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    In Bosnia non c’è l’accordo sull’Agenda di riforme. A rischio i fondi Ue del Piano di crescita

    Bruxelles – Non basta il via libera del Consiglio Europeo all’avvio dei negoziati di adesione. La Bosnia ed Erzegovina rimane nel caos istituzionale, che ora mette a rischio – come da tempo temuto – i fondi Ue stanziati dal nuovo Piano per i Balcani Occidentali che lega la crescita economica con le riforme interne. “La Bosnia ed Erzegovina non ha ancora presentato alla Commissione Europea un’agenda di riforma definitiva, è quindi molto probabile che non riceva già dopo l’estate la prima rata non condizionata di prefinanziamento del 7 cento”, è quanto reso noto dalla delegazione Ue a Sarajevo in una nota pubblicata su X: “Si tratta di un’occasione persa per un finanziamento anticipato e sostanziale“.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, a Sarajevo (primo novembre 2023)Che Sarajevo corresse questo pericolo era già emerso lo scorso autunno, quando la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nella sua tappa bosniaca del consueto viaggio annuale nei Balcani Occidentali aveva messo in chiaro che la mancata implementazione delle riforme fondamentali comporterà che “le risorse saranno ridistribuite ad altri Paesi che sono in grado di farlo“. Con il Piano di crescita approvato in tempi record dai co-legislatori Ue all’inizio di quest’anno, l’esecutivo Ue aveva confermato due mesi fa che in caso di non rispetto degli standard sulle riforme l’Ue potrà decidere di tagliare i fondi. “La prima rata del Piano di crescita potrà essere erogata solo dopo che l’Agenda di riforma sarà stata presentata e formalmente approvata dalla Commissione Europea e dalla Bosnia ed Erzegovina”, ha precisato ieri (25 luglio) la delegazione Ue a Sarajevo, incoraggiando il lavoro “senza ulteriori ritardi, per non perdere del tutto questa opportunità”. La quota di finanziamenti per la Bosnia ed Erzegovina dal Piano di crescita è stimata complessivamente a un miliardo di euro: al momento salta una prima rata di prefinanziamento senza condizioni dal valore di circa 70 milioni di euro.A provocare lo stallo istituzionale sull’approvazione dell’Agenda di riforma è stato il caos istituzionale emerso di fronte alla bozza presentata dal Gruppo di lavoro ad hoc, nonostante la proroga alla scadenza concessa dalla Commissione Ue per raggiungere in extremis in accordo. In quello che a tutti gli effetti è uno degli assetti istituzionali più complicati al mondo – come emerso dagli Accordi di Dayton del 1995 che hanno chiuso tre anni e mezzo di guerra civile ed etnica nel Paese – prima il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, si è rifiutato di accettare due punti (dei 112 dell’Agenda) sulla nomina dei giudici della Corte costituzionale centrale e sul riconoscimento delle decisioni della Corte stessa, poi i rappresentanti di quattro cantoni della Federazione di Bosnia ed Erzegovina (Bosnia Centrale, Tuzla, Zenica-Doboj e Una-Sana) non hanno dato il consenso al documento, accusandolo di privilegiare le istituzioni delle due entità rispetto a quelle statali e di dare priorità ai progetti nella Republika Srpska e nei cantoni a maggioranza croato-bosniaca rispetto a quelli a maggioranza bosgnacca.Il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik (credits: Elvis Barukcic / Afp)“Nonostante tutti gli sforzi e il sostegno delle istituzioni europee, non tutti hanno mostrato un livello minimo di responsabilità politica per indirizzare le nostre attività verso un percorso europeo comune“, ha attaccato la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, annunciando mercoledì (24 luglio) il fallimento delle trattative sull’Agenda di riforme. Oltre alla delegazione Ue, che ribadisce la disponibilità a continuare a supportare le autorità bosniache “se necessario”, è intervenuta in modo duro anche l’ambasciata statunitense a Sarajevo a difesa del Piano di crescita per i Balcani Occidentali, definito in una nota pubblicata ieri “un’offerta senza precedenti dell’Ue ai cittadini della Bosnia ed Erzegovina”. L’attacco diretto di Washington è non solo al presidente serbo-bosniaco Dodik – “un uomo che mette costantemente i suoi interessi davanti a quelli di coloro che dice di rappresentare” e che rappresenta “la più grande minaccia al futuro europeo” del Paese balcanico – ma anche al principale partito bosniaco-musulmano, il Partito d’Azione Democratica (Sda): “La decisione di sfruttare l’occasione per un’esibizione politica, invece di lavorare con gli altri partiti per ottenere l’approvazione degli ultimi due punti in sospeso, è stata inutile e irresponsabile”.Cos’è il Piano di crescita per i Balcani OccidentaliIl Piano di crescita per i Balcani Occidentali è stato presentato dalla presidente von der Leyen lo scorso 8 novembre in parallelo con la pubblicazione del Pacchetto Allargamento Ue 2023. “È qualcosa di eccezionale, sappiamo che il miracolo della prosperità arriva con l’accesso al Mercato unico e stiamo già iniziando questo processo, non stiamo aspettando la decisione finale sull’adesione politica“, aveva rivendicato la numero uno della Commissione Ue, illustrando i 4 pilastri di un Piano che dovrebbe sia “chiudere il gap economico e sociale” tra Ue e regione balcanica sia permettere “l’integrazione sul campo anche prima che entrino formalmente come Paesi membri”.Il primo pilastro è proprio l’integrazione economica nel Mercato unico in sette settori fondamentali, a condizione di un allineamento alle regole Ue e dell’apertura dei settori pertinenti ai Paesi vicini: libera circolazione delle merci, libera circolazione dei servizi e dei lavoratori, accesso all’Area unica dei pagamenti in euro (Sepa), facilitazione del trasporto su strada, integrazione e de-carbonizzazione dei mercati energetici, mercato unico digitale e integrazione nelle catene di approvvigionamento industriale. Il secondo pilastro è quello dell’integrazione economica interna attraverso il Mercato regionale comune (basato su regole e standard Ue): Bruxelles stima che solo questo fattore potrebbe potenzialmente aggiungere un 10 per cento alle economie dei Sei balcanici. Il terzo pilastro riguarda le riforme socio-economiche e fondamentali da intraprendere tra il 2024 e il 2027, che nel Piano di Bruxelles andranno da una parte a sostenere il percorso dei Balcani Occidentali verso l’adesione Ue e dall’altro sosterranno gli investimenti esteri e il rafforzamento della stabilità regionale.A proposito di investimenti, è qui che si inserisce il quarto pilastro dell’assistenza finanziaria Ue alle riforme per tutti i sei partner. Si tratta nello specifico di un nuovo Strumento di riforma e crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro per il periodo 2024-2027, i cui pagamenti saranno vincolati all’attuazione delle riforme concordate nelle rispettive Agende (esattamente come Next Generation Eu per i Ventisette). Con la revisione intermedia del Quadro finanziario pluriennale Ue 2021-2027 è stato dato il via libera allo strumento composto di 2 miliardi di euro in sovvenzioni (finite nel bilancio Ue senza modifiche alla proposta della Commissione) e 4 miliardi in prestiti agevolati, con le assegnazioni per ciascun Paese stabilite sulla base del Pil e della popolazione. Il sostegno del Piano di crescita – effettuato due volte l’anno e condizionato dal rispetto delle fasi qualitative e quantitative delle Agende – sarà fornito per metà dal Quadro per gli investimenti nei Balcani Occidentali (Wbif) e per metà da prestiti erogati direttamente ai bilanci nazionali dei partner.La ‘grana’ Republika Srpska per la BosniaÈ proprio Dodik uno degli ostacoli maggiori per il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea – e oggi dell’accesso ai fondi Ue del Piano di crescita – da quando si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Il Consiglio Europeo di marzo sarà decisivo per i negoziati di adesione Ue della Bosnia ed Erzegovina

    Bruxelles – Dopo un Consiglio Europeo di svolta, si attende un Consiglio Europeo risolutore. Le speranze della Bosnia ed Erzegovina di vedere avviati i negoziati di adesione Ue dipendono tutte dagli esiti del vertice dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri in programma il prossimo 21-22 marzo, sulla base di un report che la Commissione Europea sta stilando sui progressi dello stesso candidato perché questo traguardo cruciale del percorso di adesione possa realizzarsi. “Un Paese unico, unito e sovrano, questa è la nostra visione della Bosnia ed Erzegovina nell’Ue, presenteremo il report entro marzo e il Consiglio Europeo potrà discuterne”, ha messo in chiaro la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in un punto stampa a Sarajevo nel corso del suo viaggio insieme ai primi ministri della Croazia, Andrej Plenković, e dei Paesi Bassi, Mark Rutte.

    “Abbiamo discusso dei prossimi passi da fare, dobbiamo vedere progressi sui capitoli fondamentali, ha spiegato questa mattina (23 gennaio) la numero uno dell’esecutivo comunitario: “Più lo farete, più mi aiuterete con il report che dovrò presentare sui vostri progressi“. Il riferimento è alla decisione presa durante l’ultimo Consiglio Europeo di dicembre di avviare i negoziati di adesione con Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Parallelamente prosegue anche il lavoro sul Piano di crescita per i Balcani Occidentali e – dopo le minacce velate di von der Leyen durante l’ultimo viaggio a Sarajevo sulla redistribuzione delle risorse agli altri partner balcanici in caso di mancata implementazione delle riforme – oggi è arrivata la rassicurazione che “abbiamo disegnato il Piano perché nessun altro Paese lo possa bloccare, è solo una vostra decisione”.Ritornando alla questione dell’avvio dei negoziati di adesione Ue, la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, ha voluto illustrare l’impegno delle autorità nazionali sia con “un lavoro legislativo in corso su 13 progetti di legge” sia con un “programma di riforme per tutto il 2024”. A Sarajevo “c’è ottimismo” sul fatto che “a marzo ci sarà una data per avviare i negoziati”, ha sottolineato Krišto, ricevendo una conferma dal primo ministro croato Plenković: “Il rapporto ci dovrà aiutare a trovare il consenso su una decisione positiva, usate questa finestra di opportunità per spingere le riforme che saranno incluse nel report“. Il leader croato è finito però al centro delle polemiche nell’opinione pubblica nazionale per aver disertato l’incontro con i tre esponenti della presidenza della Bosnia ed Erzegovina, in polemica per la presenza dell’esponente croato-bosniaco Željko Komšić (non considerato legittimo da Zagabria). Una dimostrazione che nel processo di allargamento Ue la Croazia non è uno dei Paesi membri Ue più trainanti senza interesse, perché sta giocando una parallela partita nazionalistica.

    Da sinistra: il co-presidente bosniaco, Željko Komšić, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il co-presidente bosniaco, Denis Bećirović, il primo ministro dei Paesi Bassi, Mark Rutte, e la co-presidente bosniaca Željka Cvijanović (23 gennaio 2023)In ogni caso dalle parole del premier Plenković in conferenza stampa è emersa una questione particolarmente urgente per tutta l’Unione. “Se perdiamo l’occasione [di avviare i negoziati di adesione Ue, ndr] a marzo, il resto dell’anno andrà perso e si finirà quasi sicuramente a gennaio 2025“, è l’avvertimento a due mesi dall’appuntamento dei 27 leader: “Fra due mesi inizierà la campagna elettorale per le europee e poi si dovranno insediare le nuove istituzioni”. Una previsione non sconfessata da von der Leyen, di cui ancora non si conoscono le intenzioni su una possibile ricandidatura alla presidenza dell’esecutivo comunitario: “Dopo marzo, l’anno sarà pieno di temi come le elezioni e la nuova configurazione del Parlamento e della Commissione“. Senza frenare sulle possibilità di Sarajevo di aspirare all’avvio dei negoziati di adesione quanto prima, il premier olandese Rutte ha voluto comunque ribadire che “tutti i criteri devono essere rispettati, nella situazione corrente bisogna ammettere che c’è ancora molto lavoro da fare, ma siamo tutti disponibili ad aiutarvi”.Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed ErzegovinaIl cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni comunitarie, proprio per la situazione quasi disastrata del Paese sul fronte delle condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Tuttavia negli ultimi due anni si sono intensificati i segnali di fiducia soprattutto da parte dell’esecutivo comunitario e della sua presidente, anche considerati i rischi di destabilizzazione russa di un Paese e di una regione molto delicati nel cuore dell’Europa.

    È così che in occasione della presentazione del Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue, accompagnata da un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo di von der Leyen durante il viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico di Bruxelles. Dopo aver valutato il parere della Commissione, il vertice dei leader Ue del 15 dicembre 2022 ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione.Dopo essere diventata l’ottavo Paese candidato all’adesione nel processo di allargamento Ue, la Bosnia ed Erzegovina ha continuato a spingere sul percorso di avvicinamento all’Unione. Grazie ai progressi (seppur limitati) registrati da Bruxelles, nel Pacchetto Allargamento 2023 la Commissione Ue ha deciso di includere la raccomandazione al Consiglio Europeo di avviare i negoziati di adesione per Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma era già scontato che la risposta del vertice dei leader avrebbe aspettato nuove notizie positive sul fronte delle 14 priorità indicate dalla Commissione (di cui solo 2 sono state completate). All’ultimo Consiglio Europeo di dicembre è andata esattamente così, con la decisione di avviare i negoziati con la Bosnia ed Erzegovina ma senza indicare un vero momento di inizio. Ecco perché il vertice del 21-22 marzo è considerato decisivo su questo fronte, anche considerati gli impegni a Bruxelles – elettorali prima e istituzionali poi – nei restanti nove mesi dell’anno.L’ostacolo Republika SrpskaEppure il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione è reso particolarmente ostico dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, che si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.

    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Si chiude in Bosnia ed Erzegovina il tour balcanico di von der Leyen: “Riforme cruciali per adesione Ue e Piano di crescita”

    Bruxelles – Un anno dopo, con un risultato concreto alle spalle e una strada che rimane complicata ma con un nuovo impulso economico. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha chiuso ieri (primo novembre) in Bosnia ed Erzegovina la sua quattro-giorni di tour nei Balcani Occidentali, con un messaggio di incoraggiamento per il cammino del Paese verso l’adesione all’Unione Europea e un avvertimento ad accelerare sulle riforme fondamentali: “Sappiamo tutti che per raggiungere l’obiettivo di progredire abbiamo bisogno che la Bosnia ed Erzegovina parli con una sola voce e proceda unita, non possiamo accettare un arretramento sui nostri valori comuni o divisioni, in nessuna parte del vostro Paese”.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, a Sarajevo (primo novembre 2023)L’ultima tappa dell’annuale tour nella regione da parte della numero uno dell’esecutivo comunitario è stata l’occasione per riconfermare il sostegno di Bruxelles a Sarajevo dopo la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue il 15 dicembre dello scorso anno, “una giornata storica, molto emozionante e molto importante”. Poco più di 365 giorni dopo l’ultima volta nella capitale bosniaca, von der Leyen ha messo in chiaro su quali binari dovrà procedere il cammino del Paese per l’avvio effettivo dei negoziati di adesione e per la messa a terra del nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali presentato proprio dalla presidente della Commissione Ue nel suo viaggio in tutte le capitali della regione: “L’obiettivo dovrebbe essere quello di compiere progressi decisivi sulle 14 priorità-chiave” che riguardano riforme in ambito di Stato di diritto, diritti fondamentali, pubblica amministrazione ed economia.Nonostante le enormi difficoltà di un Paese diviso su molte direttrici – non da ultimo quella tra le due entità della Federazione di Bosnia ed Erzegovina e della Republika Sprska – von der Leyen ha scelto un’impostazione ottimista. “La nomina del governo e il lavoro che avete svolto nel primo anno di mandato dimostrano che il Paese è in grado di ottenere risultati” e ora sarà necessario concretizzare il pacchetto di misure sullo Stato di diritto composto di tre leggi: quella sui tribunali, quella sul conflitto d’interesse e quella sul riciclaggio di denaro sporco. “Sarebbe la prova delle capacità di rafforzare le fondamenta della democrazia”, ha messo in chiaro la leader della Commissione, rassicurata in conferenza stampa dalla presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto: “Siamo a un momento decisivo per trovare un accordo su queste riforme fondamentali”. Perché all’orizzonte non ci sono solo il Pacchetto Allargamento (atteso per l’8 novembre) e il Consiglio Europeo di dicembre, in cui si capirà se ci sono le condizioni per avviare i negoziati di adesione, ma le riforme saranno “cruciali” anche per i futuri stanziamenti economici del Piano di crescita per i Balcani Occidentali: “Se non saranno implementate, le risorse saranno ridistribuite ad altri Paesi che sono in grado di farlo, questo è un forte incentivo ad andare avanti in modo attivo”, ha avvertito von der Leyen.In altre parole, senza progressi sulle riforme rimarranno in stallo – o andranno perduti – i finanziamenti previsti per la Bosnia ed Erzegovina all’interno del pacchetto complessivo da 6 miliardi di euro e fondato su quattro pilastri. Il primo riguarda l’integrazione nelle dimensioni chiave del Mercato unico dell’Ue, il secondo è legato al completamento del Mercato regionale comune, il terzo si basa sul liberare il pieno potenziale economico attraverso riforme fondamentali sia sullo Stato di diritto sia in materia economica. E infine il pilastro del finanziamento da parte di Bruxelles: il pacchetto da 2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 in prestiti. “C’è un grande potenziale non sfruttato”, ha messo in chiaro la leader dell’esecutivo comunitario a Sarajevo, facendo riferimento al fatto che l’economia bosniaca “è pari al 35 per cento della media Ue”. Ecco perché “dobbiamo avvicinare le nostre economie” con l’approccio ‘riforme-investimenti’, al pari del Next Generation Eu per i Ventisette: “Sappiamo quanto sia importante la prosperità economica per il funzionamento di qualsiasi Paese” e per le prospettive di integrazione europea, è stato l’ultimo messaggio di von der Leyen nel suo tour balcanico.Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed ErzegovinaIl cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni comunitarie, proprio per la situazione quasi disastrata del Paese sul fronte delle condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Tuttavia negli ultimi due anni si sono intensificati i segnali di fiducia soprattutto da parte dell’esecutivo comunitario e della sua presidente, anche considerati i rischi di destabilizzazione russa di un Paese e di una regione molto delicati che si trovano nel cuore dell’Europa.È così che in occasione della presentazione del Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione al Consiglio di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue, condita da un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo di von der Leyen durante il precedente viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico di Bruxelles. Dopo aver valutato il parere della Commissione, il vertice dei leader Ue del 15 dicembre 2022 ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione. Nel processo di allargamento Ue Sarajevo è diventato così l’ottavo candidato all’adesione.L’ostacolo Republika SrpskaEppure il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione è reso particolarmente ostico dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, che si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma da quest’anno le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete. A fine marzo il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Ma parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancato dal 24 febbraio dello scorso anno il non-allineamento alla politica estera dell’Unione e alle sanzioni internazionali contro il Cremlino: insieme alla Serbia la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese europeo a non aver adottato misure restrittive a causa dell’opposizione della componente serba della presidenza tripartita. Già il 20 settembre dello scorso anno Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio di quest’anno con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    In vista del Pacchetto Allargamento e del Consiglio Europeo la presidente della Commissione Ue ha esortato Sarajevo ad attuare tre leggi fondamentali sullo Stato di diritto. Con un avvertimento: “Le risorse economiche saranno redistribuite ad altri Paesi in caso di mancata implementazione”