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    I leader dell’Occidente boicottano le Olimpiadi invernali cinesi

    Bruxelles – Via, certamente. Pronti, non del tutto. Le Olimpiadi invernali di Pechino prendono inizio, ma l’Europa non vi prende parte. Non a livello di capi di Stato e di governo. I leader dell’UE hanno deciso di boicottare la manifestazione al che prende inizio oggi (4 febbraio) e che durerà fino al 20 febbraio. Dei Ventisette, solo Polonia e Lussemburgo avranno saranno presenti al più alto livello politico. Tutti gli altri invece porteranno in Cina personalità di rango inferiore. Un fatto che dimostra almeno due cose: le tensioni tra est e ovest del mondo, e le divisioni interne al blocco a dodici stelle nelle relazioni con Pechino e Mosca. Perché la mossa di non essere presenti a livello di leader più che in senso anti-cinese si legge in senso anti-russo.
    Il governo della Repubblica popolare cinese sta usando le olimpiadi invernali per rafforzare le relazioni con la federazione russa, nei confronti della quale l’UE sta tenendo una posizione rigida per le operazioni militari lungo la frontiera con l’Ucraina. Per questa ragione, unita anche alla questione del rispetto dei diritti umani nelle province autonome tibetana e dello Xinjiang, nove Stati membri – Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Germania, Lituania, Paesi Bassi, Slovenia e Svezia – hanno deciso di boicottare completamente la diplomazia dei giochi, non inviando alcun rappresentante. Gli altri hanno optato per presenze istituzionali di ‘basso profil0’. L’Italia aveva già previsto la partecipazione a livello di sottosegretario per lo Sport, ma Valentina Vezzali ha dovuto dare forfait causa COVID, e al suo posto si presenta l’ambasciatore Luca Ferrari.
    Tra i grandi assenti figurano Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Australia, che hanno deciso di non inviare neppure i rispettivi ambasciatori. Anche l‘India all’ultimo momento ha deciso di non andare, per motivi regionali. Tra India e Cina persistono dispute territoriali, e non è passato inosservato a Nuova Delhi la decisione di fare di un comandante coinvolto negli scontri al confine del 2020 tra i due paesi uno dei tedofori olimpici nella consueta staffetta della torcia che porta ai Giochi.
    Olimpiadi invernali con tanto sport e altrettanta politica, dunque. L’occidente marca le distanze con le potenze orientali. Il boicottaggio della cerimonia d’apertura segna un altro, ulteriore momento di censura nei confronti di Pechino e Mosca.

    Nove Stati membri dell’UE senza rappresentanti, solo Polonia e Lussemburgo presenti a livello di capi di Stato e di governo. Tutti gli altri con ambasciatori o altre figure istituzionali. Le tensioni con l’Ucraina tra i motivi della decisione

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    Il Parlamento UE vuole un regime di sanzioni europee contro le interferenze straniere e la disinformazione

    Bruxelles – Un regime di sanzioni e misure restrittive a livello comunitario per combattere contro le interferenze straniere e la disinformazione portata da attori extra-UE. Dopo un anno e mezzo di inchieste e audizioni di esperti, la commissione speciale sulle interferenze straniere e la disinformazione (INGE) del Parlamento UE ha adottato con 25 voti a favore, otto contrari e un’astensione le proprie raccomandazioni finali, in un testo che verrà votato in sessione plenaria a marzo (in corrispondenza della scadenza del mandato della commissione stessa).
    “Il pubblico europeo e i funzionari di governo sono in gran parte inconsapevoli della gravità della minaccia posta dai regimi autocratici stranieri, in particolare Russia e Cina“, hanno messo nero su bianco gli eurodeputati. Le carenze a livello europeo sul fronte della legislazione e del coordinamento tra Paesi membri UE e una “difesa insufficiente” hanno permesso a questi attori stranieri di “prendere il controllo delle infrastrutture critiche, effettuare attacchi informatici, reclutare ex-politici di alto livello e propagare la polarizzazione nel dibattito pubblico“.
    È per questo motivo che i membri della commissione INGE hanno esortato le istituzioni comunitarie non solo a sensibilizzare l’opinione pubblica, ma anche a “rafforzare le proprie capacità contro le interferenze straniere e istituire un regime di sanzioni contro la disinformazione”. Tra le raccomandazioni compaiono anche gli investimenti sulle competenze linguistiche delle piattaforme digitali perché possano agire su contenuti illegali “in tutte le lingue”, il divieto del finanziamento estero dei partiti politici europei e il chiarimento delle relazioni “altamente inappropriate” tra alcuni partiti politici europei e la Russia, oltre ad alternative agli investimenti diretti esteri cinesi e al divieto di uso di software di sorveglianza come il controverso Pegasus.
    “Sono necessarie misure urgenti per affrontare le lacune critiche”, ha commentato la relatrice Sandra Kalniete (PPE), come “ritenere le piattaforme online responsabili e garantire la trasparenza dei loro algoritmi, regolamentare il mercato dei dati e consentire una responsabilità individuale informata”. Le ha fatto eco il presidente della commissione speciale, Raphaël Glucksmann (S&D): “Gli attori ostili stranieri hanno dichiarato una guerra ibrida contro l’Unione e i suoi Stati membri, chiediamo alla Commissione e al Consiglio di attuare senza perdere tempo le raccomandazioni per proteggere le nostre democrazie e garantire la sovranità europea”.
    Dalle fila del Partito Democratico, Pierfrancesco Majorino, membro della commissione INGE, ha sottolineato che “è chiaro che non possiamo fermarci qui, il Parlamento Europeo deve continuare a essere un fondamentale cane da guardia democratico“. L’eurodeputato italiano ha sottolineato i meriti del gruppo degli S&D nella relazione, tra cui la responsabilizzazione delle piattaforme digitali, la protezione del processo elettorale, la regolamentazione del finanziamento dei partiti politici europei e “l’affermazione della trasparenza come garanzia assoluta da esigere da chiunque sviluppi relazioni con il mondo esterno” all’Unione Europea.

    Adottate dagli eurodeputati della commissione speciale sulle interferenze straniere e la disinformazione (INGE) le raccomandazioni che chiudono un anno e mezzo di lavori. A marzo il voto in sessione plenaria sulla relazione

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    Il Global Gateway da 300 miliardi di euro è la risposta UE alla Belt and Road Initiative della Cina e alle sfide globali

    Bruxelles – Si chiama Global Gateway e mobiliterà fino a 300 miliardi di euro in investimenti tra il 2021 e il 2027: è questa la risposta dell’UE alla Belt and Road Initiative della Cina (quella che in Italia è conosciuta anche con il nome di Nuova via della seta), la nuova strategia europea per “promuovere collegamenti intelligenti, puliti e sicuri nei settori del digitale, dell’energia e dei trasporti e rafforzare i sistemi di salute, istruzione e ricerca in tutto il mondo“.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, insieme con la commissaria per i Partenariati internazionali, Jutta Urpilainen, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi
    Presentato oggi (mercoledì primo dicembre) dalla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, insieme con la commissaria per i Partenariati internazionali, Jutta Urpilainen, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, il Global Gateway sarà lo strumento che dovrebbe permettere all’Unione di affrontare le sfide globali più urgenti, dal cambiamento climatico, al miglioramento della sicurezza sanitaria, fino al rafforzamento della competitività e delle catene di approvvigionamento globale, come quella dei semiconduttori. “La strategia Global Gateway è un modello di come l’Europa può costruire connessioni più resistenti con il mondo“, ha presentato così il progetto la presidente von der Leyen.
    Che questa iniziativa sia una risposta allo potere crescente della Cina in contenenti come l’Africa e il Sud America (ma anche in Medio Oriente e nell’Europa orientale e balcanica) lo si deduce dal fatto che l’esecutivo UE abbia voluto specificare che “il Global Gateway veicolerà un aumento degli investimenti per promuovere valori democratici, buona governance, trasparenza e partenariati equi“. Con questo spirito Bruxelles metterà in contatto le istituzioni finanziarie e di sviluppo degli Stati membri, la Banca europea per gli investimenti (BEI) e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), mobilitando le delegazioni UE in tutto il mondo per identificare e coordinare i progetti in loco.
    La commissaria per i Partenariati internazionali, Jutta Urpilainen
    Contrapponendosi alla cosiddetta trappola del debito cinese, attraverso il Global Gateway l’UE vuole rafforzare la solidità delle condizioni finanziarie dei Paesi partner e migliorare la sostenibilità del debito, attraverso sovvenzioni, prestiti favorevoli e garanzie di bilancio. Al centro c’è anche la promozione di alti standard ambientali, sociali e di gestione strategica, che saranno monitorati dall’assistenza tecnica di Bruxelles. Per garantire una maggiore parità di condizioni per le imprese dell’UE nei mercati dei Paesi terzi, dove si trovano a competere con i concorrenti sostenuti dai propri governi, l’UE sta valutando la possibilità di istituire uno strumento europeo di credito all’esportazione. “Vogliamo creare legami forti e sostenibili, non dipendenze, tra l’Europa e il mondo e costruire un nuovo futuro per i giovani”, ha sottolineato la commissaria Urpilainen.
    A livello di partenariati, Bruxelles guarda oltreoceano per promuovere investimenti sostenibili nella connettività. In particolare, “il Global Gateway e l’iniziativa statunitense Build Back Better World si rafforzeranno a vicenda“, è stata la rassicurazione dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Un impegno che si estende anche in Asia, con i partenariati di connettività con Giappone e India, e nei Balcani Occidentali, con il Piano economico e di investimenti presentato nel 2020: “Questi piani inizieranno a realizzare la strategia Global Gateway nelle regioni che rientrano ancora nel mandato di questa Commissione”, ha confermato il commissario Várhelyi.

    La Commissione UE ha presentato la nuova strategia europea per mobilitare investimenti che diano vita a progetti con Paesi partner in tutto il mondo entro il 2027 su cambiamento climatico, catene di approvvigionamento e sicurezza sanitaria

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    Bruxelles si avvicina a Taiwan: “Non siete soli”

    Bruxelles – “L’Unione europea è qui per imparare”. Raphaël Glucksmann, a capo della delegazione del parlamento europeo in visita ufficiale a Taiwan, ha ringraziato le autorità di Taipei durante la conferenza stampa finale per l’accoglienza e ha ribadito che “la visita è stata un successo”.
    I sette membri dell’Eurocamera, tra i quali un’italiano, il leghista Marco Dreosto, erano parte di un Comitato speciale sulle interferenze estere e la disinformazione. Nel corso di tre giorni hanno avuto modo di incontrare rappresentati di spicco del mondo politico e imprenditoriale taiwanese, per culminare con un meeting con la Presidente dell’isola Tsai Ing-wen.
    La delegazione ha rassicurato, sia in conferenza stampa che nell’incontro con la Presidente, che oggi “Taiwan occupa un ruolo fondamentale nell’agenda di Bruxelles e in quella di tutti i Paesi membri”. Un viaggio per approfondire la cooperazione con quello che secondo gli ultimi pronunciamenti di Commissione e Parlamento è un “partner insostituibile”.
    Le parole di Glucksmann suonano anche come una precisa scelta di campo: “L’Europa è con Taiwan per la difesa della libertà, dello stato diritto e della dignità umana. Non siete soli”. Una sorta di “riconoscimento implicito” della sovranità e dell’indipendenza dell’isola. Inclinazione confermata anche dalle dichiarazioni che definiscono quelle della Cina nella politica taiwanese come “interferenze esterne”.
    Cambi di passo
    L’avvicinamento tra Bruxelles e Taiwan è condannato dalla Cina. In occasione della risoluzione dell’Eurocamera sul potenziamento della cooperazione con Taipei il governo cinese aveva “condannato qualsiasi tipo di approfondimento delle relazioni tra l’Europa e la regione di Taiwan”, intimando all’UE di non immischiarsi in quella che per Pechino è una questione nazionale.
    Il governo cinese era stato anche più duro nel commentare il nuovo corso dei rapporti tra Taiwan e alcuni Paesi membri UE. A fine agosto lo speaker del Senato della Repubblica Ceca, Milos Vystrcil, si era recato in visita ufficiale presso Taipei e Wang Yi, ministro degli Esteri di Pechino, aveva promesso che “avrebbe pagato un prezzo caro” per l’affronto.
    Il viaggio della delegazione UE segue altri due passi altrettanto storici nelle relazioni con l’isola ribelle. Il 28 ottobre il ministro degli Esteri di Taiwan Joseph Wu si è recato per una visita segreta a Bruxelles per discutere gli sviluppi della regione. Negli stessi giorni veniva annunciata una visita diplomatica di alto livello di una delegazione taiwanese in tre Paesi europei: Repubblica Ceca, Lituania e Slovacchia. Questi viaggi diplomatici sono in genere molto rari, considerato che nessuno degli Stati in questione riconosce oggi Taiwan come Paese sovrano e tutti adottano la “One-China policy” – tradotto: le relazioni diplomatiche ufficiali sono solo con Pechino, ma con Taiwan abbiamo comunque buoni rapporti (se non ottimi, come nel caso degli USA).
    Dove vanno le relazioni tra Taiwan e l’UE
    Sono due gli elementi che contribuiscono a spiegare questa nuova fase delle relazioni UE-Taiwan. Il primo, “segreto”, sono le pressioni informali degli USA per ridurre al minimo i rapporti con la Cina. Il secondo, esplicitato in più occasioni, sono i semiconduttori. Stringendo con Taiwan l’UE intende accedere a un canale privilegiato per assicurarsi i preziosi microchip – passaggio evidenziato anche nella Strategia della Commissione per l’Indo Pacifico.
    Kung Ming-hsin, capo della delegazione taiwanese in Europa orientale, ha confermato che “tutti i Paesi che ho visitato hanno espresso il loro interesse nei semiconduttori e hanno chiesto di cooperare con Taiwan”. Interesse che anche i “grandi” europei come Francia e Germania avevano già confermato in altre occasioni – e giustificato dal fatto che sul territorio di Taipei si trova il 70 per cento delle fonderie globali di microchip.
    In cambio delle concessioni in questo campo così delicato, l’isola vuole qualcosa, come ha fatto intendere ancora Kung Ming-hsin: ” Il Parlamento europeo parla di un accordo bilaterale sugli investimenti tra Taiwan e l’UE da molto, molto tempo. La proposta è stata lanciata molte, molte volte”.
    Un accordo simile, insieme ai benefici economici, rappresenterebbe un gesto molto forte dal punto di vista della narrativa e del riconoscimento internazionale , specie se si considera che l’accordo analogo con la Cina (CAI) è stato di fatto stracciato. Di fatto, Taiwan avanza la carta della cooperazione economica per ottenere legittimazione sulla scena globale.
    Un tema che potrebbe addirittura mettere d’accordo le ali opposte dell’Eurocamera. Per Dreosto (ID), ad esempio, l’Europa deve scegliere senza indugio di “schierarsi da lato degli alleati degli Americani (i Taiwanesi) in difesa della libertà”. Dichiarazioni che non stridono (per una volta) con quelle della collega Markéta Gregorová (Verdi), anche lei presente in questi giorni a Taiwan: “Dico apertamente che è tempo di iniziare a parlare di una One-Taiwan policy (rispetto all’attuale One-China policy) e spero che questo sia il primo incontro di tanti”.

    Secondo una delegazione del Parlamento UE a Taipei c’è forse la “più viva democrazia dell’Asia”. Ma è anche vero che nell’Isola c’è il 70 per cento delle fonderie globali dei microchip di cui l’Unione ha disparatamente bisogno

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    Il Parlamento UE vuol stringere le relazioni con Taiwan “per affrontare le crescenti tensioni con la Cina”

    Bruxelles – Si cerca un nuovo impegno nelle relazioni tra l’UE e Taiwan, per affrontare la “continua belligeranza militare della Cina”. Con 580 voti a favore, 26 contrari e 66 astenuti il Parlamento Europeo ha approvato la relazione che chiede di stringere i rapporti diplomatici con Taipei, in linea con la necessità di una politica rivista sulle relazioni con la Cina (la “One China Policy” dell’UE).
    Si tratta della prima relazione dell’Eurocamera sulle relazioni UE-Taiwan, come ha sottolineato il relatore Charlie Weimers (ECR). “Dimostra che l’Unione è pronta a migliorare le sue relazioni con il nostro partner chiave”, ha aggiunto l’eurodeputato svedese, richiamando la Commissione Europea a “perseguire un partenariato globale rafforzato” con l’isola. I tempi sono stretti: il Parlamento si aspetta “entro la fine del 2021” una valutazione d’impatto, una consultazione pubblica e una procedura di delimitazione del campo d’indagine (definita scoping) su un Accordo di investimento bilaterale con le autorità taiwanesi. Tutto questo “in preparazione dei negoziati per approfondire i nostri legami economici“, ha spiegato Weimers nel corso del dibattito in Aula di martedì (19 ottobre). Di qui la proposta di cambiare il nome dell’Ufficio europeo per l’economia e il commercio a Taiwan in Ufficio dell’UE a Taiwan, “per riflettere l’ampia portata dei legami” tra Bruxelles e Taipei.
    Il relatore Charlie Weimers (ECR)
    Dalla stragrande maggioranza degli eurodeputati è stato chiesto un maggiore impegno su questioni relative al multilateralismo e all’Organizzazione Mondiale del Commercio, sul piano della salute pubblica, della tecnologia (come il 5G) e della cooperazione per l’approvvigionamento di semiconduttori (su cui la Commissione sta cercando di tessere una rete globale, dagli Stati Uniti alla Corea del Sud). Ma non solo. Il testo definisce Taiwan “un partner-chiave dell’Unione e un alleato democratico nell’Indo-Pacifico“, che “contribuisce a mantenere un ordine basato sulle regole nel mezzo di una rivalità crescente tra i principali attori geopolitici della regione”.
    Il riferimento è alla Repubblica Popolare Cinese. Nel rapporto viene espressa “grave preoccupazione” per tutta una serie di azioni messe in atto da Pachino a livello militare nello Stretto di Formosa (che separa l’isola dalla Cina), comprese “le esercitazioni di assalto, le violazioni dello spazio aereo e le campagne di disinformazione”. Da Bruxelles ci si aspetta “di più per affrontare queste tensioni, per proteggere la democrazia di Taiwan e lo status dell’isola come importante partner dell’UE”, si legge nel testo. Qualsiasi cambiamento nelle relazioni tra i due Paesi “non deve essere né unilaterale né contro la volontà dei cittadini taiwanesi”, hanno insistito gli eurodeputati, che hanno infine ricordato la “connessione diretta tra la prosperità europea e la sicurezza asiatica“. Soprattutto “se il conflitto dovesse espandersi oltre le questioni economiche”.
    Esulta Anna Bonfrisco, eurodeputata in quota Lega e membro della commissione Affari esteri (AFET) del Parlamento UE, per il voto: “Siamo al fianco di Taiwan, che vuole rimanere libero, sovrano e indipendente, coltivando una diplomazia di pace proattiva soprattutto verso la Cina, anche quando questo Stato militarista e autoritario mostra solo di voler intimidire”.

    Approvata la prima relazione dell’Eurocamera sui rapporti tra Bruxelles e Taipei: “Partner-chiave e alleato democratico nell’Indo-Pacifico”. Ma gli eurodeputati sono preoccupati per la “continua belligeranza militare” di Pechino

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    Unione europea e Cina potrebbero tenere a ottobre un “dialogo strategico”

    Bruxelles – Secondo il South China Morning Post, diplomatici di alto rango dell’Unione europea e della Cina terranno un meeting martedì 5 ottobre. Per il giornale di Hong Kong a presiedere la riunione saranno l’alto rappresentante per gli Affari esteri Josep Borrell e il ministro degli Esteri cinese Wang Yi. Anche il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans e il vicepremier cinese Han Zheng dovrebbero essere presenti all’evento.
    È probabile che il focus del discorso verterà sui recenti sviluppi nella regione dell’Indo Pacifico. Dunque lo “strappo” diplomatico tra Stati Uniti e alleati Europei (Francia in primis) dovuto all’esclusione dal partenariato strategico AUKUS e la nuova Strategia sull’area pubblicata il 15 settembre. Sullo sfondo, la questione dell’Afghanistan.
    La Cina tenterà di sfruttare gli attriti tra Stati Uniti e partner europei per evitare che l’Ue (e gli Stati membri) si attesti su posizioni definitivamente anticinesi. Mossa che Pechino giudica necessaria alla luce delle recenti aperture del Parlamento europeo per un accordo sugli investimenti bilaterali con Taiwan e delle condanne per il trattamento degli Uiguri. In particolare le violazioni dei diritti minoranza turcofona erano state alla base di alcune sanzioni contro la Cina nel marzo del 2021.
    I dialoghi tra Unione europea e Cina
    L’evento è parte di una serie di meeting che Unione europea e Cina tengono su base regolare, i cosiddetti “dialoghi strategici”. Se questa edizione venisse confermata, si tratterebbe dell’undicesimo incontro di questo genere – l’ultimo si era tenuto nel giugno del 2020 e aveva prodotto l’intesa per l’accordo bilaterale sugli investimenti (CAI).
    Sul piano economico la Cina tenterà di fare pressioni per ottenere una soluzione di compromesso per gli investimenti dopo il congelamento dell’accordo raggiunto a novembre 2020. È probabile che si parlerà anche delle condizioni delle imprese europee nella Repubblica popolare, dopo la pubblicazione di un report che esprimeva preoccupazione per il controllo sempre maggiore che la politica esercita sul settore privato.

    Unione europea e Cina potrebbero tenere un meeting a breve: la strategia UE per l’Indo Pacifico, le tensioni tra Europa e America, la gestione dell’Afghanistan e gli investimenti bilaterali

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    Aukus: siglato patto di sicurezza trilaterale. L’Europa resta ai margini

    Dopo che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al vertice di Arraiolos ha invocato una politica estera, di sicurezza e di difesa comune per fare sentire la voce europea nel mondo e dopo che Silvio Berlusconi ha chiosato lo stesso concetto al vertice di Roma del PPE chiedendo la fine del voto all’unanimità in politica estera l’Unione Europea rimane ancora a guardare. Che cosa? L’attivismo degli (alleati) americani. 
    Dopo il ritiro delle truppe dall’Afghanistan Joe Biden, l’attuale Presidente degli USA, si lancia a capofitto in una nuova strategia per limitare l’espansionismo cinese ed insieme a Boris Johnson, il Primo Ministro britannico, e Scott Morrison, il Primo Ministro dell’Australia, sigla un patto di sicurezza trilaterale denominato Aukus che esclude ancora una volta l’Unione Europea dallo scenario internazionale dell’indo-pacifico. 
    L’Aukus – acronimo dei tre paesi firmatari Australia, Regno Unito e Stati Uniti d’America – permetterà agli anglo-americani di fornire tecnologie militari a Canberra per la costruzione di sottomarini nucleari. I nuovi armamenti, secondo diversi analisti, serviranno per difendere gli interessi commerciali australiani nonché per difendere Taiwan dalla minaccia cinese. Nel complesso l’accordo di difesa ha un valore simbolico perchè mira a bloccare tempestivamente la volontà di potenza della Repubblica Popolare Cinese e permette agli Stati Uniti di rinnovare la propria presenza nell’area pacifica. 
    In questo clima di tensione che ricorda la guerra fredda, rimane esclusa, come detto, l’Unione Europea. O meglio, i ventisette paesi che ne fanno parte, dato che è difficile parlare di una politica estera comune e univoca europea. Ogni paese europeo ha suoi interessi strategici da perseguire, a partire dalla Francia che ha perso, nei confronti dell’Australia, una commessa da cinquanta miliardi di euro per la costruzione di dodici sottomarini nucleari. Siamo ancora lontani dalla tanto agognata sovranità europea.
    Per altro, citando l’ambasciatore francese a Roma Christian Masset, nella vicenda non si è visto l’America is back ma la continuazione dell’America first. In un momento in cui le relazioni inter-statali continuano ad essere dominate da un certo tasso di anarchia internazionale, l’Unione Europea è in totale confusione e sta ancora aspettando spiegazioni da Washington. Potenzialmente arriveranno presto, auspicabilmente al G20 di Roma.

    Questo contributo è stato pubblicato nell’ambito di “Parliamo di Europa”, un progetto lanciato da
    Eunews per dare spazio, senza pregiudizi, a tutti i suoi lettori e non necessariamente riflette la
    linea editoriale della testata.

    E’ difficile parlare di una politica estera comune e univoca europea

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    Lituania: “Buttate i telefoni cinesi, rubano dati e sono censurati”

    Bruxelles – L’annuncio del ministero della Difesa della Lituania è di quelli senza precedenti: “Buttate via i vostri telefoni cinesi e non compratene di nuovi”. Secondo un’analisi dell’istituto statale di cybersicurezza di Vilnius, i dispositivi Xiaomi hanno installato al loro interno dei software in grado di censurare messaggi come “Tibet libero”, “lunga vita all’indipendenza di Taiwan” o “movimento democratico”. I termini censurati sarebbero 449 e in continuo aggiornamento. Il software è disattivato per il mercato dell’Unione europea, ma “può essere attivato da remoto in qualsiasi momento”. Inoltre, è stato rilevato che i modelli Xiaomi e il P40 5G di Huawei inviano dati crittografati sull’utilizzo del telefono a un server a Singapore.
    L’annuncio di Vilnius aumenta ulteriormente la tensione con Pechino dopo la crisi diplomatica dello scorso agosto. La Lituania aveva autorizzato Taiwan ad aprire un’ambasciata di fatto (ufficialmente il Paese baltico non riconosce l’isola, così come non lo fanno quasi tutti i Paesi del mondo: farlo significherebbe una crisi con la Cina) utilizzando il proprio nome e non “Taipei”, che è quello della sua capitale usato normalmente in questo tipo di rappresentanze. Il governo cinese, che considera Taiwan una provincia ribelle da riconquistare, aveva ritirato il proprio ambasciatore a Vilnius, espulso quello lituano a Pechino e ridotto i commerci tra i due Paesi, che peraltro non erano particolarmente consistenti. Si è trattato del primo caso in cui la Cina ha ritirato il proprio ambasciatore in uno Stato membro dell’Unione europea.
    Nonostante le pressioni del Dragone, Vilnius non ha arretrato e ha rincarato la dose. Forte anche del sostegno statunitense (il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha chiamato la prima ministra Ingrida Šimonytė per esprimerle il supporto dell’amministrazione Biden), la Lituania ha inaugurato una politica di relativo attivismo nell’area indo-pacifica, con l’apertura di un’ambasciata in Australia nel 2020 e le prossime inaugurazioni in Corea del Sud e Singapore. In Cina non l’hanno presa bene: i media statali hanno definito “buffonesco” il governo lituano e minacciano di tagliare definitivamente i rapporti commerciali.

    Vilnius chiede ai propri cittadini di abbandonare i modelli Xiaomi e Huawei: avrebbero un software di censura e invierebbero dati riservati a Singapore. Sostegno dagli USA, l’ira di Pechino che minaccia ritorsioni