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    L’Ue e i partner internazionali stanno spingendo gli sforzi di mediazione per una tregua agli scontri armati in Sudan

    Bruxelles – Non si fermano gli scontri armati in Sudan, nemmeno dopo l’annuncio di un possibile cessate il fuoco temporaneo in occasione dell’Eid al-Fitr, la festività della religione islamica che segna la fine del Ramadan. Nella capitale Khartum e negli altri centri urbani del Paese anche oggi (21 aprile) si stanno verificando combattimenti tra l’esercito regolare e il gruppo paramilitare Rapid Support Forces (Rsf), inclusi raid aerei sulle abitazioni civili. Dopo quasi una settimana di scontri si contano oltre 350 morti e più di tremila feriti, oltre a quasi ventimila profughi in fuga verso il Ciad.
    Khartum (credits: Afp)
    È per questo motivo che l’Unione Europea, in concerto con i partner internazionali, sta cercando di spingere sugli sforzi di mediazione per raggiungere una tregua in Sudan: “I combattimenti devono terminare per lasciare spazio al dialogo e alla mediazione”, è l’esortazione dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che ha ricordato il ruolo dell’Unione nel sostenere una “una cessazione immediata delle ostilità, che dovrebbe servire come primo passo verso un accordo di cessate il fuoco permanente da negoziare con urgenza”. In questo contesto sono viste positivamente le iniziative collettive regionali e internazionali, “compresi quelli delle Nazioni Unite, dell’Unione Africana, dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad) e della Lega degli Stati Arabi”, considerate “essenziali” per riportare il Sudan “sulla via della pace e della stabilità” e per rispettare le “aspirazioni della popolazione sudanese a un futuro pacifico, stabile e democratico”.
    Una proposta di tregua era arrivata ieri sera (20 aprile) dal capo delle forze paramilitari, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, ma l’esercito regolare guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan non ha risposto, rifiutando ogni dialogo con quelli che vengono considerati i responsabili per l’inizio degli scontri armati. “L’Unione Europea e i suoi Stati membri condannano fermamente i combattimenti in corso”, ha ricordato l’alto rappresentante Borrell, scagliandosi contro atti che mettono a rischio sia “gli sforzi per ripristinare la transizione verso un governo democratico a guida civile”, sia la “stabilità regionale”. Oltre alle vittime civili, Bruxelles condanna le violazioni del diritto internazionale: il riferimento è all’attacco all’ambasciatore Ue in Sudan, Aidan O’Hara, presso la sua residenza e al clima di insicurezza generale per volontari e operatori di organizzazioni non governati e di agenzie Onu nel Paese. “C’è bisogno di un’azione forte dell’Europa perché si fermi la violenza“, ha esortato dall’emiciclo del Parlamento Europeo il capo-delegazione del Pd, Brando Benifei.
    Cosa sta succedendo in Sudan
    L’esplosione delle violenze nella capitale Khartum e nel resto del Paese è iniziato lo scorso 15 aprile. A fronteggiarsi sono l’esercito regolare del Sudan, comandato dal generale al-Burhan (dal 2021 anche presidente del Paese), e le forze paramilitari da 100 mila membri guidate dal generale Dagalo (vicepresidente del Sudan). L’esercito regolare ha il controllo dell’aviazione e sta bombardando le basi Rsf, che a loro volta sta facendo largo uso di artiglieria nei centri abitati.
    Da sinistra: il generale Abdel Fattah al-Burhan, presidente del Sudan, e il generale Mohamed Hamdan Dagalo, vicepresidente del Sudan (credits: Afp)
    Due anni fa, nell’ottobre del 2021, i generali al-Burhan e Dagalo avevano unito le forze per rovesciare il breve governo democraticamente eletto di Abdalla Hamdok e instaurare una dittatura militare. Lo stesso al-Burhan è stato in precedenza a capo del Consiglio sovrano del Sudan, l’organo che nel 2019 aveva preso il posto del Consiglio militare di transizione dopo la deposizione del dittatore Omar al-Bashir (in carica dal 1993). I due generali avevano promesso di continuare la transizione democratica fino alle elezioni previste per il 2023, governando attraverso il Consiglio Sovrano. L’alleanza è durata fino a dicembre del 2022, quando le pressioni internazionali hanno spinto la giunta militare a restituire il potere a un’amministrazione civile e sciogliere le Rsf per integrarle all’interno dell’esercito regolare. Dagalo si è opposto e gli scontri prima politici si sono trasformati da qualche giorno in violenti combattimenti armati.
    Le Rsf sono la derivazione diretta dei Janjawid, i miliziani di etnia araba che nel corso della guerra del Darfur (iniziata nel 2003) furono accusati di genocidio: in quel momento Dagalo era a capo dei Janjawid ed è stato accusato di crimini contro l’umanità. Anche i vertici dell’esercito regolare, di cui al-Burhan è principale esponente, furono accusati di genocidio nel Darfur. Dopo la guerra le Rsf si trasformarono autonomamente in un esercito di frontiera, senza perdere potere militare e allacciando i rapporti con il gruppo mercenario russo Wagner.

    L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, spinge per la “cessazione immediata delle ostilità” tra l’esercito regolare e il gruppo paramilitare Rapid Support Forces, che costituirebbe “il primo passo verso un accordo di cessate il fuoco permanente da negoziare con urgenza”

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    L’Ue piange Michail Gorbačëv, ultimo presidente dell’Urss: “Ha svolto un ruolo cruciale nel porre fine alla Guerra Fredda”

    Bruxelles – Il politico che con le sue scelte ha consegnato l’Unione Sovietica alla storia, un uomo che “ha aperto la strada a un’Europa libera“. Arriva da Bruxelles il cordoglio dei leader Ue per la morte di Michail Gorbačëv, l’ultimo presidente dell’Urss, venuto a mancare ieri sera (martedì 30 agosto) all’età di 91 anni. “Era un leader fidato e rispettato”, ha scritto nel suo tweet la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen: “Ha svolto un ruolo cruciale nel porre fine alla Guerra Fredda e nell’abbattere la cortina di ferro, è un’eredità che non dimenticheremo”. Di eredità ha parlato anche il numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel (“Un uomo che ha dedicato la sua vita al servizio pubblico con un profondo impegno per la pace e la libertà“), e la leader dell’Eurocamera, Roberta Metsola, ricordando l’incontro “nella tempestosa Malta” del 1989 con George Bush senior “per sancire la fine della Guerra Fredda”. Un summit che “ha ispirato la speranza di un mondo migliore e più libero”, con “l’abbattimento di muri e la riunificazione dell’Europa“.

    My lasting memory of Mikhail Gorbachev is watching him meet George HW Bush in stormy Malta to signal the end of the Cold War.
    It inspired hope of a better, freer world. It meant walls torn down & led to Europe’s reunification.
    His legacy will be remembered.May he rest in peace pic.twitter.com/wTjNUUrCRw
    — Roberta Metsola (@EP_President) August 30, 2022

    Gorbačëv nacque il 2 marzo 1931 a Privolnoye, nel Caucaso del Nord. Studiò legge all’Università Statale di Mosca e, dopo essersi laureato a pieni voti, decise di intraprendere la carriera politica, entrando nel Komsomol (l’Unione della Gioventù Comunista Leninista). Scalò velocemente i ranghi amministrativi della regione di Stavropol e a 39 anni era già a capo della sezione locale del partito. Nei dieci anni successivi si guadagnò la stima del presidente dell’Urss, Leonid Bréžnev, e nel 1978 fu nominato segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista. Dopo la morte di Bréžnev quattro anni più tardi, si alternarono Jurij Andropov e Konstantin Černenko, restando in carica solo per pochi mesi ciascuno: nel 1985 il Politburo (il Comitato centrale ristretto) appoggiò la proposta dell’allora ministro degli Esteri, Andrej Gromyko, e nominò all’unanimità Gorbačëv presidente dell’Unione Sovietica. Fu il leader più giovane della storia dell’Urss, eletto a 54 anni.
    Dopo un ventennio di immobilismo politico che aveva messo in ginocchio la spinta verso la crescita dell’economia della Federazione, le tensioni interne nelle Repubbliche Socialiste iniziarono a rendersi sempre più manifeste, con la richiesta di maggiore autonomia o d’indipendenza. La riposta di Gorbačëv alla crisi dell’Urss fu un piano strutturale basato su tre concetti: glasnost (trasparenza sui problemi da risolvere e maggiore libertà d’espressione), perestrojka (riforme economiche per modernizzare il sistema sovietico con alcuni elementi dell’economia di mercato) e uskorenie (accelerazione della produzione per non perdere terreno sul blocco occidentale). Ma la glasnost e la perestrojka ebbero effetti collaterali inaspettati per il sistema sovietico, dal momento in cui la maggiore libertà d’espressione aumentò la spinta indipendentista di alcune Repubbliche Socialiste, mentre le riforme economiche rimasero a metà via tra un sistema di economia pianificata e di mercato. Fu così che tra il 1990 e il 1991 la Georgia e i Baltici dichiararono la propria sovranità, mentre a Mosca si consumò l’ultimo tentativo dei vertici sovietici di mantenere il potere, con il colpo di stato fallito nell’agosto 1991 (per l’opposizione popolare e il mancato appoggio dell’esercito). Ne derivò la fine politica di Gorbačëv e l’accelerazione del processo di disgregazione dell’Urss, con la stabilizzazione del potere del presidente della Federazione Russa, Borís Él’cin.

    Mikhail Gorbachev in Pizza Hut commercial, 1997. pic.twitter.com/lzDpNYn9Zs
    — Soviet Visuals (@sovietvisuals) August 31, 2022

    “Michail Gorbačëv ha portato con glasnost e perestrojka un vento di libertà nel blocco sovietico”, ha commentato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ricordando il suo contributo a “cambiare radicalmente la sicurezza globale, inaugurando un’era di cooperazione reciprocamente vantaggiosa”. Il richiamo al presente e ai rapporti tra Bruxelles e Mosca è evidente: “Un’era che è svanita e di cui c’è urgente bisogno di nuovo“, ha esortato l’alto rappresentante Ue. Anche il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, ha posto l’accento sul fatto che Gorbačëv “ha cambiato la Storia”, perché “osannato, poi sconfitto e oggi in patria deriso, con le sue riforme ha accompagnato il crollo delle dittature comuniste e ha acceso la speranza di democrazia in Russia e di disarmo nel mondo“. Una speranza “che deve tornare”, ha aggiunto Gentiloni. “Della sua eredità politica si discuterà ancora molto, la guerra di aggressione di Putin ci ha mostrato che c’è da fare ancora moltissimo per la convivenza fra i popoli e per un’Europa di pace”, gli ha fatto eco il capo-delegazione del Partito Democratico al Parlamento Ue, Brando Benifei.

    È morto Mikhail #Gorbacev, l’ultimo Presidente dell’URSS e Premio Nobel. Della sua eredità politica si discuterà ancora molto, la guerra di aggressione di #Putin ci ha mostrato che c’è da fare ancora moltissimo per la convivenza fra i popoli e per un’#Europa di pace. pic.twitter.com/1x8JJnDOl6
    — Brando Benifei (@brandobenifei) August 30, 2022

    Si è spento a 91 anni uno dei leader più influenti del Novecento, le cui politiche contribuirono alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Il cordoglio dei leader dell’Unione: “Ha aperto la strada a un’Europa libera, è un’eredità che non dimenticheremo”

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    L’UE dà l’addio al “regno” di Boris Johnson: “Il suo populismo non ci mancherà, finalmente si dovrà fare da parte”

    Bruxelles – “Il regno di Boris Johnson finisce in disgrazia, proprio come il suo amico Donald Trump“. È un commento caustico quello di Guy Verhofstadt, membro del Parlamento UE ed ex-premier belga, a proposito della notizia di giornata: il premier britannico Johnson è pronto a rassegnare le dimissioni da leader del Partito Conservatore dopo l’ondata di dimissioni dei suoi ministri a causa di una serie di scandali che hanno travolto il suo governo. Un preambolo per il passo indietro anche da primo ministro del Regno Unito, atteso al più tardi entro l’autunno.
    Il tweet dell’eurodeputato liberale è un po’ la sintesi degli umori a Bruxelles rispetto al destino del premier che ha guidato il Regno Unito durante la separazione di Londra dall’Unione. Facendo un parallelismo con la sconfitta elettorale di Trump negli Stati Uniti nell’autunno 2019, Verhofstadt si è augurato “la fine di un’era di populismo transatlantico“. Le responsabilità dell’ormai quasi ex-primo ministro britannico riguardano anche i rapporti tra Londra e Bruxelles, che “hanno sofferto enormemente con la scelta della Brexit di Johnson”, ha attaccato Verhofstadt: “Le cose possono solo migliorare”. Anche il capogruppo del Partito Democratico al Parlamento UE, Brando Benifei, ha commentato in modo laconico le attese dimissioni di Johnson: “Il suo populismo non ci mancherà“, ha sottolineato in un tweet l’eurodeputato S&D, precisando che “dopo il Partygate, i gravi scandali che hanno colpito i conservatori, il tentativo di sfiducia da parte dei suoi deputati e le sconfitte elettorali nelle suppletive, finalmente dovrà farsi da parte“.

    #BorisJohnson si dimetterà. Dopo il “party gate”, i gravi scandali che hanno colpito i Conservatori, il tentativo di sfiducia da parte dei suoi deputati e le sconfitte elettorali nelle suppletive, finalmente dovrà farsi da parte. Il suo populismo non ci mancherà.
    — Brando Benifei (@brandobenifei) July 7, 2022

    Buona parte dei membri del Parlamento UE guardano con speranza alle dimissioni del premier britannico Johnson proprio per una distensione dei rapporti tra l’Unione e il Regno Unito. “Solo il popolo britannico può chiedere conto a Johnson”, ha ricordato il presidente del gruppo del PPE all’Eurocamera, Manfred Weber, mettendo però in chiaro che “qualunque sia la prossima mossa, l’UE deve insistere sulla piena attuazione del Protocollo sull’Irlanda del Nord“. Dal momento in cui “non ci sono opportunità per la Brexit, ma solo costi”, il rispetto del Protocollo – messo in discussione proprio dal governo Johnson – “esiste per minimizzare i danni”, ha avvertito Weber.
    “Il mandato di Johnson ha portato le relazioni tra UE e Regno Unito ai minimi storici”, ha attaccato la presidente del gruppo degli S&D al Parlamento UE, Iratxe García Pérez, ribadendo che “le sue dimissioni, attese da tempo, devono segnare una svolta”. L’appello a chi verrà dopo di BoJo è di “smettere di bruciare i ponti con noi e iniziare a costruirli“. Sulla stessa linea è anche Nathalie Loiseau (Renew Europe), presidente della delegazione all’Assemblea parlamentare di partenariato UE-Regno Unito: “Oggi è un giorno di speranza per il miglioramento delle relazioni” tra Bruxelles e Londra, “costruite sulla fiducia e sulla piena attuazione, in buona fede e buona volontà, degli accordi negoziati, firmati e ratificati congiuntamente”. L’eurodeputata francese ha invitato la controparte a “unirci, invece di essere divisi” e di “ricordare il significato dell’amicizia”.

    Today is a day of hope for improved EU-UK relations built on trust and on the full implementation, in good faith and good will, of agreements negotiated, signed and ratified jointly. We are ready. Let’s unite instead of being divided. Let’s remember the meaning of friendship.🇪🇺🇬🇧
    — Nathalie Loiseau (@NathalieLoiseau) July 7, 2022

    Più cauta la Commissione Europea, che, per voce del suo portavoce Johannes Bahrke, non si è smossa dal “no comment sui processi democratici nei Paesi terzi“. Incalzato dalle domande della stampa europea durante il punto quotidiano, il portavoce dell’esecutivo comunitario per l’accordo UE-Regno Unito, Daniel Ferrie, ha spiegato che “gli sviluppi politici a Londra non cambiano la nostra posizione” in merito al “lavoro con le autorità britanniche per l’attuazione del Protocollo sull’Irlanda del Nord”. Un altro “no comment” è arrivato sulla possibilità che le dimissioni di Johnson possano cambiare l’atteggiamento della Commissione UE rispetto alla procedura d’infrazione riattivata contro Londra lo scorso 15 giugno: “Al momento non abbiamo novità, rimane in corso”, ha precisato il portavoce.

    Al centro della questione tra Londra e Bruxelles c’è la decisione del governo Johnson di non ritirare il progetto di legge che andrebbe a riscrivere – solo da parte britannica – le condizioni del commercio tra Gran Bretagna e Irlanda del Nord, violando il protocollo che è parte dell’accordo di recesso tra UE e Regno Unito. Dopo la decisione della Commissione di riattivare la procedura d’infrazione, dall’altra sponda della Manica è arrivata una risposta di totale chiusura: non solo la proposta non è stata ritirata, ma martedì scorso (28 giugno) la Camera dei Comuni l’ha approvata, dando il primo via libera al progetto di modifica del Protocollo sull’Irlanda del Nord.

    Si tratta in particolare della questione del periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la durata della concessione temporanea ai controlli UE sui certificati sanitari per il commercio dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord (che nel contesto post-Brexit sono necessari per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola d’Irlanda). Il problema maggiore riguarda le carni refrigerate e per questa ragione si è spesso parlato di ‘guerra delle salsicce’ con Bruxelles. Il tentativo di prorogare unilateralmente il periodo di grazia da parte del governo Johnson aveva scatenato lo scontro diplomatico tra le due sponde della Manica, apparentemente risolto tra luglio e ottobre dello scorso anno: l’esecutivo comunitario aveva prima sospeso la procedura d’infrazione contro Londra, per cercare poi delle soluzioni di compromesso su tutti i settori più delicati, ma senza mai mettere in discussione l’integrità della parte dell’accordo di recesso tra UE e Regno Unito siglato per garantire l’unità sull’isola irlandese.

    I membri del Parlamento UE sperano in una distensione dei rapporti con Londra dopo le dimissioni di BoJo da leader dei conservatori (e presto da primo ministro britannico). Più cauta la Commissione: “No comment sui processi democratici nei Paesi terzi”

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    L’UE pronta a “misure senza precedenti” contro la Russia se violerà la sovranità dell’Ucraina. Si lavora su nuove sanzioni

    Strasburgo – Nel giorno del sesto vertice UE-Partenariato orientale a Bruxelles (con Armenia, Azerbaigian, Georgia, Moldavia e Ucraina), dall’emiciclo del Parlamento Europeo è arrivato un duro avvertimento alla Russia e al suo atteggiamento aggressivo nei confronti della regione: “Siamo pronti a un aumento delle sanzioni già esistenti e a misure senza precedenti, se non cambierà atteggiamento”. La minaccia questa volta è arrivata direttamente dalla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, che ha promesso “una serie di sanzioni economiche che mirano al settore finanziario, energetico e militare“, nel caso in cui si concretizzi l’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla sessione plenaria del Parlamento UE (15 dicembre 2021)
    Durante il suo intervento alla sessione plenaria dell’Eurocamera, la presidente von der Leyen ha ribadito la richiesta al presidente russo, Vladimir Putin, di “rispettare gli impegni internazionali” e di “relazioni distese con i Paesi vicini e con l’Unione”, come già aveva fatto l’alto rappresentante UE per gli Affari Esteri, Josep Borrell, lunedì (13 dicembre) annunciando le sanzioni all’entità militare privata russa Wagner. In caso contrario, “la Russia dovrà affrontare costi massicci se aggredirà l’Ucraina, abbiamo lavorato in questo senso anche con i nostri partner degli Stati Uniti”, ha aggiunto von der Leyen, ricordando che “l’Unione Europea è impegnata nel rispetto della sovranità e dell’integrità del Paese“.
    Oltre all’accumulo di soldati lungo il confine orientale dell’Ucraina, la Russia “sta cercando di destabilizzare Kiev anche dall’interno”, ha avvertito la presidente della Commissione UE. Ma non solo: “Vediamo un tentativo sfacciato di intimidire la Moldavia, esercitando pressioni sui prezzi del gas“, oltre a “giocare un ruolo non secondario nel tentativo del regime bielorusso di destabilizzare l’Unione attraverso la strumentalizzazione dei flussi migratori per motivi politici”. A questo proposito la leader dell’esecutivo UE ha rivendicato che “questo tentativo è fallito, perché abbiamo messo in moto la macchina dell’assistenza umanitaria e introdotto sanzioni efficaci” contro il regime di Alexander Lukashenko.
    Prendendo parola durante il dibattito tra gli eurodeputati, il presidente del gruppo del PPE, Manfred Weber, ha parlato senza mezzi termini di “guerra a est“. Tuttavia, “questo non è un mezzo legittimo per la risoluzione delle crisi, come sta facendo Putin dalla Siria alla Crimea, fino ai Balcani Occidentali”. L’eurodeputato tedesco ha ricordato l’importanza del vertice Biden-Putin della settimana scorsa, anche se “non va bene che si negozi il futuro dell’Europa, senza che alcun europeo sia presente al tavolo dei negoziati”. Ecco perché “siamo chiamati ad agire e presentare il conto alla Russia“, se continuerà a seguire la strada dell’aggressione all’Ucraina”.
    Il capo-delegazione del Partito Democratico, Brando Benifei (S&D)
    Secondo la presidente del gruppo degli S&D, Iratxe García Pérez, “Putin gioca a scacchi per recuperare le pedine perse dopo la fine dell’Unione Sovietica”, ricordando la discussione di apertura di questa sessione plenaria a Strasburgo. “Non possiamo permettere intimidazioni ai Paesi vicini, perché non è in gioco solo la sovranità dell’Ucraina, ma anche l’intero progetto di integrazione europea“, ha aggiunto l’eurodeputata spagnola. Il collega di gruppo politico e capo-delegazione del Partito Democratico, Brando Benifei, si è invece concentrato sulla “situazione intollerabile” sul fronte Bielorussia-Polonia, condannando sia Lukashenko e il supporto russo, sia “la politica di muri e deroghe al diritto di asilo” mostrata dall’Unione Europea.
    Dalle fila di Renew Europe Valérie Hayer ha ricordato “l’urgenza di autonomia strategica“, visto che “la dissuasione non ha funzionato da quando la Crimea è stata invasa impunemente”. Il presidente del gruppo di ID, Marco Zanni (Lega), ha sottolineato con forza che “l’alleanza transatlantica è il perno della nostra risposta ai regimi antidemocratici”, mentre Raffaele Fitto (Fratelli d’Italia), co-presidente del gruppo di ECR, ha chiesto una “risposta forte e chiara contro chi cerca di destabilizzarci sul fronte orientale, con una più stretta cooperazione con la NATO”.

    L’avvertimento della presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen: “Difendiamo l’integrità territoriale di Kiev, possiamo aumentare le sanzioni contro settore finanziario, energetico e militare russo

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    Delegazione di eurodeputati PD in missione al confine con la Bielorussia. La Polonia verso l’apertura della zona rossa ai giornalisti

    Bruxelles – Dopo settimane intense per l’Unione Europea sul confine orientale tra Polonia e Bielorussia, tra respingimenti violenti e illegali di persone migranti da parte delle autorità di Varsavia e nuove sanzioni al regime bielorusso di Alexander Lukashenko, il rischio è che lo stato di allerta si normalizzi e le notizie dalla frontiera perdano d’interesse a Bruxelles.
    È per questo motivo che diventa ancora più essenziale che sia costante il flusso di informazioni sulla situazione della crisi migratoria lungo la rotta bielorussa, attraverso un monitoraggio da vicino da parte delle istituzioni comunitarie e degli operatori dell’informazione su entrambi i lati del confine tra Polonia e Bielorussia.
    Sul fronte istituzionale va ricordata la missione degli eurodeputati del Partito Democratico in risposta alla “richiesta di vicinanza e presenza arrivata da ONG, cittadini, sindaci” che stanno aiutando le persone migranti. Pietro Bartolo, Pierfrancesco Majorino e il capo-delegazione PD, Brando Benifei, arriveranno questa sera (venerdì 26 novembre) a Varsavia e domani si recheranno a Michałowo, nei pressi della zona di confine, dove incontreranno il sindaco e faranno visita ai centri di accoglienza e ai volontari che assistono le persone migranti sul lato polacco del confine. “L’Europa esiste se c’è umanità e solidarietà“, ha commentato Benifei prima della partenza.

    Stasera andrò al confine tra #Polonia e #Bielorussia dove c’è una situazione delicatissima. Su questioni come le migrazioni serve una condivisione di responsabilità tra i Paesi #UE, una condivisione ostacolata dai Governi nazionalisti amici della destra italiana @agorarai @RaiTre
    — Brando Benifei (@brandobenifei) November 26, 2021

    Ma la questione fondamentale – che ha scatenato le polemiche da settimane nell’UE – riguarda proprio la possibilità di accesso per le organizzazioni internazionali e i giornalisti nella zona rossa istituita a settembre dalla Polonia, una striscia di terra larga tre chilometri lungo il confine orientale con la Bielorussia in cui non è consentito l’accesso ai civili non autorizzati. In questo modo, da quando è scoppiata la crisi, i soldati polacchi hanno impedito agli operatori dell’informazione provenienti da tutta Europa di documentare gli ormai innumerevoli episodi di pushback, i respingimenti illegali di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea.
    In una telefonata con il ministro degli Interni polacco, Mariusz Kaminski, la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, ha sollevato la questione dell’accesso alla frontiera e ha riferito alla stampa che il governo di Varsavia “sta pianificando di aprire ai giornalisti”. Non ci sono ulteriori dettagli, ma “dovrebbe passare un regolamento all’Assemblea nazionale”, ha spiegato Johansson.
    Dall’altra parte del confine, “abbiamo assistito negli ultimi giorni a una de-escalation in Bielorussia, credo dipenda dall’approccio compatto dell’Unione Europea”, è stata la rivendicazione di successo della commissaria UE in merito alle pressioni sulle compagnie aeree che organizzano i viaggi dai Paesi di origine delle persone migranti verso Minsk. “Vediamo un nuovo atteggiamento del regime, che permette alle persone di spostarsi dalla frontiera e di avere un riparo”, ha aggiunto la commissaria agli Affari interni, sottolineando che tra “gli sviluppi nella giusta direzione” ci sono anche i voli di rimpatrio su base volontaria organizzati dal governo dell’Iraq. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa russa Tass, la compagnia di bandiera Iraqi Airways ha già effettuato tre voli alla fine della scorsa settimana, mentre altri due sono in programma dall’aeroporto di Minsk tra oggi e domani.

    Bartolo, Majorino e Benifei visiteranno i centri di accoglienza per migranti di Michałowo, in Polonia: “L’Europa esiste se c’è umanità e solidarietà”. Telefonata della commissaria UE Johansson a Varsavia per eliminare il divieto di accesso alla frontiera

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    Caso Navalny, Russia vieta l’ingresso nel Paese a David Sassoli e altri sette funzionari europei per ritorsione alle sanzioni

    Bruxelles – Il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, e la vicepresidente della Commissione europea, Vera Jourova, sono tra le otto cariche pubbliche dell’UE a cui oggi (30 aprile) la Russia ha vietato l’ingresso nel Paese, in risposta all’introduzione “del 2 e 22 marzo di quest’anno di misure restrittive del Consiglio dell’UE nei confronti di sei cittadini russi” per il caso dell’avvelenamento dell’oppositore russo Alexei Navalny. “L’Unione Europea continua la politica di misure restrittive unilaterali illegittime contro i cittadini e le organizzazioni russe”, si legge nel comunicato del ministero Esteri russo che ha informato delle sanzioni.
    Ferma condanna di Parlamento europeo, Commissione e Consiglio della “decisione odierna delle autorità russe di vietare l’ingresso nel territorio russo a otto cittadini dell’Unione europea. Questa azione è inaccettabile”, scrivono in una nota congiunta i tre presidenti David Sassoli, Ursula von der Leyen e Charles Michel. La definiscono “priva di qualsiasi giustificazione giuridica ed è del tutto priva di fondamento. Si rivolge direttamente all’Unione europea, non solo alle persone interessate. Questa decisione è l’ultima e sorprendente dimostrazione di come la Federazione russa abbia scelto di confrontarsi con l’UE invece di accettare di correggere la traiettoria negativa delle nostre relazioni bilaterali”. Lasciano aperta la possibilità di adottare misure appropriate in risposta alla decisione delle autorità russe.
    “A quanto pare, non sono il benvenuto al Cremlino? Lo sospettavo un po ‘… Nessuna sanzione o intimidazione fermerà il Parlamento o me dalla difesa dei diritti umani, della libertà e della democrazia. Le minacce non ci zittiranno. Come ha scritto Tolstoj, non c’è grandezza dove non c’è verità”, ha scritto Sassoli in un tweet.

    Apparently, I’m not welcome at the Kremlin? I had suspected it a bit… No sanctions or intimidation will stop the @Europarl_EN or me from defending human rights, freedom, and democracy. Threats will not silence us. As Tolstoy wrote, there is no greatness where there is no truth.
    — David Sassoli (@EP_President) April 30, 2021

    Gli altri sei nomi sono Ivars Abolins, presidente del Consiglio nazionale della Lettonia per i media elettronici; Maris Baltins, direttore del Centro statale per il linguaggio della Lettonia; Jacques Maire, membro della delegazione della Francia all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa; Jörg Raupach, capo della procura di Berlino; Osa Scott, capo del laboratorio di chimica, biologia, radiazioni e sicurezza nucleare dell’istituto di ricerca di difesa della Svezia; Ilmar Tomusk, capo del dipartimento per il linguaggio dell’Estonia. Da Mosca usano toni durissimi. “Questa pratica è contraria alla Carta delle Nazioni Unite e alle norme fondamentali del diritto internazionale”, prosegue il comunicato.
    “Tutte le nostre proposte per risolvere eventuali problemi che sorgono tra Russia e Ue nella modalità del dialogo professionale diretto vengono costantemente ignorate o respinte”, ha sottolineato il ministero. Secondo Mosca le sanzioni dell’Unione europea “non lasciano dubbi sul fatto che il loro vero obiettivo sia frenare ad ogni costo lo sviluppo del nostro Paese e imporre il loro concetto unilaterale di un ‘ordine mondiale basato su regole’ che mina il diritto internazionale. Lanciare una sfida aperta all’indipendenza della politica estera e interna russa. Questo viene fatto apertamente e deliberatamente. E, naturalmente, con la conoscenza e l’incoraggiamento degli Stati Uniti, che non nascondono il loro interesse a trasformare l’Europa in un’arena di acuto confronto geopolitico”, ha osservato il ministero.
    Appena due giorni fa, in Parlamento europeo il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, aveva parlato di tensioni crescenti tra Russia e Occidente, con continue tattiche intimidatorie da parte di Mosca: dal caso Navalny, prima avvelenato e poi incarcerato; alle truppe ammassate al confine con l’Ucraina (poi ritirate) o ancora la crisi diplomatica con la Repubblica Ceca dopo l’accertamento di alcune azioni spionistiche russe. Mentre l’Unione Europea si è detta impegnata a non voler “alimentare ulteriormente una dinamica di escalation” se anche si dice decisa “a non accettare tattiche intimidatorie” da parte di Mosca alle quali “dobbiamo rispondere se accadono”, ha precisato Borrell. Ora è il momento di non lasciare
    Le reazioni
    Da Bruxelles si è mossa nell’immediato un’ondata di messaggi di solidarietà verso Sassoli e Jourova per le sanzioni. “Tanto ingiustificate quanto inutili”, afferma il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni.

    Solidarietà a @DavidSassoli @VeraJourova e altri esponenti europei colpiti da sanzioni russe. Tanto ingiustificate quanto inutili.
    — Paolo Gentiloni (@PaoloGentiloni) April 30, 2021

    “La mia totale solidarietà al Presidente Sassoli per la decisione delle autorità russe di vietare l’ingresso suo e di altri rappresentanti in Russia, come risposta alle #sanzioni per il caso Navalny. Non ci pieghiamo alle minacce. Grazie David per il tuo coraggio”, scrive Brando Benifei, capo delegazione del Partito Democratico all’Europarlamento. “Serve ora una reazione ferma e decisa di tutte le istituzioni per questo atto ostile e ingiustificato”, afferma l’eurodeputata S&D, Pina Picerno, a cui fa eco anche Patrizia Toia, che parla di “inaccettabile decisione con cui il governo russo vuole limitare l’ingresso di Sassoli e degli altri rappresentanti in Russia, dopo che l’UE si è schierata a favore di Navalny. Solidarietà al Presidente: saremo sempre dalla parte dei diritti e della libertà”. “Le minacce russe non saranno mai più forti della nostra libertà”, commenta anche l’eurodeputato Nicola Danti (Italia Viva). “Presidente Putin, può sanzionare tutti i deputati che vuole, ma non ci zittirà. Piena solidarietà da parte del Partito popolare europeo”, scrive su twitter il capogruppo, Manfred Weber. Solidarietà al presidente del Parlamento Europeo e agli altri rappresentanti Ue che viene espressa anche dalla delegazione della Lega all’Europarlamento, dentro al gruppo Identità e Democrazia. “Le sanzioni ingiustificate e le intimidazioni non sono la risposta per normalizzare i rapporti e aiutare il dialogo”, scrive in una nota.
    Solidarietà che arriva anche da Roma. “Un gesto di ostilità incomprensibile, non compatibile con i valori della democrazia europea e con i principi del diritto internazionale”, commenta il presidente della Camera, Roberto Fico. “Nessuna intimidazione verso lui e altre autorità europee può essere tollerata. Il Parlamento UE è il cuore della nostra democrazia liberale. Chi attacca David Sassoli attacca l’Europa”, scrive il Sottosegretario con delega agli affari europei, Enzo Amendola.

    Ferma condanna dell’Unione Europea: “Azione inaccettabile”, scrivono i tre presidenti Sassoli, von der Leyen e Michel. Colpita anche la vicepresidente della Commissione per i Valori e la Trasparenza, Vera Jourova, insieme alle altre sei cariche pubbliche. Per Mosca le sanzioni dell’UE mirano a frenare ad ogni costo lo sviluppo “del nostro Paese”