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    La Republika Srpska vuole adottare diverse leggi che rischiano di minare il percorso Ue della Bosnia

    Bruxelles – La minaccia non è mai stata così reale, molto semplicemente perché non è mai stato così concreto il percorso di adesione della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea. “L’Assemblea nazionale della Republika Srpska sta discutendo l’adozione di iniziative legislative che minerebbero l’ordine costituzionale del Paese, la funzionalità delle sue istituzioni e le libertà fondamentali“, ma non per ultimi “gli impegni assunti nel suo percorso verso l’Ue”. È questo l’avvertimento del portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, commentando il dibattito in corso oggi (18 aprile) al Parlamento dell’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina su cinque progetti di legge particolarmente controversi.

    il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik (credits: Elvis Barukcic / Afp)Con una nota durissima Stano è stato nettissimo sul fatto che “qualsiasi azione contraria” ai principi di sovranità, integrità territoriale e ordine costituzionale della Bosnia ed Erzegovina “porterà a gravi conseguenze” da parte di Bruxelles, come reazione ai progetti legislativi che vanno in direzione contraria alla decisione del Consiglio Europeo dello scorso 21 marzo di avviare i negoziati di adesione Ue con Sarajevo. “L’Unione Europea si aspetta che la Bosnia ed Erzegovina, compresa l’entità Republika Srpska, faccia dei passi avanti invece di intraprendere azioni che sono in contrasto con il suo percorso europeo“, perché “il dialogo, anziché l’escalation, produce risultati”. Il portavoce del Seae ha poi rivolto un appello “a tutti i leader” del Paese balcanico di “tornare al tavolo dei negoziati per il bene della popolazione del Paese e del suo futuro nell’Ue”.

    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Andrej Isakovic / Afp)Come evidenziano gli analisti, l’Assemblea di Banja Luka ha messo nell’agenda di oggi la discussione su diversi progetti di legge particolarmente controversi, dopo l’adozione di quella sugli ‘agenti stranieri e della reintroduzione di sanzioni penali per diffamazione lo scorso anno. In primis la legge elettorale, che espande il potere della Commissione elettorale della Republika Srpska di gestire le elezioni a livello locale e di entità, in opposizione sia alla legge elettorale statale sia alle modifiche recentemente adottate dall’alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina, Christian Schmidt. Per quanto riguarda la legge sui referendum, si tratta del quadro di riferimento per portare avanti rivendicazioni incostituzionali secondo la Corte Costituzionale di Sarajevo (come la Giornata della Republika Srpska). La legge sull’immunità prevede la non-perseguibilità in procedimenti civili e penali per il presidente dell’entità, i due vicepresidenti, i membri del governo e tutti i deputati. Le modifiche al diritto del lavoro permetterebbero invece alle persone sanzionate dagli Stati Uniti (che non possono avere accesso a conti bancari) di essere regolarmente pagate in contanti. E infine Banja Luka vuole nominare una delegazione per partecipare alla Grande Assemblea di Pasqua della Repubblica Srpska e della Serbia, che dovrebbe svolgersi tra il 5 e il 6 maggio – in occasione della Pasqua ortodossa – per stringere con ancora più forza il legame tra il presidente serbo-bosniaco, Milorad Dodik, e l’omologo serbo, Aleksandar Vučić, e la retorica pan-serba.ll problema Republika Srpska per la Bosnia nell’UeÈ proprio la Republika Srpska di Dodik uno degli ostacoli maggiori per il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea, da quando è iniziato il progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.

    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    È il giorno della Bosnia ed Erzegovina. Il Consiglio Europeo sblocca la strada per l’adesione Ue

    Bruxelles – L’endorsement è arrivato e oggi si può dire che “lo slancio e la finestra attuale di opportunità” è stata colta. I 27 leader Ue hanno deciso questa sera (21 marzo) di dare il via libera all’avvio dei negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina, appoggiando all’unanimità l’esortazione dei 7 Paesi membri più aperturisti (tra cui l’Italia) di permettere a Sarajevo di “incamminarsi saldamente sulla strada dell’Unione Europea”. È a tutti gli effetti un giorno storico per la Bosnia ed Erzegovina – anche se la svolta è ‘solo’ politica e non veramente tecnica – considerato il fatto che è da otto anni che il Paese balcanico attende alla porta dell’Unione.

    Da sinistra: la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles MichelSulla base della raccomandazione positiva della Commissione Europea arrivata lo scorso 12 marzo, il Consiglio Europeo ha dato il suo sostegno all’apertura dei negoziati di adesione Ue, anche se va rimarcato che il lavoro più complesso arriva probabilmente solo adesso. Perché i Ventisette invitano sì la Commissione a preparare il quadro negoziale per la Bosnia ed Erzegovina, ma solo “nel momento in cui saranno prese tutte le misure pertinenti” – come si legge nelle conclusioni del Consiglio Europeo – indicate nella raccomandazione specifica del Pacchetto Allargamento Ue 2022. La palla passa dunque di nuovo a Sarajevo, che dovrà portare a compimento le 8 priorità, e solo a seguire la Commissione potrà mettere a terra il quadro negoziale da adottare all’unanimità in Consiglio Affari Generali (che riunisce i 27 ministri degli Affari Europei). Solo allora saranno davvero avviati a livello formale i negoziati di adesione Ue per la Bosnia ed Erzegovina.“Il vostro posto è nella nostra famiglia europea, la decisione odierna rappresenta un passo avanti fondamentale nel vostro cammino verso l’Ue”, è l’annuncio del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che ha postato su X una foto con la la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto (contattata poco prima del via libera da Bruxelles). “Ora il duro lavoro deve continuare per far sì che la Bosnia ed Erzegovina avanzi costantemente, come vuole il vostro popolo”, ha aggiunto Michel. Anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha accolto “con favore” quella che ha definito in conferenza stampa una “decisione storica” dei 27 leader Ue: “La Bosnia ed Erzegovina ha fatto enormi passi avanti verso l’Unione, nell’ultimo anno è stato fatto di più dei dieci anni precedenti”. A oggi il Paese balcanico “è completamente allineato a livello di governance, politica estera, di sicurezza e di difesa“, ha confermato von der Leyen, che ha rimarcato anche “progressi importanti nell’adozione di testi di legge cruciali, sulla gestione della migrazione e sul dialogo e la riconciliazione”. Ora la speranza è che “la decisione di oggi porti a nuovi ulteriori progressi” nel percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione. “È un passo importante per avvicinare il Paese all’Ue, un’Unione allargata significa un’Unione più forte”, ha rimarcato la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola.Oltre la Bosnia, a che punto è l’allargamento UeSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre 2022 anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione e ora attende solo l’avvio formale dei negoziati di adesione. Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata a fine 2022: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.

    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Nel Pacchetto Allargamento Ue 2023 la Commissione ha raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato. Tutte le richieste sono state poi accolte dal vertice dei leader Ue di dicembre.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una relazione strategica apposita a Bruxelles.Come funziona il processo di adesione Ue

    Il processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.

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    Un fronte di 7 Paesi Ue chiede di aprire subito i negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina

    Bruxelles – Un quarto dei Paesi membri Ue si muove con forza a sostegno della Bosnia ed Erzegovina nel suo percorso di avvicinamento all’Unione Europea, a pochi giorni da un Consiglio Europeo che potrebbe essere l’ultima chiamata per le ambizioni di Sarajevo di accelerare il processo di adesione. Per l’occasione è tornato a muoversi il gruppo ‘Amici dei Balcani Occidentali’, composto dai sette Stati membri più aperturisti per l’integrazione immediata dei Paesi della regione balcanici: Italia, Austria, Croazia, Repubblica Ceca, Grecia, Slovacchia e Slovenia. “Riteniamo che sia essenziale cogliere lo slancio e la finestra attuale di opportunità e decidere di aprire i negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina“, si legge in una lettera – ottenuta da Eunews – inviata dai rispettivi ministri degli Affari Esteri (Raffaele Fitto per l’Italia) alla presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue, agli altri 20 colleghi e al commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi.La lettera è arrivata a pochi giorni dalla raccomandazione della Commissione Europea di aprire i negoziati di adesione con Sarajevo, considerati i “passi impressionanti verso di noi” del partner balcanico (parole della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, davanti all’emiciclo di Strasburgo) e il conseguente raggiungimento dei livelli richiesti di rispetto dei criteri di adesione. “Nelle ultime settimane e negli ultimi mesi la Bosnia ed Erzegovina ha realizzato riforme più sostanziali rispetto agli anni precedenti e il lavoro su ulteriori riforme è in corso”, sottolineano i sette ministri, ricordando la decisione presa durante il Consiglio Europeo di dicembre di avviare i negoziati di adesione proprio “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Gli esempi dei progressi sono evidenti, come riporta la lettera: l’adozione di emendamenti alla legge sull’Ombudsman, sulla libertà d’informazione e sugli stranieri, l’adeguamento della legge sul Consiglio superiore della magistratura e – “più recentemente” – l’adozione della legge contro il riciclaggio di denaro e il contrasto al finanziamento del terrorismo, sul conflitto di interessi e gli emendamenti alla legge sul servizio civile, oltre al via libera ai negoziati per l’accordo sullo status con Frontex e al Programma per l’integrazione nell’Ue.Un semaforo verde al Consiglio in programma giovedì e venerdì (21-22 marzo) permetterebbe alla Bosnia ed Erzegovina di “incamminarsi saldamente sulla strada dell’Unione Europea”. In caso contrario, “si indebolirebbe il ruolo dell’Ue nei Balcani Occidentali e si invierebbe un messaggio negativo all’intera regione, alla quale abbiamo promesso che il suo futuro è all’interno dell’Ue più di 20 anni fa”, mettono in guardia gli ‘Amici dei Balcani Occidentali”. In attesa dell’ultima bozza delle conclusioni del vertice dei leader Ue, al momento il capitolo 4 su ‘Allargamento e riforme’ risulta ancora vuoto “in attesa del testo”. Ma l’avvertimento era già arrivato durante il viaggio di fine gennaio di von der Leyen a Sarajevo con i primi ministri della Croazia, Andrej Plenković, e dei Paesi Bassi, Mark Rutte. “Dopo marzo, l’anno sarà pieno di temi come le elezioni e la nuova configurazione del Parlamento e della Commissione”, aveva segnalato la numero uno dell’esecutivo dell’Unione, confermando le parole ancora più esplicite del premier croato Plenković: “Se perdiamo l’occasione a marzo, il resto dell’anno andrà perso e si finirà quasi sicuramente a gennaio 2025“.Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed ErzegovinaIl cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni comunitarie, proprio per la situazione quasi disastrata del Paese sul fronte delle condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Tuttavia negli ultimi due anni si sono intensificati i segnali di fiducia soprattutto da parte dell’esecutivo comunitario e della sua presidente, anche considerati i rischi di destabilizzazione russa di un Paese e di una regione molto delicati nel cuore dell’Europa.

    È così che in occasione della presentazione del Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue, accompagnata da un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo di von der Leyen durante il viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico di Bruxelles. Dopo aver valutato il parere della Commissione, il vertice dei leader Ue del 15 dicembre 2022 ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione.Dopo essere diventata l’ottavo Paese candidato all’adesione nel processo di allargamento Ue, la Bosnia ed Erzegovina ha continuato a spingere sul percorso di avvicinamento all’Unione. Grazie ai progressi (seppur limitati) registrati da Bruxelles, nel Pacchetto Allargamento 2023 la Commissione Ue ha deciso di includere la raccomandazione al Consiglio Europeo di avviare i negoziati di adesione per Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma era già scontato che la risposta del vertice dei leader avrebbe aspettato nuove notizie positive sul fronte delle 14 priorità indicate dalla Commissione (di cui solo 2 sono state completate). All’ultimo Consiglio Europeo di dicembre è andata esattamente così, con la decisione di avviare i negoziati con la Bosnia ed Erzegovina ma senza indicare un vero momento di inizio.L’ostacolo Republika SrpskaEppure il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione è reso particolarmente ostico dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, che si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.

    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    La Commissione Ue dà il via libera all’avvio dei negoziati di adesione per la Bosnia ed Erzegovina

    dall’inviato a Strasburgo – Ora il semaforo è pienamente verde. “Raccomanderemo al Consiglio l’apertura dei negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina“, ha annunciato oggi (12 marzo) la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento alla sessione plenaria del Parlamento Europeo durante il dibattito sulla preparazione del Consiglio Europeo del 21-22 marzo. “Il messaggio della Bosnia ed Erzegovina è chiaro, anche il nostro messaggio deve essere chiaro: il suo futuro è nella nostra Unione”, è l’esortazione della numero uno dell’esecutivo Ue.

    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (12 marzo 2024)Dopo il viaggio di fine gennaio con i primi ministri della Croazia, Andrej Plenković, e dei Paesi Bassi, Mark Rutte, la presidente della Commissione Ue ha spinto il lavoro del Berlaymont per presentare la relazione sui passi compiuti da Sarajevo dalla decisione presa durante l’ultimo Consiglio Europeo di dicembre di avviare i negoziati di adesione “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Parlando agli eurodeputati, von der Leyen ha anticipato i punti della relazione sui progressi bosniaci: “Si tratta di un’analisi fattuale degli ultimi sviluppi e traccia un quadro molto chiaro”, ovvero che “da quando abbiamo concesso lo status di candidato [nel dicembre del 2022, ndr], la Bosnia ed Erzegovina ha compiuto passi impressionanti verso di noi”. In altre parole, “in poco più di un anno sono stati compiuti più progressi che in un decennio“, ha assicurato la numero uno della Commissione, fornendo alcuni esempi.In primis, la Bosnia ed Erzegovina “è ora pienamente allineata alla nostra politica estera e di sicurezza“, un passo “fondamentale in questi tempi di turbolenze geopolitiche”. Inoltre “il Paese sta adottando leggi importanti“, tra cui quella sulla prevenzione del conflitto di interessi, “che era rimasta in stallo per 7 anni”, e quella sulla lotta al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo. Un riferimento è stato fatto anche alla gestione della migrazione, che “continua a migliorare con i negoziati per un accordo Frontex pronti ad iniziare dopo che la Presidenza ha approvato il mandato negoziale“. Infine il Ministero della Giustizia bosniaco “ha accettato di includere nel casellario giudiziario nazionale le sentenze del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia”, ed “è appena diventato operativo” il nuovo Comitato direttivo per il consolidamento della pace. “Sono necessari ulteriori progressi per entrare a far parte della nostra Unione, ma il Paese sta dimostrando di essere in grado di adempiere i criteri di adesione e l’aspirazione dei suoi cittadini a far parte della nostra famiglia”, è quanto assicura la presidente von der Leyen, passando la palla al Consiglio.Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed ErzegovinaIl cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni comunitarie, proprio per la situazione quasi disastrata del Paese sul fronte delle condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Tuttavia negli ultimi due anni si sono intensificati i segnali di fiducia soprattutto da parte dell’esecutivo comunitario e della sua presidente, anche considerati i rischi di destabilizzazione russa di un Paese e di una regione molto delicati nel cuore dell’Europa.

    È così che in occasione della presentazione del Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue, accompagnata da un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo di von der Leyen durante il viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico di Bruxelles. Dopo aver valutato il parere della Commissione, il vertice dei leader Ue del 15 dicembre 2022 ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione.Dopo essere diventata l’ottavo Paese candidato all’adesione nel processo di allargamento Ue, la Bosnia ed Erzegovina ha continuato a spingere sul percorso di avvicinamento all’Unione. Grazie ai progressi (seppur limitati) registrati da Bruxelles, nel Pacchetto Allargamento 2023 la Commissione Ue ha deciso di includere la raccomandazione al Consiglio Europeo di avviare i negoziati di adesione per Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma era già scontato che la risposta del vertice dei leader avrebbe aspettato nuove notizie positive sul fronte delle 14 priorità indicate dalla Commissione (di cui solo 2 sono state completate). All’ultimo Consiglio Europeo di dicembre è andata esattamente così, con la decisione di avviare i negoziati con la Bosnia ed Erzegovina ma senza indicare un vero momento di inizio.L’ostacolo Republika SrpskaEppure il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione è reso particolarmente ostico dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, che si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.

    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Il Consiglio Europeo di marzo sarà decisivo per i negoziati di adesione Ue della Bosnia ed Erzegovina

    Bruxelles – Dopo un Consiglio Europeo di svolta, si attende un Consiglio Europeo risolutore. Le speranze della Bosnia ed Erzegovina di vedere avviati i negoziati di adesione Ue dipendono tutte dagli esiti del vertice dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri in programma il prossimo 21-22 marzo, sulla base di un report che la Commissione Europea sta stilando sui progressi dello stesso candidato perché questo traguardo cruciale del percorso di adesione possa realizzarsi. “Un Paese unico, unito e sovrano, questa è la nostra visione della Bosnia ed Erzegovina nell’Ue, presenteremo il report entro marzo e il Consiglio Europeo potrà discuterne”, ha messo in chiaro la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in un punto stampa a Sarajevo nel corso del suo viaggio insieme ai primi ministri della Croazia, Andrej Plenković, e dei Paesi Bassi, Mark Rutte.

    “Abbiamo discusso dei prossimi passi da fare, dobbiamo vedere progressi sui capitoli fondamentali, ha spiegato questa mattina (23 gennaio) la numero uno dell’esecutivo comunitario: “Più lo farete, più mi aiuterete con il report che dovrò presentare sui vostri progressi“. Il riferimento è alla decisione presa durante l’ultimo Consiglio Europeo di dicembre di avviare i negoziati di adesione con Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Parallelamente prosegue anche il lavoro sul Piano di crescita per i Balcani Occidentali e – dopo le minacce velate di von der Leyen durante l’ultimo viaggio a Sarajevo sulla redistribuzione delle risorse agli altri partner balcanici in caso di mancata implementazione delle riforme – oggi è arrivata la rassicurazione che “abbiamo disegnato il Piano perché nessun altro Paese lo possa bloccare, è solo una vostra decisione”.Ritornando alla questione dell’avvio dei negoziati di adesione Ue, la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, ha voluto illustrare l’impegno delle autorità nazionali sia con “un lavoro legislativo in corso su 13 progetti di legge” sia con un “programma di riforme per tutto il 2024”. A Sarajevo “c’è ottimismo” sul fatto che “a marzo ci sarà una data per avviare i negoziati”, ha sottolineato Krišto, ricevendo una conferma dal primo ministro croato Plenković: “Il rapporto ci dovrà aiutare a trovare il consenso su una decisione positiva, usate questa finestra di opportunità per spingere le riforme che saranno incluse nel report“. Il leader croato è finito però al centro delle polemiche nell’opinione pubblica nazionale per aver disertato l’incontro con i tre esponenti della presidenza della Bosnia ed Erzegovina, in polemica per la presenza dell’esponente croato-bosniaco Željko Komšić (non considerato legittimo da Zagabria). Una dimostrazione che nel processo di allargamento Ue la Croazia non è uno dei Paesi membri Ue più trainanti senza interesse, perché sta giocando una parallela partita nazionalistica.

    Da sinistra: il co-presidente bosniaco, Željko Komšić, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il co-presidente bosniaco, Denis Bećirović, il primo ministro dei Paesi Bassi, Mark Rutte, e la co-presidente bosniaca Željka Cvijanović (23 gennaio 2023)In ogni caso dalle parole del premier Plenković in conferenza stampa è emersa una questione particolarmente urgente per tutta l’Unione. “Se perdiamo l’occasione [di avviare i negoziati di adesione Ue, ndr] a marzo, il resto dell’anno andrà perso e si finirà quasi sicuramente a gennaio 2025“, è l’avvertimento a due mesi dall’appuntamento dei 27 leader: “Fra due mesi inizierà la campagna elettorale per le europee e poi si dovranno insediare le nuove istituzioni”. Una previsione non sconfessata da von der Leyen, di cui ancora non si conoscono le intenzioni su una possibile ricandidatura alla presidenza dell’esecutivo comunitario: “Dopo marzo, l’anno sarà pieno di temi come le elezioni e la nuova configurazione del Parlamento e della Commissione“. Senza frenare sulle possibilità di Sarajevo di aspirare all’avvio dei negoziati di adesione quanto prima, il premier olandese Rutte ha voluto comunque ribadire che “tutti i criteri devono essere rispettati, nella situazione corrente bisogna ammettere che c’è ancora molto lavoro da fare, ma siamo tutti disponibili ad aiutarvi”.Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed ErzegovinaIl cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni comunitarie, proprio per la situazione quasi disastrata del Paese sul fronte delle condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Tuttavia negli ultimi due anni si sono intensificati i segnali di fiducia soprattutto da parte dell’esecutivo comunitario e della sua presidente, anche considerati i rischi di destabilizzazione russa di un Paese e di una regione molto delicati nel cuore dell’Europa.

    È così che in occasione della presentazione del Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue, accompagnata da un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo di von der Leyen durante il viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico di Bruxelles. Dopo aver valutato il parere della Commissione, il vertice dei leader Ue del 15 dicembre 2022 ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione.Dopo essere diventata l’ottavo Paese candidato all’adesione nel processo di allargamento Ue, la Bosnia ed Erzegovina ha continuato a spingere sul percorso di avvicinamento all’Unione. Grazie ai progressi (seppur limitati) registrati da Bruxelles, nel Pacchetto Allargamento 2023 la Commissione Ue ha deciso di includere la raccomandazione al Consiglio Europeo di avviare i negoziati di adesione per Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma era già scontato che la risposta del vertice dei leader avrebbe aspettato nuove notizie positive sul fronte delle 14 priorità indicate dalla Commissione (di cui solo 2 sono state completate). All’ultimo Consiglio Europeo di dicembre è andata esattamente così, con la decisione di avviare i negoziati con la Bosnia ed Erzegovina ma senza indicare un vero momento di inizio. Ecco perché il vertice del 21-22 marzo è considerato decisivo su questo fronte, anche considerati gli impegni a Bruxelles – elettorali prima e istituzionali poi – nei restanti nove mesi dell’anno.L’ostacolo Republika SrpskaEppure il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione è reso particolarmente ostico dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, che si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.

    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Si chiude in Bosnia ed Erzegovina il tour balcanico di von der Leyen: “Riforme cruciali per adesione Ue e Piano di crescita”

    Bruxelles – Un anno dopo, con un risultato concreto alle spalle e una strada che rimane complicata ma con un nuovo impulso economico. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha chiuso ieri (primo novembre) in Bosnia ed Erzegovina la sua quattro-giorni di tour nei Balcani Occidentali, con un messaggio di incoraggiamento per il cammino del Paese verso l’adesione all’Unione Europea e un avvertimento ad accelerare sulle riforme fondamentali: “Sappiamo tutti che per raggiungere l’obiettivo di progredire abbiamo bisogno che la Bosnia ed Erzegovina parli con una sola voce e proceda unita, non possiamo accettare un arretramento sui nostri valori comuni o divisioni, in nessuna parte del vostro Paese”.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, a Sarajevo (primo novembre 2023)L’ultima tappa dell’annuale tour nella regione da parte della numero uno dell’esecutivo comunitario è stata l’occasione per riconfermare il sostegno di Bruxelles a Sarajevo dopo la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue il 15 dicembre dello scorso anno, “una giornata storica, molto emozionante e molto importante”. Poco più di 365 giorni dopo l’ultima volta nella capitale bosniaca, von der Leyen ha messo in chiaro su quali binari dovrà procedere il cammino del Paese per l’avvio effettivo dei negoziati di adesione e per la messa a terra del nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali presentato proprio dalla presidente della Commissione Ue nel suo viaggio in tutte le capitali della regione: “L’obiettivo dovrebbe essere quello di compiere progressi decisivi sulle 14 priorità-chiave” che riguardano riforme in ambito di Stato di diritto, diritti fondamentali, pubblica amministrazione ed economia.Nonostante le enormi difficoltà di un Paese diviso su molte direttrici – non da ultimo quella tra le due entità della Federazione di Bosnia ed Erzegovina e della Republika Sprska – von der Leyen ha scelto un’impostazione ottimista. “La nomina del governo e il lavoro che avete svolto nel primo anno di mandato dimostrano che il Paese è in grado di ottenere risultati” e ora sarà necessario concretizzare il pacchetto di misure sullo Stato di diritto composto di tre leggi: quella sui tribunali, quella sul conflitto d’interesse e quella sul riciclaggio di denaro sporco. “Sarebbe la prova delle capacità di rafforzare le fondamenta della democrazia”, ha messo in chiaro la leader della Commissione, rassicurata in conferenza stampa dalla presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto: “Siamo a un momento decisivo per trovare un accordo su queste riforme fondamentali”. Perché all’orizzonte non ci sono solo il Pacchetto Allargamento (atteso per l’8 novembre) e il Consiglio Europeo di dicembre, in cui si capirà se ci sono le condizioni per avviare i negoziati di adesione, ma le riforme saranno “cruciali” anche per i futuri stanziamenti economici del Piano di crescita per i Balcani Occidentali: “Se non saranno implementate, le risorse saranno ridistribuite ad altri Paesi che sono in grado di farlo, questo è un forte incentivo ad andare avanti in modo attivo”, ha avvertito von der Leyen.In altre parole, senza progressi sulle riforme rimarranno in stallo – o andranno perduti – i finanziamenti previsti per la Bosnia ed Erzegovina all’interno del pacchetto complessivo da 6 miliardi di euro e fondato su quattro pilastri. Il primo riguarda l’integrazione nelle dimensioni chiave del Mercato unico dell’Ue, il secondo è legato al completamento del Mercato regionale comune, il terzo si basa sul liberare il pieno potenziale economico attraverso riforme fondamentali sia sullo Stato di diritto sia in materia economica. E infine il pilastro del finanziamento da parte di Bruxelles: il pacchetto da 2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 in prestiti. “C’è un grande potenziale non sfruttato”, ha messo in chiaro la leader dell’esecutivo comunitario a Sarajevo, facendo riferimento al fatto che l’economia bosniaca “è pari al 35 per cento della media Ue”. Ecco perché “dobbiamo avvicinare le nostre economie” con l’approccio ‘riforme-investimenti’, al pari del Next Generation Eu per i Ventisette: “Sappiamo quanto sia importante la prosperità economica per il funzionamento di qualsiasi Paese” e per le prospettive di integrazione europea, è stato l’ultimo messaggio di von der Leyen nel suo tour balcanico.Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed ErzegovinaIl cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni comunitarie, proprio per la situazione quasi disastrata del Paese sul fronte delle condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Tuttavia negli ultimi due anni si sono intensificati i segnali di fiducia soprattutto da parte dell’esecutivo comunitario e della sua presidente, anche considerati i rischi di destabilizzazione russa di un Paese e di una regione molto delicati che si trovano nel cuore dell’Europa.È così che in occasione della presentazione del Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue, condita da un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo di von der Leyen durante il precedente viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico di Bruxelles. Dopo aver valutato il parere della Commissione, il vertice dei leader Ue del 15 dicembre 2022 ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione. Nel processo di allargamento Ue Sarajevo è diventato così l’ottavo candidato all’adesione.L’ostacolo Republika SrpskaEppure il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione è reso particolarmente ostico dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, che si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma da quest’anno le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete. A fine marzo il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Ma parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancato dal 24 febbraio dello scorso anno il non-allineamento alla politica estera dell’Unione e alle sanzioni internazionali contro il Cremlino: insieme alla Serbia la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese europeo a non aver adottato misure restrittive a causa dell’opposizione della componente serba della presidenza tripartita. Già il 20 settembre dello scorso anno Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio di quest’anno con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    In vista del Pacchetto Allargamento e del Consiglio Europeo la presidente della Commissione Ue ha esortato Sarajevo ad attuare tre leggi fondamentali sullo Stato di diritto. Con un avvertimento: “Le risorse economiche saranno redistribuite ad altri Paesi in caso di mancata implementazione”

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    Contro la legge sugli ‘agenti stranieri’ di putiniana memoria. L’Ue avverte la Republika Srpska di “abbandonare il progetto”

    Bruxelles – I timori dell’Unione Europea sul progetto di legge della Republika Srpska che ricalca in modo inquietante la legislazione russa stanno diventando sempre più concreti. Attraverso la sua delegazione a Sarajevo, l’Ue ha lanciato “un forte appello” al governo dell’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina perché ritiri “immediatamente” il disegno di legge sul registro speciale e la pubblicità dell’attività delle organizzazioni senza scopo di lucro. Altrimenti conosciuto come la legge sugli ‘agenti stranieri’, che martedì prossimo (26 settembre) sarà esaminata dall’Assemblea nazionale di Banja Luka: “L’Ue invita tutti i membri a non votare a favore” del disegno di legge “volto a intimidire e reprimere il lavoro delle organizzazioni della società civile, etichettando i loro rappresentanti come presunti agenti stranieri”, è la dura esortazione che arriva da Bruxelles.
    Il governo dell’entità serba della Bosnia ed Erzegovina ha presentato a fine marzo il progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. Il modello è simile a quello adottato da Mosca dal primo dicembre dello scorso anno, che ha ampliato l’utilizzo politico dell’etichetta ‘agente straniero’ già utilizzata dal 2012 per colpire media indipendenti e Ong. Il progetto è stato avanzato dall’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti (Snsd) guidata dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e avallata da tutti i membri della coalizione di governo: per questo motivo ci si aspetta un via libera dai parlamentari serbo-bosniaci alla prossima sessione. “L’Ue si fonda sui valori del rispetto dei diritti umani, della libertà, della democrazia e dello Stato di diritto”, tutti valori “protetti dalla Costituzione della Bosnia ed Erzegovina” e dal cammino di adesione del Paese balcanico verso l’adesione all’Unione. In altre parole, il progetto di legge “è in diretta contraddizione con l’impegno della leadership della Republika Srpska per migliorare l’integrazione europea“.
    È chiaro il riferimento ai doveri della Bosnia – e di entrambe le sue entità – così come definiti dalla Commissione Europea per la concessione dello status di Paese candidato. In particolare alla priorità-chiave numero 11 sulla libertà di espressione e dei media: “Saranno sottolineate molto chiaramente nel prossimo rapporto” dell’esecutivo comunitario atteso per il prossimo mese (l’annuale Pacchetto Allargamento). La delegazione Ue a Sarajevo sottolinea che “le organizzazioni della società civile svolgono un ruolo chiave nelle società democratiche e sono quelle che responsabilizzano i funzionari eletti, combattono la corruzione e rafforzano lo Stato di diritto”. Durissimo l’attacco a Dodik e al governo in carica a Banja Luka: “È per questo motivo che i regimi autoritari di tutto il mondo le attaccano e le etichettano come traditrici“. La conclusione è netta e senza troppi giri di parole: “Invece della famiglia europea, l’adozione di questo nuovo disegno di legge avvicinerebbe la Republika Srpska a tali regimi”.
    La Republika Srpska tra secessionismo, Russia e sanzioni
    Il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik (credits: Elvis Barukcic / Afp)
    Dodik e il suo partito si sono fatti promotore di un progetto secessionista in Republika Srpska dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme necessarie sul piano elettorale e costituzionale nel Paese balcanico.
    Alle provocazioni secessioniste si è affiancato dal 24 febbraio dello scorso anno il non-allineamento alla politica estera dell’Unione e alle sanzioni internazionali contro il Cremlino: insieme alla Serbia la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese europeo a non aver adottato misure restrittive a causa dell’opposizione della componente serba della presidenza tripartita. Già il 20 settembre dello scorso anno Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio di quest’anno con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se non fosse abbastanza, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria non permette il via libera (per qualsiasi atto concreto serve l’unanimità in Consiglio).
    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)
    Quella sugli ‘agenti stranieri’ non è l’unica dimostrazione di uno scostamento sul piano legislativo della Republika Srpska dal cammino di integrazione europea. Parallelamente è continuato l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Dopo le critiche pesanti da parte del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) anche la delegazione Ue a Sarajevo ha collegato le due leggi – adottata sulla diffamazione, in adozione sugli ‘agenti stranieri’ – per mettere in luce come quanto già in vigore “ha avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“, in contrasto anche con la priorità numero 12 sulla libertà di espressione e la protezione dei giornalisti.

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    Il 26 settembre è prevista l’adozione definitiva da parte del Parlamento dell’entità a maggioranza serba in Bosnia ed Erzegovina del progetto per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero: “È in diretta contraddizione con l’impegno per l’integrazione europea”

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    L’Ue contro le sanzioni penali per diffamazione in Republika Srpska: “Non in linea con lo status di candidato della Bosnia”

    Bruxelles – Gli avvertimenti delle istituzioni comunitarie non hanno sortito alcun effetto e ora nella Republika Srpska gli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione sono entrati in vigore. Ma questo non significa che Bruxelles molli la presa per riportare Banja Luka su un percorso più coerente con lo Stato di diritto: “La legge va contro le aspettative che hanno accompagnato la concessione dello status di candidato all’Ue e contro gli interessi di tutti i cittadini della Bosnia ed Erzegovina, compresi quelli residenti nella Republika Srpska”, è la condanna del portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, all’ultima sfida portata dal presidente dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico, Milorad Dodik.
    Il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik (credits: Elvis Barukcic / Afp)
    Secondo l’Ue “queste modifiche legislative impongono restrizioni inutili e sproporzionate ai media indipendenti e alla società civile” e la nuova legge ha “un forte impatto sull’ambiente della società civile”, dal momento in cui “limita la libertà di espressione e dei media nella Repubblica Srpska”. In altre parole, “si tratta di un deplorevole e innegabile passo indietro nella tutela dei diritti fondamentali“, mette in chiaro Stano. Gli emendamenti al Codice Penale in questione erano stati adottati a fine marzo – con 48 voti a favore e 21 contrari all’Assemblea nazionale della Repubblica Srpska – e dopo un periodo di consultazione pubblica di 60 giorni è stato avviato l’iter per l’adozione definitiva. Ora nell’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”.
    Ignorata la richiesta di Bruxelles di ritirare gli emendamenti, a questo punto “l’Ue si aspetta che tutte le autorità lavorino in modo costruttivo” per affrontare le priorità-chiave delineate dalla Commissione Europea perché venga raccomandata al Consiglio l’apertura dei negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina. In particolare la priorità numero 12, secondo cui il Paese candidato all’adesione Ue dal 15 dicembre 2022 deve “garantire la libertà di espressione e dei media e la protezione dei giornalisti“. Il tempo scorre e, con la misura adottata dal più controverso partner dell’Ue, sembra essere sempre più difficile che nel Pacchetto Allargamento 2023 (atteso per ottobre) il gabinetto von der Leyen sblocchi la via per i negoziati di adesione di Sarajevo in vista del Consiglio Europeo di dicembre, quando il dossier sarà analizzato dai 27 leader Ue. Ecco perché l’esortazione da Bruxelles non cambia: “Siamo impegnati a sostenere i media e la società civile in Bosnia ed Erzegovina, in particolare nell’entità della Republika Srpska”, ha ribadito il portavoce del Seae.
    La Republika Srpska tra secessionismo, Russia e sanzioni
    È dall’ottobre del 2021 che Dodik è diventato una spina nel fianco dell’Ue, facendosi promotore di un progetto secessionista in Republika Srpska. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche (le stesse che le fonti precisano essere in stallo) e dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme necessarie sul piano elettorale e costituzionale nel Paese balcanico.
    Alle provocazioni secessioniste si è affiancato dal 24 febbraio dello scorso anno il non-allineamento alla politica estera dell’Unione e alle sanzioni internazionali contro il Cremlino: insieme alla Serbia la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese europeo a non aver adottato le misure restrittive Ue a causa dell’opposizione della componente serba della presidenza tripartita. Già il 20 settembre dello scorso anno Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale da parte del Cremlino delle regioni ucraine Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio di quest’anno con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco.
    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 20 settembre 2022 (credits: Alexey Nikolsky)
    Parallelamente sono continuati i tentativi di imporre un sistema di controllo sui media e la libertà di stampa che ricorda molto da vicino quello russo. A fine marzo l’Assemblea nazionale della Repubblica Srpska ha votato a favore di emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per la diffamazione, entrati in vigore cinque mesi più tardi. Allo stesso tempo il governo dell’entità serba della Bosnia ed Erzegovina ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero: il modello è simile a quello adottato a Mosca dal primo dicembre dello scorso anno, che ha ampliato l’utilizzo politico dell’etichetta ‘agente straniero’ già utilizzata dal 2012 per colpire media indipendenti e Ong.

    Da Bruxelles nuove dure critiche dopo l’entrata in vigore degli emendamenti al Codice Penale dell’entità a maggioranza serba: “Restrizioni inutili e sproporzionate ai media indipendenti e alla società civile, è un deplorevole e innegabile passo indietro nella tutela dei diritti fondamentali”