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    Ue-Cina, von der Leyen invoca pragmatismo: “Riequilibrio commerciale per contrastare i dazi globali”

    Bruxelles – Un summit convocato con aspettative limitate, compresso da due a un solo giorno, e concluso con l’impressione che l’Unione europea e la Cina siano tenute legate solamente dalla necessità di non farsi nuovi nemici nel sempre più precario equilibrio internazionale. I vertici Ue ripartono da Pechino con in tasca una dichiarazione congiunta sull’impegno per il clima e l’intesa per un meccanismo che faciliti l’export di terre rare dalla Cina. Sui dossier principali, la guerra in Ucraina e gli attriti commerciali, nessun significativo passo avanti.“Le nostre relazioni sono a un punto di svolta. È importante ascoltarsi a vicenda e trovare soluzioni pragmatiche“, ha esordito la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in conferenza stampa a margine del 25esimo summit Ue-Cina, con cui Bruxelles e Pechino hanno celebrato i 50 anni di relazioni diplomatiche. L’Ue tira dritto sulla strategia di de-risking nei confronti del gigante asiatico: “Difendiamo i nostri interessi, nel contempo rimaniamo impegnati a favore di un dialogo franco, rispettoso e aperto”, ha spiegato la presidente dell’esecutivo comunitario. Nessuna illusione su una convergenza di vedute, ma la consapevolezza – come sottolineato dal presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa – che “il modo in cui interagiamo e cooperiamo è importante per il mondo”.I presidenti di Cina e Russia, Xi Jinping e Vladimir Putin, tra i generali durante la parata miliare a Mosca per le celebrazioni della grande vittoria [foto: imagoeconomica]A partire dal posizionamento nei confronti della guerra d’aggressione russa in Ucraina. “In qualità di membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la Cina ha un ruolo fondamentale“, hanno insistito i leader Ue, che da tre anni chiedono a Pechino di fare pressioni su Mosca per mettere fine al conflitto. O quanto meno di non sostenerla attivamente. “In tempo di guerra, le tecnologie a duplice uso sono spesso utilizzate come strumenti di guerra, abbiamo chiesto alla Cina di prestare attenzione”, ha dichiarato Costa. Di fronte alla negligenza di Pechino, che fa orecchie da mercante dall’inizio del conflitto, l’Ue ha già incluso diverse aziende cinesi nei pacchetti di sanzioni comminati alla Russia e ai suoi alleati.C’è poi il nodo commercio. Nel 2024 le relazioni commerciali bilaterali hanno raggiunto un valore di 730 miliardi di euro. Ma è cresciuto progressivamente anche il deficit dell’Ue nei confronti della Cina, che tocca ora i 305 miliardi. L’analisi di Bruxelles è nota: distorsioni sistemiche, barriere commerciali e la sovra-capacità produttiva di Pechino “aggravano le condizioni di disparità”. Von der Leyen ha attaccato: “A differenza di altri mercati importanti, l’Ue mantiene il suo mercato aperto alla Cina. Tuttavia, questa apertura non è ricambiata”. L’altro mercato è un riferimento agli Stati Uniti di Trump, ben presenti sullo sfondo – e nelle menti – dei leader impegnati al vertice. Tant’è che von der Leyen ha affermato chiaramente che “la necessità di riequilibrare le nostre relazioni è ancora più urgente a causa dell’aumento globale dei dazi“.Sulla destra la delegazione Ue con Ursula von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas, sulla sinistra il presidente cinese Xi Jinping e il suo team durante i lavori del summit Ue-Cina a PechinoBruxelles ha visto diversi contenziosi con Pechino negli ultimi anni: i dazi sui veicoli elettrici e l’esclusione delle imprese cinesi dagli appalti pubblici per dispositivi medici ne sono due esempi. D’altra parte, la Cina ha imposto misure di difesa commerciale “ingiustificate e di ritorsione” sei confronti del brandy, della carne suina e di prodotti lattiero-caseari provenienti dall’Ue.Sulla reciprocità e l’accesso al mercato cinese alle aziende europee, “abbiamo convenuto di lavorare a soluzioni concrete”, ha annunciato la leader Ue. Quanto alla sovra-capacità nell’economia cinese – oltre che nei veicoli elettrici, anche nell’acciaio, nelle batterie, nei pannelli solari – “la leadership cinese ha espresso la volontà di sostenere maggiormente i consumi e meno la produzione“.L’ultimo punto, l’unico in cui von der Leyen ha strappato a Xi Jinping qualcosa in più rispetto a una generico impegno, riguarda il controllo statale sulle esportazioni di terre rare dalla Cina, che secondo Bruxelles starebbe rallentando le catene di approvvigionamento globali. Le due parti hanno raggiunto un’intesa su un nuovo “meccanismo di approvvigionamento per l’esportazione potenziato”, che dovrebbe risolvere rapidamente eventuali colli di bottiglia.Nessuna dichiarazione congiunta a corredo del vertice, salvo per un impegno scritto per l’azione contro i cambiamenti climatici, nella quale Bruxelles e Pechino hanno affermato di voler “guidare gli sforzi globali per ridurre le emissioni di gas a effetto serra“, e in cui l’Ue ha incoraggiato la Cina a proporre un piano ambizioso per la riduzione delle emissioni fino al 2035 e ad aumentare i propri contributi finanziari internazionali, “in linea con le sue dimensioni e la sua responsabilità globale”.

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    Dazi, clima, diritto internazionale: Trump detta l’agenda del Parlamento europeo

    Bruxelles – Commercio, innovazione e competitività, salute. Praticamente Donald Trump in tutte le sue declinazioni più una, l’ultima: l’attacco del presidente degli Stati Uniti alla Corte penale internazionale. L’inquilino della Casa Bianca irrompe nei lavori di un Parlamento europeo che finisce col disegnare la propria agenda attorno a quella di Trump, oggetto di tre diversi dibattiti d’Aula. La sessione plenaria prevede la questione dazi (martedì 11 febbraio alle 9), restrizione all’export di chip verso l’Ue (martedì 11 febbraio alle 18), ritiro dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dall’accordo sul clima (mercoledì 12 febbraio alle 16): il Parlamento europeo ruota attorno alle dichiarazioni e alle minacce del presidente Usa.C’è chiaramente la questione dazi a tenere banco, con il diffuso timore, tra i diversi gruppi, che si possa innescare una guerra commerciale che non gioverebbe a nessuno. L’approccio generale e condiviso tra le diverse anime dell’Aula, è quello di cercare di evitare quanto più possibile di arrivare ad avere sovra-costi statunitensi ai beni europei, ma di essere pronti a rispondere. I socialisti vorrebbero in particolare che la Commissione europea mettesse a punto già delle contromisure, così da avere una risposta “tempestiva e decisa” in caso di scenario peggiore.Per Popolari (Ppe) e conservatori (Ecr) la priorità resta la cooperazione per quello che si continua a considerare un partner strategico e di lungo corso. “Su Trump attendiamo, sappiamo che è un grande mediatore”, confida Denis Nesci (Fdi/Ecr), che conferma come “siamo in fase di dibattito”, e quindi “dobbiamo essere pronti a quello che può succedere ma attendere”. I Verdi vorrebbero una risposta unita e non procedere in ordine sparso, come spiega Ignazio Marino (Europa Verde/Verdi): “Su Trump purtroppo l’Europa si sta dimostrando debole e divisa”, e quindi “il bullo prevale”.Ma è il dibattito del 12 febbraio – senza risoluzioni – che rischia di infiammarsi ancora di più, perché alle questioni Oms e la seconda uscita dagli accordi di Parigi sul clima si aggiungono le minacce di sanzioni alla Corte penale internazionale. Uscite, queste ultime, che infiammano già il dibattito che verrà. “Trump sta invitando alla pulizia etnica a Gaza, e ora attacca la Corte penale internazionale, con Ursula von der Leyen che non fa niente“, le critiche che piovono da laSinistra nei confronti della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “La Corte penale internazionale è un luogo quasi sacro che deve essere tutelato”, tuona Valentina Palmisano (M5S), convinta delle necessità della “protezione del diritto internazionale anche alla luce delle ultime dichiarazioni di Trump”Mentre la portavoce del gruppo dei socialisti fa notare come nonostante un’agenda dalla forte connotazione di politica estera (si parla anche del terzo anno di guerra russo-ucraina, disordini e proteste in Serbia, deterioramento della situazione in Georgia), critica l’assenza dell’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas. “Sarebbe stato bello averla in Aula”, commemta.Infine le restrizioni degli Stati Uniti alle esportazioni di chip utili alla doppia transizione. Il nuovo regime voluto da Trump avrà ripercussioni per 17 Stati membri su 27 (Austria, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria), e questo rende il dibattito necessario per organizzare una risposta.  Neppure in questo caso sono previste risoluzioni. Si vuole censurare Trump, senza censurare Trump. Che impone la sua agenda nell’agenda del Parlamento europeo

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    Clima, Ue-Ua rilanciano la collaborazione meteo con un programma satellitare per dati di terza generazione

    Bruxelles – Una migliore raccolta dati per mitigare e prevenire le ricadute dei fenomeni meteorologici estremi, mettendo in sicurezza territorio e comunità locali in nome della sostenibilità. E’ questo l’ambizioso progetto per l’Africa, sostenuto dalla Commissione dell’Unione Africana, e che prende ufficialmente il via con l’installazione in Kenya della prima di una serie di stazioni riceventi PUMA-2025 specificamente progettate per catturare dati dalla prossima generazione di satelliti geostazionari Meteosat.L’installazione degli speciali punti di raccolta dati garantirà che i meteorologi keniani possano utilizzare i dati più accurati e frequenti dai satelliti Meteosat di terza generazione (MTG) per sostenere lo sviluppo sostenibile delle comunità locali e proteggere vite e mezzi di sostentamento. Per l’Europa questo significa lottare contro una delle principali cause dei nuovi flussi di migrazione, quello dei cambiamenti climatici.I satelliti Meteosat di Eumetsat, l’Organizzazione europea per lo sfruttamento dei satelliti meteorologici, sono gli unici satelliti di osservazione della Terra che hanno una visione costante dell’Africa. MTG fornirà immagini dell’Africa a una risoluzione più elevata di quanto sia possibile ora e più frequentemente, ovvero ogni 10 minuti. Eumetsat lavora con la Commissione dell’Unione Africana per creare una rete di stazioni simili in diversi servizi meteorologici e climatici nazionali in tutto il continente nei prossimi mesi. Ciò consentirà alla maggior parte dei meteorologi e degli scienziati africani di dotarsi della tecnologia più recente per ricevere e utilizzare i dati Mtg.Cosa vuol dire tutto questo lo riassume e lo spiega Phil Evans, Direttore Generale di Eumetsat: “La continuità della ricezione dei dati satellitari in tutto il continente, consentendo allerte precoci più efficienti per tutti, previsioni più accurate di eventi meteorologici estremi e una migliore protezione per tutti“. Insomma, l’Africa si sta dotando, in collaborazione con l’Europa, di uno strumento di nuova generazione per lottare contro i cambiamenti climatici e gli stress che il meteo può produrre su popolazione ed economia. L’accordo tra Unione africana e Organizzazione europea per lo sfruttamento dei satelliti meteorologici è stato siglato nel 2022, con l’obiettivo di rilanciare a aggiornare una collaborazione ormai ventennale tra i due continenti. La prima stazione ricevente PUMA è stata nel febbraio 2004, per ricevere i dati Meteosat di seconda generazione nell’ambito del progetto Preparation for Use of Meteosat in Africa (PUMA). Finora, grazie al supporto di vari programmi finanziati dall’Ue in Africa (come PUMA, AMESD, MESA), questa infrastruttura ha consentito con successo ai servizi meteorologici e climatici africani in tutto il continente di ricevere dati dai satelliti geostazionari Meteosat in modo tempestivo ed efficiente, per prevedere e monitorare gli eventi meteorologici estremi. Le attuali installazioni mirano ad aggiornare l’infrastruttura per MTG, per passare da dati di seconda generazione a dati di terza generazione. Le prossime installazioni includono una stazione a Cotonou (in Benin), dove si terrà il 16esimo Eumetsat User Forum in Africa. L’evento fornirà una piattaforma per i meteorologi africani per condividere conoscenze e migliori pratiche sull’uso dei dati Meteosat e discutere prospettive per migliorare i sistemi di allerta precoce.

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    Gentiloni: “2024 bivio nei rapporti UE-Stati Uniti, le elezioni possono incidere sulle relazioni”

    Bruxelles – Il 2024 può produrre un vero e proprio terremoto politico. L’incertezza delle urne, su una sponda dell’Atlantico come sull’altra, può ridefinire gli assetti di Unione europea e Stati Uniti, e inevitabilmente le relazioni tra le due parti. Paoll Gentiloni ne è consapevole e non lo nasconde. Il commissario per l’Economia, nel suo discorso pronunciato all’università di Harvard, lo dice chiaramente: considerando l’appuntamento elettorale UE di inizio giugno e quello degli Stati Uniti di novembre, “l’esito di entrambe le elezioni potrebbe avere gravi conseguenze per le nostre politiche sul clima e le nostre politiche economiche su entrambe le sponde dell’Atlantico”.Da una parte c’è l’Unione europea. Gli interrogativi non mancano, ammette il componente italiano del team von der Leyen, soprattutto su impegni politici rimessi in discussione. “La campagna per le prossime elezioni europee sarà, in una certa misura, anche un referendum sul Green Deal“, come dimostrano le proteste del mondo agricolo e la solidarietà mostrata da certi schieramenti. Gli stessi che potrebbero rimettere tutto in discussione nel corso della prossima legislatura. “L’Europa si sta preparando per le elezioni europee che potrebbero produrre uno spostamento verso gli estremisti, soprattutto a destra, e vedere il centro schiacciato”. Con le ripercussioni del caso. Perché, avverte Gentiloni, “i populisti in tutta Europa sono ancora concentrati sull’immigrazione ma hanno trovato un nuovo grido di battaglia e ora stanno cavalcando un’onda anti-verde”.Dall’altra parte ci sono gli Stati Uniti. Qui la situazione non è molto diversa. Analogamente a dinamiche a dodici stelle, “possiamo aspettarci che la campagna per le prossime elezioni presidenziali americane si basi su due visioni opposte sui meriti della transizione verde“, continua il commissario per l’Economia, preoccupato per le scelte che gli elettori d’oltre oceano prenderanno a novembre. “Le elezioni di novembre sembrano destinate a rappresentare una rivincita tra il presidente Biden e l’ex presidente Trump, vicini di età ma molto distanti su quasi tutto il resto”.Le preoccupazione di Gentiloni sono le stesse dell’intero collegio dei commissari. A Bruxelles si è consapevoli delle possibili ricadute nei rapporti bilaterali in caso di un’affermazione del repubblica Donald Trump, e ci si prepara allo scenario peggiore, quello di un rinnovato braccio di ferro commerciale a colpi di dazi. Un’eventualità che rischia anche di colpire quel Green Deal tanto centrale e che nel Vecchio Continente non si intende rimettere in discussione. “Voglio essere chiarissimo”, scandisce Gentiloni: “Invertire la rotta del Green Deal europeo sarebbe estremamente miope, dal punto di vista ambientale, economico e geopolitico”.In sostanza, sintetizza Gentiloni, “il 2024 è davvero un bivio per l’Europa. Ma il 2024 sarà, ovviamente, un bivio anche per gli Stati Uniti”. Da questo bivio si determinerà il futuro dell’UE, delle sue politiche, e delle sue strategie. In gioco c’è molto, soprattutto la tenuta economica del blocco dei Ventisette: “Guardando al futuro, le sfide stanno diventando chiare: un rallentamento economico, con punti interrogativi che incombono sulla competitività dell’Europa“.

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    “Multilateralismo e cooperazione”, l’UE indirizza il dibattito di Davos

    Bruxelles – Cooperazione e multilateralismo. La risposta a crisi e tensioni è lavoro di squadra, a livello internazionale. Il World Economic Forum di Davos, quest’anno tenuto quasi in sordina per via dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente che continuano con maggiore intensità e ricadute sul dibattito politico, ha visto un’Unione europea ricoprire il ruolo di ‘pacere’ e mediatore in un contesto globale quanto mai incerto.Complice anche un calendario amico, che ha visto un avvicendamento sul podio a fasi alternate, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha potuto trovarsi nella situazione di provare a dettare una linea seguita e inseguita da chi ha parlato dopo di lei. “Questo è il momento di promuovere la collaborazione globale più che mai“, l’appello e l’invito della presidente dell’esecutivo comunitario, che offre sponde: “L’Europa è in una posizione unica per promuovere questa solidarietà e cooperazione globale”.Un intervento che poteva rischiare di andare perso tra le tante sessioni di lavoro di un summit organizzato su più livelli e in più momenti, tutti diversi. Ma l’intervento di von der Leyen è rimasto sospeso solo qualche ora. Perché il giorno successivo è stata il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, a rilanciare l’agenda dell’UE, avvertendo di come “le divisioni geopolitiche stanno ostacolando una risposta globale a sfide come il cambiamento climatico e l’intelligenza artificiale”, e che per tutto questo serve un “multilateralismo riformato, inclusivo e interconnesso”.In linea di principio gli appelli a un mondo globale e globalizzato che tale resti è condiviso anche dagli Stati Uniti dell’amministrazione Biden, con il segretario di Stato americano, Antony Blinken, anch’egli a Davos il giorno successivo alla presenza di von der Leyen, che è stato chiaro sulla necessità di “partenariati e cooperazione globali” per risolvere le nostre sfide più grandi. E’ questa però la visione di un governo uscente, atteso alla prova elettorale di fine anno, che potrebbe ridisegnare agende ed equilibri. L’UE teme un ritorno di Donald Trump alla Casa bianca, per le conseguenze di un simile scenario. Si teme, con Trump, l’esatto contrario di quanto sottolineato e sostenuto, da più parti, a Davos: divisioni al posto di cooperazione.Alle proposte di mediazione e di inter-relazione dell’UE risponde, il quarto giorno di lavori, il vice primo ministro e ministro degli affari esteri dell’Etiopia, Demeke Mekonnen Hassen. C’è per l’Europa, e non solo per il Vecchio continente, tutto il mondo africano interessato all’agenda di cooperazione. A patto che non sia trattato in modo marginale o neo-coloniale. Al contrario, “l‘Africa deve svolgere un ruolo centrale in tutto il mondo per il multilateralismo e nell’arena internazionale sul commercio, sugli investimenti e su altre attività economiche”. Le dinamiche delle relazioni bi-laterali e regionali sarà compito della politica, ma è chiaro, ha voluto sottolineare il direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), Ngozi Okonjo-Iweala, che “senza un libero flusso commerciale, non credo che potremo riprenderci” a livello economico. Avanti dunque con il libero scambio e le relazioni internazionali. Anche perché, ha messo in chiaro il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, “dobbiamo evitare una corsa ai sussidi, non possiamo permettercelo”.L’Unione europea a Davos sembra toccato e centrato un punto fondamentale. Ha sicuramente dettato il dibattito organizzato su più giorni. Ora la vera sfida è fare di questa linea dettata a Davos l’agenda politica internazionale dei prossimi mesi.Per quanto riguarda l’UE, la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, non ha dubbi: l’Europa deve fare i propri compiti a casa. La responsabile dell’Eurotower è stata tra gli ultimi a intervenire, l’ultimo giorno del summit di Davos. Qui, parlando della prospettiva di un ritorno di Trump alla guida degli Stati Uniti, ha invitato a lavorare fin da ora. “La migliore difesa, se è così che vogliamo vederla, è l’attacco“. Quindi precisa. “Per attaccare bene bisogna essere forti in casa. Essere forti significa avere un mercato forte e profondo, avere un vero mercato unico“.Una delle risposte a un eventuale ritorno di Trump passa per l’integrazione a dodici stelle. Lindner lo ha detto chiaro e tondo. “Il nostro svantaggio competitivo rispetto agli Stati Uniti non sono i sussidi, ma la funzione del nostro mercato dei capitali privati“.

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    Ue e Cina tentano un riavvicinamento, 7 e 8 dicembre il summit bilaterale a Pechino

    Bruxelles – Conflitto russo-ucraino, questione medio-orientale, ma soprattutto commercio. Unione europea e Cina tentano un riavvicinamento e una normalizzazione dei rapporti bilaterali attraverso il 24esimo meeting congiunto, il primo in formato fisico dal 2019. I presidenti di Consiglio e Commissione Ue, Charles Michel e Ursula von der Leyen, insieme all’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, tentano di convincere presidente e primo ministro della Repubblica popolare ad avare un ruolo di primo piano innanzitutto sulle questioni di stretta attualità.La guerra tra Russia e Ucraina è la principale di questi temi. Gli europei, spiegano fonti Ue ben informate, vorrebbero che la Cina utilizzasse la propria influenza per fermare Vladimir Putin e le sue operazioni militari. Si nutre cauto ottimismo, alimentato dalla consapevolezza che a Pechino questa guerra non piace perché non fa comodo. Una situazione che però sin qui non ha visto una posizione decisa né una condanna.“Non abbiamo ancora una prova di sostegno militare diretto in questa guerra, e vediamo che l’export cinese di tutta una serie di beni che possono essere usati in prima linea si riduce, e questo è positivo”, il ragionamento a Bruxelles, dove però si guarda con una certa attenzione alle relazioni bilaterali Ue-Cina, in particolare in ambito commerciale.L’Ue non vuole scontri con la Cina, ma la delegazione Ue si presenta a Pechino con un’inchiesta aperta contro i sussidi statali alle auto elettriche ‘made in China‘ che può voler dire, potenzialmente, anche dazi contro i prodotti cinesi. Una decisione, quella di Bruxelles, che potrebbe anche irrigidire gli interlocutori Xi Jinping (presidente) e Li Qiang (primo ministro), ma che nell’ottica a dodici stelle serve a ribadire una posizione di determinazione. Qui il messaggio che si intende recapitare è la necessità di maggiore equilibrio.L’Ue ha una bilancia commerciale in forte squilibrio nei confronti della Cina, e una delle ragioni sono le restrizioni all’ingresso del mercato cinese poste dal partito. “Se ci sono barriere agli investimenti diventa difficile vedere investimenti diretti dell’Ue”, riassumono, in estrema sintesi, le fonti europee. Si vuole da parte cinese la fine di pratiche sleali per una concorrenza vera e basate sulle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Ferma restando, per l’Unione europea, la necessità di ridurre quelle dipendenze da materie prime e catene di approvvigionamento che pongono questioni di stabilità, oltre che di competitività.Non sarà facile, perché “i cinesi sono un po’ nervosi sul concetto di derisking“, ossia la riduzione della dipendenza economica dalla Repubblica popolare. “Vedono che la loro presenza sul nostro mercato potrebbe ridursi”, così come la forza della loro leva geopolitica nei confronti dei Ventisette. Difficile immaginare concessioni. L’Ue comunque ci prova.Le premesse non sembrano delle migliori. Come da tradizione la Cina mostra una certa allergia a conferenze stampa, infatti non sono previste previste. Ma, a meno di cambi di rotta dell’ultimo momento, non è prevista neppure una dichiarazione congiunta. “Non ci è stato chiesto di averne una”, ammettono a Bruxelles. Gli europei non danno l’impressione di aver insistito chissà quanto, e certamente non ottengono documenti di fine lavoro sottoscritti dalla leadership cinese. “Avere questo dialogo Ue-Cina è una buona occasione per affrontarli tanti temi”, spiegano a Bruxelles. Già è tanto che Michel e von der Leyen siano accolti a Pechino.
    Xi Jinping e Li Qiang ricevono Michel e von der Leyen. E’ il primo meeting ‘di persona’ dal 2019. Sul tavolo la guerra in Russia ma soprattutto le relazioni commerciali

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    La Cop28 dell’Ue si apre con lo sforzo per il prezzo globale del carbonio: “Ridurre le emissioni, promuovendo la crescita”

    Bruxelles – Si aprono con un chiaro messaggio della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, le due settimane di Cop28 dell’Unione Europea: “C’è un modo per ridurre le emissioni, promuovendo al contempo l’innovazione e la crescita, ed è mettere un prezzo al carbonio“. Il primo intervento a margine della sessione plenaria della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (dal 30 novembre al 12 dicembre) da parte della numero uno dell’esecutivo comunitario si è concentrato su una delle principali priorità della missione Ue a Dubai, a partire dall’obiettivo-cardine della Conferenza stessa: “Se vogliamo mantenere il riscaldamento globale al di sotto del punto critico di 1,5 gradi, dobbiamo ridurre le emissioni globali”.All’evento di alto livello di questa mattina (primo dicembre) sui mercati del carbonio insieme al Fondo monetario internazionale (Fmi), Banca Mondiale e Organizzazione mondiale del commercio (Omc) alla Cop28 di Dubai, la presidente von der Leyen non ha usato giri di parole per descrivere i motivi per cui bisogna spingere su un sistema di tariffazione del carbonio: “È uno strumento guidato dal mercato, il messaggio è chiaro: inquini? Devi pagare un prezzo. Vuoi evitare il pagamento? Innova e decarbonizza”. In altre parole o innovazione o “un prezzo equo a chi inquina pesantemente”, con i ricavi ottenuti che possono essere reinvestiti nella lotta al cambiamento climatico. Secondo le parole di von der Leyen si tratta di uno degli strumenti “più potenti, collaudati e affidabili”, che sono già stati messi in piedi da diversi governi in tutto il mondo: Canada, Cina, Nuova Zelanda, Kazakistan, Zambia.L’Unione Europea ha introdotto nel 2005 il suo sistema di scambio quote di emissioni – il mercato del carbonio Ets – e questi 18 anni forniscono un esempio concreto sulle possibilità e i risultati nell’obiettivo di “eliminare il carbonio”. Da quando è stato introdotto il sistema di tariffazione a livello comunitario le emissioni coperte sono diminuite di quasi il 40 per cento e contemporaneamente sono stati raccolti oltre 175 miliardi di euro di entrate (destinate “esclusivamente” ad azioni per il clima e innovazione anche nei Paesi in via di sviluppo), secondo i dati forniti dalla presidente della Commissione Ue. L’obiettivo ora è quello di “aiutare un numero sempre maggiore di Paesi a creare e completare i loro mercati nazionali del carbonio”. Aumentare la quota di Paesi allineati a un sistema di tariffazione globale permetterà “una più rapida riduzione delle emissioni, creerà condizioni di parità per il commercio internazionale e raccoglierà maggiori entrate per l’azione per il clima, anche nei Paesi in via di sviluppo”.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dello Zambia, Hakainde Hichilema, alla Cop28 di Dubai (primo dicembre 2023)A oggi si contano 73 strumenti di tariffazione del carbonio, che però coprono “solo il 23 per cento delle emissioni globali“, ha avvertito von der Leyen, appellandosi al motivo che ha portato i leader del mondo alla Cop28: “Dobbiamo dare impulso a questo movimento globale”. Per questa ragione è necessario il supporto delle tre organizzazioni internazionali, in particolare per spingere i crediti di carbonio volontari, in modo da far affluire capitale privato: “Gli investitori hanno anche bisogno di certezze e per questo motivo servono standard comuni per i progetti che riducono le emissioni e migliorino la biodiversità”, è l’esortazione di von der Leyen.Gli altri impegni Ue alla Cop28“Questa Cop può fare la storia, la scorsa primavera l’Unione Europea ha lanciato un appello per triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030“, è il messaggio congiunto lanciato dai leader dell’Unione (insieme alla presidente von der Leyen anche il numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel) a Dubai. “Più di 110 Paesi hanno già aderito” e ora si punta a “includere questi obiettivi nella decisione finale della Cop, in questo modo si invia un messaggio forte sia agli investitori che ai consumatori”. Per Bruxelles “non c’è dubbio, il futuro dell’energia sarà pulito, conveniente e di origine nazionale” e da qui parte l’impegno concreto sul Fondo per perdite e danni su cui è stata trovata l’intesa per l’operatività proprio alla Cop28: “A oggi Team Europe ha contribuito per oltre 270 milioni di dollari – 245 dai Paesi membri e 25 dal budget Ue – dobbiamo portare i fondi a disposizione velocemente“, ha annunciato von der Leyen, ricordando anche i “quasi 30 miliardi di dollari” di contributo dell’anno scorso per i finanziamenti sul clima.Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, alla Cop28 di Dubai (primo dicembre 2023)“Questo vertice non è solo una conferenza, è un esame di coscienza, per fare il punto sulla situazione globale dopo gli accordi di Parigi”, ha aggiunto nella sua parte di intervento il presidente Michel. “Nessun continente può sfuggire alla tragedia del cambiamento climatico” e se “la scienza, la conoscenza e la ragione ci stanno portando a conoscere la diagnosi”, le soluzioni per mantenere l’obiettivo di 1,5 gradi sono compito della politica: “Dobbiamo liberarci al più presto della nostra dipendenza dai combustibili fossili, che stanno mettendo a rischio il nostro futuro comune”. Michel ha fatto riferimento al Green Deal per parlare dell’impegno dell’Unione a questo proposito, con “pacchetti di misure per trasformare radicalmente il nostro paradigma di sviluppo economico“.E infine c’è l’impegno dell’Unione sul nuovo Club del Clima. “Sta crescendo, ora siamo 36 membri provenienti da ogni angolo del pianeta, con esigenze diverse ma aspirazioni comuni”, è stato il messaggio di von der Leyen: “Costruire un futuro più pulito e prospero per i nostri cittadini e far progredire la decarbonizzazione delle nostre industrie”. L’idea del Club del Clima era nata in seno al G7, ma ora “sta diventando un centro di conoscenza unico nel suo genere”, con tutti i membri che insieme rappresentano oltre il 30 per cento delle emissioni globali: “Qualsiasi cosa decideremo insieme sarà un potente vettore di cambiamento globale“. Ecco perché ora la strada verso la decarbonizzazione passerà dal “rafforzare i nostri legami con i partner che condividono le nostre idee in tutto il mondo”, ha spiegato lo spirito del Club del Clima von der Leyen, parlando dei partenariati messi in piedi dall’Ue. Da quelli sull’idrogeno con Paesi dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia, “che hanno un potenziale immenso per produrre energia pulita, trasformarla in idrogeno pulito e distribuirla al mondo”, a quelli per le materie prime critiche “da fornitori affidabili, in modo sostenibile”.
    A Dubai la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha definito le linee di collaborazione con Fondo monetario internazionale, Banca Mondiale e Organizzazione mondiale del commercio per “dare impulso” a più sistemi di tariffazione: “Strumento guidato dal mercato”

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    Il nodo dei ‘rifugiati climatici’ in aumento, un problema politico per l’Ue

    Bruxelles – Un fenomeno in aumento e che crescerà ancora. Un problema reale, naturale, sociale, economico e ancor più politico. Perché nel diritto comunitario manca ancora una definizione di ‘rifugiato climatico’, e riconoscerlo vorrebbe dire dover aprire confini e frontiere a masse di migranti crescenti. Ma i numeri parlano chiaro, e il centro studi e ricerche del Parlamento europeo li raccoglie e li aggiorna. Dal 2008 oltre 376 milioni di persone in tutto il mondo sono state costrette a lasciare la propria abitazione a causa di inondazioni, tempeste di vento, terremoti o siccità, con un record di 32,6 milioni solo nel 2022. Non è la prima volta che il centro studi e ricerche del Parlamento europeo si sofferma sulla questione dei rifugiati climatici. L’ultimo rapporto realizzato nel 2021 censiva 318 milioni di sfollati causa eventi meteorologici estremi dal 2008. In due anni soltanto, dunque, si contano 58 milioni di sfollati ulteriori in tutto il mondo. Ma a dirla tutta “dal 2020 si è registrato un aumento annuo del numero totale di sfollati a causa di catastrofi rispetto al decennio precedente in media del 41 per cento”. Si tratta, guardando i numeri, di una “tendenza al rialzo chiara in modo allarmante”. Tanto che nello scenario peggiore si stima che “1,2 miliardi di persone potrebbero essere sfollate entro il 2050 a causa di disastri naturali e altre minacce ecologiche”. Un invito ad agire. Con la transizione sostenibile e la sua traduzione in pratica, certo. Ma pure con politiche di prevenzione e mitigazione dei rischi. Perché, avvertono gli analisti di Bruxelles, “con il cambiamento climatico come catalizzatore trainante, il numero di rifugiati climatici continuerà ad aumentare”, come dimostra l’ultimo anno, quello in corso. Mettendo insieme i principali eventi di cronaca, emerge come “solo nel 2023 centinaia di migliaia di persone sono state colpite da pericoli naturali e gravi catastrofi meteorologiche in tutto il mondo”. Qualche esempio: a settembre la tempesta Daniel ha causato la morte di oltre 12mila persone in Libia e 40mila persone sono state costrette a lasciare le proprie case; nel corso dell’estate le temperature nella regione del Mediterraneo e negli Stati Uniti hanno raggiunto livelli record e le inondazioni in Emilia-Romagna hanno ucciso 14 persone e provocato 50mila sfollati.“Il cambiamento climatico continuerà ad avere un effetto enorme su molte popolazioni, soprattutto quelle delle zone costiere e pianeggianti”, avverte il documento di lavoro. Uomini, donne e bambini si metteranno in marcia, ancora di più di adesso, perché il crescente impatto del cambiamento climatico sta rendendo alcune aree sempre più inabitabili, rendendo difficile il ritorno. Ma qui c’è il nodo politico della questione. Perché già adesso gli Stati membri dell’Ue litigano sulla gestione dei flussi, insistono sulla necessità di fermare le partenze per ridurre gli sbarchi. Un approccio che sembra in contrapposizione a tendenze peggiorative, dal punto di vista climatico e le sue ricadute. Oggi il diritto prevede che la protezione internazionale possa e debba essere riconosciuta da chi scappa da guerre e persecuzioni. Il clima non è contemplato, neppure dalle convenzioni Onu. L’Unhcr, l’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, spinge per un cambio di rotta e magari anche un nuovo trattato.Il Green Deal europeo riconosce che i cambiamenti climatici sono una delle cause che alimentano i fenomeni migratori, ma si limita a spostare l’accento sull’investimento in sostenibilità nei Paesi terzi. L’Europa ha già preso coscienza del fenomeno, ma non ha il coraggio, ancora, di introdurre una definizione giuridica di ‘rifugiato climatico’. Farlo vorrebbe dire aprire porti e porte dell’Ue.
    Un’analisi del centro studi e ricerca del Parlamento europeo torna su un tema noto e sempre più una sfida per i Ventisette. Nello scenario 1,2 miliardi di persone sfollate entro il 2050 a causa di minacce ecologiche