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    L’Unione Europea condanna il colpo di Stato militare in Sudan e l’arresto del primo ministro Hamdok

    Bruxelles – Scende in campo anche l’alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, per condannare l’ondata di violenze scaturita dal colpo di Stato in Sudan di questa mattina (lunedì 25 ottobre). “Chiediamo alle forze di sicurezza di rilasciare immediatamente coloro che hanno detenuto illegalmente”, si legge nel comunicato firmato dall’alto rappresentante UE: tra loro anche il primo ministro del Paese, Abdalla Hamdok.
    Poco prima dell’alba, verso le 6, i militari hanno preso il potere nel Paese e hanno arrestato Hamdok, insieme al ministro dell’Industria, Ibrahim al-Sheikh, dell’Informazione, Hamza Baloul, e a un consigliere del primo ministro, Faisal Mohammed Saleh. Ad annunciare la fine del governo Hamdok è stato il generale Abdel Fattah al-Burhan, fino a oggi a capo del Consiglio sovrano del Sudan, l’organo che nel 2019 aveva preso il posto del Consiglio militare di transizione dopo la deposizione del dittatore Omar al-Bashir (in carica dal 1993). Oltre a sciogliere l’esecutivo in carica, il Consiglio sovrano e tutti gli organi di governo locali, al-Burhan ha dichiarato che la giunta militare “continuerà la transizione democratica” e governerà il Sudan fino alle prossime elezioni, nel 2023.
    Durissima la reazione da Bruxelles a queste parole: “Le azioni dei militari rappresentano un tradimento della rivoluzione, della transizione e delle richieste legittime del popolo del Sudan di pace, giustizia e sviluppo economico”, si legge nella dichiarazione dell’alto rappresentante dell’Unione Europea. Lo stesso Borrell questa mattina ha seguito “con la massima preoccupazione” gli eventi in corso nella capitale Khartum, invitando “tutte le parti interessate e i partner regionali a rimettere in pista il processo di transizione”.

    Following with utmost concern ongoing events in #Sudan.
    The EU calls on all stakeholders and regional partners to put back on track the transition process.
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) October 25, 2021

    Il Sudan vive in una condizione di instabilità sociale e politica da quando il presidente e dittatore al-Bashir fu costretto a dimettersi due anni fa a seguito di un’ondata di proteste popolari appoggiate dall’esercito. Grazie ai negoziati tra i militari e i movimenti civili che avevano guidato le proteste, nella capitale si insediò il nuovo governo con a capo Hamdok, ex-vicesegretario esecutivo della Commissione economica per l’Africa delle Nazioni Unite (dal 2011 al 2018). In questi anni l’esercito ha però conservato un grande peso politico in Sudan, con due membri all’interno dell’esecutivo, e l’Unione Europea si è dovuta impegnare con un programma di sostegno alle strutture governative attraverso consulenza politica e di sviluppo democratico.
    Ma oggi da Khartoum arrivano notizie di scontri tra i militari e migliaia di manifestanti che si sono radunati per protestare contro il golpe, con scontri e feriti presso il quartier generale dell’esercito. È stato lo stesso ufficio del primo ministro a chiamare nelle strade il popolo, dopo l’arresto di Hamdok e dei ministri: “Chiediamo al popolo sudanese di protestare usando tutti i mezzi pacifici possibili, per riprendersi la rivoluzione dai ladri”. I militari non hanno solo bloccato le principali strade di accesso alla capitale, ma hanno anche interrotto le linee di telecomunicazione: il netto calo delle connessioni Internet nel Paese di questa mattina è stato rilevato anche dall’osservatorio indipendente Netblocks.
    L’Unione Europea, per voce del suo alto rappresentante, ha ribadito che in Sudan “la violenza e lo spargimento di sangue devono essere evitati a ogni costo” e che “le reti di comunicazione devono essere riaperte”. Per Bruxelles la “migliore garanzia per la stabilità a lungo termine” del Paese e dell’intera regione rimane il sostegno a “coloro che lavorano per un Sudan democratico con un governo civile pienamente legittimo che assicuri pace, libertà e giustizia al popolo”, ha concluso Borrell.

    L’alto rappresentante UE Borrell denuncia il “tradimento della rivoluzione, della transizione e delle richieste legittime del popolo” dopo lo scioglimento dell’esecutivo in carica da parte dell’esercito

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    La Commissione UE presenta il Pacchetto Allargamento 2021: “Evidenti progressi, ma ora rispettiamo le promesse”

    Bruxelles – Appena adottato dal collegio dei commissari, il nuovo Pacchetto Allargamento 2021 dell’UE è stato immediatamente presentato alla commissione Affari esteri (AFET) del Parlamento Europeo, come da tradizione inter-istituzionale. “Abbiamo evidenziato progressi su quasi tutti i dossier, ecco perché vi chiedo di mantenere saldo il vostro supporto al processo di integrazione dei Balcani Occidentali”, ha sottolineato con forza il commissario per la Politica di vicinato e di allargamento, Olivér Várhelyi, illustrando i punti della comunicazione pubblicata oggi (martedì 19 ottobre) dall’esecutivo comunitario.
    “Come avete visto dal viaggio nella regione da parte della presidente Ursula von der Leyen a settembre e durante il vertice UE-Balcani Occidentali, la Commissione Europea è fortemente impegnata in questo processo di allargamento”, ha ricordato Várhelyi agli eurodeputati. Il Piano economico e di investimenti presentato nella comunicazione dello scorso anno rimane il punto centrale anche di questo Pacchetto di Allargamento UE, ma a differenza del 2020 la Commissione può ora contare anche sullo strumento di assistenza pre-adesione IPA III, dopo l’accordo raggiunto dai negoziatori di Consiglio e Parlamento UE. “Possiamo avanzare con ancora più decisione per implementare i punti positivi della Dichiarazione di Brdo”, ha espresso la propria soddisfazione il commissario Várhelyi, ricordando le prospettive dell’Agenda verde e dell’innovazione per i Balcani, del roaming dati gratuito e del Mercato Unico regionale.
    Il commissario per la Politica di vicinato e di allargamento, Olivér Várhelyi, in commissione AFET del Parlamento UE (19 ottobre 2021)
    Per quanto riguarda i dossier relativi ai sette Paesi che hanno intrapreso il cammino di adesione all’UE (i sei balcanici – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – e la Turchia), “la comunicazione mette a fuoco le riforme sullo Stato di diritto, sul sistema giudiziario ed economiche”. Tuttavia, il membro del gabinetto von der Leyen ha ripreso i governi dei 27 Paesi membri UE: “Se i partner adempiono ai loro obblighi sul piano delle riforme, anche noi dobbiamo rispettare le promesse, ne va della credibilità di tutta l’Unione”.
    Il riferimento è allo stallo sull’avvio dei negoziati con Macedonia del Nord e Albania, a causa del veto della Bulgaria all’apertura dei quadri negoziali con Skopje. Várhelyi ha ribadito quanto già sostenuto dalla presidente von der Leyen nel suo viaggio di fine settembre, cioè che la scadenza per organizzare le prime conferenze intergovernative è “al più tardi entro la fine dell’anno”. La pressione è tutta sul Consiglio, come ha confermato anche il presidente della commissione AFET, David McAllister: “Oggi i rappresentanti della presidenza di turno slovena ci hanno confermato che la loro intenzione è quella di iniziare entro fine anno. Dipende solo da loro”.
    I dossier del Pacchetto Allargamento UE 2021
    Partendo dalle considerazioni sui sei partner balcanici, “tutti si sono impegnati a creare un Mercato Comune regionale“, ha evidenziato il commissario, ma ora “dovrebbero concentrarsi sul superamento delle difficoltà incontrate”. Si auspica soprattutto uno scenario in cui “tutti Paesi della regione ne facciano parte e che sia sotto l’ombrello dell’UE”. Sul piano politico, invece, “le molte tornate politiche degli ultimi anni hanno dimostrato un miglioramento degli standard di trasparenza e questo è merito anche vostro”, Várhelyi ha voluto così ringraziare i relatori per ciascuno dei Paesi balcanici.
    Per quanto riguarda Montenegro e Serbia, “sono soddisfatto che abbiano accettato l’applicazione della metodologia rivista”, che ha aperto le prime conferenze politiche intergovernative lo scorso giugno. Il Pacchetto Allargamento UE 2021 sottolinea che a Podgorica “è attualmente garantito un equilibrio generale” nei progressi sui negoziati. Le priorità per il Montenegro rimangono i capitoli 23 e 24 (sull’indipendenza della magistratura e il rispetto dello Stato di diritto): “Vogliamo vedere sforzi sul piano della libertà di espressione e dei media e su quello della lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata”, ha spiegato il commissario. La Serbia deve invece “accelerare e approfondire” le riforme sull’indipendenza del sistema giudiziario, sulla lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, sulla libertà dei media e sul trattamento interno dei crimini di guerra, “per aprire al più presto nuovi cluster”. Ma per Várhelyi “è necessario anche migliorare l’allineamento con la politica estera e di sicurezza dell’UE“.
    Il commissario per la Politica di vicinato e di allargamento, Olivér Várhelyi, in commissione AFET del Parlamento UE (19 ottobre 2021)
    C’è poi il capitolo Kosovo, che riguarda da vicino Belgrado: “I progressi della Serbia sulla normalizzazione delle relazioni con Pristina sono essenziali e determineranno il ritmo generale dei negoziati di adesione del Paese“, si legge nel rapporto 2021. Oltre all’impegno nel dialogo mediato da Bruxelles, dal governo di Pristina – che dopo le elezioni anticipate dello scorso febbraio “gode di una chiara maggioranza parlamentare” – ci si aspetta invece che attui un piano d’azione per le riforme. La Commissione attende anche “con urgenza” che il Consiglio tratti la proposta di liberalizzare i visti dei cittadini kosovari: “La nostra valutazione rimane uguale a quella del luglio 2018, tutti i parametri di riferimento sono stati soddisfatti”, ha tagliato corto il commissario Várhelyi.
    Dopo aver ricordato che “Albania e Macedonia del Nord continuano a soddisfare le condizioni per l’apertura dei negoziati di adesione” e che “entrambi sono a uno stadio avanzato nel percorso di riforme”, il commissario per l’Allargamento ha ribadito che “le questioni bilaterali pendenti tra Bulgaria e Macedonia del Nord devono essere risolte in via prioritaria“. Inoltre, “è fondamentale” che gli Stati membri concludano le discussioni “senza ulteriori ritardi”, per organizzare le prime conferenze intergovernative entro il 31 dicembre 2021.
    La nota dolente nei Balcani Occidentali rimane la Bosnia ed Erzegovina, il cui obiettivo strategico di integrazione nell’Unione Europea “non si è tradotto in azioni concrete”. Il Pacchetto Allargamento UE 2021 sottolinea che “l’ambiente politico è rimasto polarizzato, poiché i leader politici hanno continuato a impegnarsi in una retorica divisiva“. Fonti di “profonda preoccupazione” per il commissario Várhelyi riguardano “il blocco delle istituzioni statali e le richieste di ritirare le riforme”. L’esortazione a tutti gli attori politici è di “affrontare le 14 priorità-chiave” e di “astenersi da dichiarazioni di indipendentismo in contrasto con gli Accordi di Dayton”.
    L’ultimo dossier riguarda la Turchia, che è sì “un partner per l’Unione Europea in aree come la migrazione, la lotta al terrorismo e l’economia”, ma che “non ha affrontato in modo credibile il continuo deterioramento dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali e dell’indipendenza del sistema giudiziario”, ha ricordato Várhelyi agli eurodeputati. Ankara “deve invertire questa tendenza negativa come questione prioritaria”, ma dovrà anche portare avanti i progressi sul fronte della de-escalation nel Mediterraneo orientale, “per lo sviluppo di una relazione cooperativa e reciprocamente vantaggiosa”, ha concluso il commissario europeo. Tuttavia, per la Turchia la strada verso l’accesso all’Unione Europea rimane, per il momento, sbarrata.

    Il commissario Várhelyi ha illustrato i punti principali del nuovo pacchetto alla commissione AFET del Parlamento UE “Se i nostri partner nei Balcani adempiono le riforme, i Paesi membri non possono tirarsi indietro”

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    Brexit, l’UE cerca un compromesso sul protocollo sull’Irlanda del Nord e propone un taglio dei controlli doganali

    Bruxelles – È passato ormai quasi un anno dall’entrata in vigore dell’accordo di divorzio tra l’Unione Europea e il Regno Unito, ma la questione Brexit continua a creare frizioni nei rapporti tra le due sponde della Manica. Ci prova ora la Commissione UE a gettare acqua sul fuoco, con la proposta di una serie di accordi per risolvere le difficoltà che stanno vivendo i cittadini dell’Irlanda del Nord sul fronte del commercio con la Gran Bretagna.
    A seguito di diversi confronti nelle ultime settimane con la controparte britannica e con le istituzioni nord-irlandesi, il vicepresidente della Commissione UE per le Relazioni interistituzionali e le prospettive strategiche, Maroš Šefčovič, ha presentato oggi (mercoledì 13 ottobre) “la nostra autentica risposta alle preoccupazioni dei cittadini e delle imprese dell’Irlanda del Nord“, con l’obiettivo di trovare una “soluzione permanente concordata congiuntamente” insieme al governo britannico. “Tutto questo sarà fatto in stretta collaborazione e in costante dialogo con il Parlamento e il Consiglio Europeo”, ha assicurato Šefčovič in conferenza stampa. La proposta è contenuta in quattro testi non legislativi (non paper), che saranno discussi con la controparte britannica da venerdì (15 ottobre), quando il vicepresidente della Commissione farà visita a Londra.
    Il vicepresidente della Commissione UE per le Relazioni interistituzionali, Maroš Šefčovič (13 ottobre 2021)
    Nel primo testo si parla di un abbattimento dell’80 per cento dei controlli dei certificati sanitari e fitosanitari degli alimenti, delle piante e degli animali, attraverso una serie di condizioni e salvaguardie per gli standard del Mercato Unico Europeo: la costruzione di posti permanenti di controllo alle frontiere, imballaggi specifici, un’etichettatura che indichi che le merci sono in vendita solo nel Regno Unito e un monitoraggio rafforzato delle catene di approvvigionamento. Nel caso in cui si verifichino problemi o violazioni da parte dei commercianti o delle autorità britanniche, si attiverebbero un meccanismo di reazione rapida e misure unilaterali UE. Segue poi la proposta di una riduzione del 50 per cento delle pratiche doganali (grazie alle condizioni poste dal primo testo), a patto che Londra si impegni a fornire un accesso “completo e in tempo reale” ai sistemi IT (tecnologia dell’informazione): “Si creerà una sorta di Express Lane per la circolazione delle merci dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord”, si legge nel testo, “fornendo allo stesso tempo un solido meccanismo di monitoraggio e protezione dell’integrità del Mercato Unico”.
    Il terzo testo tratteggia un legame più forte tra l’Assemblea dell’Irlanda del Nord e l’Assemblea di partenariato parlamentare UE-Regno Unito, per rendere “più trasparente” l’applicazione del protocollo sull’Irlanda del Nord dell’accordo di recesso tra UE e Regno Unito e rafforzare la partecipazione dei partner nordirlandesi nelle riunioni dei comitati specializzati. E infine il quarto testo si concentra sulla “sicurezza ininterrotta” della fornitura di medicinali dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. Vale a dire che Londra “può continuare a fungere da hub per la fornitura di farmaci generici” per Belfast e che le aziende farmaceutiche britanniche “possono mantenere tutte le loro funzioni normative”, nonostante questo implichi il fatto che “l’UE cambi le proprie regole sui medicinali“.
    Secondo l’esecutivo comunitario “questo pacchetto di misure farà una reale differenza” per quanto riguarda la circolazione delle merci, ha commentato il vicepresidente Šefčovič. L’attenzione è stata posta sulle “flessibilità in materia di alimenti, salute delle piante e degli animali, dogane, medicinali e impegno con le parti interessate nordirlandesi”, ma anche sul fatto che “propone un modello diverso per l’attuazione del protocollo” sul piano del commercio tra Londra e Belfast. “È facilitato, ma con una serie di salvaguardie e una maggiore sorveglianza del mercato”, ha concluso Šefčovič, che ha ribadito anche che la bussola che guida la Commissione rimane tarata su “prevedibilità, stabilità e certezza per le persone e le imprese”.
    Le difficoltà nel commercio post-Brexit
    Le proposte dell’esecutivo comunitario hanno come obiettivo quello di trovare un compromesso sulle difficoltà riscontrate nell’attuazione del protocollo sull’Irlanda del Nord dell’accordo di recesso tra UE e Regno Unito (che è stato redatto per preservare l’unità dell’isola, secondo l’accordo del Venerdì Santo del 1998). La questione ruota attorno al periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la concessione temporanea da parte delle autorità UE ai controlli dei certificati sanitari ai supermercati e fornitori britannici per il commercio di generi alimentari. Nel contesto post-Brexit i controlli servono per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola).
    Il vicepresidente della Commissione UE per le Relazioni interistituzionali, Maroš Šefčovič (13 ottobre 2021)
    Questa concessione – entrata in vigore provvisoriamente dall’inizio del 2021 con la firma dell’accordo di commercio e di cooperazione – sarebbe dovuta scadere lo scorso primo aprile. Ma con la decisione unilaterale di Downing Street dello scorso 3 marzo di estendere il periodo di grazia fino alla fine di ottobre, si era aperta la cosiddetta ‘guerra delle salsicce’ (diventate il simbolo dei prodotti refrigerati a rischio per la tratta commerciale dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord). Dopo aver lanciato una procedura di infrazione contro il Regno Unito per presunte violazioni del protocollo, lo scorso 30 giugno Bruxelles aveva deciso di concedere una proroga di tre mesi.
    Offerto il dito, Londra si è presa tutto il braccio. A inizio settembre il governo guidato da Boris Johnson ha iniziato un pressing non solo per ridefinire la durata del periodo di grazia sui controlli dei certificati sanitari, ma anche per rinegoziare l’intero protocollo sull’Irlanda del Nord. Richiesta respinta al mittente dalla Commissione Europea per due volte: la prima a fine luglio dal vicepresidente Šefčovič – “non accetteremo nessuna revisione”, aveva tagliato corto – la seconda proprio in occasione della ripresa delle polemiche oltremanica un mese fa.
    Le bordate da Londra
    Già prima della presentazione della proposta della Commissione UE di oggi, da Londra erano piovute critiche rispetto a un altro punto del protocollo sull’Irlanda del Nord: il potere di arbitrato da parte della Corte di Giustizia dell’UE. “Il ruolo della Corte di giustizia e delle istituzioni dell’UE in Irlanda del Nord crea una situazione in cui non sembra esserci alcuna discrezione su come le disposizioni del protocollo vengono attuate”, ha attaccato il consigliere britannico per la Sicurezza nazionale, David Frost, ieri (martedì 12 ottobre) in un intervento a Lisbona. “La Commissione è stata troppo veloce a liquidare la governance come una questione secondaria”, ha aggiunto, portando come esempio la procedura di infrazione: “È arrivata al primo disaccordo, è evidente che questi accordi non funzioneranno nella pratica“.
    Il braccio destro del premier Johnson ha cercato di smarcarsi dalle critiche per aver firmato lui stesso l’accordo (fino all’anno scorso era ex-capo negoziatore Brexit per il Regno Unito), sostenendo che “il protocollo è stato redatto in estrema fretta in un periodo di grande incertezza“. Ma non solo: “Dire che non può essere migliorato sarebbe un errore di valutazione storico”, ha incalzato Frost, prima di insinuare che per Bruxelles “turbolenze, distorsione del commercio e sconvolgimento della società” in Irlanda del Nord sono “forse persino un prezzo accettabile” da pagare per dimostrare che “la Brexit non ha funzionato”. Su tutte le altre proposte dell’esecutivo UE, Frost si è detto “disponibile a negoziare intensamente”.
    Ma dalla Commissione Europea la porta rimane chiusa. “Entrambe le parti si sono impegnate con una firma”, ha ribadito il funzionario UE. Cancellare con un colpo di spugna il ruolo affidato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea significherebbe non solo “compromettere il mantenimento dell’Irlanda del Nord nel Mercato Unico“, ma anche “aumentare l’instabilità, esattamente l’opposto di quello che vogliamo”. La Corte UE rimane “al centro del protocollo” ed è evidente che, nonostante il passo avanti di oggi da parte dell’esecutivo comunitario, la partita tra Londra e Bruxelles sul commercio in Irlanda del Nord è tutt’altro che chiusa.

    Il vicepresidente della Commissione UE Šefčovič ha presentato le quattro proposte per risolvere le difficoltà di commercio tra Belfast e Londra. Previsto l’abbattimento dell’80 per cento dei controlli, purché si rispettino le salvaguardie del Mercato Unico

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    L’Unione Europea stringe i rapporti con l’Ucraina per affrontare la crisi energetica e la minaccia russa

    Bruxelles – Sono due gli spettri che aleggiano sul vertice UE-Ucraina e lo si capisce ascoltando le prime parole della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in conferenza stampa: “Vogliamo che la Russia si prenda le sue responsabilità sulle violazioni della sovranità dell’Ucraina e vi consideriamo partner stretti nell’affrontare la comune crisi energetica“.
    L’incontro di oggi (martedì 12 ottobre) tra la leader dell’esecutivo comunitario, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, aveva come obiettivo il rafforzamento delle relazioni tra Kiev e Bruxelles sul piano dell’integrazione economica in diversi settori, tra cui clima, energia, telecomunicazioni, connettività, trasporti, istruzione e ricerca. Dopo la firma degli accordi sullo spazio aereo comune, sui programmi UE di ricerca e innovazione Horizon Europe ed Euratom e sul programma europeo di sostegno al settore culturale Creative Europe, sono stati i due temi politicamente più scottanti a monopolizzare gli interventi post-vertice.
    In primis, la questione russa e la tensione tra i due Paesi da quando Mosca ha annesso nel 2014 la penisola di Crimea. Come già ribadito in diverse occasioni (ultima in ordine cronologico, la risposta dello scorso aprile all’accumulo di truppe russe lungo il confine orientale del Paese), “l’Unione Europea supporta pienamente l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina“, non ha lasciato spazio a dubbi la presidente von der Leyen. Le ha fatto eco il numero uno del Consiglio Europeo, che ha condannato “fermamente” quella che per Bruxelles è “un’annessione illegale della Crimea”. Michel ha sottolineato che “per la sicurezza e la stabilità del Paese, potete contare su di noi”.
    Ma se queste prese di posizione erano tutto sommato attese e prevedibili, ben più importanti sono state le dichiarazioni dei due rappresentanti delle istituzioni europee al vertice UE-Ucraina sul tema della crisi energetica che sta sconvolgendo il mondo, con un aumento dei prezzi di gas ed energia per i Paesi importatori.  “Stiamo esplorando la possibilità di stoccaggi in comune di gas naturale con l’Ucraina“, ha annunciato von der Leyen, spiegando le prospettive sul breve e lungo periodo allo studio della Commissione UE. A causa del taglio dei rifornimenti di gas da parte dell’azienda russa Gazprom, “questo sarà un problema comune non solo di questo inverno, ma anche dei prossimi”.
    La cooperazione tra Bruxelles e Kiev viene vista come “molto benefica per entrambi” da parte della presidente della Commissione, che sta analizzando diversi scenari di reazione alla crisi attuale con un coinvolgimento del partner ucraino. Per “assicurare una fornitura sufficiente al Paese”, von der Leyen ha spiegato che una soluzione potrebbe essere “l’aumento delle capacità dei gasdotti già in uso“, ipotizzando “un’inversione del flusso in un gasdotto dalla Slovacchia”. Altrimenti si dovrà pensare a riserve strategiche comuni e assicurare che “l’Ucraina resti un Paese di transito affidabile per l’approvvigionamento di gas”.
    L’obiettivo dichiarato è di “raggiungere l’indipendenza energetica, per non dipendere più dall’estero“, ha esortato la leader dell’esecutivo comunitario, dopo aver ricordato che però “il nostro fine ultimo rimane svincolarci dai combustibili fossili”. Al momento però, come ricordato anche dalla commissaria per l’Energia, Kadri Simson, la settimana scorsa davanti alla plenaria del Parlamento UE, si deve ragionare sull’impennata dei prezzi e cercare una risposta a livello comunitario. Di questo – e in particolare della capacità di stoccaggio comune – si discuterà al prossimo Consiglio Europeo del 21-22 ottobre a Bruxelles. “È un argomento fondamentale, su cui possiamo cercare di costruire una cooperazione con l’Ucraina“, ha sottolineato il presidente Michel, presentandolo come un “esempio pratico di come vogliamo affrontare insieme i problemi ed essere politicamente più efficienti”.

    Tra le soluzioni emerse dal vertice di Kiev c’è anche la possibilità di disporre di “stoccaggi in comune di gas naturale”, ha annunciato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen

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    Vertice UE-Balcani: sotto la patina di ottimismo si nasconde l’ennesimo fiasco per l’allargamento dell’Unione

    Dall’inviato
    Kranj – Più delle parole, scritte e pronunciate in questa giornata slovena, a spiegare il clima del vertice UE-Balcani Occidentali è bastato osservare il linguaggio del corpo dei tre leader europei intervenuti in conferenza stampa. Totalmente assente il consueto sorriso sul volto della presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen. Frenetico il modo di gesticolare del presidente del Consiglio UE, Charles Michel. Tendente al glaciale lo sguardo del premier sloveno e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Janez Janša. Se poi ci aggiungiamo quello che manca nella dichiarazione di Brdo, il quadro è completo: oltre gli annunci di facciata e l’ottimismo del linguaggio diplomatico, il vertice UE-Balcani Occidentali è stato un fiasco per le prospettive di adesione della regione all’Unione.
    Un fiasco, non un fallimento. Perché il processo di allargamento dell’Unione Europea non si è fermato, né ha fatto passi indietro. È solamente rimasto fermo ai soliti problemi e ai soliti punti di forza. Da una parte, il veto della Bulgaria all’apertura dei quadri negoziali con la Macedonia del Nord (trascinando nello stallo anche l’Albania), le continue difficoltà nella normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo e la mancanza di volontà politica di diversi Paesi membri nell’espandere l’Unione oltre le sue frontiere attuali. Dall’altra, il Piano economico e di investimenti da quasi 30 miliardi di euro per la regione stanziato da Bruxelles, i progressi nei negoziati di adesione di Serbia e Montenegro e il progressivo allineamento dei Sei balcanici alle richieste europee sul fronte delle riforme, del rispetto dello Stato di diritto e degli obiettivi della doppia transizione verde e digitale dell’economia.
    Il premier sloveno e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Janez Janša (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Di più non si vede. Ed è un problema, perché il vertice di oggi (mercoledì 6 ottobre) era atteso come la chiave di volta per il futuro prossimo della regione nell’Unione. Invece il primo punto delle conclusioni è una riconferma da parte dell’UE del “suo impegno nei confronti del processo di allargamento”. Allargamento in grassetto, per far capire che già un’intesa su questo termine è un successo: alcuni tra i Ventisette avrebbero voluto eliminarlo, alla fine l’ha spuntata la presidenza slovena. L’ostacolo su cui però si sono incagliate le ambizioni del premier Janša è stato il riferimento a una scadenza per portare a termine il processo di allargamento dell’UE nei Balcani. Questa mattina, prima dell’incontro tra i capi di Stato e di governo europei e balcanici, nessun leader si era sbilanciato su una data certa e ora si capisce il perché.
    “L’assenza del riferimento al 2030 è il risultato della discussione di oggi“, ha spiegato senza troppi giri di parole Janša. “La Slovenia voleva una data ultima su cui basare il calendario dei negoziati, come è successo con noi nel 2004”, ma non tutti i Paesi membri UE si sono mostrati convinti che questo possa (o piuttosto debba) accadere “entro la fine del decennio”, ha aggiunto il premier sloveno. Tuttavia, Janša ha cercato il più possibile di nascondere il fiasco di questo vertice (che avrebbe dovuto essere il fiore all’occhiello della sua presidenza del Consiglio dell’UE). “Ci sono molti punti positivi nella dichiarazione”, dalla tabella di marcia per l’abolizione del roaming dati tra l’Unione e i Balcani alla promessa di continuare a sostenere il piano di vaccinazione anti-COVID dei sei Paesi, “per raggiungere tassi simili alla media dell’UE “entro la fine del 2021”.
    L’ottimismo (forzato) delle istituzioni europee
    Ribadendo quanto dichiarato questa mattina, la presidente von der Leyen ha sottolineato che “la posizione della Commissione Europea è chiara: non siamo completi senza i Balcani e farò tutto il possibile per far avanzare questo processo“. Parole a cui è difficile non credere e che spiegano la frustrazione per un dialogo con gli Stati membri tutt’altro che facile. Solo una settimana fa, durante il suo viaggio nella regione, la leader dell’esecutivo UE aveva promesso che entro la fine dell’anno saranno avviati i negoziati con Macedonia del Nord e Albania. Un obiettivo ambizioso, ma che sarà quasi impossibile raggiungere: non è un caso se questa scadenza non è stata menzionata nemmeno di sfuggita.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Con un sorriso tirato, von der Leyen ha chiesto “pazienza” ai cittadini balcanici: “Capisco perfettamente la vostra frustrazione per la lentezza del processo“. Altro indizio che per la presidente dell’esecutivo comunitario il vertice UE-Balcani Occidentali sarebbe potuto andare decisamente meglio. Allo stesso tempo, ha riferito alla stampa di sentirsi ottimista sul futuro allargamento dell’UE, per tre ragioni. Primo, perché “la maggioranza dei Paesi membri si è impegnata nel rafforzarlo”. Secondo, per il Piano economico “che parla da solo sulle nostre ambizioni strategiche”. Terzo, per “l’eccellente messaggio offerto alla regione” dall’accordo tra Serbia e Kosovo (mediato da Bruxelles) per mettere fine alla cosiddetta ‘battaglia delle targhe’: “È il perfetto esempio di cosa si può raggiungere quando ci si siede al tavolo del dialogo”, ha aggiunto von der Leyen.
    Il presidente del Consiglio UE Michel ha invece insistito a più riprese sui valori fondamentali che legano l’Unione e i Balcani, a partire dalle “fondamenta della lotta alla corruzione e del rispetto dello Stato di diritto“. Nella dichiarazione finale si fa riferimento anche al “primato della democrazia e dei valori fondamentali”, al rispetto dei diritti umani, della parità di genere e delle persone appartenenti a minoranze. Tutti temi oggetto di riforme socio-economiche, da cui dipende il proseguo del sostegno dell’UE ai Paesi della regione.
    Facendo riferimento ai temi di discussione del Consiglio informale di ieri sera, Michel ha ricordato che, da un punto di vista strategico, l’Unione vuole proteggere i propri interessi “con partner che condividono i nostri valori”. In quest’ottica, la centralità del vertice UE-Balcani Occidentali è evidente. Nel documento finale non si parla esplicitamente dei concorrenti nell’estensione dell’influenza politica ed economica nella penisola, ma si può leggere tra le righe il riferimento a Russia e Cina. In particolare, quando viene sottolineato che l’Unione Europea è “di gran lunga” il principale investitore e donatore nella regione e nella richiesta ai leader balcanici di riconoscere e trasmettere nei dibattiti pubblici nazionali “la scala e la portata senza precedenti di questo sostegno”.
    Cosa c’è nella dichiarazione di Brdo
    Oltre ai punti già menzionati – la necessità di condivisione dei valori europei da parte dei Paesi della regione, il Piano economico di investimenti e il supporto nella lotta contro il COVID-19 – nella dichiarazione di Brdo spiccano le aspettative nei confronti del dialogo decennale tra Pristina e Belgrado: “Attendiamo progressi concreti dalle due parti sulla piena normalizzazione delle loro relazioni“. Un fattore indispensabile “per la stabilità e lo sviluppo dell’intera regione”, ma soprattutto per garantire che entrambi i Paesi possano continuare “sui loro rispettivi percorsi europei” (anche se nel caso del Kosovo l’UE deve fare i conti con cinque Paesi membri che non ne riconoscono l’indipendenza, ovvero Spagna, Grecia, Romania, Cipro e Slovacchia).
    Il presidente del Consiglio UE, Charles Michel (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Al vertice UE-Balcani Occidentali di Kranj spazio anche all‘Agenda verde e al Mercato comune regionale, secondo le linee dell’intesa raggiunta al vertice di Sofia del novembre 2020. Nell’ottica del Green Deal europeo, l’Agenda “è un fattore chiave per la transizione verso economie moderne, a zero emissioni di carbonio ed efficienti nell’uso delle risorse”. C’è anche un richiamo al tema del momento: “La sicurezza energetica dovrebbe essere prioritaria, compresa la diversificazione delle fonti e delle rotte”, si legge nel documento. Il Mercato comune regionale viene invece visto come un trampolino di lancio per “rafforzare l’integrazione dei Balcani Occidentali nel Mercato Unico dell’UE”.
    Come emerso dalle tappe in Serbia e in Bosnia ed Erzegovina del recente viaggio di von der Leyen, la dichiarazione sottolinea che “è una priorità sviluppare ulteriormente la connettività dei trasporti, all’interno della regione e con l’UE“. Non solo per “migliorare l’efficienza e la sicurezza dei servizi di trasporto”, ma anche per “raggiungere gli obiettivi di mobilità verde e sostenibile”, grazie al rafforzamento del trasporto ferroviario e delle vie navigabili. Attesa anche l’attuazione del piano d’azione dell’Agenda dell’innovazione per i Balcani occidentali, lanciata oggi per “promuovere l’eccellenza scientifica e la riforma dei sistemi educativi”.
    Non ci si aspettava molto dal capitolo “rotta balcanica”, ma si commenta da solo il posto riservato nelle discussioni alla questione migratoria: nella dichiarazione occupa il 23esimo punto su 30. In modo molto approssimativo sono state delineate le aree di interesse: miglioramento dei sistemi di asilo, lotta al traffico di migranti e alla “migrazione illegale”, gestione delle frontiere e capacità di accoglienza. Una particolare attenzione è stata posta invece sui sistemi di rimpatrio, “compresa la conclusione di accordi di riammissione con i principali Paesi di origine”. A ruota segue il tema Afghanistan e non a caso si fa riferimento alla necessità di “affrontare le sfide in evoluzione e coordinare risposte comuni”.
    Con questo stato dell’arte, ricominceranno gli incontri bilaterali tra governi, i confronti tra i singoli Paesi della regione con la Commissione Europea e il dialogo Serbia-Kosovo. Ma “per promuovere ulteriormente i nostri interessi comuni”, i leader europei e balcanici hanno espresso la disponibilità a “rinvigorire il dialogo politico”. Il vertice UE-Balcani Occidentali diventa un evento regolare. Ci si rivede nel 2022, con la sensazione che non si riprenderà da basi più avanzate di quelle poste da questo summit controverso e, in parte, deludente.

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    Attesa per il vertice UE-Balcani Occidentali: impegno per l’allargamento, ma nessuno si sbilancia sulle tempistiche

    Dall’inviato
    Kranj –  Sotto l’acqua battente di una giornata d’autunno in Slovenia c’è appena il tempo di una passerella veloce per i leader europei e balcanici, prima dell’inizio del vertice UE-Balcani occidentali. “Buongiorno! Tutto bene, grazie”, ha tagliato corto Mario Draghi, percorrendo in velocità il tappeto rosso ormai pieno di pozzanghere. Il premier italiano non si è sbottonato, tenendo la stessa linea di “no comment” verso la stampa mostrata ieri sera (martedì 5 ottobre), all’arrivo al castello di Brdo per il vertice informale dei capi di Stato e di governo dell’UE.
    In verità, sono stati pochi i leader disponibili a parlare con i giornalisti. Non Angela Merkel, nascosta sotto l’ombrello nero con il logo della presidenza slovena del Consiglio dell’UE, non Emmanuel Macron, che ha schivato con un sorriso beffardo le domande sulle prospettive dell’autonomia militare dell’Unione, dopo le discussioni alla cena dei Ventisette. Hanno fatto eccezione il primo ministro del Lussemburgo, Xavier Bettel – protagonista di un scambio di pacche sulle spalle con l’omologo albanese, Edi Rama – e il premier del Kosovo, Albin Kurti, che ha richiamato l’Unione Europea a “rispettare gli impegni presi” sia sulla liberalizzazione dei visti per i cittadini kosovari, sia sull’allargamento dell’UE nei Balcani”. Riguardo alle ultime difficoltà del dialogo Pristina-Belgrado, Kurti ha indicato nel reciproco riconoscimento “l’unica soluzione credibile, giusta e sostenibile” per la normalizzazione dei rapporti con la Serbia (il presidente serbo, Aleksander Vučić, non ha rilasciato dichiarazioni), mentre ai cinque Paesi UE che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo (Spagna, Grecia, Romania, Cipro e Slovacchia) il premier Kurti ha chiesto che “si allineino al più presto agli altri”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, prima del vertice UE-Balcani Occidentali (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Più inclini a rilasciare dichiarazioni i leader delle istituzioni europee, a partire dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen: “Oggi lanciamo un messaggio molto chiaro, che vogliamo i Paesi dei Balcani occidentali nell’Unione Europea, perché siamo un’unica famiglia“, ha sottolineato con forza, ricalcando le rassicurazioni fornite nel corso del suo viaggio della settimana scorsa nella regione. La capa dell’esecutivo comunitario aveva indicato nel 31 dicembre 2021 la data entro cui dovranno iniziare i negoziati per l’adesione di Albania e Macedonia del Nord, ma al momento nessun leader europeo si è voluto sbilanciare su una data certa, né per i due Paesi bloccati dal veto della Bulgaria, né per l’intero processo di allargamento ai Sei balcanici.
    “Per noi questo vertice sarà l’occasione di confermare la prospettiva europea dei Balcani”, ha confermato il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ma anche per “ribadire che siamo pronti a mobilitare grossi investimenti per sostenere le loro riforme economiche e la lotta alla corruzione”. Michel ha definito quello di oggi “uno scambio di vedute aperto e libero”, finalizzato a “capire i prossimi passi” sulla strada dell’allargamento UE. Commenti in perfetto stile diplomatico, che nascondo incertezze e divisioni sulle tempistiche di questo processo. Sembra improbabile che nei prossimi mesi si assisterà a un’accelerazione, anche considerata la situazione interna dei due Paesi che ‘pesano’ di più a Bruxelles: la Francia è prossima alle elezioni presidenziali e difficilmente Macron si esporrà troppo su questo tema delicato, la Germania è impegnata nella formazione del nuovo governo e per il momento non spingerà più di quanto già fatto.
    L’alto rappresentante UE, Josep Borrell, prima del vertice UE-Balcani Occidentali (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Nemmeno l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si è voluto sbilanciare sul tema dell’ostacolo bulgaro sulla strada dell’adesione UE della Macedonia del Nord (e di rimando dell’Albania, dal momento in cui i quadri negoziali di Skopje e Tirana sono affrontati da Bruxelles come un unico pacchetto). L’alto rappresentante ha però esortato tutti i Paesi membri a mantenere il processo di allargamento “una strada credibile e di cui ci si può fidare”, una volta soddisfatti i criteri per avviare i negoziati. Nel frattempo, il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, ha esortato i convenuti a Kranj a  a impegnarsi a fondo nel dialogo: “Serve nuovo e forte impulso, è giunto il momento di superare i ritardi e gli attuali blocchi”, si legge nella lettera inviata al presidente del Consiglio Europeo prima dell’inizio del vertice UE-Balcani Occidentali. “Questo nuovo slancio non può che avere un effetto positivo nella regione e potrebbe contribuire alla sua trasformazione democratica e alle relazioni di buon vicinato”, ha ricordato Sassoli, avvertendo che “ogni ulteriore esitazione rischia di incoraggiare altri attori che desiderano acquisire influenza nella regione”.

    We call on leaders at the #EUWBSummit2021 to give new impetus to the accession process.
    Enlargement, based on common values, benefits us all – it is time to move forward.
    Further delay risks encouraging others who wish to gain influence in the region. https://t.co/450JxorPdd
    — David Sassoli (@EP_President) October 6, 2021

    Si è aperto in Slovenia il summit tra i leader UE e balcanici, per rafforzare le prospettive europee dei Paesi della regione e il loro processo di adesione. Rimane però difficile un’accelerazione entro la fine dell’anno

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    Al centro del dibattito UE sulla Bielorussia è rimasta (quasi) solo la questione della rotta migratoria

    Bruxelles – L’Unione Europea non dimentica l’opposizione democratica in Bielorussia, ma ormai è la questione della rotta migratoria favorita dal regime di Alexander Lukashenko a occupare il centro della scena. Lo ha dimostrato il dibattito in plenaria del Parlamento Europeo di oggi (martedì 5 ottobre), in cui sono emersi come punti principali le condanne al presidente bielorusso per l’uso di “strumenti di guerra ibrida” e le polemiche sulla gestione delle frontiere dell’Unione. Anche se non si sono fermate le pressioni dell’UE sulle violazioni dei diritti umani e gli arresti arbitrari dei dissidenti nel Paese, a quasi 14 mesi dalle elezioni-farsa nel Paese è chiaro che la rotta bielorussa è diventata il tema su cui incardinare la contrapposizione al regime Lukashenko.
    L’ultima volta che la plenaria del Parlamento Europeo aveva affrontato la questione bielorussa era inizio giugno, quando gli eurodeputati avevano mostrato unanimità nel condannare il dirottamento del volo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk (per arrestare il giornalista e oppositore politico Roman Protasevich e la compagna Sofia Sapega) e nel chiedere più determinazione a Commissione e Consiglio UE. Quattro mesi più tardi la situazione è cambiata, ma solo sotto alcuni aspetti: la repressione dell’opposizione interna è continuata senza sosta, mentre la Bielorussia di Lukashenko ha aperto la nuova rotta migratoria come ricatto nei confronti delle sanzioni economiche imposte a Minsk dall’Unione Europea. Lituania e Polonia hanno risposto alzando muri e dichiarando lo stato di emergenza al confine, con pressioni sempre maggiori a Bruxelles per cambiare le linee di gestione della politica migratoria e di asilo in senso più restrittivo.
    La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson
    Il clima è cambiato soprattutto al Parlamento Europeo che, nonostante non voglia abbassare i riflettori sulle violazioni dei diritti umani in Bielorussia, si trova ora a dover affrontare una delle questioni più divisive tra i gruppi politici: quella della gestione delle frontiere dell’Unione Europea. Ad aprire il dibattito in plenaria è stata la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson: “Rispetto ai 150 arrivi irregolari dello scorso anno, dall’inizio del 2021 ne contiamo già più di seimila”. Un problema creato artificialmente dal regime Lukashenko, dal momento in cui il Paese non si trova sotto pressione migratoria. Al contrario, “di solito si chiede asilo dalla Bielorussia, non in Bielorussia”, ha attaccato Johansson. Contro questa “azione frenetica per cercare di destabilizzarci”, la risposta dell’Unione è stata “coesa”: la commissaria ha fatto riferimento alla strategia contro la tratta di esseri umani organizzata dallo Stato e alla necessità di “proteggere i confini comuni con risorse e valori condivisi”.
    La posizione degli eurodeputati
    Per il PPE la questione della rotta migratoria in arrivo dalla Bielorussia è determinata da diversi fattori, tra cui il sostegno del presidente russo, Vladimir Putin, riveste un ruolo di primaria importanza: “È responsabile dei crimini di Lukashenko”, ha attaccato Andrius Kubilius, che ha richiamato l’Unione Europea a dotarsi di una “leadership forte e sicura per difendere i confini”. Mentre la destra di Identità e Democrazia ha ripreso il tema della protezione delle frontiere (“la Bielorussia si approfitta solo delle nostre mancanze a livello di infrastrutture di difesa”, ha voluto sottolineare Jaak Madison), Renew Europe ha fatto leva sulle risposte comuni da adottare: “Lukashenko non deve più potere attaccare i Paesi con cui confina con questa guerra ibrida”, ha commentato Petras Auštrevičius, ricordando che “si tratta di azioni illegittime, visto che è l’ex-presidente della Bielorussia“.
    L’eurodeputato del Partito Democratic, Pierfrancesco Majorino (S&D)
    Per i socialdemocratici è necessario “rafforzare il regime di sanzioni per chi è responsabile della tratta di migranti organizzata dallo Stato”, ha affondato Pedro Marques, che però ha anche spiegato chiaramente che “l’UE non può fare passi indietro rispetto ai suoi valori fondanti, soprattutto quando si tratta di migranti bloccati o respinti alla frontiera”. Gli ha fatto eco il collega Pierfrancesco Majorino: “La situazione umanitaria è preoccupante, soprattutto in Polonia” e Bruxelles “non può in nessun modo abbandonare chi fugge da situazioni drammatiche”, ha ribadito l’eurodeputato del Partito Democratico.
    Questione ripresa anche da Manu Pineda (La Sinistra), che ha accusato Polonia, Lituania e Lettonia di “violare il diritto di asilo, respingendo illegalmente le persone che lo richiedono”. L’eurodeputato spagnolo ha poi puntato il dito contro questi Paesi, che “adesso possono capire cosa significa essere un Paese di frontiera, quando gli altri non sono solidali”. Sergey Lagodinsky (Verdi/ALE) è stato invece critico nei confronti di Commissione e Consiglio, per essere stati “troppo timidi e lenti con le risposte al regime bielorusso”. Ora è arrivato il momento di “incolpare a livello internazionale Lukashenko di torture contro i suoi cittadini e coordinare le azioni degli Stati membri” rispetto al tema della gestione della migrazione, ha concluso l’eurodeputato tedesco.

    Dal confronto tra gli eurodeputati in plenaria è emerso che la risposta alla tratta favorita dal regime Lukashenko ha preso il sopravvento sul supporto all’opposizione democratica nel Paese come tema di discussione principale tra le istituzioni UE

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    Prove tecniche del vertice UE-Balcani Occidentali: inizia il viaggio di von der Leyen nella regione

    Bruxelles – Ora si inizia a fare sul serio. A poco più di una settimana dal vertice UE-Balcani Occidentali in programma in Slovenia, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, è pronta per iniziare il suo viaggio nella regione. Al centro del confronto con i leader dei Paesi balcanici, tutti i dossier più caldi: dalle prospettive di adesione all’UE, al sostegno economico di Bruxelles alla regione, fino alle complicazioni nell’apertura dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord e le tensioni tra Serbia e Kosovo. Tra oggi e giovedì (30 settembre) andranno in scena le prove tecniche del summit del 6 ottobre, l’occasione migliore per captare gli umori degli invitati a Kranj.
    Saranno 72 ore intense per la leader dell’esecutivo comunitario, ospite dei presidenti di Stato e di governo di Albania, Macedonia del Nord, Kosovo, Montenegro, Serbia e Bosnia ed Erzegovina. Il viaggio inizia questa mattina da Tirana, dove von der Leyen inaugurerà una scuola ricostruita dopo il terremoto del 2019 grazie ai fondi europei, per poi continuare con le visite a Skopje, Pristina e Podgorica. Tra mercoledì e giovedì la presidente della Commissione UE sarà a Belgrado, per partecipare all’evento di lancio di un progetto ferroviario legato al Corridoio paneuropeo X. Ultima tappa a Sarajevo, dove incontrerà i membri della presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina.
    I problemi da affrontare
    Presentando le premesse e gli obiettivi del viaggio, la portavoce della Commissione UE Dana Spinant ha spiegato che von der Leyen non solo “esprimerà attaccamento alla regione e al suo futuro europeo”, ma “discuterà anche dei temi politici di attualità e degli sviluppi regionali con tutti i leader che incontrerà”. Tra le questioni più scottanti sul tavolo c’è la tensione crescente tra Belgrado e Pristina sulla ‘battaglia delle targhe’, che continua a riguardare da vicino Bruxelles. Il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna, Peter Stano, ha ribadito che “la de-escalation è responsabilità di entrambe le parti”. Facendo riferimento alla dichiarazione dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, Stano si è detto preoccupato di “una situazione che non è positiva né per i cittadini serbi né per quelli kosovari”, né tantomeno per il dialogo decennale mediato dall’Unione Europea.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić
    Se il rapporto sempre più in salita tra Pristina e Belgrado sta catalizzando l’attenzione di Bruxelles, sarebbe un grave errore per le istituzioni europee sottovalutare gli altri malumori e difficoltà presenti nella regione. Primo su tutti, lo stallo sull’avvio del processo di adesione all’UE di Albania e Macedonia del Nord. Il problema è tutto del Consiglio dell’UE, a causa del veto della Bulgaria sul quadro negoziale con Skopje per questioni di natura ideologico-culturale. Nonostante le dure critiche dell’alto rappresentante Borrell agli Stati membri, nulla sembra essersi sbloccato e questa immobilità sta minando la fiducia dei cittadini macedoni e albanesi (il cui quadro negoziale con l’UE è legato a quello di Skopje) sulle reali possibilità di fare ingresso nell’Unione Europea.
    Di conseguenza, il viaggio nei Balcani della presidente von der Leyen rappresenta un tentativo di rassicurare i partner regionali. Non solo a Skopje e Tirana, ma anche a Podgorica. Nonostante il Montenegro sia attualmente il Paese allo stadio più avanzato nel processo di adesione all’UE, Bruxelles teme che possano ripetersi episodi di debiti stellari contratti dal Paese con la Cina, come quello che si è risolto solo a luglio, dopo mesi di incertezza. Ecco perché la Commissione Europea sta facendo del Piano economico e di investimenti da 29 miliardi di euro per la stabilizzazione della regione il suo cavallo di battaglia: in questo senso potrà presentare ai leader balcanici un risultato tangibile, ovvero l’accordo sullo strumento di assistenza pre-adesione IPA III che ha finalmente sbloccato questi fondi.
    Gli altri punti in agenda
    Tra i temi da affrontare per la presidente von der Leyen in questo viaggio nei Balcani – e che riemergeranno la settimana prossima al Brdo Congress Centre – ci sono anche il rispetto dello Stato di diritto e delle riforme necessarie per seguire la strada dell’integrazione europea. Questo discorso vale in particolare per la Bosnia ed Erzegovina, che ha ancora molto da lavorare sui 14 criteri di Copenaghen, che disciplinano le condizioni base per iniziare il processo negoziale). Il Paese ha bisogno di sostegno da Bruxelles sul fronte della riconciliazione etnica, del rafforzamento della democrazia e della stabilizzazione delle istituzioni nazionali.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e il primo ministro ungherese, Viktor Orbán
    Occhi puntati anche sulla Serbia del presidente Aleksandar Vučić, sempre più attratta dalle lusinghe del premier ungherese, Viktor Orbán (che non si sta dimostrando esattamente un campione nel rispetto dello Stato di diritto). Ultima in ordine cronologico, l’esortazione a Bruxelles di velocizzare l’accesso di Belgrado all’UE, per “difendere con maggiore energia i confini meridionali dello spazio Schengen“. Orbán ha sottolineato con forza che “tutti saremmo stati più al sicuro” se la Serbia avesse fatto parte dell’Unione, facendo un riferimento nemmeno troppo implicito alla questione della rotta migratoria sui Balcani.
    Anche considerata la drammatica situazione dei campi profughi in Bosnia – coperta da una coltre di silenzio estivo, ma pronta a ripetersi con il ritorno dell’inverno – per le istituzioni europee il tema della gestione della rotta balcanica dovrebbe essere il primo, non l’ultimo tema in agenda. Ma in un’Unione che non riesce a trovare un’intesa sulla migrazione e l’asilo nemmeno al suo interno, è quasi utopico pensare che i Ventisette possano parlare con una sola voce ai loro partner balcanici durante il vertice in Slovenia. Impossibile aspettarselo da un viaggio di soli tre giorni in sei capitali da parte della presidente della Commissione UE.

    Per tre giorni la presidente della Commissione UE discuterà con i leader balcanici dei problemi regionali e delle prospettive di integrazione europea. È il banco di prova più importante prima del summit in Slovenia del 6 ottobre