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    La Macedonia del Nord pronta per un nuovo governo. L’UE: “Zaev ha dato l’esempio, ora al lavoro con il successore”

    Bruxelles – Dopo un mese e mezzo di crisi di governo, la Macedonia del Nord è pronta per un nuovo esecutivo. Il primo ministro, Zoran Zaev, si è ufficialmente dimesso, inviando la lettera di dimissioni al presidente dell’Assemblea nazionale, Talat Xhaferi, e lasciando posto a un governo ad interim che guiderà la transizione.
    Si attende solo il voto del Parlamento di Skopje che dovrà accettare formalmente le dimissioni di Zaev. A quel punto il presidente della Repubblica della Macedonia del Nord, Stevo Pendarovski, avrà dieci giorni di tempo per consegnare il mandato di formare un nuovo governo alla coalizione guidata dall’Unione socialdemocratica di Macedonia (SDSM) – il partito dell’ex-premier Zaev – che a sua volta dovrà riuscire a esprimere una maggioranza parlamentare nell’arco di 20 giorni.
    Entro la fine di gennaio tutto l’iter dovrà essere completato. Lo scenario più probabile è un gabinetto guidato dal nuovo leader socialdemocratico, Dimitar Kovačevski, economista 47enne laureati ad Harvard, che due giorni fa (martedì 21 dicembre) ha presenziato con Zaev alla firma dei protocolli d’intesa dell’accordo Open Balkan con Albania e Serbia. Un altro scenario potrebbe essere quello di elezioni anticipate, come richiesto dall’opposizione del Partito democratico per l’unità nazionale macedone (VMRO DPMNE). Questo nel caso in cui non si riuscisse a trovare nemmeno un’alternativa parlamentare guidata dal partito di destra in coalizione con l’Alleanza per gli Albanesi, l’estrema sinistra di Levica e il partito di etnia albanese BESA.
    La crisi di governo in Macedonia del Nord si era aperta a inizio novembre, dopo il crollo del partito del premier Zaev alle elezioni amministrative anche nella capitale Skopje. Il primo ministro aveva annunciato che si sarebbe dimesso, ma da allora la situazione era rimasta congelata. Zaev è stato a capo del governo della Macedonia del Nord dal 2017, confermato anche alle elezioni anticipate del 30 agosto 2020. Tre anni fa era riuscito a raggiungere un accordo con la Grecia per il cambio di nome del Paese, condizione imposta da Atene per l’adesione alla NATO e all’UE. Con gli Accordi di Prespa firmati il 12 giugno 2018, la Repubblica di Macedonia è diventata Repubblica della Macedonia del Nord. Il 27 marzo 2020 Skopje ha fatto ingresso nell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (diventandone il 30esimo Paese membro), mentre si è rivelata più complicata la strada per l’accesso all’Unione Europea.

    Prime Minister @Zoran_Zaev set an example for the region with the #Prespa agreement, consolidating good neighbourly relations. It was good working with you, I look forward further advancing North Macedonia’s EU path, on which you firmly anchored the country, w/the next government
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) December 23, 2021

    “È stato un piacere lavorare con Zaev, che ha dato un esempio per la regione con l’accordo Prespa, consolidando le relazioni di buon vicinato”, è stato il saluto dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri, Josep Borrell. “Non vedo l’ora di far avanzare ulteriormente con il prossimo governo il percorso della Macedonia del Nord verso l’UE, su cui hai saldamente ancorato il Paese”, si è rivolto direttamente all’ex-premier l’alto rappresentante Borrell.
    Le dimissioni di Zaev – e il nuovo governo in Bulgaria guidato da Kiril Petkov – aprono la strada a un possibile nuovo rapporto tra Skopje e Sofia, per cercare una soluzione alla questione dello stallo nel processo di adesione UE della Macedonia del Nord (e dell’Albania, vincolata dallo stesso dossier) causato dal veto della Bulgaria all’apertura dei quadri negoziali con il Paese confinante per questioni di natura puramente nazionalistica. Dopo l’opposizione di Francia, Danimarca e Paesi Bassi all’avvio dei negoziati con Tirana protrattasi in Consiglio fino al marzo 2020, il processo si ero rimesso in moto l’anno scorso solo per pochi mesi. Nemmeno il vertice UE-Balcani Occidentali dello scorso 6 ottobre in Slovenia è riuscito a portare sostanziali novità per risolvere la crisi tra la Macedonia del Nord e la Bulgaria. Nel 2022 ci riproveranno due nuovi governi nazionali, non appena si chiarirà il quadro politico macedone.

    Dopo le dimissioni ufficiali dell’ex-premier (attese da oltre un mese), entro fine gennaio Skopje attende un nuovo esecutivo, con cui l’alto rappresentante Borrell vuole “far avanzare il percorso del Paese verso l’UE”

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    Afghanistan, eurodeputati invocano corridoi umanitari. Ma Grecia, Bulgaria e Polonia militarizzano le frontiere

    Bruxelles – A quattro giorni dalla scadenza per le operazioni di evacuazione straniere in Afghanistan – in ore di concitazione dopo gli attacchi suicidi di ieri (26 agosto) all’aeroporto internazionale di Kabul – e con i Paesi occidentali che stanno chiudendo in tutta fretta i ponti aerei, una domanda è rimasta in sospeso: che ne sarà dei cittadini afghani che non riusciranno a imbarcarsi e di quelli che cercheranno di fuggire dal regime dei talebani?
    I Paesi occidentali avevano promesso a tutti coloro che negli ultimi 20 anni avevano collaborato col le forze statunitensi, europee e della NATO che sarebbero stati evacuati con le rispettive famiglie dal Paese. Promessa estesa poi anche ai gruppi che potrebbero diventare un bersaglio del nuovo regime, come donne, studenti universitari e membri di associazioni internazionali (come quelli di Friday’s For Future, per la cui evacuazione l’attivista Greta Thunberg ha lanciato un appello urgente).
    Sembra però quasi impossibile rispettare l’impegno, anche a causa della volontà del presidente statunitense, Joe Biden, di rispettare tassativamente la scadenza del 31 agosto per il ritiro completo delle truppe. Ma come riporta The New York Times, sarebbero ancora almeno 250 mila gli afghani che hanno lavorato con gli Stati Uniti che devono ancora essere evacuati, mentre i Paesi europei si stanno ritirando uno dopo l’altro ben prima del termine ultimo fissato dai talebani per lasciare l’aeroporto di Kabul.
    Evacuazione all’aeroporto internazionale di Kabul
    Una soluzione per chi non ce la farà, potrebbero essere i corridoi umanitari. A Bruxelles se ne sta parlando da giorni, nonostante l’opposizione di diversi Stati membri UE e della presidenza di turno slovena del Consiglio dell’UE. A chiederlo con forza in una lettera indirizzata alla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e all’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sono stati 76 membri del Parlamento UE. Tra loro, 22 eurodeputati italiani: 9 del Partito Democratico (Brando Benifei, Pierfrancesco Majorino, Massimiliano Smeriglio, Patrizia Toia, Pina Picierno, Elisabetta Gualmini, Alessandra Moretti, Giuliano Pisapia e Pietro Bartolo), 8 del Movimento 5 Stelle (i promotori Fabio Massimo Castaldo e Laura Ferrara, Tiziana Beghin, Chiara Gemma, Daniela Rondinelli, Mario Furore, Dino Giarrusso e Sabrina Pignedoli) e 3 di Europa Verde (Eleonora Evi, Rosa D’Amato e Ignazio Corrao) oltre alle firme di Salvatore De Meo (Forza Italia) e Anna Bonfrisco (Lega).
    “È fondamentale attivare immediatamente i corridoi umanitari”, si legge nella lettera, che fa riferimento all’applicazione della Direttiva europea sulla protezione temporanea del 2001: “Abbiamo già una base legislativa e normativa, ma non l’abbiamo mai usata”. La direttiva “stabilisce uno status di protezione di gruppo, che può essere applicato in situazioni di crisi derivanti da un afflusso massiccio di persone in fuga da una situazione di grande pericolo, come quella attualmente in corso in Afghanistan”. In questo caso viene stabilito un meccanismo di emergenza “per fornire protezione immediata e temporanea a sfollati che sono impossibilitati a tornare nel proprio Paese d’origine”. Tutti criteri “perfettamente applicabili” nel caso dei cittadini afghani in fuga.
    Nonostante la direttiva non sia mai stata sfruttata da quando è entrata in vigore, “è arrivato il momento di mettere fine a questa inazione e l’Afghanistan rappresenterebbe l’occasione perfetta per farlo“. La Commissione UE dovrebbe svolgere un ruolo di “mediatore umanitario”, cercando di “incoraggiare i Paesi membri ad attuare programmi vasti ed efficaci per proteggere i rifugiati afghani”, spiegano i firmatari. “Non possiamo voltare loro le spalle nel momento in cui hanno più bisogno di noi“, anche considerate le responsabilità “non trascurabili” dell’Occidente nell’aver determinato la situazione attuale nel Paese, ma anche il supporto “sostanziale” offerto dagli afghani negli ultimi 20 anni. Insieme ai “partner storici” di Washington e Londra, è necessario “aprire discussioni diplomatiche per implementare misure a garanzia della loro protezione”.
    Secondo il vicepresidente dell’Eurocamera, Fabio Massimo Castaldo (Movimento 5 Stelle), “al Parlamento è possibile arrivare a una chiara e forte maggioranza in favore dei corridoi umanitari europei”, già a partire dalla plenaria di settembre: “Siamo pronti a fare la nostra parte, mettendo al centro solidarietà e responsabilità”. Una risposta all’atteggiamento “di chiusura” di alcuni Paesi membri UE (tra cui Austria, Slovenia e Ungheria), che “non rappresenta la posizione ufficiale delle istituzioni europee e siamo certi essere in minoranza anche in Consiglio”, attacca Castaldo. Nella lettera dei 76 eurodeputati viene sottolineato che “è in gioco la nostra credibilità come attore coinvolto nella protezione e nella promozione dei diritti umani” e per questo motivo “è essenziale utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione per alleviare il più possibile le sofferenze del popolo afghano”.

    The EU must not overlook what is happening in Kabul & Afghanistan and stand up for #HumanRights! 🇦🇫
    With ~80 MEPs, we call on @vonderleyen, @JosepBorrellF & @YlvaJohansson to act & to activate humanitarian corridors immediately by using the #TemporaryProtectionDirective. pic.twitter.com/IwcqT4b5ih
    — Tilly Metz MEP (@MetzTilly) August 26, 2021

    Filo spinato e soldati alla frontiera
    La situazione alle frontiere esterne dell’UE dice però tutt’altro. Nelle ultime 48 ore Grecia, Bulgaria e Polonia hanno iniziato a militarizzare i propri confini, anticipando una possibile crisi migratoria. Da Sofia è arrivato l’annuncio che saranno inviati tra i 400 e i 700 soldati lungo le frontiere con Grecia e Turchia, punto d’ingresso via terra della rotta balcanica. “La pressione sul confine bulgaro sta aumentando e questo richiede al governo di agire”, ha spiegato Georgi Panayotov, ministro della Difesa. “I soldati aiuteranno la polizia per la sorveglianza e la costruzione di barriere“.
    Da Atene sono invece arrivate le dichiarazioni del ministro dell’Immigrazione, Notis Mitarachi, e del capo della protezione civile, Michalis Chrisochoidis, che hanno ribadito “l’inviolabilità dei confini della Grecia, perché non possiamo aspettare passivamente l’impatto di un flusso simile a quello del 2015”. Il governo ha già terminato i lavori di estensione di 40 chilometri del muro di confine con la Turchia, mentre nuove pattuglie sono state attivate per le operazioni di controllo. L’arsenale della polizia di frontiera è stato ulteriormente rafforzato con gas lacrimogeni, granate stordenti, telecamere e radar con una copertura di 15 chilometri in territorio turco.
    E poi c’è la Polonia, che ha iniziato ufficialmente i lavori di costruzione della recinzione di filo spinato al confine con la Bielorussia. In questo caso la questione migratoria si intreccia con il deterioramento dei rapporti dell’Unione Europea con la Bielorussia di Alexander Lukashenko e l’aumento esponenziale degli ingressi irregolari di persone migranti, provenienti dal Medioriente e dall’Africa lungo rotta bielorussa. L’ultimo dittatore d’Europa sta agevolando il flusso come ritorsione alle sanzioni economiche imposte da Bruxelles al Paese e la Lituania è stato il primo Paese membro UE a iniziare la costruzione di una barriera per bloccarlo.
    Dopo aver annunciato l’intenzione di fare lo stesso, il governo di Varsavia ha dato il via alle operazioni di installazione di una rete di filo spinato lungo i 399 chilometri di confine tra Polonia e Bielorussia: “Da mercoledì sono stati eretti quasi tre chilometri di recinzione”, ha scritto su Twitter il ministro della Difesa, Mariusz Błaszczak, aggiungendo che sono stati mobilitati oltre 1.800 soldati per dare aiuto alla polizia di frontiera.

    Wzmacniamy granice! Żołnierze rozpoczęli budowę ogrodzenia na granicy polsko-białoruskiej. Płot zwiększy jej szczelność i znacznie utrudni próby nielegalnego przekraczania. pic.twitter.com/QRZMzK2CZI
    — Mariusz Błaszczak (@mblaszczak) August 25, 2021