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    Cina, Xinjiang a “rischio di genocidio” denunciano gli eurodeputati

    Bruxelles – L’operato cinese nella regione del Xinjiang, nel nord-ovest della Cina, rappresenta “un grave rischio di genocidio”. Il Parlamento Europeo ha rinnovato oggi (9 giugno) la propria condanna nei confronti delle autorità di Pechino per violazioni dei diritti umani sugli uiguri – minoranza turcofona di religione islamica – dopo la pubblicazione dei ‘Xinjiang Police Files’, una serie di documenti provenienti dai computer della polizia locale che aggiungono nuovi dettagli sul ruolo della leadership cinese nelle campagne di repressione.
    “Le prove credibili delle misure di prevenzione delle nascite e della separazione dei bambini uiguri dalle loro famiglie costituiscono crimini contro l’umanità e rappresentano un grave rischio di genocidio”, riporta la nuova risoluzione del Parlamento, a firma Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici, Renew Europe, Conservatori e Riformisti Europei, Verdi e Partito Popolare Europeo (PPE). “Il Parlamento Europeo riconosce per la prima volta che il regime cinese sta commettendo crimini contro l’umanità e un grave rischio di genocidio”, ha sottolineato David Lega (PPE), tra i principali autori della risoluzione: “Genocidio, atti deliberati commessi con l’intento di distruggere per intero o in parte un gruppo nazionale, etnico o religioso”. Proprio Lega aveva sottolineato qualche giorno fa come si stesse negoziando per inserire il termine nel testo finale.

    BREAKING❗️ The @EPPGroup is pushing for the recognition of the ongoing Uyghur Genocide in #Xinjiang.The #XinjiangPoliceFiles are another confirmation of the horrible atrocities made by the #CCP. I will negotiate the text for the urgency resolution tomorrow. Vote: Thursday.
    — David Lega (@DavidLega) June 6, 2022

    Oltre a chiedere la chiusura di tutti i campi e centri di detenzione, il Parlamento Europeo ha sollecitato ulteriori sanzioni europee nei confronti di alcuni funzionari cinesi, come l’ex segretario regionale e membro dell’Ufficio politico di partito, Chen Quanguo, l’attuale ministro della Pubblica sicurezza Zhao Kezhi e il precedente Guo Shengkun, e altri individui presenti negli archivi di polizia del Xinjiang. Nella risoluzione si invita inoltre la Commissione Europea a proporre un divieto di importazione “su tutti i prodotti realizzati mediante il lavoro forzato e sui prodotti fabbricati da tutte le società cinesi note per il suo impiego”, un tema oggetto di una seconda risoluzione anch’essa votata in giornata.
    Il Parlamento ha anche espresso la propria preoccupazione rispetto all’esito della visita dell’alta commissaria per i diritti umani delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, in Cina il mese scorso. Bachelet “non ha usato la sua autorità per condannare ciò che ha visto o avrebbe dovuto vedere durante la sua visita”, ha scandito la vicepresidente del Parlamento Europeo, Heidi Hautala (Verdi), nel dibattito prima della votazione. L’alta commissaria dell’ONU aveva detto di “non essere stata in grado di valutare l’intera portata” dei campi di internamento e rieducazione degli uiguri, perché priva di un pieno accesso ai centri.
    “Alcuni di noi l’avevano avvertita di non diventare una vittima degli sforzi della propaganda cinese”, ha continuato Hautala, “è esattamente quello che è successo”. “Penso che l’UE dovrebbe essere molto cauta riguardo a un suo eventuale secondo mandato – ha proseguito – perché abbiamo visto che il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite è diventato vulnerabile agli sforzi cinesi di minare l’ordine dei diritti umani stabilito nel dopoguerra”. Nella risoluzione, oltre a stabilire un “grave rischio di genocidio”, il Parlamento chiede anche la pubblicazione immediata del rapporto sulla situazione degli uiguri nel Paese, atteso da ben tre anni e posticipato in occasione della visita di Bachelet. Una richiesta che è stata fatta anche dall’alto rappresentante per gli affari esteri e la politiche di sicurezza Josep Borrell: “La visita e la pubblicazione dei Xinjiang Police Files invitano al rilascio, come questione di assoluta priorità, del rapporto di monitoraggio a distanza preparato dalle Nazioni Unite”.

    “Let me assure you that the EU will continue to speak out against human rights violations occurring across China.”
    Speech on human rights situation in China delivered by Executive VP @VDombrovskis on behalf of HR/VP @JosepBorrellF at @Europarl_EN debatehttps://t.co/Octfi1Z8jH
    — European External Action Service – EEAS 🇪🇺 (@eu_eeas) June 9, 2022

    “Le relazioni UE-Cina sono sempre più caratterizzate da concorrenza economica e rivalità sistemica”, calca il testo, riprendendo il lessico della relazione del 2019, ‘UE-Cina – Una prospettiva strategica’, che aveva definito l’approccio di Bruxelles nei confronti di Pechino. “A seconda dei settori, la Cina è un partner di cooperazione con obiettivi largamente allineati a quelli dell’UE – elenca la relazione – un partner di negoziato con cui l’UE deve trovare un equilibrio di interessi, un concorrente economico che ambisce alla leadership tecnologica e un rivale sistemico che promuove modelli di governance alternativi”.
    Il documento di oggi conferma ciò quanto emerso nella recente risoluzione delle sfide per la sicurezza nell’Indo-Pacifico: la Cina è, secondo l’UE, “sempre più assertiva e aggressiva”. L’approccio europeo nei confronti della Cina deve essere quindi “unificato, pragmatico, sfaccettato e di principio”, pur mantenendo una certa cooperazione sulle questioni di interesse comune come la lotta al cambiamento climatico. Mentre Taiwan viene indicata, sempre nella risoluzione sull’Indo-Pacifico, come “partner fondamentale e alleato democratico nella regione”.

    Il Parlamento Europeo ha rinnovato con una nuova risoluzione la propria condanna nei confronti delle autorità di Pechino per violazioni dei diritti umani sugli uiguri, dopo la pubblicazione dei ‘Xinjiang Police Files’

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    La Cina dice ‘no’ ai lavori forzati in vista della visita dell’alta commissaria ONU per i diritti umani

    Bruxelles – ‘No’ ai lavori forzati. È questo il messaggio che la Cina ha inviato all’Organizzazione delle Nazioni unite (ONU), a meno di un mese dalla visita dell’alta commissaria per i Diritti umani, Michelle Bachelet, nella regione autonoma del Xinjiang, nel nord-ovest del Paese, e dimora della minoranza degli uiguri. Ma non solo. L’adesione del Paese a due delle Convenzioni fondamentali sul lavoro forzato punta anche all’Europa e agli Stati Uniti, dopo anni di denunce – e, dal 2021, sanzioni – da parte della comunità internazionale per lo sfruttamento degli uiguri, la minoranza etnica turcofona, di religione islamica, sottoposta a pratiche di detenzione arbitraria di massa e perfino di sterilizzazione.
    Il 20 aprile 2022 il Comitato permanente del tredicesimo Congresso nazionale del Popolo, il massimo organo legislativo cinese, ha ratificato la Convenzione sul lavoro forzato e obbligatorio (1930) e la Convenzione per l’abolizione del lavoro forzato (1957). Si tratta di due Convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), l’ente con sede a Ginevra che stabilisce, a livello globale, i principi e i diritti fondamentali dei lavoratori. La Cina ne è parte dal 1985, per quanto non abbia mai aderito a diversi dei suoi trattati né garantisca piene tutele sul lavoro.
    In questo modo, il Paese si è impegnato “a eliminare l’uso del lavoro forzato o coatto in tutte le sue forme, entro il periodo più breve possibile”, come recita l’articolo 1 della Convenzione del 1930. Mentre quella del 1957, ne proibisce ogni uso “come mezzo di coercizione o di educazione politica”. “Come sanzione per aver espresso opinioni politiche o ideologiche”. “Come metodo di mobilitazione alla manodopera”. “Come misura disciplinare sul lavoro”. “Come sanzione per aver partecipato a scioperi o come misura di discriminazione”.
    Si tratta di un passo significativo per il Paese. Secondo la Risoluzione del Parlamento europeo del 17 dicembre 2020, che ha analizzato (e condannato) la situazione degli uiguri nella Repubblica Popolare, dal 2014 “sono numerose le denunce credibili” secondo cui la minoranza verrebbe impiegata per i lavori forzati. Soprattutto, “nelle catene di produzione dei settori dell’abbigliamento, della tecnologia e dell’automobile”. Nel marzo 2020 il think thank Australian Strategic Policy Institute aveva individuato che nelle filiere produttive di ben 83 brand, anche internazionali, lavoravano oltre 80mila uiguri in condizioni assimilabili a quelle del lavoro forzato.
    Non è un caso che la ratifica delle Convenzioni sia avvenuta ora. L’alta commissaria Bachelet sta lavorando da almeno tre anni al rapporto delle Nazioni Unite sulla situazione degli uiguri nel Paese. L’uscita della relazione era stata annunciata lo scorso dicembre, ma non è escluso che ora venga posticipata, per quanto richiesta a gran voce, quanto prima, da attivisti e organizzazioni internazionali per i diritti umani.
    L’adesione alle Convenzioni sul lavoro forzato era anche una condizione prevista dai negoziati per l’Accordo comprensivo sugli investimenti (CAI) con l’Unione Europea. Il documento, mai finalizzato – anche per l’elezione del presidente americano Joe Biden – avrebbe garantito un unico quadro legale sugli investimenti, andando a sostituire i 26 accordi bilaterali tra gli Stati membri dell’UE e la Repubblica Popolare, con condizioni commerciali più vantaggiose. Tuttavia proprio le divergenze sui diritti umani e la questione del Xinjiang hanno contribuito a congelare i negoziati del CAI, soprattutto dopo le sanzioni cinesi a una serie di enti ed eurodeputati, in risposta a quelle europee a diversi funzionari del Paese del Dragone e all’ufficio di pubblica sicurezza del Xinjiang.
    Per quanto ferme, le trattative per il CAI potrebbero riprendere in futuro. Le nuove Convenzioni ILO sono un primo, per quanto timido, segnale di un’apertura cinese. “La Cina sta inviando un segnale cinico”, ha però detto a Eunews l’europarlamentare Reinhard Bütikofer (Verdi), a capo della Delegazione per le relazioni con la Repubblica Popolare cinese e tra i sanzionati da Pechino, “procede con la ratifica delle principali Convenzioni dell’ILO contro il lavoro forzato, mentre continua, senza vergogna, pratiche di lavoro forzato e nega i fatti”.
    Nel 2021, gli Stati Uniti avevano invece adottato la Legge sulla prevenzione del lavoro forzato uiguro che tuttora vieta l’importazione di alcuni prodotti, come cotone o pomodori, provenienti dalla regione autonoma. Anche Washington aveva fatto pressione sul Paese a riguardo, dopo il rapporto del 2022 della stessa Organizzazione internazionale del lavoro.

    Michelle Bachelet è attesa a maggio 2022, insieme al rapporto sulla situazione uigura nel Xinjiang. Bütikofer (Verdi): “Segnale cinico”. Si teme il non rispetto dei trattati all’atto pratico

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    Vertice UE-Cina, Pechino: Dichiarazioni di Borrell “irresponsabili” e “non conformi ai fatti”

    Bruxelles – Il vertice tra Ue e Cina del primo aprile “è molto riuscito” e le dichiarazioni dell’Alto rappresentante dell’Unione per affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell sono “irresponsabili” e “non conformi ai fatti”. Queste le parole di Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri cinese, alla conferenza stampa giornaliera di oggi (6 aprile). Arrivano dopo che ieri Borrell aveva sostenuto che l’incontro tra i leader europei, il presidente Xi Jinping e il premier Li Keqiang era stato un “dialogo tra sordi” e che i rappresentanti cinesi erano stati riluttanti a parlare della questione ucraina.
    È una risposta breve, ma secca quella di Pechino. Il portavoce cinese definisce Borrell “funzionario europeo” per ben due volte, senza citarne mai il nome per esteso. Dice prima, “quel funzionario europeo che ha appena menzionato”, riprendendo la domanda di un giornalista di AFP. Poi, “ciò che quel funzionario europeo dovrebbe fare”, seguito da “è promuovere i legami bilaterali sulla base del consenso raggiunto al vertice invece di fare osservazioni irresponsabili”.
    Le parole più dure, però, il portavoce le ha riservate agli Stati Uniti. “La guerra e le sanzioni permettono agli USA di trarre profitto dal caos”, ha continuato Zhao, citando una recente intervista dove Mikhail Popov, vicesegretario del Consiglio di sicurezza russo, aveva parlato di un recente aumento nei volumi di importazione di petrolio da Mosca da parte degli americani. Il portavoce ha sottolineato come gli Stati Uniti spingano invece l’Europa a porre sanzioni, a cui hanno portato “flussi di rifugiati, perdite di denaro e scarsità di risorse energetiche”. “Se gli Stati Uniti desiderano davvero promuovere una distensione della situazione ucraina, dovrebbero smettere di gettare benzina sul fuoco, smettere di brandire il bastone delle sanzioni e smettere di forzare dichiarazioni e fatti, e mediare per la pace e promuovere il dialogo”.
    Zhao Lijian si è espresso anche rispetto a quanto accaduto nella città ucraina di Bucha, dicendo che “la verità dei fatti e le loro cause devono essere verificate”. “Ogni accusa deve basarsi sui fatti”, ha aggiunto il portavoce, invitando alla moderazione fino a quando non si arriverà a conclusione delle indagini.

    Arrivano dopo che ieri l’Alto rappresentante aveva sostenuto che l’incontro è stato un “dialogo tra sordi”. Bucha? ““La verità dei fatti e le loro cause devono essere verificate”

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    Ucraina-Cina, colloquio tra i ministri Kuleba e Wang: “Non siamo indifferenti”

    Bruxelles – “La Cina non ha un approccio indifferente rispetto alla questione ucraina”. La posizione di Pechino sulla guerra è stata ribadita il 4 aprile nella telefonata tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e l’omologo ucraino Dmytro Kuleba, la seconda dallo scoppio della guerra. La parola “pace” ricorre per ben sette volte nel comunicato stampa riportato dal ministero degli Esteri cinese, insieme all’invito, continuo, a procedere con i negoziati, “per quanto grandi le difficoltà e numerose le divergenze”.
    “Il mantenimento della pace e l’essere contrari ai conflitti sono parte della tradizione culturale della storia cinese”, ha sottolineato Wang, “e appartengono da sempre alla nostra politica estera”. Nessuna parola di condanna però verso la Russia, come già durante il vertice di venerdì scorso tra Unione Europea e Cina. “La guerra finirà a un certo punto”, ha incalzato il ministro degli Esteri, quasi in un monito, aggiungendo che sarà “cruciale” imparare da questo momento di crisi “per difendere la sicurezza duratura dell’Europa”. “La Cina ritiene che si debba, in conformità con il principio di sicurezza indivisibile e attraverso un dialogo equo, stabilire realmente un meccanismo di sicurezza europea equilibrato, valido e sostenibile”, continua il comunicato. Lo stesso principio era stato invocato anche dal ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov già lo scorso febbraio.
    Il termine “principio di sicurezza indivisibile” compare per la prima volta nell’Atto finale di Helsinki (1975), lo storico documento che ha messo nero su bianco una serie di principi fondamentali riconosciuti dal blocco della Nato e da quello sovietico. È da qui che in ambito di quella che diventerà l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) nasce la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE, dal 1994 OSCE). Un’idea che torna nella Carta di Parigi per una Nuova Europa (OSCE, 1990), secondo cui “la sicurezza è indivisibile e la sicurezza di ogni Stato partecipante è inseparabilmente connessa a quella di tutti gli altri”. Mentre nel Documento di Istanbul (1999), viene ulteriormente articolata in “uno spazio di sicurezza comune e indivisibile, promuovendo un’area OSCE priva di linee divisorie e zone con diversi livelli di sicurezza”. Nello stesso Documento di Istanbul, si stabilisce che “gli Stati non rafforzeranno la propria sicurezza a scapito della sicurezza di altri Stati”: cosa che, secondo l’interpretazione unilaterale di Mosca, un ulteriore allargamento a est della Nato comporterebbe per la Russia.
    Kuleba in un Tweet nel quale non mostra particolare soddisfazione per il colloquio, ha spiegato che nella telefonata è stato ribadito che la fine della guerra “soddisfa i comuni interessi di pace, della sicurezza alimentare e del commercio internazionale.”

    Had a call with State Councilor and Foreign Minister Wang Yi. Grateful to my Chinese counterpart for solidarity with civilian victims. We both share the conviction that ending the war against Ukraine serves common interests of peace, global food security, and international trade.
    — Dmytro Kuleba (@DmytroKuleba) April 4, 2022

    Wang Yi ha espresso solidarietà verso i civili ucraini e ringraziato il governo di Kiev e tutti coloro che hanno contribuito finora all’evacuazione dei cittadini dal Paese, chiedendo anche che si continui a garantire la sicurezza dei cinesi ancora presenti sul territorio.

    Pechino però continua a non sbilanciarsi sull’attacco russo

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    La NATO invierà più armi all’Ucraina. Monito alla Cina: “Si astenga da supporto militare o economico alla Russia”

    Bruxelles – Armi anti-carro, difese anti-missili e droni. L’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO) ha annunciato oggi (giovedì 24 marzo) che aumenterà l’assistenza armata all’Ucraina per la difesa dall’aggressione russa. Lo hanno deciso i leader NATO nella riunione di Bruxelles, prima del vertice del G7 e del Consiglio Europeo, rispondendo parzialmente all’appello del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, per “l’invio di una quota pari all’uno per cento dei vostri 20 mila carri armati”. Al termine della riunione il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha confermato che “la decisione risponde alla necessità di garantire il diritto all’autodifesa” e che “da Zelensky è arrivato un ringraziamento per il supporto degli alleati”.
    Sottolineando a più riprese che “il conflitto non deve espandersi oltre”, i leader NATO hanno approvato il rafforzamento del fianco orientale dell’Alleanza, secondo le anticipazioni della presentazione del vertice di ieri (mercoledì 23 marzo). Si tratta di quattro nuovi battaglioni in Ungheria, Bulgaria, Romania e Slovacchia, in aggiunta a quelli già presenti nei Paesi baltici e Polonia: “Ora avremo otto battaglioni multinazionali dal Mar Baltico al Mar Nero“, ha ricordato Stoltenberg. Per quanto riguarda il numero di soldati dispiegati, “sono 100 mila quelli statunitensi a supporto degli alleati, mentre altri 40 mila sono sotto il diretto comando della NATO sul fianco orientale”. Si devono poi aggiungere cinque carrier strike group [gruppi di attacco di portaerei, ndr] nel Mare del Nord e nel Mediterraneo e la decisione di aumentare la difesa sul lungo termine “non solo con più forze a Est, ma anche con più armi, equipaggiamento, jet, sottomarini e missili difensivi in stato di allerta“, ha aggiunto il segretario generale dell’Alleanza.
    La NATO non andrà a schierare truppe direttamente sul territorio dell’Ucraina (sempre per la questione che “un’ulteriore escalation avrebbe un impatto devastante”), ma è necessaria “maggiore preparazione contro minacce nucleari, batteriologiche e chimiche” e un sostegno agli alleati contro l’espansionismo russo: “La Georgia è può essere concretamente minacciata, la Bosnia ed Erzegovina è a rischio di destabilizzazione per interferenze esterne”. Dal punto di vista della NATO, “l’allargamento ha portato pace e sicurezza in Europa, ma l’ambiente è cambiato da quando la Russia ha invaso l’Ucraina”, ha messo in chiaro il segretario generale Stoltenberg e in questo senso si inserisce il via libera dei leader dell’Alleanza a “raddoppiare gli sforzi dei piani per l’aumento nella spesa per la difesa” in tutti i Paesi membri. Stoltenberg ha fatto appello alla “una nuova normalità per la sicurezza europea”, rievocando le parole utilizzate una settimana prima dell’inizio della guerra tra Russia e Ucraina: “In questi tempi di insicurezza dobbiamo essere pronti a difenderci, questa invasione l’ha dimostrato”.
    Come dichiarato dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, da Washington è arrivata la decisione di fornire “un miliardo di dollari come nuova assistenza alla sicurezza dell’Ucraina”, tra cui sistemi antiaerei, armi anti-carro, droni e milioni di munizioni. “Accolgo con favore i passi di molti altri alleati per fornire supporto difensivo all’Ucraina e, insieme, siamo impegnati a identificare ulteriori attrezzature, compresi i sistemi di difesa aerea, per aiutare il Paese”, ha sottolineato. Sul piano del rafforzamento dell’Alleanza sul fronte orientale, “la nostra dichiarazione congiunta chiarisce che la NATO è forte e unita come non lo è mai stata prima“, come dimostra la risposta unitaria e rapida all’invasione russa dell’Ucraina e il dispiegamento di nuovi battaglioni nell’Europa orientale: “Difenderemo e proteggeremo collettivamente ogni centimetro del territorio dell’Alleanza”, ha ribadito con forza Biden. Appuntamento al vertice di Madrid a giugno per l’adozione di un “concetto strategico aggiornato per assicurare che la NATO sia pronta ad affrontare qualsiasi sfida”.
    Cittadini ucraini a Bruxelles che chiedono alla NATO di essere “coraggiosa come noi” e di “darci le armi” per la difesa.
    Importante anche il capitolo del possibile appoggio di Pechino a Mosca: “La Cina non deve dare supporto militare ed economico alla Russia, ma promuovere una soluzione pacifica e immediata del conflitto”, è stato il secco commento del segretario generale della NATO. Nella dichiarazione dei leader è esplicito l’appello alle autorità cinesi a “sostenere l’ordine internazionale, compresi i principi di sovranità e integrità territoriale” e ad “astenersi da qualsiasi azione che aiuti la Russia ad aggirare le sanzioni“. La preoccupazione è legata all’amplificazione delle “false narrazioni del Cremlino, in particolare sulla guerra e sulla NATO”. Fonti europee fanno riferimento in particolare alla dichiarazione congiunta del 4 febbraio tra Mosca e Pechino, che “evidenzia un chiaro riavvicinamento tra Cina e Russia“. Nonostante non ci siano “prove concrete” sulla richiesta russa di supporto militare alla Cina, le stesse fonti affermano che “prenderemo estremamente sul serio” l’eventualità in cui Pechino fornisse assistenza militare.

    Via libera dei leader all’assistenza armata di Kiev contro l’aggressione russa e al rafforzamento del fronte orientale dell’Alleanza. “Forti e uniti come non lo siamo mai stata prima”, ha confermato il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden

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    Rafforzamento del fianco orientale, supporto all’Ucraina e appello alla Cina. Di cosa discuteranno i leader NATO

    Bruxelles – Le conseguenze della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina si fanno sentire anche sull’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO) e con effetti molto pesanti. Così come anticipato oggi (mercoledì 23 marzo) dal segretario generale, Jens Stoltenberg, nel corso della conferenza stampa pre-vertice, i leader NATO riuniti domani a Bruxelles dovranno decidere se e come rafforzare il fianco orientale dell’Alleanza. “Si tratta di un nuovo dispiegamento di battaglioni in Ungheria, Bulgaria, Romania e Slovacchia, che porterà a otto il loro numero, compresi quelli già presenti nei Paesi baltici e in Polonia”, ha specificato Stoltenberg.
    Il rafforzamento del fianco orientale “per terra, aria e mare” della NATO in realtà è già iniziato informalmente con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, considerato il fatto che “abbiamo risposto in modo unitario e rapido per difendere tutti gli alleati” e questo, in termini pratici, si è tradotto nella preparazione di “più di un centinaio di migliaia di militari in Europa“. Nello specifico, “sono in stato di allerta cinque carrier strike group [gruppi di attacco di portaerei, ndr] nel Mare del Nord e nel Mediterraneo”. Stoltenberg ha voluto precisare che “dobbiamo affrontare una nuova era di sicurezza globale” e questo comporta una “riorganizzazione della difesa sul lungo termine, con nuovi investimenti” per la sicurezza dell’Europa: “La pace non può più essere data per scontata”, ha sottolineato con forza.
    Sul tavolo delle discussioni dei leader NATO domani ci sarà anche il tema del sostegno all’Ucraina nella resistenza contro la Russia. “Abbiamo fornito sistemi di difesa, armi, munizioni e sostegno finanziario, ora bisogna considerare se si può fare di più”, ha spiegato Stoltenberg ai giornalisti, mettendo in chiaro che “potrebbe servire un supporto addizionale per la protezione da minacce nucleari, batteriologiche e chimiche“, che potrebbero essere messe in atto dall’esercito di occupazione. “L’uso di questo tipo di armi cambierebbe la natura del conflitto e avrebbe enormi conseguenze”, ha avvertito il segretario generale dell’Alleanza. Nonostante il supporto (quasi) incondizionato all’Ucraina – che “sta mettendo in pratica con forza e coraggio l’addestramento ricevuto dal 2014 a oggi” – Stoltenberg ha voluto sgombrare il campo da ogni dubbio: “L’ingresso dell’Ucraina nella NATO non è in agenda“.
    Un ultimo punto riguarderà invece gli appelli internazionali dei leader NATO per la ricerca di una via diplomatica alla risoluzione del conflitto tra Russia e Ucraina. Il primo interlocutore è Pechino: “Siamo preoccupati che la Cina possa sostenere Mosca militarmente, dopo aver dato supporto politico, con la disinformazione e mettendo in discussione la possibilità dell’Ucraina di prendere decisioni sovrane sulla sua sicurezza”. Dall’Alleanza potrebbe arrivare un appello alla “responsabilità della Cina in quanto membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e a supporto degli sforzi per raggiungere il dialogo e la pace”. In ultima battuta, un duro monito alla Bielorussia di Alexander Lukasehenko, su cui iniziano a intensificarsi i timori che possa intervenire direttamente con l’esercito nella guerra in Ucraina: “Chiederemo a Minsk di mettere fine alla sua complicità, che dal primo giorno ha messo a disposizione il suo territorio per mobilitare le truppe russe d’occupazione verso Kiev”, ha puntato il dito Stoltenberg.

    Nell’incontro dei capi di Stato e di governo dell’Alleanza dovrà essere presa la decisione su un nuovo dispiegamento di battaglioni in Ungheria, Bulgaria, Romania e Slovacchia. Ma gli alleati sono “preoccupati che Pechino possa supportare Mosca militarmente”

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    Unione Europea, oscar come attore non protagonista

    In questo contesto drammaticamente difficile e spietato si leggono i nomi degli attori che possono porsi come intermediari nel conflitto tra Russia ed Ucraina: gli Stati Uniti, la Cina, la Turchia e… l’Unione Europea?
    La posizione dei paesi dell’Unione Europea
    Sia chiaro, è ben noto che l’UE, attraverso i suoi leader nazionali, si muove verso la direzione diplomatica, ma è qui, paradossalmente, che il suo limite si evidenzia e si rende visibile.
    Prendiamo come esempio i casi più rappresentativi.
    Il premier francese Emmanuel Macron, che con il suo partito “En Marche” ha più volte espresso il desiderio e la visione di un’Unione Europea salda e compatta, ha avuto colloqui privati con Vladimir Putin.
    Essere risolutore della controversia potrebbe portare un enorme consenso che, con ogni probabilità, può tradursi in un risultato elettorale favorevole in vista delle prossime elezioni presidenziali che si terranno ad aprile nel Paese d’Oltralpe e che porranno l’attenzione dei “cugini” ad un bivio riguardo la percezione della Francia nel mondo.
    Infatti, probabilmente, il presidente in carica si troverà al ballottaggio contro il presidente del Rassemblement National,  Marine Le Pen, che più volte si è espressa, se non favorevole al regime russo, critica nei confronti dell’unità europea.
    Da più fronti si è fatta avanti la proposta di porre l’ex cancelliera tedesca, Angela Merkel, per mediare con il presidente russo, in virtù delle sue qualità e competenze.
    Tuttavia è necessario far notare che per quanto credibile, l’ex leader dell’Unione Cristiana Democratica è, ad oggi, “in pensione” e il suo partito non è più al governo del suo paese.
    In Germania infatti, dopo i risultati elettorali, vede l’SPD, i Liberali e i Verdi come forza di maggioranza e il CDU all’opposizione.
    Per cui, pur non potendo fare un bilancio negativo della figura politica e amministrativa rappresentata dalla Merkel alla guida della “locomotiva d’Europa”, viene spontaneo chiedere e chiedersi: possibile che non vi sia nessun rappresentante istituzionale europeo, ad oggi in carica, in grado di rappresentare l’Unione e la sua posizione in questo momento delicato?
    Risulta davvero necessario lasciare il passo ad Erdogan, Xi Jinping o Biden?
    Ultimo, e per certi versi più doloroso, capitolo riguarda il ruolo italiano.
    L’Italia sta gradualmente vivendo un periodo di ridimensionamento nello scenario internazionale, senza prolungarsi nell’annoso discorso riguardante i nostri vicini, Albania e Libia in primis, nei quali sono sempre meno presenti posizioni solide di interesse nazionale, i suoi rapporti con l’orso russo sembrano deteriorati, Pratica di Mare è lontana.
    Il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, pubblicamente viene sbeffeggiato dagli organi della Federazione e dichiara in una nota trasmissione televisiva che:
    “Tra un cane e Putin, quello atroce è il secondo”.
    Non è necessario essere Bismark o Cavour per comprendere che in situazioni delicate la forma e la sostanza spesso coincidono e che la cautela è un prerequisito fondamentale in diplomazia.
    Il premier Draghi dal canto suo cerca di porsi in una condizione intermedia, facendo i conti con la realtà.
    Le sanzioni, per quanto stringenti, potrebbero non bastare in un’ottica di organizzazione comunitaria.
    Se, da un lato il mercato europeo è appetibile per Mosca e inevitabilmente esiste una perdita nel paese, dall’altro è bene far notare che non è l’unico interlocutore commerciale e per certi versi le misure stringenti adottate si avvertono anche in Europa che vede aumentare i prezzi di beni di consumo come il grano e i costi dell’energia.
    Il costo della vita aumenta mentre, in Italia, gli stipendi restano stabili, certo, la condizione non è figlia esclusivamente del conflitto, ma è bene far notare come le tensioni sociali si rendono sempre più evidenti.
    Attraverso questa breve e sommaria analisi infatti è possibile riassumere che i singoli Paesi siano attenti al conflitto, limitandone, per quanto possibile, ulteriori eventi catastrofici e facendosi largo procedendo verso la strada diplomatica, la migliore auspicabilmente.
    L’Unione Europea necessita di perseguire i propri interessi e la sua politica estera comune
    Una politica estera comune per sopravvivere al contesto globale
    Tuttavia viene a mancare la direzione unitaria dell’attore europeo, che risulta essere carente, in questo contesto, di una dimensione politica e strategica comune e unitaria.
    Risulta possibile dunque evidenziare, per certi versi, dei limiti dell’Unione nel contesto internazionale?
    Un attore internazionale che è primario in termini di diritti, di welfare nei confronti dei suoi, purtroppo pochi, cittadini, e che è unito da cultura, storia e trattati, per quanto tempo ancora può non avere rilevanza a favore di vere e proprie autocrazie?
    Siamo ben lontani dai falsi miti del “fardello dell’uomo bianco” o da altre narrazioni etnocentriche che pongono l’Occidente, in questo caso declinato nel contesto europeo, come guida ispirata ed illuminata del mondo, ma non possiamo sottovalutare i rischi che si rendono sempre più evidenti.
    Ora è necessario distinguere i due criteri di “potenza” degli attori in gioco: l’hard e il soft power.
    L’hard power russo, cinese, pakistano, è noto, come lo è il deterrente che inevitabilmente si crea quando il proprio interlocutore è una potenza nucleare.
    Tuttavia non è possibile sottovalutare anche il soft power, ovvero quelli elementi culturali, sociali, che vengono perpetrati attraverso metodi comunicativi e mediatici, basti pensare a Russia Today o Sputnik e la propaganda filo-cinese, specialmente durante la prima fase pandemica.
    Interessi strategici, economici, militari, ma anche sistemici di valori, che l’UE non può abbandonare se l’intenzione è sopravvivere.
    In ottica “coloniale” abbiamo visto come Pechino si espande in Africa, nel Mediterraneo e ponendosi sempre più come traino asiatico; altri attori emergono sempre più; l’Occidente sembra diviso tra Stati Uniti che, gradualmente “tornano a casa” e un’Europa ancora in formazione, non compatta e immatura.
    Lo scenario che si prospetta è verosimilmente, diversamente a quanto vissuto negli ultimi 80 anni, multipolare, ed esiste la forte necessità di un’Unione Europea unita, stabile e salda, non frammentata in Stati che si renderanno sempre più marginali.
    L’Occidente europeo saprà rinnovarsi e sciogliere i nodi rappresentati dalle sfide future?

    Questo contributo è stato pubblicato nell’ambito di “Parliamo di Europa”, un progetto lanciato da
    Eunews per dare spazio, senza pregiudizi, a tutti i suoi lettori e non necessariamente riflette la
    linea editoriale della testata.

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    L’Unione Europea chiede alla Cina di premere sulla Russia per mettere fine all’aggressione dell’Ucraina

    Bruxelles – Il sonno del gigante cinese inizia a essere sempre più disturbato. Negli 11 giorni di invasione russa dell’Ucraina, Pechino è il vero jolly che ancora nessuno è riuscito a giocarsi per indirizzare in un verso o nell’altro la guerra voluta da Vladimir Putin. Né Mosca, per avere quel supporto necessario per affrontare le sanzioni e il boicottaggio delle aziende di quasi tutto il mondo, né le potenze occidentali per isolare definitivamente il Cremlino e metterlo in ginocchio. Oggi però l’UE ha fatto un passo in avanti e ha chiesto apertamente alla Cina di fare pressione sulla Russia per mettere fine all’aggressione in Ucraina.
    “L’alto rappresentante Josep Borrell è in contatto con la controparte cinese perché prema per fermare questo attacco senza precedenti contro l’integrità territoriale di uno Stato”, ha spiegato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Peter Stano, nel corso del punto quotidiano con la stampa. “L’UE sta chiedendo alla Cina di usare la propria influenza per raggiungere un cessate il fuoco e porre fine ai bombardamenti brutali della Russia”, ha aggiunto Stano, sottolineando che la potenza orientale “ha il potenziale per raggiungere Mosca grazie alle sue relazioni bilaterali“. Il portavoce del SEAE ha fatto notare che “la Cina non era tra i cinque Paesi che si sono opposti alla risoluzione votata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite” e “questa è una ragione per aumentare il nostro impegno per fare in modo che diventi partner della comunità internazionale che spinge per la fine della guerra in Ucraina”.
    Per l’appunto, la Cina è stata tra i 35 Paesi che si sono astenuti al voto di mercoledì scorso (2 marzo) sulla risoluzione di condanna all’aggressione dell’Ucraina, insieme a India ed Emirati Arabi Uniti. Una dimostrazione che – a differenza di quanto previsto dal Cremlino – gli alleati di Putin iniziano a scarseggiare e non hanno interessi a sostenerlo esplicitamente. Solo un mese fa Xi Jinping e Vladimir Putin avevano condannato l’espansionismo verso Est della NATO e si erano promessi “amicizia senza limiti”. Ma la guerra di Putin – che non sembra più essere ‘lampo’ come prospettato dall’autocrate russo e che ha evocato anche lo spettro dell’arma nucleare – sta diventando un ostacolo per il presidente cinese. Da un turbamento dell’economia globale e da un nuovo periodo di recessione, Pechino non ha molto da guadagnarci. È per questo motivo che la Cina potrebbe lasciarsi convincere dall’UE a esporsi maggiormente e prendere un’iniziativa diplomatica per risolvere la crisi scatenata dalla Russia.
    Questo significherebbe però mettere parzialmente in discussione l’alleanza con la Russia e, soprattutto, non trarre tutti i benefici che potrebbero derivare da un indebolimento dell’Occidente impegnato in Ucraina. Se l’esercito di Putin si dovesse impantanare in Ucraina e le potenze occidentali impegnarsi ancora più a lungo a sostegno di Kiev, senza alcuno sforzo la Cina di Xi Jinping potrebbe godere di un parziale cambio di rotta in politica estera da parte degli Stati Uniti (sempre più distratti dal Pacifico) e di un’Europa che non può ripartire con slancio dopo due anni di crisi scatenata dalla pandemia COVID-19. Ma anche di una Russia impoverita e isolata a livello internazionale, che diventerebbe facilmente un satellite di Pechino, unico interlocutore in materia di politica estera, economica ed energetica. Il tempo delle scelte sta però svegliando la potenza cinese, che rischia di trovarsi ora davanti a un bivio da cui difficilmente si può tornare indietro.

    Pechino “ha il potenziale per raggiungere Mosca grazie alle sue relazioni bilaterali”, ha spiegato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Peter Stano. Bruxelles vuole che Xi Jinping “usi tutta la sua influenza”