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    Rischio caos frontiera Ue-Regno Unito: mancano strutture di controllo a porti e stazioni

    Bruxelles – Rischio caos alla frontiera tra Ue e Gran Bretagna. Nelle prossime settimane entreranno in vigore i controlli fisici, dopo la Brexit, e non ci sono strutture né il personale. Si rischiano blocchi all’import-export e code di ore, ad esempio, per gli spostamenti ferroviari. Possibili rincari, soprattutto Oltremanica, o addirittura carenza di merci. Già dal 31 gennaio è stata introdotta la certificazione sanitaria sulle importazioni di prodotti animali a medio rischio, piante, prodotti vegetali e alimenti e mangimi ad alto rischio di origine non animale dall’Unione Europea, che dovranno procurarsi gli esportatori verso il Regno Unito.La fase successiva e più critica del Btom (Border Target operating model) inizierà invece il 30 aprile. Da quella data la dogana britannica controllerà fisicamente anche i prodotti importati attraverso i cosiddetti Border Control Post (BCP) situati, ad esempio, nei porti e negli aeroporti inglesi. Infine dal 31 ottobre a tutte le spedizioni di importazione dalla Ue verrà applicata una dichiarazione alla dogana del Regno Unito.Le aziende europee e britanniche sono preparate a questo big bang, rinviato per tre anni di fila? Un sondaggio condotto dall’Institute of Export and International Trade in ottobre ha rilevato che meno di un quinto delle imprese del Regno Unito aveva ben di eventuali ripercussioni su di loro. Anche per le aziende europee c’è confusione.Tom Southall, direttore esecutivo della Cold Chain Federation, l’associazione commerciale del Regno Unito per l’industria della logistica a temperatura controllata, ha affermato pochi giorni fa sul ‘Guardian’ che i recenti ritardi sono dovuti in gran parte al fatto che le aziende europee non erano pronte. “C’è stata molta preoccupazione per il fatto che non vi sia stato un impegno sufficiente con gli Stati membri dell’UE per prepararli”, ha detto. “E questo comporta il rischio che, se introduciamo questi requisiti, si potrebbe verificare un calo delle importazioni alimentari perché i fornitori non sono pronti”.“C’è un’altra questione: nella seconda metà dell’anno, probabilmente dopo le Olimpiadi in Francia, scatterà in Europa l’Entry and Exit System. In pratica servirà il visto per entrare nel nostro Continente, come avviene negli Usa”, sottolinea Alberto Mazzola, rappresentante del settore Trasporti nella Domestic Advisory group, una sorta di consulta che raggruppa imprese, sindacati e consumatori europei con quelli inglesi. “Ci sarà un controllo fisico per gli inglesi alla frontiera, il sindaco di Londra ha ipotizzato anche possibili 6 ore di coda alla stazione. E poi chi va a lavorare in Gran Bretagna sarà soggetto a regimi autorizzativi più stringenti, le imprese europee dovranno dimostrare che possono operare nel mercato inglese perché non esiste un omologo oltremanica”.Una situazione complessa, riconosce Mazzola. “Non credo che siamo preparati a tutto ciò”. All’orizzonte “si prospettano criticità ai porti, nel mondo ferroviario” perché “mancano strutture fisiche per tutti i controlli sulle merci e manca pure il personale”. Per cui “ben vengano le regole, che si sappiano, altrimenti gli investimenti si fermano per incertezza su norme e costi… però partendo così senza un’adeguata preparazione – conclude Mazzola – si rischia il caos oltre che danni economici. I britannici ora capiranno quanto era utile il mercato unico, un monito anche per l’Italia”.

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    Dombrovskis: “Nessuna proposta per messa al bando dei prodotti degli insediamenti israeliani”

    Bruxelles – Logiche e rapporti bilaterali tra Unione europea e Israele non cambiano, neppure alla luce di un conflitto in corso e le tensioni frutto di posizioni dello Stato ebraico sulla soluzione a due Stati della questione arabo-israeliana che non piacciono all’Ue. Il lavoro dei coloni israeliani nei territori palestinesi continuerà ad essere oggetto di scambi con l’Unione. “La Commissione non ha intenzione di presentare una proposta per vietare ai prodotti degli insediamenti di entrare nel mercato unico dell’UE“, scandisce il commissario per il Commercio, Valdis Dombrovskis, rispondendo a un’interrogazione parlamentare che arriva dai banchi de LaSinistra.L’esecutivo comunitario in sostanza intende lasciare tutto così com’è nelle relazioni con Israele. Pur non riconoscendo gli insediamenti israeliani come parte dello Stato ebraico, l’UE non modificherà quello che è il regime delle relazioni bilaterali politico e in materia commerciale. L’accordo di associazione UE-Israele prevede trattamenti tariffari preferenziali, vale a dire dazi ridotti alle importazioni di beni e prodotti israeliani. Un trattamento di favore che non si applica però a tutto il ‘made in Israel’ proveniente dagli insediamenti, la cui origine è anche specificata in etichetta. E non cambierà.“Il nuovo codice della tariffa doganale UE (TARIC) introdotto nel 2023 mira a facilitare e migliorare il rispetto di tale distinzione da parte degli importatori dell’UE”, specifica Dombrovskis. La politica dunque resterà quelle adottata fin qui. Dazi all’import per tutto ciò che riguarda gli insediamenti quale misura per prendere le distanze da una politica, quella delle colonie, comunque condannata dall’UE.

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    “Multilateralismo e cooperazione”, l’UE indirizza il dibattito di Davos

    Bruxelles – Cooperazione e multilateralismo. La risposta a crisi e tensioni è lavoro di squadra, a livello internazionale. Il World Economic Forum di Davos, quest’anno tenuto quasi in sordina per via dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente che continuano con maggiore intensità e ricadute sul dibattito politico, ha visto un’Unione europea ricoprire il ruolo di ‘pacere’ e mediatore in un contesto globale quanto mai incerto.Complice anche un calendario amico, che ha visto un avvicendamento sul podio a fasi alternate, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha potuto trovarsi nella situazione di provare a dettare una linea seguita e inseguita da chi ha parlato dopo di lei. “Questo è il momento di promuovere la collaborazione globale più che mai“, l’appello e l’invito della presidente dell’esecutivo comunitario, che offre sponde: “L’Europa è in una posizione unica per promuovere questa solidarietà e cooperazione globale”.Un intervento che poteva rischiare di andare perso tra le tante sessioni di lavoro di un summit organizzato su più livelli e in più momenti, tutti diversi. Ma l’intervento di von der Leyen è rimasto sospeso solo qualche ora. Perché il giorno successivo è stata il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, a rilanciare l’agenda dell’UE, avvertendo di come “le divisioni geopolitiche stanno ostacolando una risposta globale a sfide come il cambiamento climatico e l’intelligenza artificiale”, e che per tutto questo serve un “multilateralismo riformato, inclusivo e interconnesso”.In linea di principio gli appelli a un mondo globale e globalizzato che tale resti è condiviso anche dagli Stati Uniti dell’amministrazione Biden, con il segretario di Stato americano, Antony Blinken, anch’egli a Davos il giorno successivo alla presenza di von der Leyen, che è stato chiaro sulla necessità di “partenariati e cooperazione globali” per risolvere le nostre sfide più grandi. E’ questa però la visione di un governo uscente, atteso alla prova elettorale di fine anno, che potrebbe ridisegnare agende ed equilibri. L’UE teme un ritorno di Donald Trump alla Casa bianca, per le conseguenze di un simile scenario. Si teme, con Trump, l’esatto contrario di quanto sottolineato e sostenuto, da più parti, a Davos: divisioni al posto di cooperazione.Alle proposte di mediazione e di inter-relazione dell’UE risponde, il quarto giorno di lavori, il vice primo ministro e ministro degli affari esteri dell’Etiopia, Demeke Mekonnen Hassen. C’è per l’Europa, e non solo per il Vecchio continente, tutto il mondo africano interessato all’agenda di cooperazione. A patto che non sia trattato in modo marginale o neo-coloniale. Al contrario, “l‘Africa deve svolgere un ruolo centrale in tutto il mondo per il multilateralismo e nell’arena internazionale sul commercio, sugli investimenti e su altre attività economiche”. Le dinamiche delle relazioni bi-laterali e regionali sarà compito della politica, ma è chiaro, ha voluto sottolineare il direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), Ngozi Okonjo-Iweala, che “senza un libero flusso commerciale, non credo che potremo riprenderci” a livello economico. Avanti dunque con il libero scambio e le relazioni internazionali. Anche perché, ha messo in chiaro il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, “dobbiamo evitare una corsa ai sussidi, non possiamo permettercelo”.L’Unione europea a Davos sembra toccato e centrato un punto fondamentale. Ha sicuramente dettato il dibattito organizzato su più giorni. Ora la vera sfida è fare di questa linea dettata a Davos l’agenda politica internazionale dei prossimi mesi.Per quanto riguarda l’UE, la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, non ha dubbi: l’Europa deve fare i propri compiti a casa. La responsabile dell’Eurotower è stata tra gli ultimi a intervenire, l’ultimo giorno del summit di Davos. Qui, parlando della prospettiva di un ritorno di Trump alla guida degli Stati Uniti, ha invitato a lavorare fin da ora. “La migliore difesa, se è così che vogliamo vederla, è l’attacco“. Quindi precisa. “Per attaccare bene bisogna essere forti in casa. Essere forti significa avere un mercato forte e profondo, avere un vero mercato unico“.Una delle risposte a un eventuale ritorno di Trump passa per l’integrazione a dodici stelle. Lindner lo ha detto chiaro e tondo. “Il nostro svantaggio competitivo rispetto agli Stati Uniti non sono i sussidi, ma la funzione del nostro mercato dei capitali privati“.

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    Ue e Cina tentano un riavvicinamento, 7 e 8 dicembre il summit bilaterale a Pechino

    Bruxelles – Conflitto russo-ucraino, questione medio-orientale, ma soprattutto commercio. Unione europea e Cina tentano un riavvicinamento e una normalizzazione dei rapporti bilaterali attraverso il 24esimo meeting congiunto, il primo in formato fisico dal 2019. I presidenti di Consiglio e Commissione Ue, Charles Michel e Ursula von der Leyen, insieme all’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, tentano di convincere presidente e primo ministro della Repubblica popolare ad avare un ruolo di primo piano innanzitutto sulle questioni di stretta attualità.La guerra tra Russia e Ucraina è la principale di questi temi. Gli europei, spiegano fonti Ue ben informate, vorrebbero che la Cina utilizzasse la propria influenza per fermare Vladimir Putin e le sue operazioni militari. Si nutre cauto ottimismo, alimentato dalla consapevolezza che a Pechino questa guerra non piace perché non fa comodo. Una situazione che però sin qui non ha visto una posizione decisa né una condanna.“Non abbiamo ancora una prova di sostegno militare diretto in questa guerra, e vediamo che l’export cinese di tutta una serie di beni che possono essere usati in prima linea si riduce, e questo è positivo”, il ragionamento a Bruxelles, dove però si guarda con una certa attenzione alle relazioni bilaterali Ue-Cina, in particolare in ambito commerciale.L’Ue non vuole scontri con la Cina, ma la delegazione Ue si presenta a Pechino con un’inchiesta aperta contro i sussidi statali alle auto elettriche ‘made in China‘ che può voler dire, potenzialmente, anche dazi contro i prodotti cinesi. Una decisione, quella di Bruxelles, che potrebbe anche irrigidire gli interlocutori Xi Jinping (presidente) e Li Qiang (primo ministro), ma che nell’ottica a dodici stelle serve a ribadire una posizione di determinazione. Qui il messaggio che si intende recapitare è la necessità di maggiore equilibrio.L’Ue ha una bilancia commerciale in forte squilibrio nei confronti della Cina, e una delle ragioni sono le restrizioni all’ingresso del mercato cinese poste dal partito. “Se ci sono barriere agli investimenti diventa difficile vedere investimenti diretti dell’Ue”, riassumono, in estrema sintesi, le fonti europee. Si vuole da parte cinese la fine di pratiche sleali per una concorrenza vera e basate sulle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Ferma restando, per l’Unione europea, la necessità di ridurre quelle dipendenze da materie prime e catene di approvvigionamento che pongono questioni di stabilità, oltre che di competitività.Non sarà facile, perché “i cinesi sono un po’ nervosi sul concetto di derisking“, ossia la riduzione della dipendenza economica dalla Repubblica popolare. “Vedono che la loro presenza sul nostro mercato potrebbe ridursi”, così come la forza della loro leva geopolitica nei confronti dei Ventisette. Difficile immaginare concessioni. L’Ue comunque ci prova.Le premesse non sembrano delle migliori. Come da tradizione la Cina mostra una certa allergia a conferenze stampa, infatti non sono previste previste. Ma, a meno di cambi di rotta dell’ultimo momento, non è prevista neppure una dichiarazione congiunta. “Non ci è stato chiesto di averne una”, ammettono a Bruxelles. Gli europei non danno l’impressione di aver insistito chissà quanto, e certamente non ottengono documenti di fine lavoro sottoscritti dalla leadership cinese. “Avere questo dialogo Ue-Cina è una buona occasione per affrontarli tanti temi”, spiegano a Bruxelles. Già è tanto che Michel e von der Leyen siano accolti a Pechino.
    Xi Jinping e Li Qiang ricevono Michel e von der Leyen. E’ il primo meeting ‘di persona’ dal 2019. Sul tavolo la guerra in Russia ma soprattutto le relazioni commerciali

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    Dombrovskis: “Avanti col commercio, è strumento geopolitico”

    Bruxelles – “Il commercio è uno strumento geopolitico“. In tempi di conflitti Valdis Dombrovskis, commissario europeo al Commercio, offre risposte diverse alla lingua dei cannoni. Anche perché l’Ue non è una superpotenza militare. Al massimo è un insieme di attori con una propria potenza bellica, che è cosa diversa. Economicamente, invece, la situazione è diversa. “Abbiamo una delle reti commerciali più estese al mondo, e continua ad espandersi“. In Estonia per un seminario dedicato al mercato unico europeo, ricorda la potenza commerciale che è l’Ue e che, in virtù delle velleità geopolitiche di quest0 esecutivo comunitario, si intende portare avanti.“Il nostro vicino non sta conducendo solo una guerra contro l’Ucraina”, dice riferendosi alla Russia. “Sta conducendo una guerra contro la nostra economia, le nostre catene di approvvigionamento, e contro la nostra democrazia”. Ad una guerra economica serve una risposta economica, e allora il raggio d’azione dell’Ue si sviluppa lungo la direttrice di accordi commerciali. Come dimostra l’intesa con gli Stati Uniti per le materie critiche e le forniture di gas naturale liquefatto (Gnl).Anche se, ammette Dombrovskis, più che di intese bilaterali “occorre continuare con la riforma del Wto“, l’organizzazione mondiale per il commercio. Perché questa “offre stabilità in questi tempi incerti”, sottolinea in riferimento anche alla crisi in Medio Oriente.Ma un rinnovamento dell’Organizzazione mondiale del commercio si rende indispensabile per renderla ancora di più imprescindibile. Così com’è non serve a rispondere a garantire quelle pressioni per un ordine mondiale di cui, a Bruxelles, si sente il bisogno. “Le dispute in seno al Wto richiedono tempo e non sempre servono come deterrente“, sottolinea ancora il commissario per il Commercio, che comunque rivendica il lavoro compiuto fin qui.“In questo mandato è stato fatto molto”, sostiene. Cita la chiusura degli accordi con Cile e Kenya, la firma dell’accordo con la Nuova Zelanda, i progressi con Messico e Mercosur, oltre all’intensa attività con Australia, India, Indonesia e Thailandia. “Facciamo le regole, non le subiamo“. Ecco la grandezza dell’Unione europea, potenza commerciale prima ancora che potenza militare. Tanto è vero, sottolinea Dombrovskis, che “dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina abbiamo garantito sostegno economico e commerciale all’Ucraina”. Si aiuta l’economia del Paese, in risposta all’aggressione. “Tutto questo è cruciale per aiutare l’Ucraina a vincere la guerra”.C’è più forza nella cooperazione che nell’aggressione: questo il messaggio che vuole lanciare Dombrovskis. “Quando si parla di barriere al commercio, di accesso al mercato, apertura, parliamo di geopolitica”, ribadisce con forza il commissario per il Commercio. Una partita che l’Ue intende giocare, perché il commercio “è parte di un più ampio puzzle geo-strategico”.
    Il commissario responsabile in Estonia: “Abbiamo una delle reti commerciali più estese al mondo, e continua ad espandersi”. Nuovo invito a riformare il Wto: “Offre stabilità in tempi di incertezza”

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    Von der Leyen vola nelle Filippine per rafforzare la cooperazione verde e digitale con l’Ue

    Bruxelles – Rafforzare la partnership tra Unione europea e Filippine sul piano economico e soprattutto commerciale. Questo il motivo che spinge la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, a recarsi lunedì (31 luglio) a Manila, nelle Filippine, per incontrare il presidente Ferdinand Marcos.
    “La visita è finalizzata a rafforzare la partnership con l’Ue”, ha annunciato ieri la portavoce dell’Esecutivo comunitario, Arianna Podestà, durante il briefing quotidiano con la stampa, precisando che i due presidenti discuteranno di questioni di “interesse reciproco, in particolare per quanto riguarda il commercio e la doppia transizione verde e digitale”. La presidente della Commissione europea terrà inoltre un discorso a un evento commerciale che si concentrerà su come promuovere relazioni commerciali e di investimento più forti tra l’Unione europea e le Filippine.
    Il viaggio di von der Leyen era stato annunciato dalla stessa leader tedesca in una conferenza stampa a Bayreuth, insieme a Markus Söder, governatore della Baviera. “Mi recherò nelle Filippine, anche per ampliare ulteriormente la cooperazione strategica. Vogliamo accordi commerciali a più livelli, con un’ampia gamma di temi”, ha anticipato, facendo il punto sul lavoro che Bruxelles sta portando avanti per consolidare quanti più accordi commerciali possibile. E al momento si contano intese con 74 Paesi. “L’obiettivo è di aumentarli”, ha affermato la leader, ricordando che solo di recente, nel quadro del Vertice Ue-Celac (America Latina e Caraibi) che si è tenuto lo scorso 17 e 18 luglio a Bruxelles, ha concluso accordi con partner come il Cile e l’Uruguay.
    Bruxelles Sta negoziando anche un accordo commerciale con il Messico e il Mercosur, ma anche partner nella regione indo-pacifica con i quali siamo vicini alla conclusione di accordi: abbiamo appena concluso un accordo con la Nuova Zelanda, abbiamo quasi terminato i negoziati per l’accordo con l’Australia, stiamo negoziando con l’India, ma anche con partner in Africa, come dimostra, ad esempio, l’accordo che abbiamo appena concluso con il Kenya a giugno”, ha richiamato von der Leyen. La rete di accordi commerciali che Bruxelles sta lentamente tessendo si è resa indispensabile dopo l’inizio della guerra di Russia in Ucraina, una volta presa coscienza della necessità di sganciarsi dalla dipendenza energetica ma anche di materie prime critiche necessarie alla produzione di tecnologie pulite da partner inaffidabili, come la Russia e come la Cina.

    La presidente della Commissione europea von der Leyen lunedì a Manila, nelle Filippine, per incontrare il presidente, Ferdinand Marcos, e “ampliare ulteriormente la cooperazione strategica”

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    Michel: “Summit Ue-Celac ogni due anni”

    Bruxelles – Imprimere un cambiamento nelle relazioni tra Unione europea e Paesi dell’America latina e dei caraiibi. Il forum Ue-Celac deve tenersi con cadenza regolare, perché “le sfide che siamo chiamati ad affrontare sono urgenti e complesse”, sottolinea il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e dunque, “non possiamo permetterci di aspettare altri otto anni per un vertice” tra i leader delle due aree del mondo. Servono, e Michel lo propone ai capi di Stato e di governo riuniti a Bruxelles, “vertici più regolari, ogni due anni, e un meccanismo di coordinamento permanente garantiranno progressi coerenti”.
    A dettare un nuovo corso non è solo l’insieme degli interessi di un’Europa desiderosa di vedere la propria politica di sostenibilità accettata e promossa ovunque, nuove relazioni commerciali, nuove collaborazioni in materia di energia. E’ un ordine internazionale diverso. C’è un mondo cambiato, rispetto all’ultimo summit Ue-Celac. C’è stata una crisi pandemica, e “tra oggi e il 2015 c‘è un’altra grande differenza”, non può fare a meno di sottolineare Michel in riferimento al conflitto russo-ucraino.
    “Mentre parliamo, un membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sta attaccando un paese vicino”, ricorda non a caso, visto che tra i Paesi del centro-sudamerica non tutti hanno sottoscritto le risoluzioni Onu di condanna nei confronti di Mosca (Brasile e Messico si astennero). “La guerra illegale della Russia contro l’Ucraina è una tragedia per l’Ucraina e per il mondo, con conseguenze devastanti per la sicurezza alimentare, i prezzi dell’energia e l’economia globale”.
    A proposito di economia, Michel ricorda che “i leader qui oggi rappresentano un miliardo di persone e oltre il 20 per cento del Prodotto interno lordo mondiale“. Cifre che danno la dimensione della forza che i due blocchi (27 Stati Ue e 33 Paesi centro-sudamericani) possono avere se dovessero di marciare compatti, come richiesto dal presidente del Consiglio europeo.

    Il presidente del Consiglio europeo suggerisce di rendere più strutturato e più regolare il rapporto con i 33 Paesi dell’America centrale e dei Caraibi. “Non possiamo permetterci di attendere otto anni”

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    Russia ‘cinese’: Mosca vende petrolio e gas a Pechino, che vale quasi il 50% dell’import di beni

    Bruxelles – La Russia ‘cinese’. Con la guerra in Ucraina che prosegue e le sanzioni Ue che mordono, l’orso ha bisogno del dragone, che se da una parte viene in soccorso del Cremlino dall’altra penetra sempre più in quella che all’inizio del conflitto era l’11esima economia mondiale. Lo stop decretato dall’Unione europea al greggio (in vigore da dicembre 2022) e a seguire ai prodotti petroliferi (febbraio 2023) non ha fermato l’export della federazione russa. Anzi. La Banca centrale europea rileva che “il volume delle esportazioni russe di petrolio, il suo principale prodotto di esportazione, è effettivamente aumentato nonostante le sanzioni dell’Ue e del G7”.
    La dinamica non sorprende. Mosca ha risposto all’azione dell’occidente reindirizzando i flussi dall’Europa verso la Cina e la Turchia, nonché verso nuovi partner commerciali in Africa, Medio Oriente e in India. Una riorganizzazione obbligata, per continuare ad alimentare economia nazionale e mantenere vivo la macchina da guerra. Ma pure una scelta che rischia di ridisegnare gli equilibri geopolitici. Perché, rileva la Bce, questo riorientamento del Cremlino “ha reso la Russia più dipendente da partner commerciali non sanzionatori, rendendo l’economia del Paese più fragile nel complesso”.
    Un esempio su tutti è offerto dai ‘numeri’ della Repubblica popolare cinese. “A partire da gennaio 2023, la Cina da sola fornisce quasi la metà delle importazioni di merci dalla Russia“. Sopperisce, per quello che può, alla mancanza di quei prodotti che non arrivano più dall’Unione europea. Allo stato attuale, almeno a Francoforte rimane “poco chiaro” se le nuove importazioni siano della stessa qualità di quelle perse. L’industria russa faceva molto affidamento sui beni high-tech dei partner commerciali occidentali prima della guerra. Le sanzioni imposte a questi prodotti hanno fatto sì che non siano disponibili, siano stati sostituiti da alternative di bassa qualità o siano diventati molto più costosi.
    Se da una parte questa vicinanza commerciale induce ad alimentare i timori peraltro diffusi della creazione di un blocco sino-russo, dall’altra parte si assiste ad uno sbilanciamento russo verso la Cina, a cui Gazprom ha comunque iniziato a vendere più gas compensando così “parzialmente” i mancati acquisti a dodici stelle. Una penetrazione commerciale cinese in territorio russo vorrebbe dire riscrivere gli equilibri economici della regione. Cosa che sta avvenendo. La Russia ‘cinese’ può essere la nuova realtà con cui dover fare i conti.

    Mosca ha dovuto ri-orientare la sua economia per rispondere alla sanzioni Ue. Vende più petrolio, ma dipende fortemente dalla repubblica popolare