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    I fondi UE per la Palestina saranno erogati “rapidamente”. L’annuncio di von der Leyen sblocca lo stallo di oltre 6 mesi

    Bruxelles – Si sbloccano i fondi 2021 dell’UE per la Palestina, circa 215 milioni di euro che saranno erogati “rapidamente” dopo il via libera della Commissione. Ad annunciarlo nel corso della sua visita di ieri (martedì 14 giugno) a Ramallah è stata la stessa numero uno dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, felicitandosi che dopo oltre sei mesi sono state superate “tutte le difficoltà” all’interno del suo gabinetto. “Abbiamo chiarito che l’erogazione avverrà”, ha dichiarato durante una conferenza stampa congiunta con il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, la prima del viaggio di due giorni di von der Leyen, che l’ha portata anche in Egitto e Israele per stringere i rapporti in materia di sicurezza energetica e alimentare.
    “È importante avere questi finanziamenti per sostenere la popolazione, soprattutto quella più vulnerabile, perché contribuiscono a creare le condizioni per opportunità economiche“, ha sottolineato la presidente della Commissione UE, a poche ore dalla luce verde arrivata da Bruxelles. Le ha fatto eco l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che ha ribadito l’importanza di questo passo compiuto a sostegno del popolo palestinese, “dopo l’enorme approvazione della nuova proposta da parte degli Stati membri”. L’alto rappresentante Borrell ha posto l’accento sul “trattamento equo” da parte dell’Unione e sul fatto che “il finanziamento non include la condizionalità per l’istruzione, che andrebbe contro i principi” dei Ventisette.

    Good to be in Ramallah to meet PM @DrStayyeh.#TeamEurope is the largest donor of support to the Palestinian people.
    We’ll discuss how to boost economic, social development, including access to clean water, reliable energy supply and food security. https://t.co/NkKJstvMra
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) June 14, 2022

    Il riferimento dell’alto rappresentante UE – e delle “difficoltà” lasciate tra le righe da von der Leyen – riguarda la posizione del commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Oliver Várhelyi, che aveva portato allo stallo nell’autunno dello scorso anno. Da giugno del 2021 il commissario ungherese ha portato avanti la linea dura del governo di Budapest, secondo cui sarebbe necessario vincolare i finanziamenti UE alla modifica del contenuto dei libri di testo nelle scuole della Palestina. Secondo l’Ungheria – unico Paese membro tra tutti i Ventisette che sposa la visione di alcuni gruppi integralisti della società israeliana – diversi libri promuoverebbero l’antisemitismo tra i bambini palestinesi, che non godrebbero del “diritto sancito dall’UNESCO a un’istruzione di pace, tolleranza, coesistenza e non-violenza”, aveva attaccato in un tweet lo stesso commissario Várhelyi, motivando il bisogno di condizionare i 215 milioni di euro che Bruxelles avrebbe dovuto erogare a Ramallah nel 2021.
    L’UE è il principale donatore della Palestina e per la Commissione – escluso il commissario ungherese – era considerato cruciale dare un segno del proprio sostegno, proprio nel giorno in cui la presidente von der Leyen aveva in programma la visita a Gerusalemme per negoziare più forniture di gas in risposta alle necessità di approvvigionamento alternativo dalla Russia di Putin. Il via libera è arrivato dopo il parere positivo di 26 Paesi membri UE su 27 alla proposta di eliminare qualsiasi condizione per i finanziamenti comunitari alla Palestina che riguardino l’ambito dell’istruzione. Senza sorprese, l’Ungheria è stata l’unico Stato membro a non allinearsi.

    L’annuncio della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, durante la visita a Ramallah. Si tratta di circa 215 milioni di euro bloccati dal commissario ungherese per la Politica di vicinato, Oliver Várhelyi, nel tentativo di condizionarli al contenuto di alcuni libri di testo

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    L’UE investirà 3 miliardi di euro nel Nord Africa contro l’insicurezza alimentare: “Ruolo centrale dell’Egitto”

    Bruxelles – Oltre all’energia, la sicurezza alimentare. Nell’agenda della presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen – in viaggio in Israele e in Egitto per stringere i rapporti con un Memorandum d’intesa trilaterale – rimane centrale il tema dell’accesso al cibo nei Paesi che rischiano di essere colpiti dalle conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina, o, come l’ha definita la stessa numero uno dell’esecutivo comunitario nel corso della conferenza stampa congiunta con il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, la “guerra contro il granaio del mondo”. La risposta sarà un aiuto immediato di 100 milioni di euro all’Egitto, ma anche programmi di agricoltura e nutrizione, acqua e servizi igienico-sanitari nella regione del Nord Africa pari a 3 miliardi di euro “nei prossimi anni”.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, a Il Cairo (15 giugno 2022)
    La decisione parte dalle valutazioni sulle esportazioni di grano dai porti dall’Ucraina, bloccate dall’esercito e dalla marina russa nel Mar Nero. Nel contesto degli sforzi per liberare le 20 milioni di tonnellate di grano “intrappolate” nei depositi ucraini, l’UE sta valutando anche l’impatto sui Paesi partner: “L’80 per cento delle vostre importazioni di grano proviene da Russia e Ucraina, è reale in Egitto la preoccupazione per la sicurezza alimentare e i prezzi del cibo“, ha sottolineato von der Leyen, ribadendo che Bruxelles è “al vostro fianco”. Lo stanziamento di 100 milioni di euro sul breve termine si pone l’obiettivo di “aumentare la capacità di stoccaggio del grano”, ma anche di “fornire finanziamenti per le imprese rurali e gli agricoltori“.
    La strategia però si proietta anche sul lungo termine, per affrontare una situazione che rischia di diventare strutturale. Al Cairo i leader della Commissione e dell’Egitto hanno discusso “intensamente” del potenziamento della produzione alimentare globale, con un impegno diretto dell’Unione nella regione nordafricana. I 3 miliardi di euro che arriveranno per i programmi agricoli andranno a sostenere sia i sistemi alimentari sia gli sviluppi tecnologici, come quelli di precisione, l’intelligenza artificiale e le nuove colture in risposta ai cambiamenti climatici. “Per noi è importante che la produzione di cibo sia migliorata e aumentata, riducendo la dipendenza da altre regioni”, ha sottolineato von der Leyen, riconoscendo “l’interesse comune” di garantire “forniture stabili di cibo di qualità e a prezzi accessibili per tutti”.
    Rivolgendosi ad Al-Sisi, la presidente della Commissione Europea ha messo in chiaro che “l’Egitto sarà al centro di questo grande cambiamento“, ma comunque all’interno di una cornice di risposta globale alla crisi di sicurezza alimentare: “È importante trovare soluzioni eque per tutti e fare attenzione ai più Paesi vulnerabili”. Non è un caso se pochi giorni fa la Banca Mondiale ha annunciato il finanziamento per 150 milioni di dollari delle iniziative dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) contro l’insicurezza alimentare anche in Afghanistan, attraverso programmi di sussistenza alle popolazioni rurali e di aumento della produzione locale dei piccoli agricoltori.

    Lo ha annunciato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel corso della conferenza stampa con il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi. Il Cairo riceverà 100 milioni in aiuti immediati per affrontare le conseguenze del blocco delle esportazioni dall’Ucraina

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    Ora la Russia spaventa anche la Moldova. L’UE segue “con apprensione” la situazione in Transnistria dopo le esplosioni

    Bruxelles – Dopo le esplosioni, l’apprensione. “Stiamo monitorando la situazione nella regione della Transnistria da vicino, è particolarmente preoccupante e dannosa per la sicurezza e la stabilità della Repubblica di Moldova”, ha spiegato oggi (martedì 26 aprile) il portavoce della Commissione Europea, Eric Mamer, durante il punto quotidiano con la stampa di Bruxelles. Nel pomeriggio di ieri a Tiraspol – la capitale dell’autoproclamata Repubblica filo-russa separatista al confine tra Moldova e Ucraina – sono state lanciate tre granate contro la sede del KGB (il servizio segreto dei separatisti, nostalgici dell’Unione Sovietica), mentre questa mattina altre due esplosioni sono state segnalate presso le torri radio di Maiac, a pochi chilometri dal confine con l’Ucraina, da dove viene rilanciato il segnale dei media statali russi in Transnistria e verso la città ucraina di Odessa.
    Tre attacchi che non hanno provocato né eccessivi danni strutturali, né morti o feriti, in un territorio saldamente controllato dalle forze transnistriane e dove è presente un contingente militare russo. Il sospetto è che il Cremlino stia già mettendo in atto una strategia per destabilizzare la regione, con l’obiettivo di giustificare l’annessione formale della Transnistria alla Russia e un intervento militare contro l’Ucraina da ovest. Non è un caso se le autorità separatiste hanno accusato immediatamente la popolazione di origine ucraina, nonostante i tre attacchi ravvicinati siano passati – curiosamente – inosservati, bucando i sistemi di sorveglianza capillari. L’Ufficio della politica di reintegrazione, organismo del governo della Moldova preposto a riportare la Transnistria in seno alla Repubblica, in una nota ha messo in chiaro che “l’obiettivo è quello di creare pretesti per mettere in tensione la situazione della sicurezza” in questa regione, “che non è controllata dalle autorità costituzionali”.
    L’avvertimento è ancora più preoccupante per la Repubblica di Moldova se si considerano le parole del generale russo Rustam Minnekayev di pochi giorni fa: “Il pieno controllo dell’Ucraina meridionale darebbe accesso alla Transnistria“. Un piano che mette in luce come il Paese che ha recentemente chiesto l’adesione all’Unione Europea potrebbe diventare il prossimo obiettivo militare del Cremlino, nel caso in cui nelle prossime settimane l’esercito russo avesse successo nell’occupare stabilmente la regione del Donbass e nell’invasione di tutta l’Ucraina meridionale, compresa la città di Odessa. “Ci sono prove che la popolazione russofona sia perseguitata in Transnistria“, aveva rincarato Minnekayev, mostrando lo stesso atteggiamento e gli stessi pretesti che hanno portato due mesi fa all’aggressione armata del territorio ucraino.
    “Seguiamo con apprensione tutti gli sviluppi legati alla guerra in Ucraina e le possibili azioni di destabilizzazione anche in altri territori”, ha affermato il portavoce del gabinetto von der Leyen. “L’UE rimane pienamente impegnata a facilitare una soluzione globale, pacifica e sostenibile del conflitto transnistriano“, che sia basato sulla “sovranità e integrità territoriale della Repubblica di Moldova nei suoi confini riconosciuti a livello internazionale, con uno status speciale per la regione transnistriana”, ha aggiunto Mamer, sottolineando che Bruxelles “incoraggia un dialogo continuo e costruttivo tra le parti”.

    Aumenta la tensione nell’autoproclamata Repubblica separatista filo-russa: il Cremlino potrebbe volere un pretesto per mobilitare il contingente già presente, per annettere formalmente la regione e attaccare l’Ucraina da ovest. Tutto dipenderà dagli sviluppi della guerra nel Donbass

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    La Commissione Europea apre alla confisca dei beni degli oligarchi russi implicati in attività criminali

    Bruxelles – Non solo il congelamento, si apre anche la strada della confisca dei beni degli oligarchi russi vicini al regime di Vladimir Putin. “Se vengono accertate attività criminali legate a quella persona colpita dalle nostre sanzioni, è possibile non solo operare con un congelamento degli asset, ma mettere in atto una confisca“, ha messo in chiaro il commissario europeo per la Giustizia, Didier Reynders, nel corso dell’evento EU IDEA organizzato in collaborazione con Eunews. “Se le autorità nazionali vanno in questa direzione, chiediamo agli Stati membri di mettere i soldi ricavati in un fondo fiduciario per l’Ucraina, in modo da restituire il denaro alle vittime”.
    La strada della confisca dei beni degli oligarchi russi colpiti dai cinque pacchetti di sanzioni UE e implicati in attività criminali potrebbe risolvere uno dei problemi indiretti per i 27 Paesi membri dell’Unione Europea: le spese per il mantenimento degli stessi beni sequestrati, che attualmente sono solo congelati. Tecnicamente non si può parlare né di sequestro (misura cautelare attuata nelle fasi di indagine su un reato) né di confisca (pena definitiva comminata con una sentenza di condanna) dei beni, perché per il momento non esistono azioni penali nei confronti degli oligarchi russi.

    Quello che viene utilizzato è invece uno strumento di tipo economico: i beni congelati non possono essere messi all’asta o assegnati ad associazioni, ma rimangono proprietà degli oligarchi sanzionati. In altre parole, non possono essere utilizzati, ma rappresentano un costo per le finanze dello Stato. In Italia, secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 109, la custodia, amministrazione e gestione delle risorse economiche “oggetto di congelamento” spettano all’Agenzia del demanio, che deve pagare tutte le spese legate a un bene sottoposto a questo strumento economico. Per esempio, i costi di mantenimento di una villa o di uno yacht, con tutti gli annessi: l’Agenzia del demanio può utilizzare eventuali utili prodotti dal bene, ma in caso contrario attinge a un fondo apposito del bilancio statale. Quando il bene viene ‘scongelato’ e restituito, il proprietario deve risarcire lo Stato italiano per tutte le spese sostenute.
    La confisca dei beni degli oligarchi russi implicati in attività criminali potrebbe risolvere da una parte la questione delle ingenti spese sostenute dai Ventisette per il mantenimento dei congelamenti, mentre dall’altra potrebbe avere un impatto significativo sul sostegno dell’UE all’Ucraina con un fondo fiduciario apposito. A sostenere l’azione di indagine delle autorità nazionali per “esplorare i legami tra i beni appartenenti a persone elencate nel regime di sanzioni e possibili attività criminali” – come affermato dal commissario Reynders – interverrà la task force Freeze and Seize istituita a marzo dalla Commissione Europea: “L’unità operativa sta sostenendo gli Stati membri sulla necessità di garantire l’applicazione delle sanzioni dell’Unione contro gli individui e le società russe”, ha ricordato il commissario europeo per la Giustizia. Ora per Bruxelles è arrivato il momento di fare di più.

    Lo ha affermato il responsabile per la Giustizia, Didier Reynders, durante un evento organizzato in collaborazione con Eunews: “Dopo il congelamento, se si arriva alla confisca chiediamo ai Paesi membri di destinare i soldi ricavati a un fondo fiduciario per le vittime ucraine”

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    Dall’UE aiuti per 20 milioni di euro al Libano, colpito dalla guerra in Ucraina

    Bruxelles – La Commissione Europea ha annunciato l’invio di aiuti umanitari per un valore complessivo di 20 milioni di euro al Libano, già in crisi economico-finanziaria, politica, sociale e oggi colpito da un ulteriore aumento dei prezzi causato dalla guerra in Ucraina. Lo Stato medio-orientale importa il 96 per cento delle sue scorte di grano da Kiev e da Mosca.
    Dal default finanziario dichiarato nel marzo 2020, l’80 per cento della popolazione del Paese dei Cedri si trova sotto la soglia di povertà, pari, secondo le Nazioni Unite, a meno di 1,90 dollari al giorno (1,73 euro). Tra dicembre 2019 e ottobre 2021, il tasso di inflazione ha raggiunto in Libano il 519 per cento, con picchi del 1.874 per cento nei prezzi del cibo e delle bevande.
    Questa situazione, già difficile, si è aggravata con il COVID-19 prima e con l’esplosione al porto della capitale, Beirut, nell’agosto 2020. Tra i danni dell’esplosione al Paese, materiali e psicologici, anche la diminuzione di magazzini per lo stoccaggio del grano. I silos, distrutti dallo scoppio nel porto, potevano immagazzinare fino a 120mila tonnellate di grano, pari a tre mesi di consumi.
    Gli aiuti verranno utilizzati per contrastare l’insicurezza alimentare, ma anche per garantire l’accesso alle cure delle fasce di popolazione più a rischio. La distribuzione avverrà, come già per le risorse europee inviate nel Paese – 742 milioni di euro dal 2011 – tramite le agenzie dell’ONU, le ONG e altre organizzazioni internazionali che operano sul territorio.
    “Negli ultimi due anni, le crisi politiche, economiche e finanziarie hanno messo milioni di persone in Libano nel bisogno di assistenza”, ha dichiarato la commissaria per la Gestione delle crisi Janez Lenarčič. “Il Covid-19 e l’esplosione al porto di Beirut hanno aggravato le sofferenze sia dei libanesi più fragili, che dei rifugiati siriani”, ha continuato la commissaria. “Ora, le persone sono messe alla prova dall’impatto globale che l’invasione russa ha avuto sul cibo e i combustibili. L’UE è con il popolo libanese e le comunità di rifugiati nel momento del bisogno”.
    Secondo le stime delle Nazioni Unite, sarebbero circa 2,5 milioni le persone ad aver bisogno all’interno del Paese. Di questi, 2,2 milioni sono cittadini libanesi, 208mila rifugiati palestinesi e 78mila migranti. A questi si aggiungono 1,5 milioni di rifugiati siriani.

    Il Paese dei Cedri importa il 96 per cento delle sue scorte di grano da Kiev e da Mosca

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    Non solo l’Ucraina. La Commissione ha consegnato i questionari per l’adesione UE anche a Georgia e Moldova

    Bruxelles – Seguendo lo stesso ritmo trainante dell’Ucraina, continua senza sosta anche per altri due Paesi il processo di adesione all’UE: Georgia e Repubblica di Moldova hanno ricevuto oggi (lunedì 11 aprile) i rispettivi questionari di adesione che serviranno alla Commissione Europea per formulare il proprio parere formale sulle rispettive domande. Nessuna bandiera stampata sopra le buste – come era successo venerdì (8 aprile) durante l’incontro a Kiev tra la presidente Ursula von der Leyen e l’omologo ucraino, Volodymyr Zelensky – ma la sostanza non cambia: il questionario fa parte della procedura avviata lo scorso 7 marzo, quando gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) avevano concordato di invitare l’esecutivo comunitario a trasmettere la propria posizione ai leader UE.
    “Questo è il primo passo del vostro cammino europeo, siamo pronti a lavorare con voi molto velocemente per consegnare il parere al Consiglio Europeo come richiesto”, ha precisato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, consegnando le due buste ai ministri degli Esteri moldavo, Nicu Popescu, e georgiano, Ilia Darchiashvili, a margine del Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo. “Eccolo: una serie di 369 domande a cui la Moldova deve rispondere sulla sua disponibilità a entrare nell’UE”, ha commentato su Twitter il ministro moldavo, ribadendo la volontà del Paese di “lavorare più velocemente e più duramente” sulla strada verso l’adesione all’UE. Un impegno condiviso anche dal titolare degli Esteri georgiano, che ha confermato che “non risparmieremo sforzi per compilare tempestivamente il documento e procedere alle fasi successive”.

    By receiving the questionnaire, we have made another major step forward on the path of our people’s national choice – 🇪🇺 integration! Many thanks, Commissioner @OliverVarhelyi.🇬🇪 will spare no efforts to timely fill in the document and proceed to the next stages! pic.twitter.com/XL7Kpy4YEL
    — Ilia Darchiashvili (@iliadarch) April 11, 2022

    Le richieste di adesione all’UE da parte di Georgia e Moldova erano arrivate entrambe il 3 marzo, a una settimana dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo. La decisione è stata una netta reazione di Tbilisi e Chișinău contro il disegno dei nuovi equilibri geopolitici che il presidente russo, Vladimir Putin, vorrebbe mettere in atto ai danni non solo della sovranità di Kiev, ma anche dei due Paesi vicini: Ucraina, Georgia e Moldova si vedono ormai proiettati in un’ottica UE, contro la minaccia russa e per l’integrazione in un’Unione che si sta dimostrando aperta almeno a iniziare con decisione un nuovo processo di allargamento.
    Dopo aver inviato la proposta formale di candidatura all’adesione e una volta che arriverà il parere positivo della Commissione (questionario incluso), per diventare Paesi membri dell’UE Ucraina, Moldova e Georgia dovranno superare l’esame dei criteri di Copenaghen, ovvero le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno). Si arriva così alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente, e a questo punto si può presentare la vera e propria domanda di adesione all’Unione: se accettata, viene conferito lo status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.
    Oltre alle candidature di Moldova, Georgia e Ucraina per l’adesione all’UE, bisogna ricordare che il processo di allargamento coinvolge già i sei Paesi dei Balcani Occidentali, Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, più la Turchia, i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente da otto e dieci anni, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord è bloccato dal 2018 prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello attuale della Bulgaria contro Skopje. La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016, mentre il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione.

    Come successo durante la visita della presidente von der Leyen a Kiev, è stato intrapreso un nuovo passo nel processo di elaborazione del parere formale della Commissione UE sulla domanda dei due Paesi. Il commissario Várhelyi: “Siamo pronti a lavorare molto velocemente”

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    È stato siglato un accordo tra operatori telefonici per rendere gratuite (o più accessibili) le chiamate tra UE e Ucraina

    Bruxelles – Un accordo per andare incontro alle esigenze umane dei profughi ucraini nell’Unione Europea. È stata firmata oggi (venerdì 8 aprile) una dichiarazione congiunta tra 27 operatori di telecomunicazioni per garantire la gratuità – o quantomeno l’accessibilità dei prezzi – delle chiamate e del roaming tra UE e Ucraina, per aiutare i profughi che sono fuggiti dalla guerra scatenata dalla Russia a rimanere in contatto con amici e familiari che sono rimasti nel Paese. Nell’accordo patrocinato da Commissione e Parlamento Europeo compaiono anche TIM, Vodafone, il gruppo 3, Iliad e Fastweb, insieme ad altri 19 colossi europei e tre operatori ucraini (Kyivstar, lifecell e Vodafone Ukraine).
    Sono circa 4 milioni i profughi che nelle ultime sei settimane hanno trovato rifugio nei Paesi membri dell’UE (in particolare in Polonia, Romania, Ungheria e Slovacchia), anche grazie al notevole sforzo di accoglienza messo in piedi dal gabinetto guidato da Ursula von der Leyen. “Di fronte a questa crisi umanitaria crescente, è essenziale che i rifugiati ucraini abbiano accesso alla connettività a prezzi accessibili“, si legge nella dichiarazione congiunta, che si pone anche l’obiettivo di “garantire l’accesso a informazioni affidabili attraverso Internet”.
    A partire da oggi la dichiarazione è aperta a tutti gli operatori che desiderano firmarla e si applica per i prossimi tre mesi: a inizio luglio sarà rivista per considerare l’evoluzione della situazione in Ucraina. Nello specifico, l’impegno volontario prevede l’abbassamento delle tariffe all’ingrosso per il roaming che gli operatori si addebitano a vicenda, per consentire le chiamate internazionali con l’Ucraina. Questa misura minimizzerà i costi aggiuntivi sia per gli operatori dell’UE sia per quelli ucraini, permettendo di coprire i rispettivi costi, ma soprattutto di trasferire i benefici agli utenti finali.
    Soddisfazione da parte delle istituzioni UE sulla decisione degli operatori telefonici, che implica la rinuncia (o l’abbattimento) delle tariffe internazionali per le chiamate con l’Ucraina e dei supplementi di roaming: “È un’ancora di salvezza in tempi di crisi, ecco perché sosteniamo queste iniziative che possono fare una reale differenza”, ha commentato la vicepresidente della Commissione UE per il Digitale, Margrethe Vestager. Le ha fatto eco la relatrice del Parlamento UE sul nuovo regolamento sul roaming, Angelika Winzig (PPE): “Abbassando i massimali all’ingrosso, gli operatori ucraini possono offrire più facilmente il roaming gratuito all’interno dell’UE ai loro clienti, in modo che nessun ulteriore onere finanziario cada su di loro in questi tempi difficili“, ha sottolineato l’eurodeputata austriaca.
    Tra le altre azioni intraprese in queste settimane dagli operatori telefonici con sede nell’UE c’è anche la distribuzione gratuita di milioni di schede SIM ai rifugiati in arrivo dall’Ucraina, con la possibilità di fare chiamate internazionali gratuite. Alcuni hanno già abilitato il roaming gratuito, oppure hanno fornito una rete WiFi senza e ricariche telefoniche nelle aree di confine e nei rifugi per sfollati. Parallelamente, gli Stati membri UE possono utilizzare i fondi europei per finanziare il miglioramento dell’accesso ai servizi essenziali di comunicazione per i rifugiati ucraini. Per esempio, il Fondo sociale europeo (FSE) può essere sfruttato per offrire buoni per l’acquisto di carte SIM e abbonamenti, mentre il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) può andare a sostegno di infrastrutture e attrezzature tecnologiche.

    Ci sono anche TIM, Vodafone, 3, Iliad e Fastweb nella dichiarazione congiunta patrocinata da Commissione e Parlamento UE tra le 27 compagnie europee e ucraine che hanno deciso di aiutare i profughi a restare in contatto con le proprie famiglie

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    L’Unione Europea ha chiuso i programmi di cooperazione su ricerca e istruzione con la Russia (ma non con tutti i russi)

    Bruxelles – Porte sbarrate a qualsiasi accordo di cooperazione UE con enti pubblici della Russia nel campo della ricerca e dell’istruzione. Lo ha annunciato la commissaria europea per l’Innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù, Mariya Gabriel, pubblicando la dichiarazione che mette fine agli accordi in essere e ai futuri pagamenti da parte dell’Unione.
    La decisione è arrivata in seguito all’escalation della guerra russa in Ucraina, che oggi (venerdì 8 aprile) ha portato alla morte di oltre 30 civili e più di 300 feriti nell’attacco missilistico alla stazione ferroviaria di Kramatorsk, città di 150mila abitanti nella parte di regione di Donetsk, controllata dalle forze ucraine e da cui si stanno organizzando le evacuazioni di profughi dalla regione del Donbass. Dopo l’approvazione del quinto pacchetto di sanzioni contro Mosca, l’UE ha deciso di mettere fine alla partecipazione di enti ed autorità pubbliche della Russia nei programmi-quadro di ricerca e innovazione e della Comunità europea dell’energia atomica (Euratom). “Ho chiesto ai miei servizi di interrompere gli accordi di sovvenzione in corso e i successivi pagamenti”, si legge nella dichiarazione della commissaria Gabriel, compresi quelli nell’ambito delle borse Marie Sklodowska-Curie Actions.
    Nello stop rientra anche la partecipazione di enti o organismi pubblici russi al programma Erasmus+, che però resta aperta – così come le borse Marie Sklodowska-Curie, le sovvenzioni per i ricercatori del Consiglio europeo della ricerca (ERC) e il coinvolgimento nel Corpo europeo di solidarietà – “in linea di principio” ai singoli cittadini russi. “Personale accademico e studenti russi rimarranno ammissibili per gli scambi di breve durata e per la mobilità di laurea”, specifica l’esecutivo comunitario, a condizione che superino lo “screening approfondito” delle autorità pubbliche nazionali dei Paesi membri. Lo scopo è quello di assicurarsi che nessuno dei richiedenti sia un soggetto colpito dalle misure restrittive messe in campo dall’Unione contro la cerchia stretta di Vladimir Putin.

    🔵 Following the adoption of the 5️⃣th package of restrictive measures against Russia, find out my statement on the termination of cooperation with Russian public entities in #research and in #education ⤵️#StandWithUkraine🇺🇦 pic.twitter.com/NfZk9MXv40
    — Mariya Gabriel (@GabrielMariya) April 8, 2022

    Lo ha annunciato la commissaria per l’Istruzione, Mariya Gabriel. Interrotti gli accordi in corso e i futuri pagamenti da Erasmus+, Corpo europeo di solidarietà, borse Marie Curie e del Consiglio Europeo della Ricerca. “Screening approfondito” sui cittadini che fanno richiesta