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    La BCE: “Dalla dipendenza da terre rare cinesi rischi per economia e inflazione”

    Bruxelles – Economia, consumi, sviluppo: il futuro industriale, produttivo e competitivo dell’Unione euroepea è un’incognita. C’è una carenza di terre rare eccessiva da cui dipende tutto, con la Cina a decidere delle sorti europee. “L’area dell’euro rimane esposta a rischi economici e legati all’inflazione a causa della sua dipendenza dalla Cina per la fornitura di terre rare ai settori industriali critici“, avverte la Banca centrale europea in uno studio dedicato al tema. “Le interruzioni della catena di approvvigionamento derivanti dalle restrizioni all’esportazione imposte dalla Cina potrebbero comportare un aumento dei costi di produzione per i produttori, in particolare nei settori automobilistico, elettronico e delle energie rinnovabili”.Quanto è vulnerabile l’UE alle scelte di Pechino in materie di terre rare? La risposta contenuta nel documento di analisi che ruota attorno a questo quesito esistenziale non lascia spazio ai dubbi: “L’area dell’euro è esposta ai rischi della catena di approvvigionamento legati alle esportazioni cinesi di terre rare”. La Repubblica popolare cinese domina il mercato globale delle terre rare, producendo il 95 per cento delle terre rare mondiali. Occupa inoltre una posizione centrale nella raffinazione di altre materie prime essenziali, come il litio e il cobalto, entrambi essenziali per le batterie delle auto elettriche.Attualmente il 70 per cento delle importazioni di terre rare nell’area euro proviene dalla Cina e alternative disponibili non ve ne sono. “Anche quando l’area dell’euro si rifornisce di prodotti secondari contenenti terre rare da paesi diversi dalla Cina, i fornitori dipendono fortemente dalla Cina per le terre rare grezze”, avvertono ancora gli esperti della BCE. Un esempio in tal caso è rappresentato dagli Stati Uniti, la cui domanda di terre rare è soddisfatta all’80 per cento proprio da Pechino. Ne deriva che nonostante le strategie concepite a Bruxelles per rispondere al problema “l’area dell’euro rimane indirettamente esposta alle catene di approvvigionamento cinesi quando importa prodotti statunitensi che utilizzano terre rare”.I tecnici della Bce suonano l’allarme: “L’influenza della Cina sull’eurozona aumenta”Situazioni di crisi non si profilano all’orizzonte, vuole rassicurare la BCE. “Gli indicatori attuali non suggeriscono che le pressioni sulla catena di approvvigionamento e gli aumenti dei prezzi siano imminenti nell’immediato“. Tuttavia, “è fondamentale rimanere vigili” e monitorare attentamente gli sviluppi, dato il potenziale di rapidi cambiamenti nelle dinamiche di approvvigionamento globali. “La Cina potrebbe utilizzare le terre rare per esercitare pressione nei negoziati commerciali in corso con l’UE”, mette in guardia la Banca centrale europea.In gioco c’è praticamente tutto. L’inflazione e l’aumento dei prezzi, ma pure lo stop per settori produttivi con ricadute di natura politica. Le industrie manifatturiere sono particolarmente esposte, a cominciare da quella automobilistica, che fa ampio affidamento sui magneti permanenti realizzati con terre rare. Analogamente, anche il settore energetico dipende fortemente dalle terre rare per i magneti al neodimio utilizzati nelle turbine eoliche. Ma le terre rare trovano un ampio impiego nel settore tecnologico (semiconduttori, computer, telefonia). Una buona fetta di Green deal e doppia transizione si gioca qui, nella dipendenza dalla Cina in ciò che serve per tradurre in pratica le ambizioni di sostenibilità.

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    Niente crescita e meno commercio, per Londra la Brexit cinque anni dopo è un ‘flop’

    Bruxelles – Meglio soli che male accompagnati. Il noto detto devono conoscerlo anche oltre Manica, dove si è deciso di dire addio all’Unione europea per un futuro più radioso che però non c’è. Ecco che il noto detto mostra i suoi limiti, riassunti nei numeri certificati anche dall’Ufficio per la responsabilità di bilancio, l’ente pubblico finanziato dal Tesoro britannico. Meno crescita, meno produttività, meno commercio: ecco il Regno Unito post-Brexit, a cinque anni dalla ‘nuova indipendenza’.L’analisi dell’Ufficio governativo, certifica che essere usciti dal mercato unico non è stato un vantaggio. Al contrario, “sia le esportazioni che le importazioni saranno inferiori di circa il 15 percento nel lungo periodo rispetto a quanto sarebbe stato se il Regno Unito fosse rimasto nell’Ue“. Questo per via di costi alle dogane in termini di nuovi dazi e tempi lunghi per i nuovi controlli delle merci scattati quale effetto della Brexit. Inoltre, la libertà di decidere da sé come fare libero scambio si riflette nell’incapacità di essere davvero innovativiDavid Cameron, primo ministro del Regno Unito dall’11 maggio 2010 al 13 luglio 2016. Fu lui a volere il referendum sulla Brexit, e si dimise a seguito dell’esito del voto [foto: imagoeconomica] “I nuovi accordi commerciali con Paesi non Ue non avranno un impatto materiale e qualsiasi effetto sarà graduale”, sottolinea ancora l’Ufficio britannico. “Questo perché gli accordi conclusi fino a oggi replicano (o ‘rinnovano’) accordi di cui il Regno Unito ha già beneficiato come stato membro dell’Ue”. Inoltre, il nuovo accordo di commercio e cooperazione (Tca) Ue-Regno Unito entrato in vigore l’1 maggio 2021 “ridurrà la produttività a lungo termine del 4 percento rispetto alla permanenza nell’Ue”.Dove il Regno Unito ci guadagna dalla Brexit è sull’immigrazione. Si stima che il nuovo regime del governo possa ridurre la migrazione netta in entrata. Sempre che questo sia un vantaggio per il sistema economico e produttivo britannico. Il National Institute of Economic and Social Research di Londra rileva come a seguito della Brexit la carenza di manodopera ha messo “a dura prova l’economia” del Regno Unito. Se prima del recesso dall’Ue le imprese potevano facilmente soddisfare le loro esigenze di lavoro attraverso il mercato del lavoro integrato dell’Ue, a seguito della Brexit settori critici come agricoltura, assistenza sanitaria e ristorazione hanno incontrato carenze di manodopera, con conseguente aumento dei costi operativi e limitazioni di produzione.