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    L’Ue piange Michail Gorbačëv, ultimo presidente dell’Urss: “Ha svolto un ruolo cruciale nel porre fine alla Guerra Fredda”

    Bruxelles – Il politico che con le sue scelte ha consegnato l’Unione Sovietica alla storia, un uomo che “ha aperto la strada a un’Europa libera“. Arriva da Bruxelles il cordoglio dei leader Ue per la morte di Michail Gorbačëv, l’ultimo presidente dell’Urss, venuto a mancare ieri sera (martedì 30 agosto) all’età di 91 anni. “Era un leader fidato e rispettato”, ha scritto nel suo tweet la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen: “Ha svolto un ruolo cruciale nel porre fine alla Guerra Fredda e nell’abbattere la cortina di ferro, è un’eredità che non dimenticheremo”. Di eredità ha parlato anche il numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel (“Un uomo che ha dedicato la sua vita al servizio pubblico con un profondo impegno per la pace e la libertà“), e la leader dell’Eurocamera, Roberta Metsola, ricordando l’incontro “nella tempestosa Malta” del 1989 con George Bush senior “per sancire la fine della Guerra Fredda”. Un summit che “ha ispirato la speranza di un mondo migliore e più libero”, con “l’abbattimento di muri e la riunificazione dell’Europa“.

    My lasting memory of Mikhail Gorbachev is watching him meet George HW Bush in stormy Malta to signal the end of the Cold War.
    It inspired hope of a better, freer world. It meant walls torn down & led to Europe’s reunification.
    His legacy will be remembered.May he rest in peace pic.twitter.com/wTjNUUrCRw
    — Roberta Metsola (@EP_President) August 30, 2022

    Gorbačëv nacque il 2 marzo 1931 a Privolnoye, nel Caucaso del Nord. Studiò legge all’Università Statale di Mosca e, dopo essersi laureato a pieni voti, decise di intraprendere la carriera politica, entrando nel Komsomol (l’Unione della Gioventù Comunista Leninista). Scalò velocemente i ranghi amministrativi della regione di Stavropol e a 39 anni era già a capo della sezione locale del partito. Nei dieci anni successivi si guadagnò la stima del presidente dell’Urss, Leonid Bréžnev, e nel 1978 fu nominato segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista. Dopo la morte di Bréžnev quattro anni più tardi, si alternarono Jurij Andropov e Konstantin Černenko, restando in carica solo per pochi mesi ciascuno: nel 1985 il Politburo (il Comitato centrale ristretto) appoggiò la proposta dell’allora ministro degli Esteri, Andrej Gromyko, e nominò all’unanimità Gorbačëv presidente dell’Unione Sovietica. Fu il leader più giovane della storia dell’Urss, eletto a 54 anni.
    Dopo un ventennio di immobilismo politico che aveva messo in ginocchio la spinta verso la crescita dell’economia della Federazione, le tensioni interne nelle Repubbliche Socialiste iniziarono a rendersi sempre più manifeste, con la richiesta di maggiore autonomia o d’indipendenza. La riposta di Gorbačëv alla crisi dell’Urss fu un piano strutturale basato su tre concetti: glasnost (trasparenza sui problemi da risolvere e maggiore libertà d’espressione), perestrojka (riforme economiche per modernizzare il sistema sovietico con alcuni elementi dell’economia di mercato) e uskorenie (accelerazione della produzione per non perdere terreno sul blocco occidentale). Ma la glasnost e la perestrojka ebbero effetti collaterali inaspettati per il sistema sovietico, dal momento in cui la maggiore libertà d’espressione aumentò la spinta indipendentista di alcune Repubbliche Socialiste, mentre le riforme economiche rimasero a metà via tra un sistema di economia pianificata e di mercato. Fu così che tra il 1990 e il 1991 la Georgia e i Baltici dichiararono la propria sovranità, mentre a Mosca si consumò l’ultimo tentativo dei vertici sovietici di mantenere il potere, con il colpo di stato fallito nell’agosto 1991 (per l’opposizione popolare e il mancato appoggio dell’esercito). Ne derivò la fine politica di Gorbačëv e l’accelerazione del processo di disgregazione dell’Urss, con la stabilizzazione del potere del presidente della Federazione Russa, Borís Él’cin.

    Mikhail Gorbachev in Pizza Hut commercial, 1997. pic.twitter.com/lzDpNYn9Zs
    — Soviet Visuals (@sovietvisuals) August 31, 2022

    “Michail Gorbačëv ha portato con glasnost e perestrojka un vento di libertà nel blocco sovietico”, ha commentato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ricordando il suo contributo a “cambiare radicalmente la sicurezza globale, inaugurando un’era di cooperazione reciprocamente vantaggiosa”. Il richiamo al presente e ai rapporti tra Bruxelles e Mosca è evidente: “Un’era che è svanita e di cui c’è urgente bisogno di nuovo“, ha esortato l’alto rappresentante Ue. Anche il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, ha posto l’accento sul fatto che Gorbačëv “ha cambiato la Storia”, perché “osannato, poi sconfitto e oggi in patria deriso, con le sue riforme ha accompagnato il crollo delle dittature comuniste e ha acceso la speranza di democrazia in Russia e di disarmo nel mondo“. Una speranza “che deve tornare”, ha aggiunto Gentiloni. “Della sua eredità politica si discuterà ancora molto, la guerra di aggressione di Putin ci ha mostrato che c’è da fare ancora moltissimo per la convivenza fra i popoli e per un’Europa di pace”, gli ha fatto eco il capo-delegazione del Partito Democratico al Parlamento Ue, Brando Benifei.

    È morto Mikhail #Gorbacev, l’ultimo Presidente dell’URSS e Premio Nobel. Della sua eredità politica si discuterà ancora molto, la guerra di aggressione di #Putin ci ha mostrato che c’è da fare ancora moltissimo per la convivenza fra i popoli e per un’#Europa di pace. pic.twitter.com/1x8JJnDOl6
    — Brando Benifei (@brandobenifei) August 30, 2022

    Si è spento a 91 anni uno dei leader più influenti del Novecento, le cui politiche contribuirono alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Il cordoglio dei leader dell’Unione: “Ha aperto la strada a un’Europa libera, è un’eredità che non dimenticheremo”

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    L’Ue celebra il Giorno dell’Indipendenza dell’Ucraina e della “lotta per difendere i valori e principi europei”

    Bruxelles – Una bandiera di 30 metri giallo-blu, per unire Kiev all’Unione Europea nel Giorno dell’Indipendenza dell’Ucraina. A presenziare alla cerimonia alla Grand-Place di Bruxelles, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, vestita con la camicia blu e la giacca gialla – i colori nazionali ucraini – che già aveva indossato in occasione dell’annuncio sul parere favorevole per la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue. In occasione del 24 agosto, festività nazionale ucraina che commemora la dichiarazione di indipendenza dall’Unione Sovietica del 1991, le istituzioni comunitarie hanno fatto sentire la propria vicinanza a Kiev, impegnata in una nuova lotta per la sovranità contro la Russia – questa volta non sovietica, ma del regime di Putin.
    La sede della Commissione Europea a Bruxelles illuminata con i colori della bandiera dell’Ucraina
    “State combattendo per difendere la vostra sovranità e per proteggere la vostra libertà di fronte a un’aggressione, noi non potremo mai eguagliare i sacrifici che fate ogni giorno, ma possiamo e saremo al vostro fianco“, è stato il messaggio inviato dalla stessa presidente von der Leyen al popolo ucraino prima della sua partecipazione alla manifestazione. L’Ue ha dimostrato questo impegno “fin dall’inizio” attraverso sostegno economico, militare e umanitario: “Sosteniamo i vostri coraggiosi soldati in prima linea, i vostri funzionari e la società civile sul fronte interno”, ma anche attraverso l’accoglienza delle famiglie “che hanno cercato rifugio” nell’Unione e degli “oltre 3 milioni di bambini ucraini” nelle scuole europee. La promessa – che ricalca quella fatta a maggio al Parlamento Ue e all’impegno in sede G7 della Germania di Olaf Scholz annunciato ieri (martedì 23 agosto) al summit della Piattaforma per la Crimea – è di “ricostruire le vostre città, mattone dopo mattone, e ripiantare i vostri campi, seme per seme“, all’interno di una prospettiva che vede Ucraina e Unione Europea “insieme”.
    Tutte le istituzioni comunitarie si sono illuminate di giallo e blu per il Giorno dell’Indipendenza dell’Ucraina e un messaggio di sostegno è arrivato da ciascun presidente. “State combattendo per difendere la vostra patria e il futuro del vostro Paese, ma anche per difendere i nostri valori e i principi europei“, ha dichiarato il numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel. È per questo motivo che “il vostro futuro è il nostro futuro comune” e l’Unione è pronta a “sostenervi il più possibile per proteggere la vostra indipendenza, la vostra sovranità e la vostra integrità territoriale”. La presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, ha sottolineato che “il significato del Giorno dell’Indipendenza di quest’anno è più che mai convincente”, perché i cittadini dell’Ucraina “combattono per le loro vite, le loro famiglie, il loro Paese, i loro valori, le loro scelte e la loro libertà. Per la loro indipendenza”. Con l’hashtag #StandWithUkraine, lanciato dall’Eurocamera e dalla Verkhovna Rada (il Parlamento ucraino), la presidente Metsola ha assicurato che “il nostro sostegno non si fermerà qui” e andrà avanti “per tutto il tempo necessario”, come le ha fatto eco Michel.

    The significance of this year’s 🇺🇦 Independence Day is more compelling than ever before.
    Strong & brave Ukrainians fighting for their lives, families, country, values, choices & freedom.
    For their independence.
    🇪🇺 will always #StandWithUkraine. Our support will not stop here. pic.twitter.com/QLy2H44s1H
    — Roberta Metsola (@EP_President) August 24, 2022

    In occasione del 24 agosto le istituzioni comunitarie hanno inviato un messaggio di supporto alla difesa di Kiev dall’invasione russa. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, presente alla cerimonia alla Grand-Place di Bruxelles con una bandiera giallo-blu di 30 metri

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    Suona l’allarme a Bruxelles per i bombardamenti vicini alla centrale nucleare di Zaporizhzia, occupata dall’esercito russo

    Bruxelles – Dopo cinque mesi ritorna la paura per incidenti nucleari in Europa. Era il 4 marzo quando l’esercito russo attaccava la centrale nucleare di Zaporizhzhia, scatenando un incendio negli edifici secondari della struttura, e con l’intensificarsi delle operazioni militari nel sud-est dell’Ucraina nelle ultime settimane, l’impianto è tornato pericolosamente al centro del conflitto.
    “Le notizie di bombardamenti sono allarmanti, la sua sicurezza è fonte di massima preoccupazione”, ha scritto in un tweet il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, commentando la discussione sulla situazione nella centrale nucleare più grande d’Europa durante la telefonata di ieri (domenica 7 agosto) con il numero uno ucraino, Volodymyr Zelensky. Lo stesso presidente ucraino ha chiesto una risposta “più forte” da parte della comunità internazionale al “terrore nucleare russo”, ovvero “sanzioni sull’industria e sul combustibile nucleare” del Cremlino, in linea con quanto ventilato nel corso dell’ultima riunione dei ministri dell’Energia del G7. Tra gli altri temi al centro della conversazione tra Bruxelles e Kiev anche l’avvio dell’esportazione di grano via mare, il pacchetto di assistenza macrofinanziaria e “tutti gli aspetti del sostegno politico, militare, economico, finanziario e umanitario dell’Ue all’Ucraina”, ha reso noto il presidente Michel.

    In today’s call @ZelenskyyUa informed me on the the latest developments on the ground.
    Discussed also the situation at the Zaporizhzia nuclear power plant, Europe’s largest; reports of shelling are alarming; its safety is of the highest concern. (1/2)
    — Charles Michel (@CharlesMichel) August 7, 2022

    Ma è sempre la questione della centrale nucleare di Zaporizhzhia a destare le maggiori preoccupazioni sul fronte di guerra meridionale in Ucraina. Kiev e Mosca si rimbalzano le responsabilità della sempre più fragile sicurezza dell’impianto, con il governo ucraino che accusa l’esercito russo di averlo trasformato in una base militare da cui partono attacchi missilistici, mentre la Russia punta il dito contro le forze ucraine, denunciando attacchi con droni alla struttura. Secondo il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Rafael Grossi, la situazione sarebbe “completamente fuori controllo”, dal momento in cui “tutti i principi di sicurezza nucleare sono stati violati in un modo o nell’altro“.
    Alla luce di queste parole un team di esperti della stessa Agenzia internazionale per l’energia atomica ha condotto delle valutazioni preliminari sulla centrale nucleare ucraina, definendo “stabile” lo scenario dal punto di vista della sicurezza e confermando che “non c’è una minaccia immediata”. Tuttavia, secondo quanto si legge nei risultati preliminari della valutazione resi noti su Twitter, “diversi dei sette pilastri sono stati violati”. È per questo motivo che da più parti si alzano voci per garantire l’accesso all’impianto di Zaporizhzhia per gli ispettori internazionali. Dopo la richiesta arrivata dallo stesso direttore generale Grossi, è stato il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, a esortare i due belligeranti a collaborare per garantire la sicurezza dell’impianto: “Qualsiasi attacco a una centrale nucleare è un suicidio“, ha dichiarato dopo aver partecipato alla cerimonia di commemorazione della pace di Hiroshima per il 77esimo anniversario del primo bombardamento atomico al mondo.
    Zaporizhzhia è la più grande delle quattro centrali nucleari attive in Ucraina e produce un quinto di tutta l’elettricità necessaria al Paese, con sei reattori – di cui due attualmente attivi – che a pieno regime possono erogare una potenza totale di 5.700 megawatt. L’impianto si trova sul fiume Dnepr (a circa 550 chilometri dalla capitale) e dall’inizio dell’occupazione da parte dell’esercito russo a marzo i lavoratori ucraini della centrale convivono con le truppe occupanti. Secondo il governo di Kiev l’obiettivo del Cremlino sarebbe quello di staccare la centrale dalla rete elettrica ucraina, in modo da fornire energia solo ai territori controllati dall’esercito russo nella parte orientale e meridionale del Paese. Sempre secondo le informazioni ucraine, in questi cinque mesi gli occupanti avrebbero minato la sponda del fiume Dnepr e trasformato alcune parti delle centrale in una base militare, portando al suo interno mezzi blindati, artiglieria e lanciarazzi: da lì sarebbero partiti anche attacchi al territorio dell’Ucraina. Nella controffensiva dell’esercito di Kiev nei territori occupati da Mosca la centrale di Zaporizhzhia potrebbe ora svolgere un ruolo cruciale per la difesa russa, anche a costo di mettere in conto rischi di incidenti o disastri nucleari.

    In una telefonata con il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, il numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel, ha espresso “massima preoccupazione” per la sicurezza dell’impianto. Kiev chiede alla comunità internazionale sanzioni su industria e combustibile nucleare del Cremlino

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    L’UE “scioccata” per l’attentato all’ex-primo ministro giapponese Shinzo Abe: è in condizioni critiche

    Bruxelles – Il mondo travolto dallo shock per le condizioni disperate di Shinzo Abe. L’ex-premier del Giappone (in carica dal 2012 al 2020) è stato gravemente ferito in un attentato nella città di Nara, dove stava tenendo un discorso per la campagna elettorale in vista delle imminenti elezioni locali. A sparare sarebbe stato un uomo di circa 40 anni residente a Nara, come riporta la televisione nazionale giapponese NHK.
    “Sono scioccato e rattristato dal vile attacco a Shinzo Abe, mentre svolgeva le sue mansioni professionali”, ha commentato attraverso un tweet il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, definendo l’ex-premier giapponese “un vero amico, strenuo difensore dell’ordine multilaterale e dei valori democratici”. Dopo il viaggio di due mesi fa a Tokyo con la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, il leader del Consiglio ha voluto esprimere la vicinanza dell’Unione al popolo giapponese e all’attuale premier, Fumio Kishida, “in questi tempi difficili”. A stretto giro sono arrivate le “profonde condoglianze” da parte della presidente von der Leyen: “Caro Shinzo Abe, rimani forte“, ha scritto su Twitter, rivolgendo “i nostri pensieri e le nostre preghiere alla tua famiglia e al popolo giapponese”. Anche l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si è detto “profondamente scioccato” dall’attacco e ha ribadito la “piena solidarietà dell’Unione Europea con il Giappone in questi momenti dolorosi”.

    Dear @AbeShinzo, stay strong!
    Our thoughts and prayers are with your family and the people of Japan. pic.twitter.com/WRQTTv7jX2
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) July 8, 2022

    Verso le ore 11.30 locali (le 4.30 italiane) l’ex-premier Shinzo Abe aveva iniziato da circa un minuto il suo intervento elettorale nella città vicina a Kyoto e Osaka, quando è stato colpito alla schiena a pochi metri di distanza da almeno due spari di arma da fuoco. Si è subito accasciato al suolo sanguinante, con i paramedici che lo hanno circondato per prestargli i primi soccorsi, mentre le forze dell’ordine hanno bloccato il tentativo di fuga dell’attentatore e hanno sequestrato l’arma che, come emerge dalle immagini diffuse sui social media, è una grossa pistola artigianale. All’emittente nazionale NHK l’Agenzia per la gestione degli incendi e dei disastri (FDMA) ha confermato che l’ex-premier ha una ferita da proiettile sulla parte destra del collo e un’emorragia sottocutanea sotto la parte sinistra del petto. L’ex-governatore di Tokyo, Yoichi Masuzoe, ha fatto sapere in un tweet che – dopo essere stato traportato in ospedale in stato “cosciente e reattivo” – Shinzo Abe si trova ora in uno “stato di arresto cardiopolmonare“, termine spesso utilizzato in Giappone prima di dare conferma ufficiale di morte.
    (in aggiornamento)

    Colpito da due spari di arma da fuoco mentre teneva un discorso nella città di Nara, Shinzo Abe è in uno stato di arresto cardiopolmonare. Il presidente del Consiglio UE, Charles Michel: “Vile attacco a un vero amico, strenuo difensore dell’ordine multilaterale e dei valori democratici”

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    I giorni caldi di Skopje. La Macedonia del Nord di fronte alla proposta aggiornata per lo sblocco dei negoziati adesione UE

    Bruxelles – Siamo entrati nella settimana più calda a Skopje, in cui potrebbero essere decise le sorti di una nazione. Dopo aver rispedito al mittente quella che anche a Eunews avevamo definito una proposta irricevibile, il governo e il Parlamento della Macedonia del Nord stanno vagliando la nuova versione della mediazione francese per sbloccare lo stallo sull’avvio dei negoziati di adesione all’UE (causato dal veto della Bulgaria per questioni bilaterali di natura puramente identitaria). Preso tra i due fuochi delle proteste dell’opposizione nazionalista – che vuole rifiutare anche l’ultimo tentativo di compromesso – e delle pressioni di Bruxelles e di Tirana – a causa del legame imposto all’Albania nel dossier di adesione – l’esecutivo guidato da Dimitar Kovačevski sta valutando attentamente gli sviluppi, sempre più propenso ad accettare l’offerta di Parigi.
    Per sgombrare il campo dagli ultimi dubbi, a Skopje è volato oggi (martedì 5 luglio) il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, dopo il viaggio di sole tre settimane fa. “Avete l’occasione di decidere del vostro futuro, con questa proposta siamo al punto di svolta per il processo di adesione all’UE, con un compromesso che risponde alle vostre preoccupazioni”, ha voluto sottolineare nel corso della conferenza stampa congiunta con il premier della Macedonia del Nord. “Se dite di sì, la prima conferenza intergovernativa sarà convocata nei prossimi giorni e poi procederemo spediti”, ha aggiunto Michel. Secondo quanto hanno fatto sapere entrambi i politici, la proposta francese aggiornata tiene conto di “tutte le preoccupazioni” di Skopje, in particolare sul riconoscimento della lingua macedone al pari di tutte le altre in uso nel Paesi membri dell’Unione. Inoltre, le questioni storiche, culturali e di istruzione (quelle che fanno parte della contesta identitaria con la Bulgaria) non dovrebbero entrare nel quadro dei negoziati a livello UE e dovranno essere trattate a parte tra i due Paesi. “La proposta in discussone in questi giorni include le nostre osservazioni e le opinioni da noi chiaramente espresse“, ha confermato esplicitamente il primo ministro del Paese balcanico: “Stiamo proteggendo l’interesse pubblico e l’identità nazionale macedone, per raggiungere il nostro obiettivo strategico, che è la piena adesione all’UE”.
    “È una vostra decisione sovrana, ma anche un’opportunità storica, troppo importante da lasciarsi sfuggire”, ha incalzato Michel a Skopje, ribadendo con fermezza che “mi schiererò sempre per il rispetto dei diritti dei macedoni, attraverso un dialogo costruttivo“. Questo impegno dichiarato riguarda, appunto, “anche il riconoscimento della vostra lingua e delle vostre legittime preoccupazioni sull’identità nazionale, che devono rispettare le relazioni di buon vicinato”. Il richiamo alla Bulgaria è implicito, ma non per questo di secondaria importanza: “Se introdurrete gli emendamenti costituzionali per il rispetto di tutte le minoranze, dimostrerete alti standard di impegno e noi automaticamente inizieremmo i negoziati di adesione”, che “non potranno mai essere minati da questioni non legittime da un punto di vista dei valori europei“. In altre parole, “il processo di allargamento dell’Unione procederà senza trappole”, ha assicurato il numero uno del Consiglio.
    Il premier Kovačevski ha però avvertito che “spetta al Parlamento prendere una decisione definitiva” in merito alla proposta francese, che consenta l’avvio dei negoziati di adesione UE della Macedonia del Nord: “Solo a quel punto il governo potrà presentare ufficialmente la sua risposta all’Unione Europea”. Ammesso e non concesso che la maggioranza parlamentare darà il via libera alla proposta (anche se ormai sembra sempre più verosimile), come la teoria dell’eterno ritorno, non è da escludere che la nuova proposta aggiornata non susciterà obiezioni a Sofia, dove lo scorso 24 giugno il Parlamento aveva sì revocato il veto all’avvio dei negoziati di adesione UE della Macedonia del Nord, ma sulla base della prima versione della proposta di mediazione francese.

    You are deciding on your future. And on the pivotal next steps.
    North Macedonia belongs in the EU. Your future is with us.
    Together we are on the eve of a possible breakthrough in your country’s EU accession process.@DKovachevski @SPendarovski pic.twitter.com/XbbXUpWMWX
    — Charles Michel (@CharlesMichel) July 5, 2022

    Tra proteste e pressioni
    Quello che preoccupa però Skopje e Bruxelles è soprattutto l’ondata di proteste guidate dall’opposizione in Macedonia del Nord, che resta contraria a qualsiasi soluzione di compromesso che vada incontro anche a parte delle richieste identitarie della Bulgaria. L’ultima è andata in scena nella capitale macedone proprio durate i colloqui del presidente del Consiglio UE con la dirigenza politica del Paese: gli slogan dei gruppi nazionalisti hanno coinvolto non solo la disputa con Sofia, ma anche quella con la Grecia – “solo Macedonia, mai Macedonia del Nord” (in riferimento all’accordo di Prespa del 2018, sul cambio del nome del Paese per risolvere la questione identitaria decennale con Atene). Soprattutto per l’opposizione di VMRO-DPMNE (Partito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone) di ispirazione nazionalista-conservatrice, da Parigi è arrivato un “ultimatum inaccettabile” ispirato dalla Bulgaria: secondo il leader Hristijan Mickoski sarebbe “contrario agli interessi nazionali” e in linea con una volontà di favorire “l’assimilazione e la bulgarizzazione” della popolazione.
    Per il premier Kovačevski si tratta invece dell’ultima possibilità concreta per arrivare finalmente all’avvio dei negoziati di adesione all’UE. A maggior ragione se si considerano le pressioni che arrivano dall’altro Paese balcanico che fa parte del dossier sull’avvio dei negoziati UE, l’Albania del premier Edi Rama. “Si tratta di scelte, e questo è il momento di farne una, il mio istinto mi dice che sarebbe un grosso errore non accettare” la proposta francese, ha dichiarato nel corso di un’intervista alla TV macedone Kanal 5 – riportata da Albanian Daily News: “Sarebbe un grosso errore perché il Paese potrebbe essere lasciato indietro e nessuno avrebbe più la volontà di tornare indietro”. In ogni caso, se Skopje deciderà di rifiutare, Tirana spingerà per la prima volta per continuare separatamente, sostenuta in modo esplicito anche dall’Italia: “Abbiamo superato il punto in cui ci è negato di farlo, ma [i politici macedoni, ndr] devono accettare la proposta, perché non ce ne sarà un’altra, e rischiano di rimanere davanti alla porta dell’UE per altri 17 anni”, ha esortato il premier albanese. E al governo Kovačevski è arrivata una sponda proprio dalla minoranza etnica albanese in Macedonia del Nord, che sarebbe pronta ad appoggiare la maggioranza in Parlamento (nonostante il partito Alleanza per gli Albanesi sia seduto nei banchi dell’opposizione) per dare il via libera alla proposta francese, a patto che la lingua albanese sia inserita nella Costituzione nazionale.

    Mentre il governo di Dimitar Kovačevski è sotto pressione per le proteste guidate dall’opposizione, il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, è volato a Skopje per spingere il nuovo tentativo di mediazione sulla contesta con la Bulgaria (che ora considera le preoccupazioni macedoni)

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    I leader UE al lavoro sulla proposta della comunità politica europea. La palla nelle mani del presidente Charles Michel

    Bruxelles – Si mette in moto la macchina dell’Unione Europea sulle idee che circolano ormai da più di un mese nelle sedi delle istituzioni comunitarie. Nelle conclusioni del vertice dei leader UE ha trovato spazio anche la proposta della comunità politica europea, un tentativo di ridisegnare la politica di integrazione sul continente che superi l’attuale visione binaria dentro/fuori l’Unione.
    Il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, con la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e della Francia, Emmanuel Macron (di spalle)
    Durante la prima giornata di Consiglio Europeo (giovedì 23 giugno) i Ventisette hanno tenuto una “discussione strategica” su come far evolvere il rapporto con i partner in Europa, partendo da quanto avanzato dal presidente francese, Emmanuel Macron, all’evento conclusivo della Conferenza sul Futuro dell’Europa del 9 maggio scorso (in qualità di presidente di turno del Consiglio dell’UE). Si tratterebbe di “un’organizzazione che permetterà a nazioni europee democratiche che condividono gli stessi valori di trovare nuovo spazio di cooperazione politica, economica, energetica, di sicurezza, di trasporti, investimenti e infrastrutture, e di circolazione di persone”, aveva spiegato l’inquilino dell’Eliseo. E nel documento approvato questa notte dai Ventisette questa idea inizia a prendere corpo: l’obiettivo della comunità politica europea sarebbe quello di “offrire una piattaforma di coordinamento politico per i Paesi europei in tutto il continente“, in particolare con quelli con cui l’UE ha già “strette relazioni”.
    È evidente che sono profonde le implicazioni per il processo di allargamento che, come si è visto al vertice UE-Balcani Occidentali di ieri mattina a Bruxelles, sta rischiando di arrivare al capolinea per l’incapacità dell’Unione di rispettare le promesse fatte negli anni. Il presidente Macron aveva promesso che la creazione della comunità politica europea “aiuterà l’avvicinamento e lo faciliterà per chi vorrà proseguirlo, senza rendere obbligatoria l’adesione all’Unione” e proprio su queste basi sono arrivate le risposte positive di tutta la regione balcanica. Anche nel corso di una conferenza stampa particolarmente polemica, i tre leader dell’iniziativa Open Balkan – il premier albanese, Edi Rama, il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il premier macedone, Dimitar Kovačevski – si sono dimostrati tutti aperturisti su una proposta che “potrebbe essere l’unico modo per noi di essere ascoltati dai nostri colleghi dell’Unione”.
    Il quadro entro cui si dovrebbe iscrivere questa iniziativa “non sostituirà le politiche e gli strumenti dell’UE esistenti, in particolare l’allargamento“, specificano le conclusioni, “e rispetterà pienamente l’autonomia decisionale dell’Unione Europea”. Come fanno sapere fonti europee, la comunità politica europea si baserebbe su incontri regolari a livello di leader per creare uno spazio per le discussioni politiche e per contribuire alla “comprensione reciproca e a una cultura strategica comune”. A questo punto la palla passa nelle mani del presidente del Consiglio UE, Charles Michel, che sarà responsabile di portare avanti il progetto insieme alle presidenze di turno del Consiglio dell’UE, quella francese uscente e quella ceca in carica dal primo luglio. È proprio il presidente Michel il secondo maggiore sostenitore della proposta francese, che vorrebbe legare anche a una riforma del processo di adesione all’UE, che diventi “più rapido, graduale e reversibile”.

    Approdata in Consiglio l’idea del leader francese, Emmanuel Macron, di creare una piattaforma per promuovere il dialogo e la cooperazione “su questioni di interesse comune” con i Paesi europei “con i quali abbiamo strette relazioni”, attraverso incontri regolari tra leader

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    La carta dei principi per pace e stabilità in Bosnia ed Erzegovina: i leader del Paese siglano l’accordo di Bruxelles

    Bruxelles – Non si ferma l’iniziativa dell’Unione Europea nei Balcani Occidentali, in particolare quella del presidente del Consiglio UE, Charles Michel. Dopo essere volato a Sarajevo, Tirana e Belgrado tre settimane fa per cercare di spingere la proposta di una comunità geopolitica europea e di una riforma del processo di adesione all’UE, il numero uno del Consiglio si è fatto artefice ieri (domenica 12 giugno) dell’accordo di Bruxelles tra i leader dei partiti e delle istituzioni della Bosnia ed Erzegovina, per far uscire il Paese dalla crisi politico-istituzionale che rischia di avere ripercussioni in tutta la regione balcanica.
    L’incontro tra il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, e l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, con i leader dei partiti e delle istituzioni della Bosnia ed Erzegovina (12 giugno 2022)
    L’accordo politico patrocinato anche dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, è stato il frutto della riunione svoltasi nella sede del Consiglio con 11 leader della Bosnia ed Erzegovina, tra cui i membri della presidenza tripartita Željko Komšić (croato-bosniaco), Šefik Džaferović (bosniaco musulmano) e Milorad Dodik (servo-bosniaco). Proprio all’indirizzo di quest’ultimo sembra indirizzato il monito di “preservare e costruire uno Stato europeo funzionale pacifico, stabile, sovrano e indipendente“, che rispetti non solo gli Accordi di Dayton (siglati il 21 novembre del 1995 per mettere fine alla guerra in Bosnia e sancire la nascita di uno Stato composto dalle tre più consistenti componenti etniche del Paese), ma anche i principi fondanti dell’UE, come lo Stato di diritto, le elezioni libere e le istituzioni democratiche.
    In linea con le 14 priorità-chiave delineate dalla Commissione Europea per l’avvicinamento della Bosnia al conferimento dello status di Paese candidato all’adesione UE, l’accordo di Bruxelles ha definito 19 punti su cui è necessario un impegno da parte di tutti i leader partitici e politici in entrambe le entità territoriali (la Republika Srpska e la Federazione di Bosnia ed Erzegovina), per “rafforzare la fiducia, il dialogo, la costruzione di compromessi”. In questo senso va letto lo sforzo per organizzare in modo “efficiente e ordinato” le elezioni generali previste per l’autunno di quest’anno – il che significa anche una campagna elettorale “priva di retorica divisiva e di odio” – e per la successiva “rapida formazione” delle nuove autorità legislative ed esecutive a tutti i livelli di governo. Subito dopo dovrà essere intrapreso il “costruttivo” percorso di riforme, che in sei mesi dovrà adottare “con urgenza” la legge sul Consiglio superiore della magistratura, della procura e dei tribunali, la legge sulla prevenzione del conflitto di interessi e sugli appalti pubblici, oltre alle riforme elettorali e costituzionali necessarie per garantire la piena conformità con le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e alle misure necessarie perché Sarajevo possa beneficiare dei fondi UE nell’ambito dello Strumento di assistenza preadesione (IPA III).
    A proposito di riforme, i leader bosniaci dovranno garantire il pieno funzionamento delle istituzioni statali, a partire dai settori in cui le competenze sono condivise (e per cui proprio il secessionismo di Dodik sta minacciando la tenuta del tessuto sociale e istituzionale dall’autunno dello scorso anno). Per il rafforzamento dello Stato, è necessario un rafforzamento della prevenzione e della lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata – anche garantendo che le forze dell’ordine e la magistratura possano operare in modo indipendente – e un miglioramento del funzionamento della pubblica amministrazione. Nell’accordo di Bruxelles compare anche il riferimento all’estensione del mandato esecutivo dell’EUFOR Althea “per mantenere un ambiente sicuro e protetto”, considerate soprattutto le minacce di destabilizzazione della Russia in Bosnia ed Erzegovina in particolare e nella penisola balcanica in generale. Un richiamo non solo interno al Paese, ma anche di allineamento alla politica estera e di sicurezza comune dell’UE, visto che la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese balcanico, insieme alla Serbia, a non aver adottato le sanzioni internazionali contro Mosca dopo l’aggressione militare dell’Ucraina.

    L’intesa politica in 19 punti voluta da Charles Michel e Josep Borrell impegna tutti i partiti nazionali a preservare uno Stato “pacifico, stabile, sovrano e indipendente”, in linea con le 14 priorità-chiave dell’Unione Europea su Stato di diritto, elezioni libere e istituzioni democratiche

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    Alta tensione al Consiglio di Sicurezza ONU. Michel attacca Mosca sul grano, l’ambasciatore russo esce dalla sala

    Bruxelles – “Può lasciare la sala, forse è più facile non ascoltare la verità, signor ambasciatore”. È uno scambio tesissimo quello tra il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e l’ambasciatore russo presso le Nazioni Unite, Vasily Nebenzya, durante la riunione di ieri sera (lunedì 6 giugno) del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulla questione dell’invasione dell’Ucraina. Dopo un lungo intervento in cui l’ambasciatore Nebenzya ha negato qualsiasi responsabilità russa nel conflitto in corso – definendo sempre l’Ucraina come “il regime di Kiev” – il presidente del Consiglio UE lo ha attaccato su diversi fronti, dalle violenze sessuali e i crimini di guerra al blocco dei porti nel Mar Nero e il ricatto mondiale sul fronte alimentare. A metà del discorso, lo stesso ambasciatore russo presso l’ONU si è alzato per andarsene dalla stanza, incalzato dal biasimo di Michel.

    You may leave the room, maybe it’s easier not to listen to the truth, dear Ambassador #Nebenzia @RussiaUN@UN #SecurityCouncil #UNSC pic.twitter.com/aeb1OF4y6T
    — Charles Michel (@eucopresident) June 6, 2022

    L’episodio si è verificato mentre il leader del Consiglio Europeo spiegava l’approccio dei Ventisette alla questione della sicurezza alimentare e delle criticità del blocco delle esportazioni di grano e cereali dall’Ucraina: “Signor ambasciatore, siamo seri, il Cremlino sta usando le forniture alimentari come missili invisibili contro i Paesi in via di sviluppo, le drammatiche conseguenze della guerra russa si stanno riversando in tutto il mondo”. Tenendo fisso lo sguardo sull’ambasciatore Nebenzya, Michel ha ricordato che “la guerra sta facendo aumentare i prezzi dei prodotti alimentari, spingendo le persone nella povertà e destabilizzando intere regioni” e che “la Russia, solo la Russia, è l’unica responsabile di questa crisi alimentare”, nonostante la “campagna di menzogne e disinformazione”. Al contrario, da Bruxelles non sono mai arrivate sanzioni sul settore agricolo in Russia, “zero”, così come le misure restrittive sul settore dei trasporti “non vanno oltre i confini dell’UE”.
    Il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, alla sede delle Nazioni Unite a New York (6 giugno 2022)
    È a questo punto che l’ambasciatore russo presso l’ONU si è alzato per andarsene, anticipato dal presidente Michel: “Forse è più facile non ascoltare la verità“. I fatti, “come ho visto con i miei occhi qualche settimana fa a Odessa“, sono “milioni di tonnellate di grano e cereali rimasti bloccati a causa delle navi da guerra russe nel Mar Nero e dell’attacco alle infrastrutture di trasporto”, sono “i carri armati, le bombe e le mine russe che impediscono all’Ucraina di piantare e raccogliere”, sono “i furti nei depositi di grano nei territori occupati”. Cioè che l’ambasciatore Nebenzya non ha voluto sentire è anche che le sanzioni internazionali “non impediscono alle navi battenti bandiera russa di trasportare grano, cibo o fertilizzanti nei Paesi in via di sviluppo”, così come il fatto che i Ventisette stanno facendo “tutto il possibile per aiutare le esportazioni agricole dell’Ucraina” – con i corridoi di solidarietà e con la ricerca di soluzioni per riaprire rotte marittime nel Mar Nero – in collaborazione con l’Unione Africana, il G7 e il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres.
    Ma è tutto il contesto dell’invasione russa in Ucraina a essere nel mirino del presidente del Consiglio UE: “Il Cremlino può vietare e perseguire l’uso della parola ‘guerra’, ma questo non cambia la straziante realtà” di “migliaia di donne, bambini e uomini ucraini morti, atrocità, stupri, innumerevoli città bombardate fino a ridurle in macerie”. Questa è una “guerra barbara” condotta da un membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha sottolineato con forza Michel. È centrale la questione del conflitto che esce dal campo di battaglia ed entra nelle case dei civili, considerato in particolare l’uso della violenza sessuale come arma di guerra: “È un crimine di guerra, contro l’umanità, una tattica di tortura, terrore e repressione che deve essere perseguita senza impunità”, non ha usato mezzi termini il presidente del Consiglio UE. Anche per questo motivo, in collaborazione con UN Women, giovedì (9 giugno) sarà ospitata a Bruxelles la seconda conferenza Women in conflicts: “Daremo slancio e intensificheremo i nostri sforzi collettivi per affrontare seriamente questo problema critico”, ha concluso Michel il suo intervento. Con la sedia dell’ambasciatore russo ancora vuota.

    A metà dell’intervento del presidente del Consiglio Europeo, l’ambasciatore Vasily Nebenzya se n’è andato in polemica dalla riunione. “Può lasciare la stanza, forse è più facile non ascoltare la verità” a proposito di sicurezza alimentare e crimini di guerra del Cremlino in Ucraina