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    Brexit, l’UE accoglie la richiesta di Londra e sospende la procedura sul protocollo irlandese

    Bruxelles – La Commissione europea accoglie la richiesta arrivata da Londra di sospendere momentaneamente la procedura di infrazione intentata da Bruxelles per il non rispetto britannico del protocollo sull’Irlanda del Nord stipulato in seguito alla Brexit.
    La procedura era stata avviata lo scorso marzo, e la Commissione si apprestava ad aprire la seconda fase, inviando un parere motivato a Londra. Ma, spiega oggi un portavoce dell’esecutivo comunitario, “la Commissione valuterà attentamente le nuove proposte avanzate dal Regno Unito, secondo le necessarie procedure di consultazione, sia interna che con il Parlamento europeo”. Dunque, e solo “al fine di fornire lo spazio necessario per riflettere su questi temi e trovare soluzioni durature all’attuazione del protocollo, abbiamo deciso, per il momento, di non passare allo stadio successivo della procedura di infrazione”.

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    Brexit, Londra ci riprova: chiesta una rinegoziazione del Protocollo sull’Irlanda del Nord. Porta chiusa dall’UE

    Bruxelles – Ci risiamo. A nemmeno un mese dalle concessioni dell’Unione Europea a Londra sull’estensione del periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda fino al 30 settembre (doveva scadere lo scorso primo aprile), Downing Street alza la posta e chiede a Bruxelles un “nuovo equilibrio” nell’attuazione del Protocollo sull’Irlanda del Nord all’interno del quadro dell’Accordo di recesso tra UE e Regno Unito.
    Dal 30 giugno ci si chiedeva cosa significasse l’avvertimento del consigliere britannico per la Sicurezza nazionale, David Frost, sulla necessità di “un’attuazione pragmatica e proporzionata dell’intesa” per arrivare a una soluzione permanente con i Ventisette. Ora è chiaro: se non saranno saranno riviste le regole sul commercio tra Gran Bretagna e Irlanda del Nord, la minaccia è di annullare unilateralmente l’intero Accordo di recesso. “Non possiamo andare avanti così”, è stato il commento di Frost ieri (mercoledì 21 luglio) di fronte ai deputati britannici. “Non c’è niente di insolito nel rinegoziare un trattato”, ha aggiunto, dal momento in cui “l’accordo non sta funzionando come ci aspettavamo“.
    Non stupisce che per Londra il “nuovo equilibrio” punti a eliminare la supervisione dell’Unione Europea sull’Accordo di recesso e sul transito di beni nell’Irlanda del Nord (volto a mantenere integro il Mercato Unico sull’isola d’Irlanda). Frost ha puntualizzato che “c’è un’opportunità per trovare un accordo con l’UE attraverso i negoziati“, ma che se dovessero fallire il Regno Unito avrà “una giustificazione per invocare l’articolo 16 del Protocollo” (che permette alle parti di rinunciare ai suoi termini se nella pratica si rivelano dannosi).
    L’improvvisa offerta del governo presieduto da Boris Johnson ha trovato le porte sbarrate a Bruxelles, nel frattempo impegnato a rinegoziare il futuro di Gibilterra. “Non accetteremo una rinegoziazione del Protocollo“, ha tagliato corto il vicepresidente della Commissione UE per le Relazioni interistituzionali e le prospettive strategiche, Maroš Šefčovič. “Il rispetto degli obblighi legali internazionali è di fondamentale importanza”, anche se questo non ha fermato l’Unione Europea dal cercare “soluzioni pratiche e flessibili” come quella dello scorso 30 giugno “per superare le difficoltà che i cittadini dell’Irlanda del Nord stanno incontrando”.
    Preso atto della dichiarazione di Frost, il vicepresidente dell’esecutivo UE ha intimato il “rispetto del Protocollo” che “ha lo scopo di mantenere la pace sull’isola d’Irlanda”. Lo spiraglio lasciato aperto da Šefčovič riguarda solo “l’azione congiunta negli organismi paritetici” e il confronto su nuove “soluzioni creative”. Su tutto il resto, Bruxelles fa muro e a poco più di due mesi dall’entrata in vigore dell’accordo commerciale e di cooperazione con il Regno Unito già si inizia a parlare di annullamento dell’Accordo di recesso.

    Il “no grazie” è stato ribadito anche dalla presidente dell’esecutivo UE, Ursula von der Leyen, dopo una conversazione telefonica con il premier britannico Johnson: “L’Unione continuerà a essere creativa e flessibile nel quadro del Protocollo, ma non lo rinegozieremo“, ha risposto al Command paper di Downing Street inerente al Protocollo sull’Irlanda del Nord. “Dobbiamo garantire insieme stabilità e prevedibilità sull’isola”.

    Il Regno Unito chiede un “nuovo equilibrio” sull’Accordo di recesso, altrimenti minaccia di annullarlo unilateralmente. Il vicepresidente della Commissione Šefčovič respinge l’offerta e intima il rispetto degli “obblighi legali internazionali”

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    Gibilterra, nuove tensioni UE-UK. Bruxelles presenta il suo mandato negoziale. Londra: “Minano la nostra sovranità”

    Bruxelles – La Brexit torna ad agitare Unione europea e Regno Unito, che si scontrano su Gibilterra. Bruxelles è decisa a rinegoziare il futuro della rocca, e forza la mano negoziale approvando una raccomandazione per una decisione del Consiglio dell’UE che autorizza l’apertura di trattative per un accordo bilaterale UE-Regno Unito sul possedimento britannico.
    La decisione del collegio dei commissari si spiega col fatto che l’accordo commerciale e di cooperazione raggiunto tra le due parti non comprende Gibilterra. Le relazioni della piccola penisola non sono con il blocco dei 27 è dunque privo di regolamentazioni, e Bruxelles ha deciso di colmare questo vuoto legislativo. Tanto che la decisione di intavolare trattative è accompagnata da orientamenti.

    Our proposed mandate for 🇪🇺🇬🇧 negotiations on Gibraltar aims to have a positive impact for those living and working on either side of the border between Spain and Gibraltar, while protecting the integrity of the Schengen Area and the Single Market.
    👉 https://t.co/gKjFW5oY35 pic.twitter.com/gk2oakaUoi
    — Maroš Šefčovič🇪🇺 (@MarosSefcovic) July 20, 2021

    Il team von der Leyen intende eliminare i controlli fisici e i controlli su persone e merci alla frontiera terrestre tra la Spagna e Gibilterra, garantendo nel contempo l’integrità dello spazio Schengen di libera circolazione e del mercato unico. Si intende inoltre stabilire responsabilità in materia di asilo, rimpatri, visti, permessi di soggiorno, cooperazione operativa di polizia e scambio di informazioni.
    E non finisce qui. Si intende rimettere mano al settore trasporti (areo e terrestre), lavoro (diritti dei lavoratori transfrontalieri), ambiente, cooperazione di polizia, sostegno finanziario nonché la creazione di “condizioni di parità”, quella reciprocità (level playingfield) su cui Boris Johnson e il suo governo tanto hanno protestato prima di siglare l’accordo commerciale con Bruxelles.
    Anche stavolta le reazioni britanniche non si sono fatte attendere. Londra denuncia un’invasione di campo da parte dell’UE. “Il Regno Unito, con Gibilterra, e la Spagna hanno attentamente concordato un accordo quadro pragmatico, in piena consultazione con la Commissione europea”, ricorda il ministro degli Esteri di sua Maestà, Dominic Raab, secondo cui “il mandato proposto dalla Commissione è direttamente in conflitto con tale quadro“. Secondo il capo della diplomazia britannica l’esecutivo comunitario “cerca di minare la sovranità del Regno Unito su Gibilterra”, e perciò il mandato “non può costituire una base per i negoziati”.

    UK, Gibraltar & Spain agreed balanced & pragmatic framework on Gibraltar.
    The Commission’s draft mandate fails to respect essential elements of the framework, does not reflect a real-world solution, and cannot form a basis for negotiations. https://t.co/7WFdm7aXxr
    — Dominic Raab (@DominicRaab) July 20, 2021

    Londra contesta l’azione unilaterale dell’UE. E’ vero che, come recita anche i documento di 26 pagine licenziato dal collegio dei commissari, “la Commissione è nominata negoziatore dell’Unione”, ma non piace il blitz a dodici stelle. “Abbiamo costantemente dimostrato pragmatismo e flessibilità nella ricerca di accordi che funzionino per tutte le parti e siamo delusi che questo non sia stato ricambiato”, continua Raab. “Il mandato dell’UE non riflette una soluzione concreta. Esortiamo l’UE a ripensarci”.
    Quello che non piace a Londra è l’ingerenza negli affari di un territorio sotto il controllo della corona britannica. Maros Sefcovic, il vicepresidente della Commissione responsabile del dossier, afferma che con questa iniziativa “mandiamo un segnale positivo a tutti coloro che vivono e lavorano da entrambe le parti della frontiera” di Gibilterra. Specifica che “si tratta di cooperazione regionale, non di sovranità o giurisdizione”, ma oltre Manica stigmatizzano le manovre a dodici stelle. Il braccio di ferro tra Unione europea e il suo ex Stato membro dunque continua e si rinnova.

    La Commissione europea mette a punto la linea per il futuro della Rocca: via controlli alla frontiera, uniformità di regole per trasporti, scambio di informazioni di polizia, diritti dei lavoratori. Raab: “Fuori dalla realtà, non può essere una base per trattative”

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    Brexit, quanto costa un divorzio: le stime dell’UE si scontrano con le previsioni del Regno Unito

    Bruxelles – Una delle regole universali non scritte è che i divorzi costano, praticamente sempre. E non solo tra persone, ma anche tra Stati. Lo dimostra l’ultimo terreno di scontro tra Unione Europea e Regno Unito: il conto della Brexit, che per Londra potrebbe essere più salato del previsto.
    Stando ai conti annuali del 2020 pubblicati dalla Commissione Europea, l’importo che il Regno Unito dovrà pagare come quota di debiti e passività dell’UE durante i 47 anni di adesione (pagamento di progetti infrastrutturali, pensioni e indennità di malattia per i funzionari europei) si attesta a 47,5 miliardi di euro. Di questa somma, la prima tranche da 6,8 miliardi è prevista entro la fine dell’anno.
    Sono invece diverse invece le previsioni di Downing Street. Basandosi sulle indicazioni del 2018 dell’Office for Budget Responsibility (ente pubblico non dipartimentale finanziato dal Tesoro britannico), i costi previsti erano stati fissati a 41,4 miliardi di euro. Tuttavia, già durante i negoziati sulla Brexit, si era presentata la possibilità di una lievitazione della spesa: come riporta The Guardian, i funzionari incaricati delle trattative con l’Unione avevano pesato l’uscita del Regno Unito tra i 40,7 e i 45, 4 miliardi di euro (35-39 miliardi di sterline).
    Per onor del vero, le stime di Bruxelles sono ancora provvisorie e devono essere prima approvate dalla Corte dei conti europea. Ma secondo uno dei revisori, l’irlandese Tony Murphy, l’importo indicato dall’esecutivo UE quasi sicuramente è corretto: “Non è stato ancora completato il lavoro di revisione”, ha sottolineato all’emittente nazionale RTÉ News, “ma a tutti gli effetti i dati pubblicati dalla Commissione possono essere considerati definitivi“.
    Da Londra un portavoce del governo britannico ha messo le mani avanti, dichiarando che “questa è solo una stima contabile e non riflette l’importo esatto che il Regno Unito dovrebbe pagare all’UE“. A dare parzialmente ragione alla posizione del governo Johnson è il fatto che una parte della quota si compone di passività (comprese pensioni e assicurazioni di malattia per funzionari, ex-commissari ed eurodeputati): queste potrebbero non concretizzarsi mai, nel caso in cui i destinatari dei prestiti comunitari non si rivelino inadempienti.
    Di sicuro, se sarà confermato dai revisori UE, c’è una quota di 36 miliardi di euro destinata al pagamento delle infrastrutture e dei progetti sociali dell’Unione, concordati dai precedenti governi britannici. E già il divorzio inizia a presentare il suo conto salato.

    In base ai conti annuali 2020, la Commissione UE ha fissato a 47,5 miliardi l’importo che Londra dovrà pagare come quota di debiti e passività. Un conto più salato di quanto Downing Street avesse previsto dal 2018 a oggi

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    Brexit, alla fine l’UE cede: per altri tre mesi salsicce e carne refrigerata circoleranno tra Londra e Belfast senza controlli

    Bruxelles – Alle pressioni del Regno Unito, di Belfast e anche del presidente statunitense, Joe Biden, l’Unione Europea alla fine ha ceduto: il periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda sarà esteso fino al 30 settembre. Le salsicce sono salve, così come tutti i prodotti refrigerati che vengono trasportati dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord.
    Si tratta di una concessione temporanea ai controlli da parte delle autorità UE dei certificati sanitari (che nel contesto post-Brexit servono per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola d’Irlanda) ai supermercati e fornitori britannici per il commercio di generi alimentari. Entrata in vigore provvisoriamente dall’inizio di quest’anno, con la firma dell’accordo di commercio e di cooperazione (TCA), sarebbe dovuta scadere lo scorso primo aprile. Ma con la decisione unilaterale di Downing Street dello scorso 3 marzo di estendere il periodo di grazia fino alla fine di ottobre, si era aperta la cosiddetta ‘guerra delle salsicce’ con l’UE.
    Dopo nemmeno due settimane, Bruxelles aveva inviato a Londra una lettera di costituzione in mora (il primo passo per per aprire una procedura di infrazione) per presunte violazioni del protocollo sull’Irlanda del Nord dell’Accordo di recesso tra UE e Regno Unito. La tensione è rimasta alta per tre mesi, ma con la decisione di oggi il problema è stato rimandato di almeno altri tre. “Non stiamo emettendo un assegno in bianco“, ha voluto precisare in conferenza stampa il vicepresidente della Commissione UE per le Relazioni interistituzionali e le prospettive strategiche, Maroš Šefčovič. “Ma vogliamo dimostrare di rimanere fedeli alla pace e stabilità” in Irlanda, “evitando al contempo un confine duro sull’isola e mantenendo l’integrità del Mercato Unico”.
    Se sono ormai sotto gli occhi di tutti le lacune nell’attuazione dell’Accordo di recesso, l’esecutivo UE ha presentato oggi un pacchetto di misure per “affrontare le questioni più urgenti“. Quella maggiore riguardava proprio il commercio di carni refrigerate dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. La soluzione – “di natura temporanea” – ha posto alcune condizioni “rigorose”, tra cui certificati sanitari obbligatori, confezionamento ed etichettatura “solo Irlanda del Nord” e standard dei prodotti che devono rimanere invariati. Con lo scattare del primo ottobre, a meno di una nuova ‘guerra delle salsicce’, il Regno Unito dovrà aver completato il processo di adattamento delle catene di approvvigionamento.
    Una seconda parte del pacchetto ha affrontato altre questioni di breve-medio termine, come la fornitura di medicinali da Londra a Belfast (“la Commissione presenterà una proposta legislativa all’inizio dell’autunno”, ha anticipato il vicepresidente Šefčovič), la circolazione dei cani guida che accompagnano le persone che viaggiano dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord, il movimento del bestiame e l’esenzione ai conducenti britannici di mostrare la Carta Verde dell’assicurazione auto quando entrano nell’UE. Šefčovič ha sottolineato che “in alcuni casi abbiamo ribaltato completamente le nostre regole per trovare una soluzione solida a una sfida eccezionale”.
    Dall’altra parte della Manica, il governo di Boris Johnson ha accolto con favore l’estensione del periodo di grazia, ma avvertendo i Ventisette che per arrivare a una soluzione permanente dovranno accettare “un’attuazione pragmatica e proporzionata dell’intesa“, ha avvertito il consigliere britannico per la Sicurezza nazionale, David Frost. Cosa voglia dire, ancora non è chiaro, ma l’approccio “legalistico” adottato finora da Bruxelles è stato duramente attaccato da Downing Street: “Ha causato a un gran numero di problemi, fra cui quello del transito delle carni fresche è solo uno”, è stato il commento caustico di Frost. “Ora dobbiamo lavorare in modo energico per trovare soluzioni definitive a questi problemi”.

    Esteso fino a fine settembre il periodo di grazia sul commercio di generi alimentari tra l’Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito. Il vicepresidente della Commissione Sefcovic: “Non è un assegno in bianco”

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    Brexit, approvato l’accordo UE sulla libera circolazione di dati con il Regno Unito. C’è “clausola di decadenza” di 4 anni

    Bruxelles – Sono state adottate oggi (lunedì 28 giugno) dalla Commissione Europea le decisioni di adeguatezza per la libera circolazione di dati con il Regno Unito, in seguito a un processo di valutazione degli standard britannici per la tutela della privacy durata quattro mesi. Le due decisioni, una ai sensi del regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) e l’altra per la direttiva sull’applicazione della legge (LED), garantiranno flussi liberi di dati personali tra le due sponde della Manica.
    Con l’approvazione dell’accordo UE sulla libera circolazione dei dati tra Bruxelles e Londra sarà facilitata la “corretta attuazione” dell’Accordo commerciale e di cooperazione UE-Regno Unito (TCA), come viene sottolineato in una nota dell’esecutivo UE. Ma allo stesso tempo sono incluse “forti garanzie in caso di divergenza futura”, come la clausola di decadenza che limita la durata della decisione di adeguatezza a quattro anni. In virtù di questa clausola, la Commissione continuerà a monitorare la situazione giuridica nel Regno Unito e “potrebbe intervenire in qualsiasi momento“, se Londra si discosterà dal livello di protezione attualmente in vigore.
    L’adozione preliminare delle due decisioni era arrivata il 19 febbraio scorso, quando il gabinetto von der Leyen aveva presentato la sua valutazione del livello di protezione dei dati da parte del Regno Unito “sostanzialmente equivalente” a quello del GDPR. La bozza era stata poi analizzata prima dal Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB), che aveva dato il via libera con riserva, e in seguito da un comitato composto dai rappresentanti dei Paesi membri. Nelle decisioni pubblicate oggi viene precisato che il sistema britannico “continua a essere basato sulle stesse regole applicate quando il Regno Unito era uno Stato membro dell’UE” e che Londra ha “pienamente incorporato i principi, i diritti e gli obblighi del GDPR e della direttiva sull’applicazione della legge nel proprio sistema giuridico post-Brexit”.
    Per quanto riguarda i chiarimenti richiesti dall’EDPB, la Commissione Europea ha precisato che “per motivi di sicurezza nazionale, il sistema del Regno Unito prevede solide garanzie“. In particolare, “la raccolta di dati da parte delle autorità di intelligence è soggetta alla preventiva autorizzazione di un organo giudiziario indipendente” e che “chiunque ritenga di essere stato oggetto di sorveglianza illecita può rimettersi all’Investigatory Powers Tribunal“. Inoltre, il Regno Unito è soggetto alla giurisdizione della Corte europea dei diritti dell’uomo e alla Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato dei dati personali“, l’unico trattato internazionale vincolante in materia di privacy.
    Per il momento i trasferimenti di dati ai fini del controllo dell’immigrazione nel Regno Unito sono esclusi dall’ambito delle decisioni di adeguatezza, in attesa della valutazione interna di una recente sentenza della Corte d’appello di Inghilterra e Galles su alcune restrizioni del diritto di privacy in questo ambito. “La Commissione valuterà nuovamente la necessità di tale esclusione una volta che la situazione sarà stata risolta ai sensi del diritto britannico”, specifica la nota.

    Con l’adozione delle due decisioni si adeguatezza si chiude il processo di valutazione degli standard britannici per la tutela della privacy. La Commissione potrà intervenire “in qualsiasi momento”, se Londra si discosterà dal livello di protezione attuale

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    Alleanza per democrazia, vaccini anti-COVID e commercio: il summit UE-Stati Uniti per ripartire

    Bruxelles – Ricostruire relazioni perdute con la precedente amministrazione, tornare a essere protagonisti in un mondo pieno di insidie, a partire da quella sanitaria. Stati Uniti e Unione europea tornano a tenere un summit bilaterale all’insegna di una rinnovata partenership transatlantica vera. COVID-19, clima, commercio e investimenti, politica estera, promozione di diritti e valori fondamentali. Sul tavolo c’è praticamente un po’ di tutto, perché dopo cinque anni di trumpismo molto è stato accantonato.
    La Brexit, e la perdita di un interlocutore privilegiato per Washington in seno all’UE, spinge il presidente americani Joe Biden a trovare nuove sponde col vecchio continente, improvvisamente nuovamente strategico. C’è la necessità di ripristinare collegamenti tra le due sponde dell’Atlantico nel senso vero dell’espressione, dei viaggi che si vogliono ripristinare. La questione COVID con i voli aerei è uno dei temi di maggiore priorità per entrambe le parti. Per tornare alla normalità c’è però la necessità di “accelerare le vaccinazioni”. E’ in quest’ottica, riferiscono fonti europee, che Biden metterà sul tavolo la proposta di una task force UE-Stati Uniti per aumentare la produzione globale di vaccini. Sempre in questa ottica, l’obiettivo è lavorare insieme per mantenere aperte le catene di approvvigionamento, e dunque mercati e filiere, una tema su cui gli europei avranno molto da poter offrire in termini di contributo.
    Ma la pandemia impone un ripensamento sull’OMS, l’Organizzazione mondiale per la sanità. Biden è pronto a discutere coi leader europei, intesi come i capi delle istituzioni comunitarie, di riforma dell’Agenzia delle Nazioni Unite. A Washington sono convinti che vada resa “più preparata ad affrontare eventuali pandemie future”, e c’è dunque la necessità di questo.
    A proposito di riforme, le modifiche istituzionali dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) è anche uno dei temi sul tavolo del summit UE-USA. Entrambe le parti vogliono un ammodernamento della struttura, e l’appuntamento bilaterale offre un’opportunità unica per stabilire una prima linea comune di riassetto dell’organismo.
    Certo frizioni non mancano. Chi pensa ad un nuovo inizio all’insegna di una ritrovata amicizia deve smorzare gli entusiasmi, pur tuttavia giustificati. Sulla questione cinese ci sono vedute diverse. L’Europa sta cercando una via di collaborazione, specie in ambito commerciale. L’accordo per gli investimenti è un qualcosa che a Bruxelles si difende. “E’ nostra intenzione ribilanciare le nostre relazioni commerciali con la Cina”, ha spiegato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nel corso di un’intervista rilasciata ad un gruppo selezionato di testate, tra cui AFP. “Per questo abbiamo deciso di facilitare l’accesso al nostro mercato unico” a industrie cinesi. “L’assenza di reciprocità è il motivo per cui abbiamo accelerato i negoziati per l’accordo sugli investimenti”.
    Se gli europei vedono nella Cina delle opportunità, la controparte statunitense vede in Pechino minacce. Economiche e militari sicuramente. Un attore internazionale con cui dover fare i conti e di cui non fidarsi. Sul dossier cinese dunque le posizioni restano distanti, e si dovrà trovare un’intesa su come impostare la rinnovata relazione verso est. Guardando all’oriente cinese, non si possono ignorare le questioni relative alla democrazia.
    Per questo al summit Unione europea-Stati Uniti è intenzione discutere l’organizzazione di un summit globale per la democrazia. Una proposta che si attende da Biden, per vedere come potenziare gli strumenti per rafforzare la democrazia nel mondo, per poi concentrarsi al contrasto della disinformazione e alle ingerenze straniere.
    “Vogliamo dire all’Europa che l’America c’è”, le parole di Biden in occasione del summit NATO, che precede la serie di appuntamenti previsti nella capitale belga ed europea. Un messaggio incoraggiate, quello che si voleva sentire. Il Summit, per entrambe le parti, vuole essere essere l’occasione per costruire “un’agenda positiva nelle relazioni UE-USA per i prossimi anni”.

    Donald Trump ha rivisto in modo peggiorativo le relazioni con l’Europa, ora Biden e i leader dell’Unione cercano di ripartire. La Casa Bianca: “L’America c’è”

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    G7, Draghi: Non abbiamo preso una strada dura verso la Cina

    Bruxelles – “Il comunicato finale rispecchia perfettamente la nostra posizione. Non abbiamo preso una strada particolarmente dura verso la Cina”: così il presidente del Consiglio Mario Draghi spiega la sintesi del punto forse più importante all’ordine del giorno del G7 che si è concluso ieri in Cornovaglia. Una posizione ferma ma non troppo dura perché “con la Cina bisogna cooperare, in vista del G20, degli impegni sul clima, e per la ricostruzione del mondo dopo la pandemia – spiega Draghi alla stampa -, ma lo faremo in maniera franca, dicendo cosa non va bene secondo noi, e che cosa non si concilia con la nostra visione del mondo”. E, come ha detto Joe Biden ai colleghi “il silenzio sulla Cina è complicità”, ha riferito Draghi. Dunque il presidente del Consiglio è andato anche un po’ oltre il tema Cina, affermando che vanno fermate “le autocrazie che inquinano l’informazione, interferiscono nei processi elettorali, usano la disinformazione, fermano gli aerei in volo, rapiscono, uccidono, non rispettano i diritti umani, usano il lavoro forzato”.
    Il premier è soddisfatto di queste giornate britanniche, perché con gli USA è ripartita “l’alleanza tradizionale che il periodo di Trump aveva seriamente incrinato”. Un’alleanza che invece non sembra essere ripartita alla grande tra USA e Gran Bretagna, poiché da parte statunitense si è mostrata molta durezza per le minacce di Boris Johnson di voler violare l’accordo di separazione post Brexit per quanto riguarda l’Irlanda del Nord, il rispetto del quale per l’amministrazione Biden è una sorta di prerequisito per la credibilità internazionale di Londra.
    Nei rapporti con la Cina però l’Italia sente di avere un “neo” rispetto agli altri partner, la firma, durante il primo governo Conte, del memorandum sulla Via della Seta, e Draghi annuncia che quel testo “verrà esaminato con attenzione”.
    L’Italia non è in realtà sola nella politica di prudenza nei confronti di Pechino, anche la cancelliera tedesca Angela Merkel e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, cercano un approccio che non blocchi le relazioni, che Draghi spiega deve essere basato su tre principi: “cooperazione, competizione e franchezza”.
    Oggi a Bruxelles, a margine del vertice NATO, Draghi incontrerà anche il presidente turco Erdogan. Sarà un incontro non facile, dopo che l’ex presidente della BCE ha definito un dittatore il leader turco, e dunque dalla Cornovaglia prepara il terreno, spiegando che “il ruolo della Turchia è importantissimo. Deve e vuole rimanere un partner affidabile dell’Alleanza atlantica”.

    Oggi a Bruxelle l’incontro con Erdogan durante il vertice NATO