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    Rischio caos frontiera Ue-Regno Unito: mancano strutture di controllo a porti e stazioni

    Bruxelles – Rischio caos alla frontiera tra Ue e Gran Bretagna. Nelle prossime settimane entreranno in vigore i controlli fisici, dopo la Brexit, e non ci sono strutture né il personale. Si rischiano blocchi all’import-export e code di ore, ad esempio, per gli spostamenti ferroviari. Possibili rincari, soprattutto Oltremanica, o addirittura carenza di merci. Già dal 31 gennaio è stata introdotta la certificazione sanitaria sulle importazioni di prodotti animali a medio rischio, piante, prodotti vegetali e alimenti e mangimi ad alto rischio di origine non animale dall’Unione Europea, che dovranno procurarsi gli esportatori verso il Regno Unito.La fase successiva e più critica del Btom (Border Target operating model) inizierà invece il 30 aprile. Da quella data la dogana britannica controllerà fisicamente anche i prodotti importati attraverso i cosiddetti Border Control Post (BCP) situati, ad esempio, nei porti e negli aeroporti inglesi. Infine dal 31 ottobre a tutte le spedizioni di importazione dalla Ue verrà applicata una dichiarazione alla dogana del Regno Unito.Le aziende europee e britanniche sono preparate a questo big bang, rinviato per tre anni di fila? Un sondaggio condotto dall’Institute of Export and International Trade in ottobre ha rilevato che meno di un quinto delle imprese del Regno Unito aveva ben di eventuali ripercussioni su di loro. Anche per le aziende europee c’è confusione.Tom Southall, direttore esecutivo della Cold Chain Federation, l’associazione commerciale del Regno Unito per l’industria della logistica a temperatura controllata, ha affermato pochi giorni fa sul ‘Guardian’ che i recenti ritardi sono dovuti in gran parte al fatto che le aziende europee non erano pronte. “C’è stata molta preoccupazione per il fatto che non vi sia stato un impegno sufficiente con gli Stati membri dell’UE per prepararli”, ha detto. “E questo comporta il rischio che, se introduciamo questi requisiti, si potrebbe verificare un calo delle importazioni alimentari perché i fornitori non sono pronti”.“C’è un’altra questione: nella seconda metà dell’anno, probabilmente dopo le Olimpiadi in Francia, scatterà in Europa l’Entry and Exit System. In pratica servirà il visto per entrare nel nostro Continente, come avviene negli Usa”, sottolinea Alberto Mazzola, rappresentante del settore Trasporti nella Domestic Advisory group, una sorta di consulta che raggruppa imprese, sindacati e consumatori europei con quelli inglesi. “Ci sarà un controllo fisico per gli inglesi alla frontiera, il sindaco di Londra ha ipotizzato anche possibili 6 ore di coda alla stazione. E poi chi va a lavorare in Gran Bretagna sarà soggetto a regimi autorizzativi più stringenti, le imprese europee dovranno dimostrare che possono operare nel mercato inglese perché non esiste un omologo oltremanica”.Una situazione complessa, riconosce Mazzola. “Non credo che siamo preparati a tutto ciò”. All’orizzonte “si prospettano criticità ai porti, nel mondo ferroviario” perché “mancano strutture fisiche per tutti i controlli sulle merci e manca pure il personale”. Per cui “ben vengano le regole, che si sappiano, altrimenti gli investimenti si fermano per incertezza su norme e costi… però partendo così senza un’adeguata preparazione – conclude Mazzola – si rischia il caos oltre che danni economici. I britannici ora capiranno quanto era utile il mercato unico, un monito anche per l’Italia”.

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    Disunited Kingdom. L’Irlanda del Nord rilancia il referendum per l’addio a Londra (e unirsi a Dublino)

    Bruxelles – A nemmeno 24 ore dal giuramento come neo-premier dell’Irlanda del Nord, il nuovo corso repubblicano di Michelle O’Neill è servito. “Contesto assolutamente ciò che sostiene il governo britannico, la mia elezione dimostra il cambiamento che sta avvenendo sull’isola“, ha messo in chiaro la vicepresidente dei repubblicani di Sinn Féin in un’intervista per Sky dopo la nomina a prima ministra della nazione a oggi ancora appartenente al Regno Unito. Una risposta chiara alla posizione di Londra – secondo cui il referendum per l’unione alla Repubblica d’Irlanda sia distante “decenni” – e una prospettiva sul medio termine per il primo governo a guida repubblicana nella storia dell’Irlanda del Nord: “Credo che siamo nel decennio delle opportunità“.

    La neo-prima ministra dell’Irlanda del Nord, Michelle O’Neill (credits: Paul Faith / Afp)Dal maggio 2022 a Belfast non è stata possibile la formazione di un governo dopo la prima vittoria assoluta per il partito indipendentista repubblicano, a causa del boicottaggio del Partito Unionista Democratico (secondo quanto previsto dall’Accordo del Venerdì Santo del 1998 deve essere garantita la condivisione di potere tra i partiti unionisti e repubblicani). Dopo quasi due anni di stallo è stata trovata l’intesa tra le due maggiori forze all’Assemblea dell’Irlanda del Nord e sabato scorso (3 febbraio) O’Neill ha giurato come prima ministra, mentre l’unionista Emma Little-Pengelly come vice-premier. “Possiamo avere una condivisione del potere, renderla stabile e lavorare insieme ogni giorno in termini di servizi pubblici, e perseguire le nostre aspirazioni altrettanto legittime“, sono state le prime parole alla stampa della nuova leader della nazione, che solo il giorno prima aveva rotto con la tradizione repubblicana usando il termine ‘Irlanda del Nord’ nel suo discorso di giuramento. “Sono una repubblicana orgogliosa, ma credo che sia davvero importante guardare alle persone che si identificano come britanniche e unioniste e dire loro che rispetto i loro valori”, ha spiegato O’Neill.Il partito Sinn Féin è stato fondato nel 1905 come espressione delle aspirazioni indipendentiste da Londra e per l’unità sull’isola d’Irlanda e negli anni della guerra civile è stata l’ala politica dell’Esercito Repubblicano Irlandese (Ira). Il sostegno al partito è cresciuto esponenzialmente dopo la firma dell’Accordo del Venerdì Santo che ha messo fine al conflitto, e nel 2022 ha conquistato il maggior numero di seggi in Parlamento (27 su 90). La formazione del governo dell’Irlanda del Nord si è legata strettamente alle conseguenze della Brexit, dal momento in cui la reintroduzione dei controlli doganali tra la Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord su una serie di categorie di prodotti – richiesta dall’Unione Europea dopo l’uscita del Regno Unito proprio per preservare l’unità sull’isola d’Irlanda sancita dall’accordo di pace del 1998 – ha creato scontenti e proteste tra gli unionisti, incluso il boicottaggio politico. La settimana scorsa il governo britannico di Rishi Sunak ha mediato un accordo con il Partito Unionista Democratico che prevede un aumento dei finanziamenti e che – nel delineare i nuovi equilibri della condivisione del potere a Belfast – prevede che non ci sia “alcuna prospettiva realistica di un referendum” sull’indipendenza nel prossimo decennio. Per i repubblicani nordirlandesi l’indipendenza si lega al processo di unione alla Repubblica di Irlanda, che automaticamente li riporterebbe all’interno dell’Unione Europea dopo l’addio nel 2020 per decisione degli elettori del Regno Unito nel suo complesso.Oltre l’Irlanda del Nord, la ScoziaL’Irlanda del Nord non è l’unica delle quattro nazioni che compongono il Regno Unito ad avere aspirazioni indipendentiste e di ritorno nell’Unione Europea. La disputa più celebre di Londra è quella con la Scozia, che a dieci anni dal referendum sull’indipendenza (bocciato) è pronta a rimettere sul tavolo delle trattative un progetto per la scissione politica. La Brexit è stata un vero e proprio spartiacque per il Partito Nazionale Scozzese, dal momento in cui in Scozia il referendum per l’uscita del Regno Unito dall’Ue ha visto prevalere una schiacciante maggioranza del 62 per cento dei ‘no’ contro il 38 dei ‘sì’, in controtendenza con il resto del Paese (il 52 per cento degli elettori britannici si è espresso a favore). A un solo anno dall’ufficialità della Brexit, il trionfo alle elezioni per il rinnovo del Parlamento di Holyrood da parte dell’ex-prima ministra, Nicola Sturgeon, nel 2021 ha sembrato confermare l’irrequietezza scozzese.Nonostante l’uscita di scena di Sturgeon lo scorso anno a causa di uno scandalo sui finanziamenti del Partito Nazionale Scozzese, anche nell’agenda del suo successore – l’ex-braccio destro Humza Yousaf – è rimasta la priorità di un nuovo referendum sull’indipendenza (che al momento vede il ‘sì’ leggermente in vantaggio), con la condanna della Brexit e delle sue conseguenze economiche come fattore trainante. È per questo motivo che bisognerà fare attenzione al risultato delle prossime elezioni nel Regno Unito – ancora non è nota la data, ma sono attese per la seconda metà del 2024 – dal momento in cui il primo ministro Yousaf le vede come un possibile momento di svolta. Il governo di Edimburgo potrebbe avviare immediatamente i negoziati con Londra nel caso in cui il Partito Nazionale Scozzese dovesse conquistare la maggioranza dei seggi garantiti alla Scozia alla Camera dei Comuni, mentre un altro scenario è quello dell’utilizzo delle elezioni per il rinnovo del Parlamento scozzese nel 2026 come voto ‘de facto’ sull’indipendenza dal Regno Unito e una richiesta di (ri)adesione all’Unione Europea.

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    Brexit, il leader laburista Starmer vuole allargare l’accordo con l’Ue

    Bruxelles – Se Downing Street dovesse tornare in mano ai labour, potrebbe aprirsi un nuovo capitolo della saga post Brexit. In un’intervista concessa al Financial Times, il leader laburista Keir Starmer ha definito l’accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l’Ue e il Regno Unito, siglato faticosamente il 30 dicembre 2020 dall’allora primo ministro Boris Johnson, “un accordo troppo snello” e da rinegoziare.
    Un impegno preso in vista delle elezioni di fine 2024, visto che i sondaggi lo danno super-favorito, con circa 20 punti di vantaggio rispetto all’attuale premier Rishi Sunak e al suo partito conservatore. Il leader moderato ha assicurato che all’orizzonte non c’è alcun ritorno nel blocco Ue, né nel mercato unico europeo. Ma “possiamo trovare un accordo commerciale migliore perché l’intesa firmata da Boris Johnson è deleteria e limitante”, ha dichiarato, promettendo che “sarà una delle priorità una volta al governo“. L’ostacolo maggiore per Starmer potrebbe essere proprio Bruxelles, a cui si vuole riavvicinare: l’accordo dovrebbe essere aggiornato nel 2025 ed è difficile immaginare che l’Ue accetterà facilmente di rimettersi al tavolo dei negoziati con Londra.

    In un’intervista al Financial Times ha dichiarato che, se venisse eletto premier, sarebbe “una delle priorità” trovare un accordo commerciale migliore con Bruxelles

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    Ucraina, Brexit e Windsor Framework. Le relazioni tra Ue e Regno Unito continuano con l’Assemblea interparlamentare

    Bruxelles – Si riparte dai Parlamenti, per “tenere aperto il dialogo e rafforzare i rapporti tra Unione Europea e Regno Unito”. È così che la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, ha descritto il compito dell’Assemblea interparlamentare Ue-Regno Unito, riunitasi tra ieri e oggi (3-4 luglio) a Bruxelles per la terza volta dal maggio dello scorso anno: “Ci conosciamo già molto bene tra noi e dobbiamo portare avanti le discussioni per affrontare insieme come amici e come alleati le sfide e le minacce ai nostri valori comuni“.
    La presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (4 luglio 2023)
    Dall’Ucraina all’attuazione del Framework di Windsor, ritornando alla Brexit e alla necessità di ripristinare rapporti stabili tra le due sponde della Manica. “Grazie per il supporto senza sosta all’Ucraina dall’inizio della tentata invasione illegale di Putin“, ha esordito la numero uno del Parlamento Ue, riferendosi a “milioni di sterline come aiuto, addestramento di soldati e piloti, assistenza umanitaria, militare, politica e logistica”. Ue e Regno Unito si trovano “sulla stessa linea d’onda quando si parla di relazioni con l’Ucraina” e questo si riflette nei rapporti tra Bruxelles e Londra: “La nostra azione e la nostra unità dimostrano che possiamo continuare il nostro percorso comune“. Parole confermate anche dall’incontro di oggi tra l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il segretario di Stato per gli Affari esteri britannico, James Cleverly: “Abbiamo avuto una discussione produttiva sugli ultimi sviluppi in Ucraina”, ha reso noto lo stesso alto rappresentante Borrell, sottolineando che “Ue e Regno Unito sono ben allineati su una serie di questioni cruciali di politica estera, sicurezza e difesa“.
    A proposito del percorso comune tra i due partner, “questa Assemblea ha un ruolo concreto da giocare, non solo per spianare la strada alla cooperazione, ma soprattutto per monitorare l’implementazione dell’accordo di commercio e cooperazione“, ha ricordato la presidente Metsola. Si tratta del principale elemento di instabilità dei rapporti tra Ue e Regno Unito da quando Londra è uscita a tutti gli effetti dall’Unione il primo gennaio del 2021 e che – dopo due anni di tensione – può essere superato con l’implementazione del Framework di Windsor siglato poco più di quattro mesi fa: “È un passo in avanti per le nostre relazioni”, ha rivendicato Metsola, chiedendo il “pieno rispetto degli accordi presi”, perché “forniscono una solida base per preservare la nostra lunga amicizia e il nostro impegno costante per la democrazia e i diritti fondamentali“.
    Da sinistra: la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, e i co-presidenti dell’Assemblea interparlamentare Ue-Regno Unito, Nathalie Loiseau (eurodeputata di Renew Europe) e Oliver Heald (membro del Parlamento britannico)
    Anche per la co-presidente dell’Assemblea interparlamentare, Nathalie Loiseau (Renew Europe), l’unità sull’Ucraina e il Framework di Windsor “hanno creato le condizioni per rafforzare le nostre relazioni”. In attesa dell’implementazione effettiva dell’accordo di febbraio soprattutto in Irlanda del Nord, l’eurodeputata francese ha voluto sottolineare i “progressi del Regno Unito nella partecipazione al programma Horizon Europe, gli scienziati non possono pagare il prezzo della Brexit”, così come non devono farlo i giovani europei: “Dobbiamo lavorare per migliorare la mobilità giovanile”, ha ribadito con forza Loiseau. Da parte britannica il co-presidente Oliver Heald, membro conservatore del Parlamento del Regno Unito, ha voluto sottolineare che “un anno fa non c’era questa atmosfera di unità, dobbiamo portare a termine le discussioni sul Framework”. È innegabile che rimangono “divergenze dopo la Brexit sul piano del level playing field, ma dobbiamo affrontarle insieme”, ha messo in chiaro l’eurodeputata francese, mentre il collega britannico ha voluto rassicurare sul fatto che “il Regno Unito non vuole abbassare gli standard, questa Assemblea può essere un luogo di scambio su quello che stiamo facendo a livello legislativo”.
    Due anni di contesa tra Ue e Regno Unito
    La contesa tra Londra e Bruxelles è iniziata nel marzo del 2021 attorno alla questione del periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la durata della concessione temporanea ai controlli Ue sui certificati sanitari per il commercio dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. Nel contesto post-Brexit questi controlli sonoritenuti necessari per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola d’Irlanda. Il problema maggiore ha riguardato le carni refrigerate e per questa ragione si è spesso parlato di ‘guerra delle salsicce’ con Bruxelles.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e l’ex-primo ministro del Regno Unito, Boris Johnson
    Il tentativo di prorogare unilateralmente il periodo di grazia da parte dell’allora governo guidato da Boris Johnson ha scatenato lo scontro diplomatico tra le due sponde della Manica, apparentemente risolto tra il luglio e l’ottobre dello stesso anno. L’esecutivo comunitario ha così sospeso la procedura d’infrazione contro Londra, per cercare delle soluzioni di compromesso su tutti i settori più delicati. Ma nel giugno dello scorso anno la Commissione Ue ha scongelato la stessa procedura d’infrazione, attivandone altre due, per la decisione di Londra di tentare la strada della modifica unilaterale del Protocollo sull’Irlanda del Nord. Il crollo del governo Johnson prima e di quello disastroso di Liz Truss poi . con la contemporanea crisi economica che da allora ha travolto il Paese – ha agevolato le aperture da entrambe le parti verso una soluzione sostenibile per un accordo di compromesso. Accordo trovato proprio con il Framework di Windsor il 27 febbraio 2023, firmato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e dal primo ministro britannico, Rishi Sunak, e che ora attende solo l’implementazione effettiva.

    A Bruxelles la terza riunione dell’Assemblea di eurodeputati e membri del Parlamento britannico. La presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, sottolinea il “ruolo importante da giocare nel monitorare l’implementazione dell’accordo di commercio e cooperazione”

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    Brexit: oltre il 58 per cento dei britannici vorrebbe tornare nell’Unione europea

    Bruxelles – Sette anni dopo il referendum sulla Brexit, la percentuale di britannici che vogliono rientrare nell’Ue è salita ai livelli più alti dal 2016, secondo un nuovo sondaggio di YouGov riportato dal quotidiano Guardian: escludendo coloro che hanno dichiarato che non voterebbero o di non sapere cosa votare, il 58,2 per cento degli elettori sceglierebbe il rientro nell’Unione.
    La percentuale è solo in minima parte diminuita rispetto al 60 per cento registrato nel febbraio di quest’anno – la cifra più alta da quando sono iniziate queste rilevazioni, nel febbraio 2012 – ed è aumentata in modo più o meno costante dal minimo post-referendum del 47 per cento all’inizio del 2021.
    Il sondaggio ha chiesto ai cittadini di altri Paesi membri se dovendo scegliere voterebbero per restare o per lasciare l’Ue.  Il 63 per cento degli italiani vorrebbe restare nell’Unione, come il 62 per cento dei francesi. Il mese scorso l’87 per cento degli intervistati in Spagna ha dichiarato che avrebbe scelto di rimanere, come hanno indicato il 79 per cento dei danesi, il 70 per cento degli svedesi e il 69 per cento dei tedeschi.
    Secondo i dati di YouGov l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che ha scatenato una forte ondata di sentimenti pro-europei.

    Indagine YouGov conferma il trend in salita. In Italia se si votasse sulla separazione, il 63 per cento sceglierebbe di restare. L’invasione russa dell’Ucraina ha riacceso il sentimento europeista

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    Brexit, la Corte Ue respinge il ricorso dei cittadini britannici contro la perdita della cittadinanza europea

    Bruxelles – La Corta di Giustizia dell’Ue ha deciso oggi il rigetto definitivo dei ricorsi dei cittadini britannici che contestavano la perdita dei loro diritti di cittadini europei a seguito della Brexit.
    La perdita dello status di cittadini dell’Unione e, pertanto, la perdita dei diritti connessi a tale status, argomenta la Corte, è una conseguenza automatica della sola decisione sovrana adottata dal Regno Unito di recedere dall’Unione, e non già dell’accordo di recesso o della decisione del Consiglio che approva l’accordo.

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    Ue e Regno Unito hanno raggiunto un’intesa post-Brexit per mettere fine alle contese sul Protocollo sull’Irlanda del Nord

    Bruxelles – Un accordo che dovrebbe porre fine alle tensioni costanti tra Unione Europea e Regno Unito sulla delicatissima questione del commercio nel Mare d’Irlanda, a due anni dalla separazione ufficiale tra Londra e Bruxelles. “Possiamo annunciare con orgoglio di essere riusciti a raggiungere un’intesa di principio sul Protocollo sull’Irlanda del Nord, che può offrire soluzioni di lungo termine per le preoccupazioni reciproche”, è l’annuncio in conferenza stampa della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, al termine del confronto con il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak, al castello di Windsor.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak (27 febbraio 2023)
    Da mesi si sono intensificati i contatti tra Londra e Bruxelles per trovare una soluzione sostenibile alle controversie riguardanti la tessera più complicata del puzzle Brexit. “Ci siamo impegnati duramente, non è stato facile”, ha confessato la numero uno dell’esecutivo comunitario. Ma quello che viene definito ‘quadro Windsor‘ è un “pacchetto comprensivo di misure per affrontare in modo definitivo le sfide della vita di tutti i giorni” nell’isola d’Irlanda in generale e in Irlanda del Nord in particolare. Come confermato dal premier britannico, “ci sarà un sistema di corsie verdi e corsie rosse” per le merci in transito dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord (parte del Regno Unito). Le corsie verdi garantiranno un “commercio fluido” tra le due sponde del Mare d’Irlanda per tutte le merci che non saranno riesportate verso il Mercato Unico dell’Ue (“la burocrazia sarà eliminata per ristoranti, supermercati, negozi e farmacie”, ha puntualizzato Sunak), mentre le corsie rosse garantiranno il rispetto degli standard stabiliti dall’Unione per le merci che interessano il mercato dei Ventisette.
    È questa l’introduzione più rilevante del ‘Windsor framework’ aggiunto al Protocollo dell’accordo di recesso tra Ue e Regno Unito, redatto per preservare l’unità dell’isola secondo l’accordo del Venerdì Santo del 1998. “Assicurerà che lo stesso cibo sia disponibile sugli scaffali dei supermercati dell’Irlanda del Nord come nel resto del Regno Unito e permetterà che tutte le medicine siano garantite alle stesse condizioni”, sono gli esempi forniti dalla numero uno della Commissione Ue. Allo stesso tempo però saranno di fondamentale importanza le “salvaguardie” per l’Unione, come l’accesso alla sorveglianza IT e alle procedure di implementazione degli accordi. In questo senso si inserisce il ruolo della Corte di Giustizia dell’Ue, che avrà “l’ultima parola sulle questioni legali”, compreso sul nuovo “freno d’emergenza” che l’Assemblea dell’Irlanda del Nord potrà attivare in caso di “preoccupazioni per la modifica di leggi Ue” sul quadro commerciale nell’isola. Come rendono noto funzionari europei, il meccanismo d’emergenza potrà essere attivato dal governo di Londra su richiesta di “almeno 30 membri” (su 90) del Parlamento di Belfast per questioni che coinvolgono aspetti del Protocollo.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak (27 febbraio 2023)
    Nonostante gli ultimi due anni non siano stati particolarmente semplici per le relazioni tra le due sponde della Manica sulla questione del commercio nell’Irlanda del Nord, tra Londra e Bruxelles le nubi di tempesta sembrano diradarsi. “Il clima è molto più costruttivo da quando Sunak è diventato premier” il 24 ottobre dello scorso anno, confermano le stesse fonti Ue. E anche se l’inquilino di Downing Street 10 ci tiene a rimarcare che “l’unica legge Ue in vigore è il minimo necessario per evitare il confine duro sull’isola d’Irlanda e per garantire l’accesso delle merci al Mercato Unico” per l’Irlanda del Nord, non passano inosservati i ringraziamenti calorosi a von der Leyen: “Ha avuto una visione che ci ha spianato la strada, e anche se abbiamo avuto differenze nel passato, siamo alleati, amici e partner commerciali“. Di qui l’inizio oggi (27 febbraio) di “un nuovo capitolo delle nostre relazioni” che “preserva il delicato equilibrio dell’Accordo del Venerdì Santo”, ha sottolineato Sunak. Si potranno ora aprire le discussioni anche sulla “partecipazione del Regno Unito al programma Horizon Europe“, ha anticipato von der Leyen, mentre funzionari a Bruxelles precisano che al momento Londra non ha manifestato interesse per il programma Erasmus.
    I due anni di contesa sull’Irlanda del Nord
    La contesa tra Londra e Bruxelles è iniziata nel marzo del 2021 attorno alla questione del periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la durata della concessione temporanea ai controlli Ue sui certificati sanitari per il commercio dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. Nel contesto post-Brexit questi controlli sonoritenuti necessari per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola d’Irlanda. Il problema maggiore ha riguardato le carni refrigerate e per questa ragione si è spesso parlato di ‘guerra delle salsicce’ con Bruxelles.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e l’ex-primo ministro del Regno Unito, Boris Johnson
    Il tentativo di prorogare unilateralmente il periodo di grazia da parte dell’allora governo guidato da Boris Johnson ha scatenato lo scontro diplomatico tra le due sponde della Manica, apparentemente risolto tra il luglio e l’ottobre dello stesso anno. L’esecutivo comunitario ha così sospeso la procedura d’infrazione contro Londra, per cercare delle soluzioni di compromesso su tutti i settori più delicati. Ma nel giugno dello scorso anno la Commissione Ue ha scongelato la stessa procedura d’infrazione, attivandone altre due, per la decisione di Londra di tentare la strada della modifica unilaterale del Protocollo sull’Irlanda del Nord. Il crollo del governo Johnson prima e di quello disastroso di Liz Truss poi – con la contemporanea crisi economica che da allora ha travolto il Paese – ha agevolato le aperture da entrambe le parti verso una soluzione sostenibile per un accordo di compromesso, che da oggi potrebbe mettere fine alle ultime scorie di tensione tra le due sponde della Manica.

    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il premier britannico, Rishi Sunak, hanno messo nero su bianco i termini per un nuovo accordo a due anni dalla separazione. Corsie differenziate per merci destinate al mercato nordirlandese e quelle da riesportare nell’Unione

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    L’onda lunga della Brexit. Il Regno Unito paralizzato dagli scioperi a causa della stagnazione economica

    Bruxelles – Il Regno Unito non riesce ad assestarsi politicamente ed economicamente, a quasi due anni dall’uscita ufficiale di Londra dall’Unione Europea. Ferrovieri, personale della polizia di frontiera e delle poste, autisti del trasporto pubblico e infermieri sono pronti a incrociare le braccia anche durante le festività natalizie, per protestare contro la persistente stagnazione economica che sta impattando pesantemente sui salari dei dipendenti pubblici. Il governo conservatore guidato da Rishi Sunak deve affrontare ora un’impennata di scioperi che non ha eguali negli ultimi 30 anni, con all’orizzonte anche il rischio di tracollo della politica restrittiva nei confronti dei cittadini Ue stabilitisi nel Regno Unito attraverso il programma di insediamento del 2018.
    A causare la nuova ondata di scioperi – che cresce di mese in mese da giugno – è l’impennata del costo della vita e dell’inflazione, sotto i colpi delle conseguenze delle crisi che hanno travolto il Paese negli ultimi anni: dalla Brexit alla pandemia Covid-19, fino ad arrivare alla guerra russa in Ucraina con l’impatto sui prezzi dell’energia e sulle catene di approvvigionamento globali. Come emerge dai dati pubblicati dall’Office for National Statistics (Ons), tra agosto e ottobre 2022 si è registrato uno dei maggiori cali nei salari britannici dall’inizio delle registrazioni nel 2001: nonostante il segno positivo sulla crescita complessiva delle retribuzioni, al netto dell’inflazione il crollo si attesta al 2,7 per cento rispetto al 2021 (già lo scorso anno si era registrato un -3 per cento rispetto al 2020). A questo si somma il fatto che per il settore privato la crescita media dei salari (senza considerare quindi l’impatto dell’inflazione) ha più che doppiato quella del settore pubblico (+6,9 contro +2,7 per cento): come dichiarato dalla stessa agenzia governativa britannica per le informazioni statistiche, si tratta di “una delle più grandi differenze tra i tassi di crescita del settore privato e pubblico mai viste“.
    Gli scioperi dei dipendenti pubblici nel Regno Unito tra il 19 e il 31 dicembre 2022 (fonte: CNN su dati dell’Office for National Statistics)
    Nella memoria pubblica del Regno Unito l’ondata di scioperi in atto riporta alla mente quelle degli inverni 1978-1979, quando si registrarono dure dispute salariali tra governo e sindacati del settore pubblico e privato (chiuse poi dalle politiche economiche della prima ministra Margaret Thatcher). In realtà l’ultimo picco nel numero di scioperi paragonabile a quello registrato nell’ottobre 2022 (124) è quello del febbraio del 1988 (128). Secondo l’Ons durante l’ultimo mese per cui sono disponibili i dati 2022 sono stati persi in totale 417 mila giorni lavorativi nel corso degli scioperi dei dipendenti dei diversi comparti economici britannici.
    Le nuove proteste iniziate lunedì (19 dicembre) mettono sempre più sotto pressione il governo tory in carica da nemmeno due mesi, accusato di non tenere conto delle richieste dei lavoratori e di non avere ancora una linea politica chiara su come mettere fine a un’instabilità economica e politica che dopo la Brexit è andata peggiorando (tutto al contrario di quanto promesso dai suoi fautori). Downing Street 10 ha visto succedersi quattro primi ministri dalle dimissioni di David Cameron nel luglio 2016, a poche settimane dall’esito del referendum sulla Brexit (in ordine, Theresa May, Boris Johnson, Liz Truss e Rishi Sunak), e ancora il Paese non sembra essersi ripreso del tutto dalla grave crisi finanziaria scatenata dalla proposta di riforma fiscale del governo Truss, il più breve della storia del Paese. Per il gabinetto Sunak non ci sarebbe spazio di manovra per soddisfare le rischieste salariali, ma l’opinione pubblica britannica è tendenzialmente solidale con i lavoratori in sciopero e il rischio nel 2023 è di vedere un nuovo cambio di inquilino a Downing Street 10.
    Il numero di scioperi mensili registrati nel Regno Unito dal 1970 al 2022 (fonte: CNN su dati dell’Office for National Statistics)
    Tra cittadini Ue nel Regno Unito e contese con Bruxelles
    Ma il governo britannico si deve guardare anche da un altro colpo che arriva dall’interno del Paese e che rischia di screditare la politica portata avanti negli ultimi quattro anni dai governi tory nei conforti dei cittadini comunitari che vivono e lavorano nel Paese. Con una sentenza deliberata ieri (21 dicembre) l’Alta Corte di Giustizia ha dichiarato illegittimo il programma di insediamento del governo britannico per i cittadini Ue che vivono nel Paese. L’Eu Settlement Scheme è stato concepito nel 2018 per consentire ai cittadini comunitari di continuare a soggiornare e lavorare nel Regno Unito dopo la Brexit, con la concessione dello status di residente per avere accesso ai servizi di welfare. Tuttavia a oltre il 40 per cento dei richiedenti (2,5 milioni) è stato concesso solo lo status di pre-insediamento, che conferisce il diritto di residenza per cinque anni ma – in caso di ritardo nella presentazione della domanda di rinnovo – porterebbe automaticamente alla perdita del diritto al lavoro, all’alloggio, all’istruzione e alla richiesta di sussidi, con il rischio di essere espulsi.
    (credits: Daniel Leal / AFP)
    In vista della prima scadenza per il rinnovo dello status di pre-settled per agosto 2023 – cinque anni dopo l’introduzione della legge – il tribunale di primo grado della Royal Courts of Justice di Londra ha sancito che è illegale che i cittadini Ue perdano i loro diritti se non ripresentano domanda per lo status di pre-insediamento prima della scadenza: una volta che risiedono per il periodo richiesto di cinque anni, a tutti i cittadini comunitari dovrebbe essere concesso il diritto di risiedere permanentemente nel Regno Unito. La sentenza sarà impugnata dal governo britannico, che sostiene che la Commissione Europea sarebbe stata a conoscenza del fatto che i cittadini Ue con status di pre-settled sarebbero tenuti a presentare una seconda domanda di residenza permanente. Ma, se confermata la sentenza, l’esecutivo guidato da Sunak dovrà modificare la legge voluta dal governo May.
    A proposito del rapporto tra Londra e Bruxelles, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha avuto uno scambio con il premier britannico “sul nostro continuo e stretto coordinamento sul sostegno all’Ucraina e sulle sanzioni contro la Russia”. La numero uno dell’esecutivo comunitario ha però ricordato che è necessario “lavorare insieme per trovare soluzioni per quanto riguarda il protocollo sull’Irlanda del Nord“. La contesa va avanti dal marzo 2021, in particolare sulla questione del periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la durata della concessione temporanea ai controlli Ue sui certificati sanitari – e non – per il commercio dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. Il tentativo di prorogare unilateralmente il periodo di grazia da parte dell’allora governo Johnson aveva scatenato lo scontro diplomatico tra le due sponde della Manica, apparentemente risolto tra luglio e ottobre dello scorso anno: l’esecutivo comunitario aveva prima sospeso la procedura d’infrazione contro Londra, per cercare poi delle soluzioni di compromesso su tutti i settori più delicati, ma senza mai mettere in discussione l’integrità della parte dell’accordo di recesso tra Ue e Regno Unito siglato per garantire l’unità sull’isola d’Irlanda. A metà giugno di quest’anno la Commissione ha scongelato la procedura d’infrazione e ne ha attivate altre due per la decisione di Londra di tentare la strada della modifica unilaterale del protocollo.

    Happy to exchange with @RishiSunak on our continued close coordination on support to Ukraine and sanctions against Russia.
    We will also push for ambitious #G7 and #G20 agendas.
    On IE/NI Protocol, we concur on the importance of working together to agree on solutions. pic.twitter.com/CndTSjQgaD
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) December 22, 2022

    Durante le festività natalizie incroceranno le braccia ferrovieri, personale della polizia di frontiera e delle poste, autisti del trasporto pubblico e infermieri. Intanto dall’Alta Corte di Giustizia arriva un duro colpo alla politica restrittiva del governo sulle domande di insediamento di cittadini Ue