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    Alla Cop27 von der Leyen guarda al “Sud del mondo”, è iniziata la corsa Ue all’approvvigionamento di materie prime e idrogeno

    Bruxelles – Materie prime per costruire tecnologie chiave per la transizione e idrogeno verde per attuarla. L’Unione europea è in “missione” alla Cop27 di Sharm el-Sheikh – la 27esima edizione della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima – per alzare le ambizioni globali sul clima e sulla riduzione delle emissioni, ma non solo. E’ iniziata la corsa dell’Unione europea ad accaparrarsi materie prime e altri materiali raffinati indispensabili per attuare la transizione verde del Green Deal, stipulando a margine dei lavori ‘ufficiali’ partnership con i Paesi in via di sviluppo sull’idrogeno e sulle tecnologie pulite.
    Nelle prime due giornate di Summit dei leader Bruxelles ha già siglato due memorandum d’intesa, prima con il Kazakistan (nella giornata di ieri) e oggi con la Namibia su materie prime, idrogeno rinnovabile e batterie, in attesa di un terzo partenariato con l’Egitto che seguirà in queste ore. Asia e Africa, che l’Unione europea ritiene continenti strategici per rafforzare la sua strategia sulle materie prime e affrancarsi dalla dipendenza dalla Russia e dalla Cina per la produzione di tecnologie pulite e idrogeno rinnovabile.“Il Sud del mondo ha risorse in abbondanza ma è necessario fare squadra, ed è per questo che l’Unione europea sta firmando nuovi partenariati per l’idrogeno con Egitto, Namibia e Kazakistan e sostiene partner come il Vietnam e il Sudafrica nella decarbonizzazione delle loro economie”, ha rivendicato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento di oggi (8 novembre) al Summit dei leader della Cop27.

    The climate is changing faster than our capacity to adapt.
    Let us not take the highway to hell, but earn our clean ticket to heaven!#REPowerEU
    Let’s do this together. #GlobalGateway@antonioguterres https://t.co/KuKXslaueg
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) November 8, 2022

    La crisi dell’energia dettata in parte dalla dipendenza dell’Unione europea dalla Russia in termini di risorse energetiche ha aperto alla riflessione sulla necessità di non ripetere lo stesso errore anche per quanto riguarda le materie prime considerate critiche. Materie come il litio e il cobalto servono a produrre batterie e motori elettrici e le materie critiche a costruire le turbine eoliche (con magneti in terre rare) e i semiconduttori (polisilicio) su cui nel primo trimestre del 2023 presenterà una proposta legislativa. Oltre alle materie prime critiche l’Europa guarda soprattutto all’idrogeno ‘verde’ per la decarbonizzazione dei settori industriali difficili da decarbonizzare, come il siderurgico. E guarda soprattutto al Sud del mondo che “ha risorse in abbondanza, ma dobbiamo fare squadra”, ha avvertito. Il Sud del mondo ha risorse ma manca di finanziamenti, il Nord ha i finanziamenti ma non le risorse e quindi serve stabilire un patto di reciproca convenienza.
    La crisi dell’energia e dei prezzi trainata dalla guerra di Russia in Ucraina per von der Leyen deve essere “un punto di svolta” nella lotta ai cambiamenti climatici.  Fare meglio e farlo più in fretta. “La crisi globale dei combustibili fossili deve cambiare le carte in tavola”, ha avvertito la presidente della Commissione europea, raccogliendo l’appello di ieri del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, a “non prendere l’autostrada per l’inferno, ma guadagnamoci un biglietto pulito per il paradiso”. Dal canto suo, l’Unione europea – che conta ‘appena’ l’8% delle emissioni su scala globale – sta già mantenendo la rotta tracciata per la neutralità climatica al 2050, attraverso l’attuazione del pacchetto legislativo ‘Fit for 55’, presentato a luglio 2021 con l’idea di abbattere le emissioni di gas serra del 55% (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2030, come tappa intermedia per il target ‘zero emissioni’ entro metà secolo.
    La leader tedesca ha rivendicato che l’Ue “sta mettendo in atto il quadro legislativo più ambizioso al mondo”, insistendo affinché tutti “i principali emettitori aumentino le proprie ambizioni” e facciano altrettanto. Non li cita direttamente, ma il riferimento è soprattutto alla Cina, gli Stati Uniti e l’India, che rispettivamente rappresentano il 28% delle emissioni globali di gas serra, il 14% e il 7%. Se prima della fine del secolo scorso la maggior parte delle emissioni veniva prodotta da Stati Uniti e Europa, oggi le cose stanno cambiando e si assiste a un aumento significativo delle emissioni prodotte in altre parti del mondo, come Asia e soprattutto Cina. Non c’è dubbio che questa crisi abbia rafforzato ulteriormente la determinazione dell’Unione europea a lottare contro il cambiamento climatico. “Siamo e resteremo leader dell’azione per il clima, siamo determinati ad accelerare, siamo determinati a proteggere l’ambiente”, ha sottolineato anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ribadendo che la Russia ha scelto di usare l’energia come arma di destabilizzazione di massa, “direttamente sull’Europa e sui mercati energetici mondiali, e allo stesso modo il Cremlino ha scelto di usare prodotti alimentari e fertilizzanti”.
    Per l’Europa la risposta ai cambiamenti climatici e alla dipendenza energetica dalla Russia si chiama ‘REPowerEU’, il piano da potenziali 300 miliardi di euro varato a maggio per affrancare l’Unione europea combustibili fossili importati da Mosca. Un piano per l’indipendenza energetica che dovrebbe passare anche dallo “sviluppo massiccio delle energie rinnovabili”, ha sottolineato von der Leyen. Secondo le indicazioni della presidente dell’esecutivo comunitario, la capacità rinnovabile aggiuntiva dell’UE è destinata a più che raddoppiare quest’anno, fino a 50 Gigawatt, con la prospettiva di stabilire il prossimo anno un nuovo record assoluto di oltre 100 GW, se pure a condizione di produrne di più.

    Bruxelles sigla a margine della Cop27 due memorandum di intesa con Kazakistan e Namibia su materie prime, idrogeno rinnovabile e batterie e von der Leyen rilancia la necessità di guardare al Sud del mondo ricco in risorse ma povero di finanziamenti

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    L’Ue pronta a dare il via libera alla seconda tranche di sostegno macro-finanziario all’Ucraina da 5 miliardi di euro

    Bruxelles – Sbloccare due terzi dei fondi previsti dal pacchetto di prestiti di assistenza macro-finanziaria Ue all’Ucraina da 9 miliardi di euro annunciato dalla Commissione e approvato dal Consiglio a maggio. È sotto questa spinta che l’esecutivo comunitario ha presentato oggi (mercoledì 7 settembre) la proposta per dare il via libera alla seconda tranche da 5 miliardi di euro, dopo la prima da un miliardo già erogata a inizio agosto (mentre i restanti 3 arriveranno “al più presto”, precisano da Berlaymont).
    “Il sostegno dell’Ue all’Ucraina è incrollabile”, ha assicurato la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ricordando che il pacchetto di assistenza macro-finanziaria si pone l’obiettivo di “aiutare l’Ucraina a far fronte alle immediate necessità finanziarie causate dalla brutale invasione russa”. Nel momento dell’intesa con gli Stati membri al vertice dei leader Ue di fine maggio era stata proprio la numero uno dell’esecutivo comunitario a ricordare che “Kiev ha bisogno di 5 miliardi di euro al mese solo per garantire i servizi di base, come salari e pensioni” e Bruxelles deve tenere in considerazione questi bisogni quando promette supporto “incondizionato” al partner sotto attacco. Il pacchetto da 1,2 miliardi approvato a febbraio non è più sufficiente ed è per questo che le istituzioni europee hanno ritenuto necessario ampliarlo con un secondo filone da 9 miliardi totali – di cui 6 saranno presto sul piatto, non appena Parlamento Europeo e Consiglio dell’Ue approveranno la proposta arrivata oggi – sotto forma di “prestiti a lungo termine a condizioni favorevoli, da erogare in un numero ridotto di rate”, spiega la Commissione.
    Con il (quasi) via libera alla seconda tranche di fondi Ue di assistenza macro-finanziaria, sale a 10 miliardi di euro il supporto che Bruxelles ha fornito all’Ucraina in aiuti finanziari, umanitari e militari. Oltre ai 5+1 miliardi del secondo pacchetto e all’1,2 del primo, vanno considerati anche i 335 milioni dell’assistenza umanitaria per aiutare i civili ucraini colpiti dalla guerra e i 2,5 miliardi come finanziamenti militari attraverso l’European Peace Facility, lo strumento fuori bilancio per la prevenzione dei conflitti, la costruzione della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale, attraverso il finanziamento di azioni operative nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (Pesc) che hanno implicazioni nel settore militare o della difesa.

    The situation in Ukraine requires our full support.
    Today the @EU_Commission proposes an additional €5 billion in macro-financial assistance for the country.
    This is on top of the €10 billion the EU already provided in financial, humanitarian and military aid. pic.twitter.com/B60lueYl0Q
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) September 7, 2022

    La Commissione ha presentato la proposta per sbloccare due terzi dei 9 miliardi promessi a Kiev (uno è già stato approvato). A questi fondi si aggiungono altri 4 miliardi tra i finanziamenti militari dell’European Peace Facility, il supporto umanitario e il piano approvato a febbraio

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    L’Ue in pressing sulla Serbia per trovare una soluzione con gli organizzatori dell’EuroPride per ospitare l’evento a Belgrado

    Bruxelles – Aumentano le pressioni delle istituzioni Ue sulla Serbia dopo l’ondata di polemiche sulla posizione intransigente del presidente serbo, Aleksandar Vučić, a proposito dello svolgimento dell’Europride 2022 in programma tra il 12 e il 18 settembre a Belgrado. “Dopo l’annuncio della cancellazione, l’Unione Europea incoraggia le autorità serbe a proseguire i contatti con gli organizzatori per trovare una soluzione che consenta di ospitare l’EuroPride in pace e sicurezza”, si legge in una nota firmata dal portavoce del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae), Peter Stano: “Attendiamo con ansia una decisione finale positiva” sullo svolgimento dell’evento che celebra quest’anno il trentesimo anniversario dall’istituzione.

    Statement by the Spokesperson on the announcements of the cancellation of EuroPride in Belgrade | EEAS Website https://t.co/yA0qK61knl
    — Belgrade Pride – EuroPride 2022 (@belgradepride) September 2, 2022

    Martedì (30 agosto) il presidente Vučić aveva ribadito che la manifestazione annuale itinerante per i diritti LGBTQ+ in programma quest’anno nella capitale serba sarà “annullata o rinviata” per “questioni urgenti”, non facendo nessuna apertura rispetto a quanto annunciato pochi giorni prima nel corso della cerimonia di conferimento del mandato di governo alla premier uscente, Ana Brnabić. “Potrà chiamare Biden, potranno chiamare Putin o Erdogan o chi volete, la decisone non cambierà”, aveva messo un punto Vučić. Ma gli organizzatori dell’EuroPride hanno continuato a confermare che l’evento non è annullato e che la marcia del 17 settembre per le strade di Belgrado si svolgerà, dal momento in cui le autorità nazionali non hanno il potere di cancellare la manifestazione una volta assegnata alla città ospitante, a meno che non si tratti di ragioni di sicurezza pubblica motivate dalle forze di polizia.
    Da Bruxelles è subito arrivato un importante sostegno alla causa dell’EuroPride 2022 in Serbia, sia con il messaggio inviato alla premier Brnabić da parte della co-presidente dell’intergruppo LGBTQ+ del Parlamento Ue, Terry Reintke, e dalla collega di partito, Viola von Cramon-Taubadel (“L’EuroPride sarà un simbolo forte contro i movimenti autoritari guidati dall’odio, marceremo a Belgrado per la democrazia e la diversità”), sia con la lettera firmata da 145 eurodeputati indirizzata anche al presidente serbo. “Siamo consapevoli delle minacce alla sicurezza dei manifestanti, ma riteniamo che vietare del tutto l’evento non sia la soluzione giusta”, è quanto sottolineato con forza nel testo, che ha esortato alla “positiva collaborazione e a sostenere gli organizzatori nella realizzazione di una Marcia dell’EuroPride sicura”. Tra gli eurodeputati italiani firmatari della lettera compaiono la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno, il membro del comitato dell’intergruppo LGBTQ+ Fabio Massimo Castaldo (Movimento 5 Stelle), insieme ad Alessandra Moretti,Brando Benifei, Massimiliano Smeriglio (Partito Democratico), Eleonora Evi e Rosa D’Amato (Verdi).

    🏳️‍🌈 145 MEPs signed today our joint letter calling on the 🇷🇸 #Serbian leadership (@SerbianPM/@avucic) to facilitate a safe #EuroPride2022 as scheduled.
    Our MEPs also urge authorities to deploy sufficient police protection.
    Read it below 👇 https://t.co/SsKle1gmxb pic.twitter.com/u1lFMMzC2t
    — LGBTI Intergroup (@LGBTIintergroup) August 31, 2022

    È così che, anche grazie al pressing dell’Ue, si è aperto uno spazio di dialogo tra le autorità della Serbia e gli organizzatori dell’EuroPride. Si cerca ora una soluzione che garantisca lo svolgimento della manifestazione – e in completa sicurezza – con un qualche tipo di riconoscimento della situazione delicata all’interno del Paese (in particolare sui rapporti con il Kosovo e sulla crisi energetica). Un tentativo ulteriormente supportato da Bruxelles con la messa in campo del peso diplomatico del Servizio guidato dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “L’Ue attribuisce grande importanza al fatto che questo Pride si svolga in circostanze pacifiche e con la sicurezza dei partecipanti”, si legge nel comunicato, che ricorda a Belgrado le aspettative dell’Unione nei confronti dei “nostri partner più stretti” in materia di “protezione e promozione dei diritti umani”, inclusa la “difesa dei diritti delle persone LGBTIQ+, della libertà di riunione e di espressione”. L’EuroPride, conclude il testo, “si batte per la parità di diritti delle persone LGBTIQ+ in tutta Europa, dando voce a coloro che subiscono discriminazioni, violenze o odio per motivi diversi dal loro sesso, sessualità o genere”.

    Il Servizio europeo per l’azione esterna attende “con ansia” una decisione finale “positiva” dai contatti tra autorità serbe e organizzatori della manifestazione LGBTQ+. Bruxelles attribuisce “grande importanza” allo svolgimento dell’evento “in circostanze pacifiche e in sicurezza”

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    Alla vigilia del vertice di Bruxelles tra Vučić e Kurti, l’Ue condanna la “retorica incendiaria” tra Serbia e Kosovo

    Bruxelles – I presupposti vanno tutti nella direzione di un vertice tanto atteso quanto delicato e difficilmente risolutivo. A due giorni dal nuovo incontro tra il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, nel quadro del dialogo facilitato dall’Ue, il clima rimane teso e da Bruxelles arrivano richiami alla collaborazione e alla distensione dei rapporti, che hanno conosciuto nuove tensioni nelle ultime settimane.
    “A breve saranno pubblicati i dettagli sui temi da affrontare al vertice di alto livello di giovedì 18 agosto, ma saranno discusse tutte le questioni più importanti“, ha confermato la portavoce della Commissione Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali, nel corso del punto quotidiano con la stampa europea. “Non voglio speculare sui possibili risultati, per noi rimane importante che entrambe le parti mettano fine alle ostilità e alla retorica incendiaria e mostrino piena responsabilità” nell’affrontare il sesto vertice di alto livello, ha poi precisato la portavoce. Il riferimento è alle dichiarazioni degli scorsi giorni di entrambi i leader balcanici sulla situazione nel nord del Kosovo, dove da inizio mese è tornata di attualità la questione delle targhe automobilistiche al passaggio della frontiera. I disordini – mai fuori controllo, nonostante alcuni incidenti tra le forze dell’ordine di Pristina e i cittadini kosovari di etnia serba – sono stati definiti “a un passo dalla catastrofe” dal presidente serbo Vučić, mente il premier kosovaro Kurti ha utilizzato una serie di interviste (anche a Repubblica) per mettere in guardia da una potenziale guerra serba fomentata dalla Russia di Putin.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 15 giugno 2021
    L’avvertimento di non seguire la strada della retorica “incendiaria” era già arrivato domenica (14 agosto) in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), preoccupato per le dichiarazioni sulla guerra e sul conflitto nei Balcani Occidentali: “I politici di alto livello delle due parti saranno ritenuti responsabili di qualsiasi escalation che porti a un aumento delle tensioni e, potenzialmente, della violenza nella regione”. Un richiamo esplicito al presidente della Serbia e al premier del Kosovo, richiamati alla “responsabilità” e al confronto costruttivo all’interno del dialogo facilitato dall’Ue: “Il raggiungimento di un accordo globale e giuridicamente vincolante sulla piena normalizzazione delle relazioni richiede un clima che contribuisca a ripristinare la fiducia, la riconciliazione e le buone relazioni”, è la posizione di Bruxelles, che continua a insistere sul rispetto e la “piena attuazione” degli accordi già raggiunti, come quello in ambito energetico del 21 giugno scorso e l’intesa del 2013 (che Pristina ancora si rifiuta di attuare sul punto dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo).
    Nel suo richiamo alle due parti l’Ue è forte anche dello “stretto coordinamento” con gli Stati Uniti e con la Nato, attraverso la collaborazione tra la missione civile Eulex e i 3.700 soldati della Kosovo Force (Kfor), la forza militare internazionale per l’ordine e la pace in Kosovo. È anche per questo motivo che, prima del vertice di giovedì presieduto da Josep Borrell, alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Vučić e Kurti incontreranno domani (mercoledì 17 agosto) il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg. Dopo le notizie delle barricate e dei disordini al confine tra Serbia e Kosovo dello scorso 31 luglio, proprio la missione Nato in Kosovo aveva rilasciato un comunicato in cui avvertiva di essere “pronta a intervenire se la stabilità viene messa a repentaglio” nella regione e a prendere tutte le misure necessarie per mantenere un ambiente sicuro e protetto in Kosovo in ogni momento, in linea con il suo mandato Onu”.

    Sul tavolo dell’incontro di alto livello con il presidente serbo e il premier kosovaro ci saranno “tutti i temi più importanti ancora aperti” tra Belgrado e Pristina. L’Ue si aspetta “piena responsabilità e la fine alle ostilità da entrambe le parti”, in particolare sulla questione delle targhe

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    Dopo un’attesa di quasi tre anni sono iniziati i negoziati di adesione Ue di Albania e Macedonia del Nord

    Bruxelles – Dopo anni di un processo fermo ai box per trovare il giusto assetto per ripartire, il 19 luglio 2022 segna una nuova data da segnare in rosso nel calendario della politica di allargamento dell’Unione Europea nella regione dei Balcani Occidentali. Con le prime conferenze intergovernative svoltesi oggi a Bruxelles, Albania e Macedonia del Nord hanno avviato i negoziati di adesione Ue, andando a unirsi a Montenegro e Serbia (i cui processi sono iniziati rispettivamente nel 2012 e nel 2014).
    “È il vostro successo e dei vostri cittadini, avete dimostrato resistenza ai nostri valori comuni e fede in quelli dell’accesso all’Unione”, ha salutato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, la giornata “storica” per l’Ue e per i due Paesi balcanici: “Avete fatto tutto questo perché era importante per i vostri Paesi, noi continueremo a supportarvi”. A questo punto inizierà l’esame dell’acquis dell’Ue, che “consentirà ad Albania e Macedonia del Nord di familiarizzare con i diritti e gli obblighi della nostra Unione”, dai trattati agli accordi internazionali, mentre parallelamente si procederà a un avvicinamento in alcune aree-chiave: “L’Albania entrerà nel Meccanismo di protezione civile dell’Ue, per aumentare la resistenza contro incendi, terremoti e alluvioni, mentre la Macedonia del Nord negozierà un accordo con Frontex per rafforzare la cooperazione in materia di migrazione”. Nel frattempo, “con i progressi nei negoziati arriveranno i benefici per il commercio, l’energia, i trasporti e la massimizzazione dei fondi europei per nuovi lavori”, ha assicurato von der Leyen, che ha esortato infine a “stare uniti fino a quando non sarete membri a pieno diritto”.

    We will now start the screening of the EU acquis – and proceed very quickly. Dear @P_Fiala, @EU2022_CZ will also play an important role in advancing this negotiations process. The people of 🇦🇱🇲🇰 deserve it. pic.twitter.com/r39GHTWGpp
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) July 19, 2022

    A prendere immediatamente parola è stato il premier albanese, Edi Rama, che solo un mese fa criticava aspramente l’Unione per l’incapacità di liberare i due “ostaggi” dal ricatto bulgaro: “Ringrazio la presidente von der Leyen che ha saputo lottare per l’Ue e per noi, l’ex-cancelliera tedesca, Angela Merkel, perché senza di lei non saremmo qui, e i recenti sforzi del presidente francese, Emmanuel Macron, che è arrivato a una proposta per sbloccare una situazione assurda”. Il premier Rama ha definito gli ultimi tre anni “una tempesta perfetta”, per i veti prolungati, la pandemia Covid-19, i terremoti che hanno colpito il Paese e le conseguenze della guerra russa in Ucraina: “Sappiamo che questa è solo la fine dell’inizio della prima parte del processo, ma ne avevamo bisogno per continuare a costruire un’Albania e una regione balcanica forti e democratiche“, ha sottolineato con forza Rama.
    Da sinistra: Il premier della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski, dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen (19 luglio 2022)
    Da rilevare nel punto con la stampa europea è stato un passaggio specifico del discorso della numero uno della Commissione. Rivolgendosi al premier macedone, Dimitar Kovačevski, la presidente von der Leyen ha assicurato di poter “contare sul mio sostegno” per garantire che tutti i passaggi del processo negoziale siano tradotti in lingua macedone, “senza note a piè di pagina, senza asterischi, su un piano di parità con tutte le 24 lingue dell’Ue”. Una dimostrazione pratica della volontà di Bruxelles di rimanere fedele alle promesse fatte a Skopje – anche la settimana scorsa dalla stessa leader dell’esecutivo comunitario direttamente al Parlamento nazionale – in merito al riconoscimento della lingua e dell’identità macedone nella contesa identitaria con la Bulgaria. “L’Ue ci accoglierà come un Paese a cui riconosce la propria lingua madre, è un principio sancito per sempre, che non sarà sottoposto a trattative“, ha esultato il premier macedone, che ha voluto rimarcare come la proposta di mediazione francese per superare il veto della Bulgaria sia “la migliore possibile, che rispetta le nostre linee rosse, e ora siamo pronti per entrare nell’Ue con un processo veloce come è stato quello di adesione alla Nato” nel 2020. “Il nostro sogno si sta avverando”, ha commentato il premier macedone, sottolineando che “siamo una piccola Unione Europea, un Paese multietnico e multi-confessionale unito nella diversità”.
    A rendere la questione più complessa è però la posizione controversa della Bulgaria, che non si è ammorbidita nemmeno dopo la firma protocollo bilaterale che ha permesso di avviare i negoziati di adesione Ue della Macedonia del Nord. In una dichiarazione unilaterale presentata al Coreper (gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio), la delegazione bulgara ha ribadito che Sofia considera il macedone solo un dialetto della propria lingua e che il riferimento alla lingua ufficiale della Repubblica di Macedonia del Nord nei documenti di Bruxelles non ne implica il riconoscimento.
    Tre anni di stallo
    Macedonia del Nord e Albania sono Paesi candidati all’adesione Ue rispettivamente dal 2005 e dal 2014. Il processo di adesione di Skopje è stato ostacolato fino al 2018 dalla Grecia, per la contesa identitaria e sul cambio del nome del Paese balcanico: solo con gli Accordi di Prespa firmati il 12 giugno 2018, la Repubblica di Macedonia è diventata Repubblica della Macedonia del Nord. Era il 19 ottobre 2019 quando il Consiglio Ue, stimolato per due volte dalla Commissione ad aprire i negoziati di adesione con Skopje e Tirana, chiudeva la porta ai due Paesi, con l’opposizione di Francia, Danimarca e Paesi Bassi e la richiesta di implementare le riforme strutturali prima di sedersi ai tavoli negoziali. Dopo cinque mesi, al Consiglio del 25-26 marzo 2020, era arrivato il via libera dei Ventisette, che sembrava aver risolto tutte le questioni rimaste in sospeso. Tuttavia, il 9 dicembre 2020 si era registrato – nemmeno troppo a sorpresa – lo stop della Bulgaria, con il veto all’avvio dei negoziati di adesione di Skopje.
    Da allora il processo è rimasto in stallo sia per la Macedonia del Nord, sia per l’Albania, legate dallo stesso dossier sull’allargamento. A nulla sono servite le pressioni della Commissione e di Paesi membri come l’Italia e la Germania, con due vertici Ue-Balcani Occidentali – il primo a Kranji (Slovenia) nel 2020 e il secondo lo scorso 23 giugno a Bruxelles – che hanno prodotto risultati insoddisfacenti per le ambizioni dell’allargamento dell’Unione in tutta la regione balcanica. La svolta si è concretizzata solo con la spinta decisiva del presidente francese Macron (che fino al 31 giugno era anche a capo della presidenza di turno semestrale del Consiglio dell’Ue), con la proposta di mediazione tra Sofia e Skopje per risolvere una volta per tutte una disputa che ha rischiato di far saltare il banco, a causa della frustrazione sempre più esplicita dei leader balcanici. Grazie a questa iniziativa, prima il Parlamento bulgaro ha revocato il veto e poi – dopo aver accantonato la prima proposta definita “irricevibile” dalla Macedonia del Nord – anche il Parlamento macedone ha dato l’approvazione nella giornata di sabato (16 luglio). Con la firma del protocollo bilaterale tra Bulgaria e Macedonia del Nord si è sbloccata definitivamente la situazione e si è potuti arrivare alle prime conferenze intergovernative per Skopje e Tirana, dopo un’attesa lunga quasi tre anni.

    Finito lo stallo iniziato il 19 ottobre 2019 con il primo veto in Consiglio ai due Paesi balcanici e proseguito nell’ultimo anno e mezzo con l’opposizione della Bulgaria a Skopje. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen: “Avete dimostrato resistenza e fede nei nostri valori comuni”

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    Borrell contro i critici delle sanzioni Ue (Orbán in testa): “Nessun legame con i prezzi del petrolio”

    Bruxelles – I dati contro le interpretazioni distorte della realtà. “Alcuni leader Ue hanno detto che le sanzioni sono state un errore e che l’embargo sul petrolio ne ha aumentato il prezzo, invece è agli stessi livelli di febbraio, prima della guerra”, ha commentato seccamente l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, parlando oggi (lunedì 18 maggio) alla stampa dopo il Consiglio Affari Esteri e mostrando un grafico con l’andamento dei prezzi dall’inizio dell’anno. “Dietro ogni discorso ci devono essere dati e cifre, non si può dire tutto ciò che si vuole“, ha incalzato Borrell: “Come si può affermare che sono stati l’embargo e le sanzioni alla Russia ad aumentare il prezzo del petrolio, quando invece è diminuito?”
    L’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (18 luglio 2022)
    Il duro commento dell’alto rappresentante Borrell è arrivato in seguito alle parole del primo ministro ungherese, Viktor Orbán, sulle conseguenze delle sanzioni adottate dall’Ue: “Inizialmente pensavo che ci fossimo solo sparati a un piede, ma ora è chiaro che l’economia europea si è sparata nei polmoni e ora fatica a respirare“. Il primo ministro ungherese è stato un oppositore dell’embargo al petrolio della Russia sin dalla presentazione del sesto pacchetto di sanzioni, per la cui approvazione è servito un intenso lavoro di mediazione al Consiglio Europeo di maggio. “Il momento della verità deve arrivare a Bruxelles, quando i leader ammetteranno di aver fatto un errore di calcolo”, ha rincarato la dose Orbán: “La politica delle sanzioni alla Russia era basata su presupposti sbagliati e non ha soddisfatto le aspettative riposte“, in particolare per l’aumento dei prezzi dei beni di consumo, dei generi alimentari e delle risorse energetiche come il petrolio.
    “Nella narrativa di guerra, molte persone dicono cose senza considerare la realtà: senza cifre, tutti possono dire quello che vogliono sull’effetto delle sanzioni dell’Ue, e non è possibile”, è stata la risposta dell’alto rappresentante Borrell in conferenza stampa. Nel caso del petrolio, “non sono state le sanzioni ad aumentarne i prezzi, come dicono alcuni in modo completamente errato“, dal momento in cui è evidente – analizzando il grafico presentato e illustrato – che dall’adozione delle sanzioni e dell’embargo contro la Russia, il prezzo è sceso: “Non dico che sono la causa della diminuzione, ma al contrario che le sanzioni non hanno creato un aumento”. In ogni caso l’alto rappresentante Ue ha riconosciuto che “la società europea deve essere consapevole che questa guerra è una prova di resistenza e noi dobbiamo essere resistenti a sufficienza per sostenere l’Ucraina, altre soluzioni non ce ne sono”, a partire proprio dall’aumento dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari.

    Mostrando i grafici dell’andamento dei prezzi dall’inizio del 2022, il titolare della Politica estera e di sicurezza del gabinetto von der Leyen ha attaccato “chi critica gli effetti dell’embargo senza considerare la realtà dei fatti, perché senza cifre tutti possono dire quello che vogliono”

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    Von der Leyen a Skopje ha sperimentato personalmente le divisioni in Macedonia del Nord sulla proposta francese

    Bruxelles – Non una passerella a Skopje per la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ma un vero e proprio bagno di realtà sulla situazione particolarmente delicata in Macedonia del Nord, a proposito del possibile sblocco dello stallo sui negoziati di adesione all’Ue. Nel suo discorso di oggi (giovedì 14 luglio) alla sessione plenaria del Parlamento nazionale la numero uno dell’esecutivo comunitario ha vissuto in prima persona il significato delle divisioni del Paese balcanico sulla proposta francese aggiornata per superare il veto bulgaro: da una parte dell’emiciclo – quello dell’opposizione nazionalista di VMRO-DPMNE (Partito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone) – è stata fischiata, mentre la maggioranza le ha riservato una lunga standing ovation per il suo ergersi a tutela dell’identità nazionale macedone, al pari di tutte le altre nell’Unione Europea.
    “Volevo esser qui con voi per dirvelo direttamente: l’Europa vi sta aspettando e speriamo che facciate un nuovo passo verso l’Unione“, ha esordito davanti ai deputati macedoni la presidente von der Leyen. Il riferimento è al voto del Parlamento, che stabilirà se il governo guidato da Dimitar Kovačevski potrà presentare ufficialmente la risposta positiva a Bruxelles sulla nuova versione della mediazione francese, che tiene conto delle richieste della Macedonia del Nord sul riconoscimento della lingua macedone al pari di tutte le altre in uso nel Paesi membri dell’Unione e dell’esclusione delle questioni storiche, culturali e di istruzione (quelle che fanno parte della contesta identitaria con la Bulgaria) dal quadro dei negoziati a livello UE.
    “Dobbiamo cogliere l’opportunità che abbiamo davanti”, ha esortato la leader della Commissione, indicando nella “prossima settimana” il momento in cui si potrà compiere “il primo passo della proposta francese rivista”. La decisione “spetta a voi e voi solamente”, ha sottolineato von der Leyen, che però ha voluto anche ricordare che “se deciderete di approvarla, nei giorni immediatamente successivi si terrà una Conferenza intergovernativa“, il primo passo del processo negoziale. E ancora, se saranno introdotti gli emendamenti alla Costituzione sul piano dei diritti fondamentali, “questo completerà automaticamente la fase di apertura dei negoziati e si attiverà un’altra conferenza intergovernativa, senza ulteriori decisioni”. È stato a questo punto che dai banchi dell’opposizione si sono alzati fischi e proteste, con una deputata che è arrivata al podio di von der Leyen e ha appoggiato un foglio con la scritta “la Macedonia dice NO!“, con quel’нe (‘no’) che è diventato il simbolo delle proteste nazionaliste dell’ultima settimana a Skopje (anche durante il discorso della presidente della Commissione).
    La protesta dell’opposizione nazionalista al Parlamento della Macedonia del Nord durante il discorso della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (14 luglio 2022)
    Ma al Parlamento della Macedonia del Nord c’è tutto uno schieramento – che al momento costituisce la maggioranza delle forze politiche rappresentate – che ha applaudito a lungo alle parole della presidente von der Leyen. Il momento di standing ovation si è registrato dopo la “garanzia” offerta dalla presidente della Commissione Europea non solo sul fatto che “non ci possono essere dubbi che lingua macedone è la vostra lingua, né sul rispetto della vostra identità nazionale“, ma anche che “il processo si baserà su principi e standard europei non negoziabili”, a cui proprio la proposta francese aggiornata fa riferimento: “Il principio dell’autoidentificazione è importante per ognuno di noi, potete contare su di me”, ha insistito con forza von der Leyen. Altri applausi sono arrivati sulla precisazione che “Le questioni bilaterali [con la Bulgaria, ndr] come l’interpretazione della storia non sono condizioni per l’accesso all’UE“, sgombrando il campo dai dubbi che temi come l’istruzione, la storia e la cultura possano entrare nei negoziati tra Skopje e Bruxelles. Allo stesso tempo “la cooperazione regionale e le buone relazioni fanno parte del Dna europeo ed è un elemento essenziale del processo di allargamento”, ha avvertito la numero uno dell’esecutivo comunitario, per ricordare che comunque tutte queste criticità tra i due Paesi dovranno essere risolte bilateralmente. 

    I assured President @SPendarovski and Prime Minister @DKovachevski of my full support to progress towards making North Macedonia an EU Member State. pic.twitter.com/hDhEVQQKJd
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) July 14, 2022

    Durante il suo discorso al Parlamento nazionale, la presidente della Commissione Ue è stata fischiata dai nazionalisti sul tentativo di sblocco dei negoziati di adesione, ma applaudita a lungo dalla maggioranza per aver garantito il rispetto della lingua e dell’identità macedone

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    Da oggi la Lituania farà transitare le merci russe sanzionate dall’UE in direzione Kaliningrad. L’ok dalla Commissione

    Bruxelles – Dopo quasi un mese di tensioni commerciali e diplomatiche tra Russia e Lituania, è stata messa nero su bianco dalla Commissione Ue la gestione del trasporto di merci russe sottoposte a sanzioni internazionali in direzione dell’exclave di Kaliningrad: Vilnius consentirà il transito, solo su rotaia, anche di questo tipo di merci sul suo territorio nazionale, ma allo stesso tempo monitorerà i flussi commerciali tra Mosca e il territorio situato all’esterno della Russia (a cui politicamente appartiene) “per garantire che le merci sanzionate non possano entrare nel territorio doganale dell’Unione”.
    Come si legge nell’aggiornamento delle linee-guida della Commissione sulla messa a terra dei sei pacchetti di sanzioni contro la Russia, “alle imprese di trasporto stabilite in Russia è vietato trasportare merci su strada nel territorio dell’Unione, anche in transito”. Tuttavia, “questo divieto non si applica al trasporto di merci in transito nell’Unione tra l’Oblast di Kaliningrad e la Russia“, con la specifica che anche per questo caso specifico “il transito di merci sanzionate su strada non è consentito”. Questo perché il trasporto su rotaia (senza fermate intermedie sul territorio lituano) può garantire che le merci russe sottoposte a sanzioni – in particolare carbone, metalli, legno, cementi e tecnologie avanzate – non entrino nel Mercato unico dell’UE, senza violare la continuità territoriale tra la Russia e Kaliningrad.
    Le linee-guida che vengono applicate da Vilnius a partire da oggi (giovedì 14 luglio) risolvono una questione particolarmente tesa venutasi a creare dopo l’entrata in vigore lo scorso 18 giugno del divieto di transito dei beni commerciali sottoposti a sanzioni internazionali sul territorio dei Paesi membri dell’Unione. Da allora è stato bloccato alla frontiera lituana (con la Bielorussia, alleata di Mosca) questo tipo di merci in direzione Kaliningrad, territorio che ospita il quartier generale della marina russa nel Baltico. Lo stop all’export russo ha rappresentato un problema di natura logistica per l’exclave russa, considerato il fatto che riceve le forniture critiche da Mosca via ferrovia attraverso la Lituania. Il caso è finito sul tavolo dei 27 leader UE nel corso del Consiglio Europeo di giugno, con la richiesta alla Commissione di fornire un aggiornamento delle linee-guida per risolvere la questione ed evitare un’escalation di tensione ulteriore – e questa volta diretta – tra Bruxelles e Mosca.

    Dopo la pubblicazione da parte del gabinetto von der Leyen dell’aggiornamento delle linee-guida sulle sanzioni contro la Russia, Vilnius garantirà il passaggio su rotaia e il monitoraggio del flussi commerciali tra Mosca e l’exclave russa