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    Von der Leyen spinge la Bosnia ed Erzegovina verso l’Ue: “Siate uniti e sfruttate l’opportunità, è il sogno dei giovani”

    Bruxelles – “Nel cuore di Bruxelles c’è un pezzo di Bosnia ed Erzegovina, è un grande edificio dipinto da un giovane artista di Sarajevo, Rikardo Druškić, che manda un messaggio chiaro: siete parte dell’Europa, appartenente all’Unione Europea”. Nella quarta tappa del suo viaggio di quattro giorni nei Balcani Occidentali, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha aperto oggi (venerdì 28 ottobre) il suo discorso a Sarajevo con la storia di un giovane bosniaco, simbolo delle aspirazioni del Paese e degli sforzi del gabinetto von der Leyen per spingere la stabilità istituzionale e il processo di adesione nell’Ue. “È toccante vedere la bandiera europea proiettata sui monumenti simbolo a Sarajevo, Banja Luka e Mostar, per celebrare la nostra proposta” di garantire alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione: “La nostra bandiera sarà anche la vostra bandiera“, è la prima promessa di von der Leyen.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, a colloquio con i membri della presidenza tripartita, Željko Komšić, Denis Bećirović e Milorad Dodik (Sarajevo, 28 ottobre 2022)
    Il punto di partenza è proprio la “fede nell’Europa, così grande nei giovani” in Bosnia ed Erzegovina: “Significa prosperità economica, libertà di movimento, un futuro nel Paese”. Una generazione “nata dopo la guerra” del 1992-1995, che “rispetta il passato, ma non vuole più essere divisa” e che non a caso traina l’alto supporto nazionale all’adesione all’Unione Europea: “Più di tre quarti della popolazione, una maggioranza solida in tutto il Paese“, ha puntualizzato la numero uno dell’esecutivo comunitario.
    L’adesione Ue “è parte di questo obiettivo” e ora è compito dei rappresentanti politici neo-eletti “rendere questo sogno realtà, con il vostro lavoro e con una grande responsabilità”. L’impegno si dovrà concentrare sulle riforme “cruciali” da adottare in un ampio spettro di settori – come evidenziato dal report specifico dell’ultima relazione sull’allargamento – che “non sono facili da approvare”, ha confessato von der Leyen: “Ma guardate cosa c’è alla fine di questa strada, la Bosnia potrà essere un Paese in cui tutti sono uguale davanti alla legge, che offrirà opportunità, che attrarrà investimenti, dove ognuno si sentirà rappresentato” a prescindere dall’etnia.
    Il sostegno della Commissione alla Bosnia ed Erzegovina non è mai stato così forte, come ha dimostrato la raccomandazione al Consiglio di concedere lo status di Paese candidato al vertice dei leader Ue di dicembre. “Abbiamo voluto premiare il lavoro degli ultimi quattro anni, in mezzo alle difficoltà del Covid, della guerra in Ucraina e delle divisioni politiche”, ha spiegato la presidente von der Leyen, parlando dei “progressi per quanto riguarda gli appalti pubblici, il Meccanismo di protezione civile Ue e la cooperazione con Europol”. Da tutto questo ne emerge una lezione: “Se c’è volontà politica, si trova un modo per farlo“, anche l’ingresso nell’Unione. Ecco perché la capa del gabinetto Ue ha chiesto “per favore” di sfruttare l’opportunità: “La porta è aperta, è il vostro momento”. Da parte “mia personale e di tutta la Commissione” arriva la promessa che “vi difenderemo in Consiglio” per la candidatura all’adesione: “La nostra proposta è una chiara dichiarazione politica”.

    #Sarajevo, #BanjaLuka & #Mostar tonight 👇 🇧🇦🇪🇺🙏🙏🙏 pic.twitter.com/F7W21ij6Db
    — Johann Sattler (@josattler) October 12, 2022

    La Bosnia tra crisi energetica e guerra in Ucraina
    L’adesione all’Ue è solo un punto di partenza per la Bosnia ed Erzegovina: l’orizzonte è quello di una condivisione di progetti e investimenti economici nella stessa casa europea, che parte già dal presente. “Un anno fa, durante la mia ultima visita, ho attraversato un ponte finanziato dall’Ue che collega Croazia e Bosnia ed Erzegovina”, il ponte sul fiume Sava, al valico di Svilaj, ha ricordato von der Leyen, anticipando l’inaugurazione nel pomeriggio del tunnel Ivan “che collegherà Mostar a Sarajevo e, più a nord, a Budapest”. Un segno tangibile che il Paese “è nel cuore dell’Europa e dovrebbe essere anche al centro dei nostri scambi commerciali ed economici”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (Sarajevo, 28 ottobre 2022)
    Tutto ciò non può non tenere in considerazione le conseguenze della guerra russa in Ucraina, che è diventata anche una “guerra energetica di Putin” contro “famiglie e imprese di tutto il nostro continente”. Dopo gli 80 milioni per la Macedonia del Nord, altrettanti per l’Albania e i 75 milioni per il Kosovo, la numero uno della Commissione ha annunciato che il pacchetto di sostegno Ue per i Balcani Occidentali contro la crisi energetica “comprenderà 70 milioni di euro per la Bosnia ed Erzegovina, per affrontare sul breve termine le conseguenze dell’aumento dei prezzi dell’energia”. Le sovvenzioni saranno sbloccate entro la fine dell’anno e saranno disponibili da gennaio, con una seconda parte di sostegno all’orizzonte: “Con altri 500 milioni di euro per la regione accelereremo la costruzione di interconnettori con i Paesi vicini e la transizione verso le energie rinnovabili”, in particolare centrali solari, eoliche e a biomassa, “che possono essere costruite in meno di un anno”.
    La guerra russa in Ucraina ha un impatto e conseguenze particolari in Bosnia ed Erzegovina, che la presidente della Commissione non ha voluto nascondere: “So che molti cittadini si sentono in ansia, perché Putin ha lanciato un assalto alle regole internazionali che qui hanno garantito la pace dal 1995“, approfondendo il solco tra le due entità che compongono il Paese, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina e la Republika Srpska (a maggioranza serba). Ma “la soluzione migliore è una cooperazione ancora più stretta con l’Unione Europea” e seguire l’esempio di un’altra giovane bosniaca, la nuotatrice 16enne Lana Pudar, vincitrice dell’oro europeo nei 200 metri farfalla femminili: “Non è stato facile per lei allenarsi, in una città che non ha una piscina olimpionica, ma Lana ce l’ha fatta contro ogni previsione e oggi grazie al suo successo a Mostar verrà costruita una nuova piscina olimpionica”. La giovane sportiva bosniaca “è diventata un simbolo in tutto il Paese, è stata celebrata in tutte le entità e aldilà dei confini” e l’intervento di von der Leyen si è chiuso proprio là dove si era aperto: “Questo è il sogno dei vostri giovani, un Paese unito nella diversità e con i suoi vicini in un’unica famiglia europea, lavoriamo per farlo insieme”.

    The EU stands with Bosnia and Herzegovina in the energy crisis. We have prepared an energy support package for our Western Balkan partners. 
    For 🇧🇦 it means €70 million in short-term support. And investments in more reliable sources of energy – like solar, wind or biomass. pic.twitter.com/JOyuuULPCT
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) October 28, 2022

    Prosegue il viaggio della presidente della Commissione nei Balcani Occidentali, con la promessa concreta a Sarajevo di sostegno alla candidatura del Paese all’Unione e 70 milioni di euro come aiuto immediato contro la crisi energetica. Rimangono centrali gli sforzi per la stabilità del Paese

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    Tra separatismo, rinnovamento e polemiche in Bosnia ed Erzegovina. Chi ha vinto le elezioni più complicate del mondo

    Bruxelles – Si sono svolte ieri (domenica 2 ottobre) in Bosnia ed Erzegovina quelle che sono considerate dall’opinione pubblica internazionale le elezioni più complicate tra i sistemi politici di tutto il mondo. In linea generale ha vinto il rinnovamento tra le etnie croata e musulmana, ma allo stesso tempo non si è nemmeno arrestato il separatismo della componente serba, rendendo ancora più intricata l’analisi del voto politico nel Paese balcanico, che si è appesantita con la decisione dell’alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina (Ohr), Christian Schmidt, di usare i cosiddetti ‘poteri di Bonn’ per imporre modifiche alla legge elettorale e alla Costituzione proprio nel giorno del voto.
    Per capire l’esito delle elezioni, bisogna analizzare il sistema di governo in vigore in Bosnia ed Erzegovina. Il Paese è diviso in due entità, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina e la Republika Srpska: ciascuna ha un Parlamento bicamerale e, a seconda dell’entità in cui vivono, i cittadini eleggono anche un presidente (Republika Srpska) o la rappresentanza politica cantonale (Federazione di Bosnia ed Erzegovina, divisa in 10 cantoni). A livello statale, c’è una presidenza tripartita (composta dai rappresentanti delle etnie croata, musulmana e serba) un Consiglio dei ministri e un Parlamento bicamerale statale: di quest’ultimo è importante la Camera dei popoli – di 15 membri, cinque per ciascuna etnia – che ha il compito di tutelare i rispettivi interessi etnici con un potere di veto sulle leggi approvate dalla Camera dei rappresentanti. Nella pratica, nel giorno delle elezioni in Bosnia ed Erzegovina si vota per cose diverse a seconda della propria entità politica di riferimento e della propria etnia (chi non si identifica in nessuna delle tre maggiori è escluso da alcune votazioni). Chi risiede nella Federazione di Bosnia ed Erzegovina vota per i membri bosgnacco – cioè bosniaco musulmano – e croato della presidenza tripartita, per il Parlamento statale, per il Parlamento della Federazione e per l’Assemblea cantonale. Chi risiede nella Republika Srpska vota per il membro serbo della presidenza tripartita, per il Parlamento statale, per il presidente e per il Parlamento dell’entità serba.
    Su una popolazione di 3,8 milioni di persone, sono stati oltre 7 mila i cittadini che si sono candidati a una qualche carica di rappresentanza nel Paese il 2 ottobre 2022. In palio c’erano tre seggi per la presidenza tripartita, 42 per il Parlamento statale, 98 per l’Assemblea della Federazione, 83 per l’Assemblea e tre per il presidente e i vicepresidenti della Republika Srpska, oltre a tutti quelli delle 10 Assemblee cantonali. Secondo quanto riporta la Commissione elettorale centrale, solo il 50 per cento dei bosniaci ha votato nei 5.904 seggi aperti, confermando il clima di generale sfiducia nel sistema politico nazionale e di estrema complessità di quello elettorale, che è alla base dell’astensionismo cronico dalle prime elezioni dopo la fine della guerra in Bosnia nel 1996.
    Con l’85 per cento delle schede spogliate, per quanto riguarda la presidenza tripartita va segnalato il doppio risultato della socialdemocrazia nella Federazione. Il membro croato uscente, Željko Komšić (Fronte Democratico), si è imposto sulla candidata nazionalista dell’Unione Democratica Croata (Hdz), Borjana Krišto, spingendo verso la visione di uno Stato che si smarchi dalle divisioni etniche, come sostenuto anche dal futuro membro bosgnacco, Denis Bećirović (Partito Socialdemocratico), che ha sconfitto il Partito d’Azione Democratica (Sda), guidato dall’uscente Bakir Izetbegović (in carica dal 2010 a oggi e figlio del primo presidente bosniaco, Alija Izetbegović). L’asse di centro-sinistra moderato che proverà a spingere Sarajevo su una strada meno etno-centrica a riformista è frenato però dall’elezione della serbo-bosniaca Željka Cvijanović (la prima rappresentante donna di sempre in questo ruolo): presidente uscente della Republika Srpska, anche lei sarebbe una socialdemocratica, ma nell’entità a maggioranza serba questo significa che continuerà con ancora più forza il progetto secessionista iniziato dal predecessore, Milorad Dodik.

    This is the new BiH Presidency.
    Bećirović and Komšić are social democrats who will continue advocating for a civic BiH.
    Cvijanović, a Serb nationalist, will keep pushing for the secession of the RS.
    The people of BiH have sent a clear message: We want to live in a civic state. pic.twitter.com/0397EUsRdZ
    — Samir Beharić 🇺🇦 (@SamBeharic) October 3, 2022

    A proposito di Dodik, in Republika Srpska c’è un giallo sulle elezioni del nuovo presidente dell’entità. Dopo la chiusura delle urne, la candidata del Partito del Progresso Democratico (Pdp), Jelena Trivić, ha rivendicato la vittoria, sostenendo di essere sopra di oltre 11 mila voti rispetto al candidato dell’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti. La Commissione elettorale centrale, invece, ha confermato che è Dodik il più vicino a essere eletto per la terza volta (dopo il doppio mandato tra il 2010 e il 2018) a presidente della Republika Sprska, con uno scarto di circa 30 mila preferenze: gli avversari stanno denunciando brogli elettorali per cui dovrebbe essere invalidato il risultato delle urne. In ogni caso, entrambi i leader serbo-bosniaci spingono sulla strada del secessionismo dell’entità, e nessuno dei due scenari sembra essere più rassicurante per la stabilità del Paese e il rispetto degli impegni sulle riforme istituzionali previsti dal cammino di adesione all’Unione Europea.
    L’alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina (Ohr), Christian Schmidt (2 ottobre 2022)
    In attesa dell’esito del voto per la composizione delle 13 Assemblee parlamentari – locali, statali e delle entità – che potrebbe confermare queste le tendenze generali verso il riformismo nella Federazione e il separatismo nella Republika Srpska, è arrivata con un tempismo alquanto discutibile la decisione dell’alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina di imporre modifiche alla legge elettorale e alla Costituzione, nel pieno del processo di voto. Questa possibilità deriva dai ‘poteri di Bonn’ – previsti dagli Accordi di Dayton del 1995, che misero fine alla guerra in Bosnia iniziata tre anni prima – che consentono all’alto rappresentante di imporre misure legislative o licenziare funzionari che si oppongono all’attuazione degli stessi accordi di pace sulle modifiche alla Costituzione e alla legge elettorale.
    Le misure contenute nel ‘Pacchetto di funzionalità‘ dovrebbero snellire il processo legislativo con l’obbligo di cooperazione per le due Camere del Parlamento statale, aumentare il numero di rappresentanti nella Camera dei popoli e modificare le modalità con cui vengono eletti, oltre a definire scadenze più strette per la formazione del governo dopo le elezioni. Nonostante le dure critiche da parte dei maggiori esperti e analisti della politica bosniaca e di alcuni eurodeputati, la misura è stata sostenuta sia dall’ambasciata statunitense in Bosnia, sia da quella britannica. Più attendista è invece la Commissione Europea, che attraverso la portavoce per la Politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero, ha fatto sapere che “è una decisione dell’alto rappresentante” e ha ricordato che “i poteri di Bonn devono essere usati solo come ultimo mezzo disponibile”, esortando allo stesso tempo i leader bosniaci a “rafforzare gli impegni sanciti a giugno a Bruxelles“. Nella nota della delegazione Ue in Bosnia ed Erzegovina si legge invece che Bruxelles “prende atto” di quanto deciso da Schmidt, senza dare alcun indizio se si respiri ottimismo o irritazione per le modifiche alla Costituzione e alla legge elettorale del Paese nel giorno stesso delle elezioni.

    These results were however overshadowed by the use of the Bonn Powers by the @OHR_BiH to impose a new election law that caters the interests of the ethno-nationalistic HDZ party and its sister party in Zagreb. By doing so, Mr. Schmidt has severely complicated the reform process.
    — Tineke Strik (@Tineke_Strik) October 3, 2022

    “Con questa missione elettorale si rende ancor più evidente l’interesse e l’attenzione dell’Unione Europea, che resta convintamente al fianco del Paese nel suo cammino verso una piena integrazione europea”, scrive in una nota l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle e unico italiano tra gli osservatori elettorali del Parlamento, Fabio Massimo Castaldo, che sottolinea anche “lo speciale legame culturale, storico e commerciale dell’Italia con la Bosnia e con l’intera regione dei Balcani Occidentali”. L’auspicio dell’eurodeputato italiano è che “il nuovo Parlamento possa superare i veti e le tensioni degli ultimi anni e proseguire nel cammino delle riforme” verso l’adesione all’Unione.
    Anche i Socialisti e Democratici (S&D) all’Eurocamera esortano i nuovi leader “a superare le divisioni etniche e a concentrarsi sulle riforme necessarie verso un futuro prospero, democratico ed europeo”. Il nuovo governo, afferma una nota, “deve attuare tutti gli impegni e le riforme, comprese le sentenze dei tribunali nazionali e internazionali, per trasformare la Bosnia ed Erzegovina in uno Stato pienamente funzionante”. Il gruppo S&D è deluso dal fatto che “le campagne elettorali siano state oscurate dalla retorica etnica divisiva dei partiti politici invece di concentrarsi su argomenti riguardanti il benessere dei cittadini come la disoccupazione, la disuguaglianza sociale, la corruzione, l’elevata inflazione e la crisi energetica”.

    Le urne hanno rinnovato la presidenza tripartita, il Parlamento statale, quelli delle due entità e il presidente della Republika Srpska. Si delineano la linea moderata di croati e bosgnacchi e quella separatista serba, mentre l’alto rappresentante impone modifiche alla legge elettorale

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    I crimini di guerra in Ucraina “riportano alla mente” gli orrori della guerra in Bosnia: l’UE ricorda il massacro di Srebrenica

    Bruxelles – Le lancette della storia indietro di 27 anni, in Bosnia ed Erzegovina, mentre emergono giorno dopo giorno sempre più immagini e testimonianze degli orrori dell’esercito russo in Ucraina. Mai come quest’anno il ricordo del massacro di Srebrenica è un monito per quanto si sta ripetendo sul territorio europeo, oltre i confini orientali dell’UE. “Le uccisioni di massa e i crimini di guerra a cui assistiamo in Ucraina riportano alla mente la guerra nei Balcani Occidentali degli anni Novanta”, hanno sottolineato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, nel ribadire che “è più che mai nostro dovere ricordare il genocidio di Srebrenica, come parte della nostra storia comune europea“.
    Nel luglio del 1995 furono 8.372 i civili bosniaci – tutti maschi, di etnia musulmana – massacrati dalle forze serbo-bosniache di Ratko Mladić nei pressi del comune di Srebrenica, nella Bosnia orientale. Sono passati 27 anni da quell’ennesima tragedia (la più grande per numero di vittime in pochi giorni) di un genocidio durato tre anni e mezzo, dall’aprile del 1992 agli accordi di Dayton del 14 dicembre 1995. Eppure “ancora oggi non possiamo dare la pace per scontata“, perché “l’aggressione ingiustificata e immotivata della Russia contro l’Ucraina ha riportato una guerra brutale nel nostro continente”. Mentre la stabilità dell’Europa e l’ordine internazionale sono “profondamente scossi”, l’UE non dimentica “la necessità di alzarci per difendere la pace, la dignità umana e i valori universali”, rimessi in discussione: “Non abbiamo dimenticato ciò che è accaduto a Srebrenica e la nostra responsabilità per non essere stati in grado di prevenire e fermare il genocidio”.

    Today, we remember the victims of the #Srebrenica genocideWe cannot take peace for granted. We must learn from the past and work daily for peace, human dignity, universal valuesWe take inspiration from the Mothers of Srebrenica in their pursuit of truth, justice, reconciliation pic.twitter.com/5DZoB9fzxq
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) July 11, 2022

    Allora “l’Europa ha fallito e noi dobbiamo affrontare la nostra vergogna”, ma quegli errori non possono essere commessi di nuovo. Né in Ucraina né ancora nella regione balcanica: “In Europa non c’è posto per la negazione del genocidio, il revisionismo e la glorificazione dei criminali di guerra“, hanno avvertito l’alto rappresnetante Borrell e il commissario Várhelyi, richiamandosi alle tensioni che da diversi mesi si stanno vivendo nella Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba del Paese): “Tutti i cittadini della Bosnia ed Erzegovina meritano una società in cui prevalgano il pluralismo, la giustizia e la dignità umana”. Lo aveva ricordato un mese fa durate la cerimonia del Premio Lux 2022 al Parlamento UE la regista di Quo Vadis, Aida? (proprio sul massacro di Srebrenica), Jasmila Žbanić: “Abbiamo bisogno del vostro supporto contro i nazionalismi appoggiati daPutin”. E quella dei membri del gabinetto guidato da Ursula von der Leyen sembra quasi una risposta al suo appello: “In questi tempi pericolosi” i leader bosnaici “devono passare dalle parole ai fatti”, scegliendo “verità, giustizia e cooperazione al posto di paura e odio per superare le tragiche eredità del passato e costruire un futuro più luminoso e prospero per le prossime generazioni”.
    Un impegno che coinvolge il cammino di adesione di Sarajevo all’UE (nonostante le difficoltà mostrate anche da parte di Bruxelles nel fornire una risposta credibile alle aspirazioni balcaniche). “L’Unione Europea è stata costruita come un progetto di pace comune e il futuro della Bosnia ed Erzegovina è all’interno dell’Unione“, hanno ribadito con forza Borrell e Várhelyi. Ma per realizzare questo obiettivo “è necessario che tutti i leader del Paese si impegnino a porre la pace, la riconciliazione, la comprensione reciproca e il dialogo in cima alla loro agenda e si impegnino nel programma di riforme” richiesto dalla comunità internazionale. Anche il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, ha collegato il massacro di Srebrenica – “uno dei momenti più bui della storia europea moderna” con il momento storico che il continente sta affrontando: “Questo tragico anniversario ci ricorda che dobbiamo continuare a lavorare insieme per la pace in Europa” e per far sì che “la Bosnia ed Erzegovina diventi parte dell’Unione Europea”.

    27 years since #Srebrenica genocide, one of the darkest moments in modern European history.
    Our hearts & thoughts are with the victims & their families. This tragic anniversary is also a reminder: we must keep working together for peace in Europe & for 🇧🇦 to become part of 🇪🇺 pic.twitter.com/nZ6iJs81k4
    — Charles Michel (@CharlesMichel) July 11, 2022

    Nel ribadire che l’assassinio di oltre 8 mila civili nel 1995 “è parte della nostra storia comune europea” e un fallimento per cui “dobbiamo affrontare la nostra vergogna”, l’alto rappresentante UE, Josep Borrell, avverte che “neanche oggi non possiamo dare la pace per scontata”

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    La carta dei principi per pace e stabilità in Bosnia ed Erzegovina: i leader del Paese siglano l’accordo di Bruxelles

    Bruxelles – Non si ferma l’iniziativa dell’Unione Europea nei Balcani Occidentali, in particolare quella del presidente del Consiglio UE, Charles Michel. Dopo essere volato a Sarajevo, Tirana e Belgrado tre settimane fa per cercare di spingere la proposta di una comunità geopolitica europea e di una riforma del processo di adesione all’UE, il numero uno del Consiglio si è fatto artefice ieri (domenica 12 giugno) dell’accordo di Bruxelles tra i leader dei partiti e delle istituzioni della Bosnia ed Erzegovina, per far uscire il Paese dalla crisi politico-istituzionale che rischia di avere ripercussioni in tutta la regione balcanica.
    L’incontro tra il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, e l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, con i leader dei partiti e delle istituzioni della Bosnia ed Erzegovina (12 giugno 2022)
    L’accordo politico patrocinato anche dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, è stato il frutto della riunione svoltasi nella sede del Consiglio con 11 leader della Bosnia ed Erzegovina, tra cui i membri della presidenza tripartita Željko Komšić (croato-bosniaco), Šefik Džaferović (bosniaco musulmano) e Milorad Dodik (servo-bosniaco). Proprio all’indirizzo di quest’ultimo sembra indirizzato il monito di “preservare e costruire uno Stato europeo funzionale pacifico, stabile, sovrano e indipendente“, che rispetti non solo gli Accordi di Dayton (siglati il 21 novembre del 1995 per mettere fine alla guerra in Bosnia e sancire la nascita di uno Stato composto dalle tre più consistenti componenti etniche del Paese), ma anche i principi fondanti dell’UE, come lo Stato di diritto, le elezioni libere e le istituzioni democratiche.
    In linea con le 14 priorità-chiave delineate dalla Commissione Europea per l’avvicinamento della Bosnia al conferimento dello status di Paese candidato all’adesione UE, l’accordo di Bruxelles ha definito 19 punti su cui è necessario un impegno da parte di tutti i leader partitici e politici in entrambe le entità territoriali (la Republika Srpska e la Federazione di Bosnia ed Erzegovina), per “rafforzare la fiducia, il dialogo, la costruzione di compromessi”. In questo senso va letto lo sforzo per organizzare in modo “efficiente e ordinato” le elezioni generali previste per l’autunno di quest’anno – il che significa anche una campagna elettorale “priva di retorica divisiva e di odio” – e per la successiva “rapida formazione” delle nuove autorità legislative ed esecutive a tutti i livelli di governo. Subito dopo dovrà essere intrapreso il “costruttivo” percorso di riforme, che in sei mesi dovrà adottare “con urgenza” la legge sul Consiglio superiore della magistratura, della procura e dei tribunali, la legge sulla prevenzione del conflitto di interessi e sugli appalti pubblici, oltre alle riforme elettorali e costituzionali necessarie per garantire la piena conformità con le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e alle misure necessarie perché Sarajevo possa beneficiare dei fondi UE nell’ambito dello Strumento di assistenza preadesione (IPA III).
    A proposito di riforme, i leader bosniaci dovranno garantire il pieno funzionamento delle istituzioni statali, a partire dai settori in cui le competenze sono condivise (e per cui proprio il secessionismo di Dodik sta minacciando la tenuta del tessuto sociale e istituzionale dall’autunno dello scorso anno). Per il rafforzamento dello Stato, è necessario un rafforzamento della prevenzione e della lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata – anche garantendo che le forze dell’ordine e la magistratura possano operare in modo indipendente – e un miglioramento del funzionamento della pubblica amministrazione. Nell’accordo di Bruxelles compare anche il riferimento all’estensione del mandato esecutivo dell’EUFOR Althea “per mantenere un ambiente sicuro e protetto”, considerate soprattutto le minacce di destabilizzazione della Russia in Bosnia ed Erzegovina in particolare e nella penisola balcanica in generale. Un richiamo non solo interno al Paese, ma anche di allineamento alla politica estera e di sicurezza comune dell’UE, visto che la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese balcanico, insieme alla Serbia, a non aver adottato le sanzioni internazionali contro Mosca dopo l’aggressione militare dell’Ucraina.

    L’intesa politica in 19 punti voluta da Charles Michel e Josep Borrell impegna tutti i partiti nazionali a preservare uno Stato “pacifico, stabile, sovrano e indipendente”, in linea con le 14 priorità-chiave dell’Unione Europea su Stato di diritto, elezioni libere e istituzioni democratiche

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    Difesa comune e sanzioni “a maglie strette” contro la Russia. La guerra in Ucraina compatta i Ventisette in politica estera

    Bruxelles – Un Consiglio Europeo che lascia la sensazione che, almeno sul piano della politica estera, l’Unione si stia incamminando su un sentiero da cui difficilmente si potrà tornare indietro. Un mese di guerra della Russia in Ucraina ha dimostrato che i leader UE sembrano pronti a esorcizzare una chimera che non ha mai fatto dormire sonni tranquilli al progetto comunitario, dal giorno della sua nascita: una politica estera e di difesa comune. Il via libera alla Bussola Strategica per la difesa comune 2030, combinato con “l’adozione entro la fine del 2022 di misure per promuovere e facilitare l’accesso ai finanziamenti privati per l’industria della difesa“, come si legge nelle dichiarazioni conclusive della due-giorni di vertice UE, vanno in questa direzione.
    Sarà proprio il Consiglio a tenere “regolarmente controllata” l’attuazione del nuovo strumento che rappresenta “un grande passo in avanti nella definizione di una politica di sicurezza comune dell’Unione”, come l’aveva definito l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e “se necessario, fornirà ulteriori orientamenti”. Che il colpo di grazia all’implementazione di questo progetto comune sia arrivato dall’offensiva militare della Russia, lo evidenziano gli stessi 27 leader dell’UE: “Dobbiamo tenere conto della nuova situazione della sicurezza in Europa, che rappresenta un cambiamento importante nel suo ambiente strategico“. La Bussola strategica – il primo embrione di una difesa comune – è un insieme “coerente” di azioni, mezzi e obiettivi “per questo nuovo slancio”.
    Se bisogna seguire i soldi per capire in che direzione vanno i progetti politici, si può scendere dalle dichiarazioni di principio al piano concreto: “Vanno stimolati gli investimenti e l’innovazione per sviluppare insieme le capacità e le tecnologie necessarie” e allo stesso tempo “deve essere sfruttato tutto il potenziale degli strumenti e delle iniziative di finanziamento dell’Unione Europea”, in particolare il Fondo europeo per la difesa e la cooperazione strutturata permanente, il piano di sviluppo delle capacità e la revisione annuale coordinata sulla difesa. Prossimo appuntamento a metà maggio, quando la Commissione UE avrà elaborato un’analisi sulle lacune di investimenti e proporrà “ulteriori iniziative per rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa europea“.
    Il premier, Mario Draghi (25 marzo 2022)
    Il capitolo della difesa comune è pregnante anche nell’impegno del governo guidato da Mario Draghi per aumentare la spesa militare al 2 per cento del PIL. “Questo avviene all’interno della difesa europea, che è fondamentale per l’integrazione politica“. Un concetto che affonda le radici agli albori del progetto comunitario: “Chi volle la difesa europea, bloccata poi dal veto francese, fu Alcide De Gasperi“, ha sottolineato il premier italiano in conferenza stampa al termine del vertice di Bruxelles. “Avere la difesa europea vuol dire che non ci faremo più guerra tra di noi e dobbiamo impegnarci per coordinarci meglio, anche con una maggiore spesa”, come “tutti gli esperti dicono che è necessario e urgente”. Un’urgenza e una necessità che l’UE avverte da quando la Russia ha invaso l’Ucraina “con logiche che appartenevano ad altre epoche”, ha insistito Draghi.
    Ma l’unità in politica estera si stringe in modo sempre più coordinato insieme allo sforzo dei leader UE di “chiudere le maglie larghe delle sanzioni” contro la Russia. La condanna unanime all’aggressione russa non è una novità e nemmeno lo è l’impegno a rafforzare il regime di misure restrittive. Ma quello che davvero spicca nell’atteggiamento su questo fronte è il tentativo di parlare a una sola voce, mettendosi a capo di una coalizione che “ormai conta già 40 Paesi in tutto il mondo, la metà del PIL globale”, come ha sottolineato la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, dopo la fine delle quasi dieci ore di discussioni con i 27 capi di Stato e di governo dell’Unione. Una leadership che va incontro anche alle aspettative del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, presente fisicamente in queste due giornate di incontri di alto livello a Bruxelles. A oggi sono quattro i pacchetti di sanzioni che “prosciugano le risorse a cui attinge l’economia russa”. Tuttavia, “ancora non sono riuscite alla perfezione”, ha avvertito la leader dell’esecutivo comunitario: “Abbiamo sistemi diversi, ma un obiettivo comune, e questo ci permetterà di chiudere le scappatoie e gli aggiramenti delle sanzioni“.
    La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e quello del Consiglio Europeo, Charles Michel (25 marzo 2022)
    Insomma, i leader UE sanno che per “chiudere i buchi” serve un lavoro coordinato tra i Ventisette e un “supporto della Commissione Europea”, ma anche che è necessario applicarle meglio e impedirne l’elusione: non si potrà prescindere dal “lavoro con Paesi terzi per sensibilizzarli a seguire la nostra stessa impostazione contro la Russia“, ha aggiunto il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Fonti europee fanno però sapere che sarà necessario uno sforzo diplomatico e una prova di unità in politica estera non indifferente da parte dell’Unione: in Europa “preoccupa soprattutto il non allineamento della Serbia“, che al momento né Bruxelles né Washington sono riusciti a convincere. I leader UE “continuano a provarci”, per non rischiare di lasciare alla mercé di Mosca un avamposto per la destabilizzazione della regione balcanica.
    A proposito di Balcani Occidentali, “la Bosnia ed Erzegovina ha richiesto una discussione più lunga e complessa del previsto“, spiegano le stesse fonti, che sottolineano come “la situazione era già complessa, e ora si intensificano le destabilizzazioni russe”. Le conclusioni del Consiglio dedicano uno degli ultimi punti alla questione bosniaca, chiamando i leader del Paese – in particolare il serbo-bosniaco, Milorad Dodik – alla dimostrazione di “un forte impegno a portare a termine rapidamente la riforma costituzionale ed elettorale” e a “sostenere tutte le altre riforme prioritarie indicate nel parere della Commissione per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione UE”. Timido invece il passaggio sulla Cina, a differenza dell’appello arrivato ieri dalla NATO: uno “scambio di opinioni” sulle relazioni con Pechino “nel nuovo contesto globale”, con riferimento sia alla guerra in Ucraina sia al vertice UE-Cina di venerdì prossimo (primo aprile). Sul nuovo sentiero della politica estera comune i Ventisette sono chiamati a fare passi più decisi.

    Nella due giorni di vertice è emersa l’unità sul coinvolgimento di Paesi terzi nelle misure contro Mosca e sul progetto della Bussola Strategica 2030. “L’aumento della spesa militare è all’interno del progetto di difesa europea, fondamentale per l’integrazione politica”, ha chiarito Draghi

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    Bruxelles alza la voce contro la destabilizzazione russa nei Balcani: “Tutta la Bosnia allineata o a rischio i fondi UE”

    Bruxelles – Cresce la preoccupazione nelle istituzioni europee sull’azione di destabilizzazione che la Russia di Putin può esercitare nei Balcani Occidentali, in particolare in Bosnia ed Erzegovina. L’avvertimento è arrivato a più riprese nelle ultime due settimane – cioè da quando è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina – dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e la questione è stata portata anche davanti all’Aula del Parlamento Europeo di Strasburgo.
    “Trent’anni dopo la divisione violenta della Jugoslavia, la guerra è tornata in Europa e parlare di Balcani è necessario”, ha sottolineato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, nel corso del dibattito in plenaria dell’Eurocamera. Ancora prima della destabilizzazione della Russia, “il 2021 è stato un anno perso per la Bosnia, anche sull’applicazione delle 14 priorità-chiave”. Proprio il commissario al centro delle polemiche per la sua (presunta) ambiguità sulla questione del separatismo della Republika Srpska dalle istituzioni centrali si è mostrato durissimo nel condannare il mancato riconoscimento dell’alto rappresentante per la Bosnia e il boicottaggio del governo federale: “Ha un impatto devastante su imprese e cittadini e mette a rischio i fondi UE del Piano economico e di investimenti“.
    Várhelyi ha spiegato che sono necessari “passi urgenti” da parte del membro serbo della presidenza tripartita, Milorad Dodik, per “ridurre la tensione“. A rischio, nel breve periodo, ci sono i 600 milioni di euro in finanziamenti messi a disposizione dalla Commissione UE per la Bosnia (all’interno di un pacchetto complessivo per la regione da 3,2 miliardi) “per sostenere la connettività digitale e le infrastrutture”. Tra queste anche il corridoio paneuropeo 5C, che passa dal territorio della Republika Srpska: “Solo il ritorno pieno nelle istituzioni statali e lo svolgimento libero ed equo delle elezioni di ottobre potrà permettere di concentrarsi su un’agenda positiva europea”, è stato il monito del commissario.
    Nel corso del dibattito in Aula sul rischio di destabilizzazione dei Balcani da parte della Russia, anche l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle Fabio Massimo Castaldo ha ricordato che “a un mese dal trentesimo anniversario della sua dichiarazione di indipendenza, la Bosnia ed Erzegovina sta attraversando la sua peggior crisi politica dalla fine delle guerre”. Per l’europarlamentare italiano “non basta minacciare dure sanzioni e inviare 500 soldati per scongiurare la spirale di tensione inter-etnica, mentre già partono tanti volontari filo-russi verso l’Ucraina”. È necessario piuttosto “un nostro coinvolgimento diretto sempre più forte”, sia con investimenti economici, sia con la “rivalutazione profonda dell’architettura dello Stato bosniaco, superando i limiti emersi da 30 di crisi perenne e instabilità”. In caso contrario, “sarà sin troppo facile per la Russia continuare con la sua opera di destabilizzazione della Bosnia e aprire un secondo fronte nel cuore dell’Europa”, ha avvertito Castaldo.
    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    Il commissario UE per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, ha avvertito che sono a rischio i 600 milioni di investimenti dai fondi europei, anche a causa del separatismo filo-russo della Republika Srpska

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    L’UE contro il tentativo della Republika Srpska di separarsi dalla Bosnia ed Erzegovina

    Bruxelles – Con le sanzioni UE che ancora latitano, la Republika Srpska tira dritto nel suo progetto secessionista dalle istituzioni centrali della Bosnia ed Erzegovina. Ieri (giovedì 10 febbraio) l’Assemblea nazionale dell’entità serba di Bosnia ha votato a favore di una legge che istituisce un Consiglio superiore della magistratura (HJPC) separato rispetto a quello del resto del Paese, un evidente tentativo di assumere unilateralmente le responsabilità costituzionali dello Stato.
    La tabella di marcia – che prevede di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario – era stata approvata il 10 dicembre dello scorso anno, dopo due mesi di grandi polemiche internazionali sul secessionismo voluto dal membro serbo-bosniaco della Presidenza tripartita, Milorad Dodik, e sponsorizzato dalla Russia di Vladimir Putin. Nonostante il boicottaggio dei partiti dell’opposizione, la maggioranza di governo ha votato compatta sia per una legge sulle proprietà statali (revocando una decisione del 2005 dell’alto rappresentante per la Bosnia), sia sul progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo, sottraendoli a quello della Bosnia ed Erzegovina che dal 2004 è l’unico organo autorizzato a nominare giudici e procuratori in tutto il Paese.
    Dura la condanna dell’UE sul voto dell’Assemblea nazionale della Republika Srpska: “Costituisce una violazione inaccettabile dell’ordine costituzionale e giuridico“, si legge in una nota del portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Peter Stano. A Bruxelles si continua a spingere sul tentativo di convincere Dodik e gli altri leader “a porre fine all’escalation e assicurare la ripresa di un dialogo serio all’interno delle istituzioni statali”. Ancora non arrivano indicazioni per sanzioni economiche contro i responsabili del secessionismo serbo in Bosnia, ma l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha messo all’ordine del giorno del prossimo Consiglio Affari Esteri (21 febbraio) la situazione in Bosnia ed Erzegovina e le azioni che ne minano l’unità. “L’UE è pronta a utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione per aiutare il Paese” sia a superare l’attuale crisi, ma anche a riprendere il percorso di adesione all’Unione, “minato seriamente da questa incertezza giuridica e dall’instabilità del sistema giudiziario“.
    La stessa condanna è stata condivisa dal Consiglio per l’attuazione della pace (PIC, l’organismo internazionale incaricato di attuare l’accordo di Dayton del 1995). La decisione di istituire un Consiglio superiore della magistratura separato nella Republika Srpska “rappresenterebbe una violazione della costituzione e dell’ordine giuridico della Bosnia ed Erzegovina“, riporta un comunicato del PIC non sostenuto dalla Russia. L’istituzione nel 2004 di un unico Consiglio superiore a livello statale è stata “una riforma fondamentale per modernizzare il sistema giudiziario in conformità con gli standard europei e internazionali”, per promuovere “un’amministrazione imparziale, indipendente ed efficace della giustizia in tutto il Paese”, conclude la nota.

    L’Assemblea nazionale dell’entità serba della Bosnia ha votato a favore di una legge che istituisce un Consiglio superiore della magistratura (HJPC) separato: “Violazione inaccettabile dell’ordine costituzionale e giuridico”

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    Completata l’associazione dei Balcani Occidentali a Horizon Europe: Albania aderisce, Bosnia diventa membro formale

    Bruxelles – Almeno un allargamento ai Balcani Occidentali l’Unione Europea è riuscito a completarlo. Non sarà quello che porta a 33 il numero di Stati membri, ma in termini di integrazione europea ha comunque un valore significativo. Oggi (giovedì 10 febbraio) è stata portata a compimento l’associazione dei Balcani Occidentali a Horizon Europe, grazie alla firma degli accordi da parte dell’Albania e l’applicazione formale di quelli con la Bosnia ed Erzegovina.
    La “pietra miliare per una più stretta cooperazione nella ricerca e nell’innovazione con la regione balcanica” è stata siglata dalla commissaria per l’Innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù, Mariya Gabriel, e dalla ministra dell’Istruzione e dello sport dell’Albania, Evis Kushi. Con questo accordo ricercatori, innovatori ed enti nei sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia) possono partecipare a tutti gli effetti a Horizon Europe, il programma UE da 95,5 miliardi di euro per la ricerca e l’innovazione (a prezzi correnti), in condizioni di parità con quelli degli Stati membri dell’Unione.
    “Attraverso la cooperazione reciproca nella ricerca e nell’innovazione possiamo trasformare le sfide attuali in opportunità“, ha commentato la commissaria Gabriel. “L’attuazione dell’Agenda dei Balcani Occidentali e la partecipazione a Horizon Europe avranno un grande impatto nella regione e in Europa in generale”, ha aggiunto, dando il benvenuto all’ultimo Paese balcanico firmatario. L’accordo dimostra l’impegno di Bruxelles a mettere in comune le risorse con i partner strategici per il progresso scientifico e lo sviluppo di ecosistemi innovativi: “Potremo implementare progetti e tecnologie che contribuiranno ad affrontare le sfide globali”.
    Così come Bosnia ed Erzegovina, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia, anche l’Albania era stata precedentemente associata al programma Horizon 2020, da cui circa mille organizzazioni balcaniche hanno ricevuto 170 milioni di euro di contributo diretto dell’UE tra il 2014 e il 2020. Il Kosovo è stato invece incluso dal 2021 nel successivo programma Horizon Europe, così come nell‘Agenda dei Balcani Occidentali su innovazione, ricerca, istruzione, cultura, gioventù e sport, la strategia di cooperazione globale e a lungo termine dell’UE e della regione balcanica per promuovere l’eccellenza scientifica e la riforma dei sistemi educativi.
    Per quanto riguarda la Bosnia ed Erzegovina, la commissaria Gabriel e la ministra degli Affari civili, Ankica Gudeljević, hanno firmato l’accordo Horizon Europe che ha permesso all’accordo di entrare in vigore con effetti retroattivi dal primo gennaio 2021. Questo significa che ora il Paese è formalmente associato al programma e che tutte le entità e i rappresentanti bosniaci sono pienamente inclusi nelle strutture di governance e nelle attività della rete.

    A warm welcome to #Albania 🇦🇱 to @HorizonEU!
    Thank you @EvisKushi, Minister for Education and Sports for signing on behalf of @AlbGov
    Through mutual cooperation in #reserach #science & #innovation we can turn current challenges into opportunities!#WesternBalkans pic.twitter.com/NswOxUCBvV
    — Mariya Gabriel (@GabrielMariya) February 10, 2022

    Dopo la firma dei due documenti con Tirana e Sarajevo, il programma UE per la cooperazione nella ricerca e nell’innovazione da 95,5 miliardi di euro si applicherà ai sei Paesi balcanici a pari condizioni di quelli membri UE