.

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    Dombrovskis: “Nessuna proposta per messa al bando dei prodotti degli insediamenti israeliani”

    Bruxelles – Logiche e rapporti bilaterali tra Unione europea e Israele non cambiano, neppure alla luce di un conflitto in corso e le tensioni frutto di posizioni dello Stato ebraico sulla soluzione a due Stati della questione arabo-israeliana che non piacciono all’Ue. Il lavoro dei coloni israeliani nei territori palestinesi continuerà ad essere oggetto di scambi con l’Unione. “La Commissione non ha intenzione di presentare una proposta per vietare ai prodotti degli insediamenti di entrare nel mercato unico dell’UE“, scandisce il commissario per il Commercio, Valdis Dombrovskis, rispondendo a un’interrogazione parlamentare che arriva dai banchi de LaSinistra.L’esecutivo comunitario in sostanza intende lasciare tutto così com’è nelle relazioni con Israele. Pur non riconoscendo gli insediamenti israeliani come parte dello Stato ebraico, l’UE non modificherà quello che è il regime delle relazioni bilaterali politico e in materia commerciale. L’accordo di associazione UE-Israele prevede trattamenti tariffari preferenziali, vale a dire dazi ridotti alle importazioni di beni e prodotti israeliani. Un trattamento di favore che non si applica però a tutto il ‘made in Israel’ proveniente dagli insediamenti, la cui origine è anche specificata in etichetta. E non cambierà.“Il nuovo codice della tariffa doganale UE (TARIC) introdotto nel 2023 mira a facilitare e migliorare il rispetto di tale distinzione da parte degli importatori dell’UE”, specifica Dombrovskis. La politica dunque resterà quelle adottata fin qui. Dazi all’import per tutto ciò che riguarda gli insediamenti quale misura per prendere le distanze da una politica, quella delle colonie, comunque condannata dall’UE.

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    Cina, la battaglia per i tre Imperi

    Siamo nel ventunesimo secolo, la Cina crea strategie politiche-economiche per sferrare attacchi mirati nello scacchiere della finanza mondiale. The trade winds, i venti del commercio orientale soffiano sempre in una precisa direzione, volti a tracciare un sentiero o un percorso nell’economia dei  tre ‘imperi’, Europa, America, Africa.
    Nell’attesissimo intervento a Davos, il presidente cinese, Xi Jinping, ha dichiarato che la Cina corre per la leadership. Di conseguenza, tutto il comparto economico cinese subirà un intervento statale con la conseguente regolamentazione, che coinvolgerà il settore finanziario, digitale, educativo, logistico e ferroviario.
    Un rapporto di Eurostat indica che gli scambi tra Cina ed Europa nel 2020 ammontano a 31 miliardi di euro rispetto agli USA, per un valore di mercato di 555 miliardi di euro. Con COSCO, il colosso statale definito da Xi Jinping “la testa del drago in Europa”, Pechino entra nelle infrastrutture UE. La compagnia statale di navigazione attualmente detiene il 51 per cento del Porto del Pireo (il più importante scalo della Grecia) e sta per rilevare un’ulteriore quota del 16 per cento dell’Autorità Portuale, raggiungendo una quota di maggioranza del 67 per cento.
    In Italia la Cina investe nella nuova ‘via della seta, Nola-Shanghai’’ attraverso un collegamento ferroviario diretto. La merce arriva via treno all’Interporto Campano di Nola (Napoli) senza nessun trasbordo intermedio, con tappe presso gli hub di Kaliningrad (Russia), Rostock (Germania) e Verona (Interterminal). L’obiettivo, il rilancio del polo logistico e del terziario avanzato dell’Interporto e un avanzamento internazionale del settore commerciale del Sud Italia. I vantaggi del servizio sono di tipo operativo, per il rapporto diretto con sdoganamento in importazione presso la dogana di Nola e per i ridotti rischi di dannosità della merce, e anche ambientali, specie in relazione alla riduzione di emissione di anidride carbonica, calcolata del 20 per cento. Già ad agosto 2019 il numero di treni merci Cina-Europa ha raggiunto i diecimila.
    Nodo cruciale è l’ampliamento delle infrastrutture cinesi, per lo più collegate a data center, cavi in fibra ottica, strutture attraverso cui scorrono le informazioni e reti Internet. Di conseguenza, porti, ferrovie e digitalizzazione sono interessi determinanti nella lotta per il dominio tecnologico, per cui lo scontro tra Stati Uniti e Cina subisce un’accelerazione. Altro tema caldo è la volontà di Pechino di rafforzare la presenza militare in Africa: l’esempio più eclatante è l’installazione militare di Gibuti, nel Corno d’Africa, proprio all’imbocco dello Stretto di Bab el-Mandeb davanti alla rotta dei flussi commerciali da e per il Canale di Suez.
    Misure in espansione sono nel settore militare. Il governo cinese, a conferma delle ambizioni globali, consolida le capacità di proiezione strutturale e rafforza la dimensione militare/strategica, sa perfettamente che laddove aumentano gli interessi economici, aumenta anche la necessità di tutelarli. La volontà d’espansione si proietta verso interessi diffusi della collettività indifferenziata. Pechino può contare su una presenza costante e assidua in campo economico/logistico, finanziario e militare nel territorio africano, partecipa a missioni di peacekeeping sotto le insegne dell’ONU.
    Altro aspetto è la situazione afghana. Il presidente Xi Jinping ha sottolineato che la Cina rispetta la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Afghanistan, persegue una politica di non interferenza negli affari interni del Paese e ha sempre svolto un ruolo costruttivo nella soluzione politica della questione afghana. Altrettanto, Putin ha dichiarato che la Cina e la Russia condividono posizioni comuni sull’Afghanistan e che i due Paesi potranno lavorare insieme per facilitare la transizione di governo in Afghanistan.
    Il confronto decisionale tra Xi Jinping  e Putin è avvenuto in seguito a un incontro del Gruppo dei Sette sull’Afghanistan. I leader del G7 hanno chiesto che venga garantita la sicurezza nel Paese, mentre l’amministrazione di Joe Biden sconta la decisione di Trump di ritirare le truppe americane dal territorio afghano durato vent’anni, anche se agli occhi del mondo appare una sconfitta dal sapore amaro.
    La rivalità tra le grandi potenze non si è attenuata nemmeno durante la crisi COVID-19. Nel 2021, il Paese del Sol Levante si apre con estremo scetticismo al dialogo con altre nazioni, nonostante la posizione di forza, ed è il primo Paese e riprendersi dal contagio e a riavviare l’economia. La Cina, attraverso una politica restrittiva e un’economia d’espansione, è stata l’unica nazione a registrare una crescita durante la pandemia dello scorso anno.
    Joe Biden, cavalcando l’onda pandemica, promuove le posizioni di coloro che sotto l’amministrazione Trump hanno sempre sostenuto di dover arginare l’espansione della Cina. L’ipotesi che il COVID-19 abbia avuto origine nell’Istituto di virologia di Wuhan consentì a Trump di dichiarare che aveva “enormi prove” che lo comprovavano. Altresì, nelle migliori delle ipotesi, gli USA sembrano intenzionati a “chiedere il conto” alla Cina.
    In attesa di nuovi sviluppi, Pechino sta contrastando le accuse al laboratorio Wuhan con una feroce propaganda anti-americana e una maggiore coercizione economica all’estero. Boicottaggio delle merci e dei servizi e dazi punitivi sono uno dei tanti mezzi utilizzati come forma di coercizione economica verso Stati terzi che intendono “appoggiare” le decisioni americane. La pandemia ha costretto i leader politici di tutto il mondo a fare i conti con una crisi economica senza precedenti, le loro decisioni appaiono irretite da un’irrazionalità politica, intrise da contraddizioni sociali. Prioritarie sono le scelte nel voler tirar fuori la propria nazione dalla recessione che, secondo questa logica, eviterebbero qualsiasi misura che porti a ulteriori restrizioni.
    Ovviamente la risposta americana non si è fatta attendere. Già da allora, l’amministrazione Trump si era mossa per imporre dazi sulle esportazioni cinesi, sanzionare i funzionari sulle mosse per limitare le libertà a Hong Kong e nello Xinjiang e negare la tecnologia vitale ad alcune delle più grandi aziende cinesi. In previsione di altri incontri in sedi più opportune, il presidente cinese Xi Jinping ha enfatizzato una politica di “doppia circolazione” che privilegia l’autosufficienza. Il team di Biden ha segnalato che continuerà a mantenere una linea dura con la Cina, mentre cerca la cooperazione verso temi che riguardano il cambiamento climatico.
    Nel tempo in cui i leader del mondo dettano le strategie, per resistere al conflitto economico tra Cina e Stati Uniti, l’Europa tenta di organizzare un controllo serrato sugli investimenti strategici provenienti dall’estero, migliorare la sua resilienza dagli attacchi diretti e indiretti e conseguentemente agli effetti collaterali della diatriba commerciale USA-Cina.
    In questi giorni si è realizzata una straordinaria alleanza indo-pacifica, che ha dato vita all’accordo AUKUS: l’acronimo riguarda i tre Paesi partecipanti, Stati Uniti-Gran Bretagna-Australia. La partnership “aggiornerà la nostra capacità condivisa di affrontare insieme il ventunesimo secolo e le sue minacce”, ha riferito Joe Biden parlando alla Casa Bianca durante la teleconferenza. Boris Johnson ha parlato di “un pilastro strategico” in quello che per Londra è il nuovo “centro geopolitico mondiale”. Ma per capire lo scopo strategico dell’accordo è necessario rileggere le parole di Johnson: “Stiamo inaugurando un nuovo capitolo della nostra amicizia e il primo compito sarà quello di sostenere l’Australia nell’acquisizione di una flotta di sottomarini a propulsione nucleare”.
    Il primo ministro australiano Scott Morrison ha replicato affermando che il Paese non porterà a completamento l’accordo da 90 miliardi di dollari australiani (66 miliardi di dollari) con la Francia per la fornitura di sottomarini, ma ne costruirà di propri, a propulsione nucleare, utilizzando la tecnologia statunitense e britannica. “La decisione che abbiamo preso di non continuare con il sottomarino Attack Class e di percorrere questa strada non è un voltafaccia ma una necessità”, ha aggiunto.
    AUKUS, soprannominato ‘patto contro la Cina’, scatena l’ira di Pechino e della Francia. Zhao Lijain portavoce del ministero degli Esteri, ha dichiarato che la Cina “monitorerà la situazione” e che “è un accordo irresponsabile”. Altrettanto dure sono le parole del ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian: “Sono veramente in collera. Avevamo instaurato un rapporto di fiducia con l’Australia’”. La ragione di tanto disappunto è la rescissione della  commessa pregressa tra Francia e Australia stipulata nel 2016, per costruire sottomarini nucleari, dal valore 31 miliardi di euro. L’UE invece ha rivelato che “non era stata informata” e che “siamo in contatto con i partner per saperne di più e ne dobbiamo discutere con gli Stati membri dell’UE per capirne le implicazioni”, ha detto il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna, Peter Stano.
    Il giorno seguente alla pubblicazione dell’accordo, il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, ha tentato di rassicurare che “il nostro patto punta a garantire pace e stabilità”. All’unisono, il premier australiano, Scott Morrison, ha dichiarato che “i nostri sottomarini garantiranno sicurezza nella regione e saranno utili a tutti, compresa la Cina”. Ma il presidente cinese Xi Jinping, irritato, ha inviato le sue considerazioni ai tre Paesi: “Non permetteremo interferenze di forze straniere”. Su questo accordo si gioca una partita strategica per il futuro del mondo.

    Questo contributo è stato pubblicato nell’ambito di “Parliamo di Europa”, un progetto lanciato da
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