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    L’Ue finanzierà con 170 milioni di euro il controllo delle frontiere (e i respingimenti) con Russia e Bielorussia

    Bruxelles – La Commissione europea in soccorso dei Paesi baltici, della Finlandia e della Polonia, alle prese con un aumento degli ingressi irregolari di persone migranti da Russia e Bielorussia. Bruxelles mette a disposizione 170 milioni di euro per far fronte alla “natura grave e persistente” delle minacce ibride da Mosca e Minsk, colpevoli di un “inaccettabile armamento della migrazione”.Nella comunicazione adottata oggi (11 dicembre) dalla Commissione europea, si afferma che “per garantire la sicurezza e l’integrità territoriale in questo contesto eccezionale, gli Stati membri confinanti con la Russia e la Bielorussia devono essere in grado di agire con decisione“. L’Ue ha già messo a terre diverse misure per contrastare la strumentalizzazione dei migranti da parte della Bielorussia in Lettonia, Lituania e Polonia nel 2021 e da parte della Russia al confine con la Finlandia. In termini finanziari, operativi e diplomatici. Ora, per migliorare ulteriormente la sorveglianza delle frontiere, Bruxelles mette a disposizione 170 milioni per aggiornare le apparecchiature di sorveglianza elettronica, migliorare le reti di telecomunicazione, distribuire apparecchiature mobili di rilevamento e contrastare le intrusioni dei droni.Fondi che verranno distribuiti nei vari Paesi coinvolti: 19,4 milioni all’Estonia, 50 milioni alla Finlandia, 17 milioni alla Lettonia, 15,4 milioni alla Lituania, 52 milioni alla Polonia e 16,4 milioni alla Norvegia. “I Paesi confinanti con la Russia e la Bielorussia, come la Finlandia con i suoi 1.340 chilometri di confine con la Russia, stanno affrontando la pesante sfida di garantire la sicurezza dell’Unione e l’integrità territoriale degli Stati membri”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.Secondo i dati diffusi da Bruxelles, finora nel 2024 gli arrivi irregolari alla frontiera tra l’Ue e la Bielorussia – in particolare alla frontiera polacco-bielorussa – sono aumentati del 66 per cento rispetto al 2023. E nove persone migranti su dieci attraversano illegalmente il confine polacco-bielorusso possiede un visto russo da studente o da turista. “Non si deve mai permettere agli autocrati di usare i nostri valori europei contro di noi”, ha affermato von der Leyen. Ma la questione è complessa, perché se gli Stati membri hanno l’obbligo di proteggere le frontiere esterne dell’Ue, allo stesso tempo, devono rispettare i diritti fondamentali delle persone e il principio di non respingimento.Henna Virkkunen, Vicepresidente esecutivo Ue per la sovranità tecnica, la sicurezza e la democraziaGià a metà ottobre, il primo ministro polacco Donald Tusk ha annunciato la sospensione del diritto di asilo per far fronte al tentativo di destabilizzazione ibrida al confine. Oggi Bruxelles ha delineato le condizioni per l’adozione di misure “che possono comportare gravi interferenze con i diritti fondamentali, come il diritto di asilo e le relative garanzie”. In sostanza per la Commissione devono essere “proporzionate, limitate allo stretto necessario in casi chiaramente definiti e temporanee”.La vicepresidente esecutiva della Commissione europea con delega alla Sovranità tecnologica e alla sicurezza, Henna Virkkunen, ha affermato che “i diritti dell’uomo devono essere sempre rispettati quando vengono introdotte misure eccezionali, ma al tempo stesso sappiamo che la Russia e la Bielorussia stanno organizzando flussi di migranti verso le nostre frontiere perché stanno cercando di destabilizzare le nostre società” ed “è una cosa che non possiamo accettare”.In sostanza, per Virkkunen “occorrono delle misure eccezionali a carattere temporaneo negli Stati membri”, e pace se queste potrebbero ledere i diritti fondamentali delle persone migranti che Mosca e Minsk spingono al confine europeo. Le vere vittime rischiano di essere loro. Solo nella seconda metà dello scorso anno, il governo polacco – al tempo presieduto dall’ultra conservatore Mateusz Morawiecki, ha respinto più di 6 mila persone. In un rapporto pubblicato ieri (10 dicembre) da Human Rights Watch, l’ong ha accusato le forze dell’ordine polacche di “respingimenti illegali e a volte violenti” di persone che “rischiano di subire gravi abusi da parte dei funzionari bielorussi o di rimanere intrappolati in condizioni difficili” nel Paese fantoccio di Mosca.

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    La Commissione Ue vuole chiarezza dall’Ungheria sul nuovo sistema di visti rapidi per russi e bielorussi

    Bruxelles – È passato appena un mese di presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea per l’Ungheria, e già Budapest ha creato non pochi problemi all’unità dell’Unione nei confronti della Russia. Perché dopo la “missione di pace” del premier ungherese, Viktor Orbán, a Mosca dall’autocrate russo, Vladimir Putin, ora Budapest preoccupa Bruxelles per il potenziale buco che può creare nell’area Schengen, da cui potrebbero penetrare spie russe e bielorusse.La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson“Condivido le preoccupazioni espresse negli ultimi giorni in merito all’estensione del programma ‘Carta Nazionale’ ai cittadini di Russia e Bielorussia, entrato in vigore nei primissimi giorni della vostra presidenza”, è quanto messo nero su bianco dalla commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, in una lettera inviata ieri (primo agosto) al ministro degli Interni ungherese, Sándor Pintér, in cui ha voluto sottolineare come “l’estensione dell’elaborazione agevolata delle domande di permesso di soggiorno e di lavoro dei cittadini di Russia e Bielorussia potrebbe portare a un’elusione di fatto delle restrizioni imposte dall’Unione Europea”. Al centro della nuova contesa tra l’Ungheria di Orbán e la Commissione Ue c’è l’estensione ai cittadini di otto Paesi – prima era disponibile solo per quelli di Serbia e Ucraina – del programma ‘Carta Nazionale’, un sistema di visti rapidi per l’ingresso nel Paese e che consente di lavorare sul territorio nazionale ungherese per un massimo di due anni. Si tratta di un sistema più semplice rispetto al permesso di lavoro o al visto, e consente il ricongiungimento familiare.“Ci sono sempre più segnalazioni di sabotaggi e attacchi alle nostre infrastrutture critiche e altri atti ostili“, ricorda la commissaria Johansson a proposito della messa in campo di “ogni strumento disponibile per garantire la sicurezza dell’area Schengen”, tra cui la sospensione dell’accordo di facilitazione dei visti con la Russia nel settembre di due anni fa e “standard di controllo e vigilanza più elevati” per i cittadini russi in arrivo alle frontiere esterne dell’Unione. È pur sempre vero che gli Stati membri hanno la competenza per il rilascio di visti di lungo soggiorno e permessi di soggiorno, ma l’esecutivo Ue ricorda che i programmi nazionali “devono essere attentamente bilanciati per non mettere a rischio l’integrità del nostro spazio comune senza controlli alle frontiere interne e per considerare debitamente le potenziali implicazioni per la sicurezza“, senza dimenticare l’obbligo di “leale cooperazione” e di non pregiudicare “l’effetto utile delle disposizioni del diritto dell’Unione”, Schengen compreso. In questo quadro l’Ungheria (e tutti i Paesi membri Ue) devono garantire che “i cittadini russi che potrebbero rappresentare spionaggio o altre minacce alla sicurezza siano sottoposti al massimo livello di controllo“.Da sinistra: la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, e il ministro degli Interni ungherese, Sándor PintérÈ per queste ragioni che la commissaria Johansson chiede al ministro ungherese di rispondere alle domande allegate alla lettera “entro e non oltre il 19 agosto”, per fare chiarezza sul programma ‘Carta Nazionale’ e permettere all’esecutivo Ue di verificare se sia compatibile con il diritto dell’Unione o se metta a rischio il funzionamento complessivo dello spazio Schengen. “L’obbligo di valutare se gli individui che attraversano la frontiera esterna rappresentano una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali è un impegno fondamentale di tutti i membri Schengen” – conclude la titolare per gli Affari interni nel gabinetto von der Leyen – e per Russia e Bielorussia include anche “la piena e leale applicazione delle misure restrittive Ue sul divieto di ingresso o transito nei territori degli Stati membri da parte di alcuni dei suoi cittadini”. Come misura estrema la Commissione Ue potrebbe sospendere lo status Schengen di un Paese (membro Ue), ma si tratterebbe di un caso senza precedenti.

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    Tsikhanouskaya chiede a Strasburgo la prospettiva europea per la Bielorussia. “L’Ue da Lisbona a Minsk, l’incubo di Putin”

    Bruxelles – Un lungo e appassionato discorso per chiedere qualcosa che sembra quasi impossibile per tutti, tranne che per lei, la presidente legittima della Bielorussia riconosciuta dall’Ue. “Sono venuta al Parlamento Europeo per chiedervi di sostenere la prospettiva europea della Bielorussia, vogliamo sentire che l’Ue ci attende, che il nostro Paese non sarà un premio di consolazione per Putin”, è quanto affermato senza margini di esitazione da Sviatlana Tsikhanouskaya, la leader delle forze di opposizione all’autocrate Alexander Lukashenko. Il suo terzo intervento alla sessione plenaria dell’Eurocamera – nel giorno del discorso sullo Stato dell’Unione della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – è il momento in cui l’asticella viene posta più in alto che mai: “Senza Ucraina e Bielorussia il progetto europeo non sarà completo“.
    Da sinistra: l’autocrate bielorusso, Alexander Lukashenko, e quello russo, Vladimir Putin
    La Bielorussia di Lukashenko, autoproclamato presidente bielorusso dopo le elezioni-farsa dell’agosto 2020, è il partner più stretto della Russia di Vladimir Putin, e tutto ci si aspetta fuorché possa essere aperto un discorso sull’adesione di Minsk all’Ue. Ma questo perché non si considera il giusto interlocutore. “Un mese fa le forze democratiche hanno redatto una dichiarazione congiunta per gli obiettivi strategici, che non sono altro che l’adesione all’Unione Europea“, ha messo in chiaro Tsikhanouskaya nel suo intervento di oggi (13 settembre) all’emiciclo di Strasburgo, spiegando senza troppi giri di parole perché questo dovrebbe essere uno scenario auspicato a Bruxelles: “L’Ue da Lisbona a Minsk è un incubo per Putin, ma per noi è la realtà in cui vogliamo vivere, perché porterà al crollo dell’impero del male una volta per tutte”. L’impero del male è quello del Cremlino e del suo alleato Lukashenko, di cui la leader bielorussa aveva già tratteggiato i contorni agli eurodeputati: “Quando sono stata qui due anni fa ho parlato della tirannia come un virus, che non può essere limitato dalle frontiere” e dal novembre 2021 a oggi “abbiamo visto che il virus della tirannia può mutare e diventare un vero e proprio tumore, quello della guerra“.
    Se la guerra in Ucraina è fatta di armi e bombe, quella in Bielorussia invece è “una guerra silenziosa“, ma l’obiettivo è lo stesso: “Il Cremlino vuole annientare un Paese sovrano per farne un satellite russo”. Un progetto portato avanti con la complicità del dittatore bielorusso, “che sta vendendo la nostra indipendenza e il nostro Paese pezzo dopo pezzo”, con l’obiettivo di recidere “tutti i legami con la nostra storia, la nostra cultura e ciò che ci allinea all’Europa”. In altre parole, “evitare che la Bielorussia diventi una nazione democratica europea, in modo che neanche l’Europa possa essere in pace e completa”. Ecco perché la richiesta è di continuare a tenere alta la pressione su Putin con le sanzioni, ma senza dimenticare Lukashenko, che “tortura i manifestanti pacifici, collabora con la Russia contro l’Ucraina e non merita nulla all’interno del forum della comunità internazionale, se non un biglietto di sola andata verso l’Aia”, è il duro attacco di Tsikhanouskaya.
    Da sinistra: la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche bielorusse, Sviatlana Tsikhanouskaya, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (13 settembre 2023)
    Dal 2020 c’è un nuovo spirito in Bielorussia, nonostante la repressione, nonostante la collaborazione tra Putin e Lukashenko, nonostante la guerra e nonostante l’isolamento internazionale del Paese. “Nessuna tirannia, Wagner o Kgb può annientare il germe della libertà in Bielorussia, i bielorussi sono eroi e resilienti, sono eroi silenziosi”, ha rivendicato la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue, spiegando che nel suo Paese “anche parlare bielorusso oggi è un atto di eroismo”. E la direzione del popolo e delle forze democratiche è chiara: “I tiranni voglio che l’Ue sia un castello di carte pronto a crollare, ma noi bielorussi – proprio come gli ucraini e i moldavi – vogliamo far parte di questa famiglia, vogliamo tornare a casa”. L’Europa “è nel nostro Dna, l’abbiamo scelta secoli fa e l’abbiamo ribadito nel 2020”, è la conferma calorosa di Tsikhanouskaya, che riconosce il fatto che “ci vorrà tempo, non sarà facile, ma non c’è possibilità di tornare indietro, l’Ue è la nostra destinazione finale, punto e basta“.
    La speranza ha dei contorni precisi nelle sue parole: la bandiera bielorussa che sventola con le altre 27, i rappresentanti bielorussi “eletti democraticamente in quest’Aula”, la lingua bielorussa “che ha sofferto tanto la dominazione russa” una tra quelle ufficiali dell’Ue. Ringraziando la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, “per averci sempre sostenuti e per essere un esempio per tutti”, Tsikhanouskaya ha anche fornito un’altra indicazione sulla collaborazione sempre più stretta che dovrà iniziare a impostarsi da subito tra le forze democratiche bielorusse e i Ventisette. “La situazione per noi diventerà ancora peggiore, perché la settimana scorsa Lukashenko ha firmato una legge per sottrarci i passaporti all’estero, ci serve una soluzione e stiamo lavorando per rilasciare passaporti nazionali bielorussi“, grazie alla consulenza dei governi nazionali e dell’esecutivo comunitario. “Questi documenti confermano la cittadinanza bielorussa e permetteranno di viaggiare ai cittadini in esilio”, come fatto dai Baltici durante l’occupazione sovietica: “Presto chiederemo ai vostri Paesi di riconoscere i nuovi passaporti“, ha annunciato la leader bielorussa.
    La risoluzione del Parlamento Ue sulla Bielorussia
    La presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche bielorusse, Sviatlana Tsikhanouskaya, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (13 settembre 2023)
    La risposta del Parlamento Europeo alla richiesta di “istituzionalizzare le relazioni tra Parlamento Europeo e Bielorussia democratica prima delle prossime elezioni europee” non si è fatta attendere ed è stata quasi un plebiscito: 514 voti a favore, 21 contrari e 40 astenuti per la risoluzione firmata dal lituano Petras Auštrevičius. La richiesta è in linea con l’intervento della leader bielorussa, a partire dal presupposto che il ritiro unilaterale del regime di Lukashenko dalla politica del partenariato orientale dal 28 gennaio 2021 “non ha alcuna legittimità in quanto non riflette la vera volontà del popolo bielorusso e le relative aspirazioni a uno Stato libero e democratico”. Di qui l’esortazione alle altre istituzioni Ue e ai Ventisette di “valutare la possibilità di consentire ai rappresentanti della società civile e delle forze democratiche di occupare le cariche vacanti, a titolo bilaterale e multilaterale“, al Consiglio Affari Esteri di rivolgere “un invito permanente” a Tsikhanouskaya a qualsiasi riunione riguardi i rapporti con Minsk, e alla Comunità Politica Europea di “includere le forze democratiche bielorusse conferendo loro lo status di osservatore”.
    Il tutto si basa sulla solidità delle forze guidate da Tsikhanouskaya: “Hanno una struttura ben consolidata che gode di sempre maggiore riconoscimento internazionale”, compresa una Missione a Bruxelles aperta lo scorso primo marzo. Ma più di tutto sono inequivocabili le “aspirazioni europee dei bielorussi”, che ribadiscono i “legami storici della Bielorussia con il resto d’Europa”, condividendone il patrimonio culturale e identitario. Ecco perché Minsk – non l’attuale regime Lukashenko – “dovrebbe rimanere parte dello spazio politico, culturale ed economico europeo” e la conferma dovrebbe arrivare da una “strategia più ambiziosa e globale, unita a un ampio piano economico” per sostenere le forze anti-regime. Da parte sua il Parlamento Ue sostiene la volontà di “sottoscrivere un accordo per formalizzare e sistematizzare la cooperazione con le forze democratiche e la società civile”, mentre Consiglio e Commissione dovrebbero preparasi a “diversi scenari, come la sostituzione (forzata) di Lukashenko oppure l’annessione de facto o l’occupazione” del Paese da parte dell’esercito del Cremlino.
    Gli eurodeputati continuano a chiedere alla Commissione che “le sanzioni applicate nei confronti della Russia siano applicate anche nei confronti della Bielorussia“, ma rimane centrale la salvaguardia dei più fragili, ovvero coloro che fuggono o si trovano già in esilio: “Esortiamo gli Stati membri a semplificare ulteriormente le procedure per ottenere i visti e il permesso di soggiorno” per i perseguitati politici o per chi deve ricorrere a trattamenti medici all’estero per le violenze. Parallelamente l’invito sia alla Commissione e sia ai Ventisette è di “elaborare norme e procedure per trattare i casi in cui siano privati della loro cittadinanza”, ma anche di “fornire sostegno ai bielorussi residenti nell’Ue i cui documenti di identità stanno per scadere e che non dispongono di mezzi per rinnovarli, dal momento che non possono tornare in Bielorussia”, specifica la risoluzione dell’Eurocamera.

    Alla sessione plenaria dell’Eurocamera la presidente legittima riconosciuta dall’Ue ha esortato a dialogare “sull’obiettivo strategico” con l’opposizione a Lukashenko: “Senza Ucraina e Bielorussia il progetto europeo non sarà completo”. Appoggio degli eurodeputati a larga maggioranza

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    I fondi di cooperazione Ue cambiano destinazione: 135 milioni di euro riorientati da Russia-Bielorussia a Ucraina e Moldova

    Bruxelles – Dagli aggressori agli aggrediti, per tagliare completamente ogni legame con i responsabili diretti e indiretti dell’invasione dell’Ucraina scatenata il 24 febbraio dello scorso anno. La Commissione Europea ha annunciato oggi (16 agosto) che 135 milioni di euro inizialmente previsti per i programmi di cooperazione regionale con Russia e Bielorussia hanno cambiato destinazione, passando al rafforzamento della collaborazione con Ucraina e Moldova.
    La commissaria per la Coesione e le riforme, Elisa Ferreira
    “La decisione di cancellare la cooperazione originariamente prevista con la Russia e la Bielorussia attraverso i nostri programmi Interreg è il risultato della brutale guerra della Russia contro l’Ucraina”, ha commentato la commissaria per la Coesione e le riforme, Elisa Ferreira: “Sono lieta che i fondi che avevamo inizialmente previsto per questa cooperazione andranno ora a beneficio dei programmi dell’Ue con l’Ucraina e la Moldova”. Per la commissaria europea questo “contribuirà a rafforzare la collaborazione tra le regioni dell’Ue e gli attori locali con i partner ucraini e moldavi“.
    I 135 milioni di euro ri-orientati facevano parte dei programmi Interreg Next 2021-2027 con Mosca e Minsk, all’interno dello Strumento di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale. Già con l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina la Commissione aveva deciso di sospendere la cooperazione con la Russia e l’alleato bielorusso nei programmi Interreg, determinando un’immediata ridistribuzione di 26 milioni di euro (sempre verso Ucraina e Moldova) e congelando i restanti. Con la decisione di oggi è stata completata la procedura finanziamenti rimanenti del periodo 2021-2027, compresa la possibilità per le regioni di Finlandia, Estonia, Lettonia e Polonia che avrebbero dovuto partecipare ai programmi Interreg con Russia e Bielorussia di cambiare in corsa la destinazione di cooperazione.
    Il Collegio dei commissari a Kiev (2 febbraio 2023)
    Mentre da Bruxelles è arrivata la proposta di modifica del regolamento per le reti transeuropee del trasporto (Ten-t) – per estendere quattro corridoi al territorio ucraino e moldavo ed escludere quello russo e bielorusso – nel concreto i finanziamenti Interreg ri-orientati potranno sostenere attività come corsie preferenziali e lo sviluppo di collegamenti di trasporto transfrontalieri. A queste si aggiungono anche quelle per i servizi sanitari, i progetti di istruzione e ricerca, i programmi di inclusione sociale e il rafforzamento della capacità istituzionale delle autorità pubbliche ucraine e moldave. “La partecipazione ai programmi Interreg apporta anche vantaggi in termini di capacità amministrativa ed esperienza a entrambi i Paesi nella gestione e nell’attuazione dei fondi Ue”, sottolinea l’esecutivo comunitario a proposito dei percorsi di integrazione europea dei due candidati all’adesione all’Unione.

    La Commissione ha deciso di trasferire i finanziamenti rimanenti dei programmi Interreg Next 2021-2027 con Mosca e Minsk (previsti dallo Strumento di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale) per rafforzare la collaborazione tra le regioni europee con Kiev e Chișinău

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    Armi, beni ‘duali’, aviazione: l’Ue allinea le sanzioni alla Bielorussia a quelle contro la Russa

    Bruxelles – Russia e Bielorussia, due facce di una stessa medaglia fin qui trattate in modo diverso ma che l’Ue adesso decide di considerare allo stesso modo. Il Consiglio dell’Ue vara una stretta sanzionatoria che allinea le misure restrittive contro Mosca a quelle contro Minsk, con l’obiettivo chiudere gli spazi utili ad aggirare le decisioni a dodici stelle. Al fine di evitare che una nazione possa fornire all’altra beni che sono sottoposti al blocco delle esportazioni, i Ventisette estendono il divieto di vendita verso la Bielorussia di tutta una serie di beni e tecnologie altamente sensibili che contribuiscono al miglioramento militare e tecnologico del Paese alleato con la Federazione russa.
    Anche nei confronti della Bielorussia scatta il “divieto esteso” di esportazione di beni e tecnologie a duplice uso o ‘duali’ (vale a dire uso civile ma con potenziale impiego militare), come previsto nell’11esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca. Vuol dire stop a droni, sensori, laser, valvole, programmi informativi, materiale elettronico. Stop anche all’esportazione di merci utilizzate dalla Russia per la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina, quali dispositivi a semiconduttore, circuiti integrati elettronici, apparecchiature di produzione e collaudo, macchine fotografiche e componenti ottici. Niente più vendite al governo di Minsk e alle sue imprese di tecnologie adatte all’uso nell’industria aeronautica e spaziale, compresi motori di aeromobili. Anche questa una misura che si allinea all’11esimo pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia. A tutto questo si aggiunge anche la messa al bando di vendita, fornitura, trasferimento o esportazione di armi da fuoco, loro parti e componenti essenziali e munizioni.
    “Adottiamo ulteriori misure contro il regime bielorusso in quanto complice della guerra di aggressione illegale e non provocata della Russia contro l’Ucraina”, scandisce Josep Borrell, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue.
    L’Unione europea in realtà colpisce Alexander Lukashenko e il suo Paese due fronti. Vengono inasprite anche le sanzioni contro la Bielorussia per il deterioramento interno. Borrell denuncia le “continue violazioni sistematiche, diffuse e gravi dei diritti umani e alla brutale repressione contro tutti i segmenti della società bielorussa” da parte di quello che l’Alto rappresentante non esita a definire “un regime illegittimo“. Un riferimento alle contestate elezioni del 9 agosto 2020 di cui l’Ue non riconosce l’esito.
    Misure restrittive scattano contro nei confronti di 38 persone e 3 entità bielorusse “responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, che contribuiscono alla repressione della società civile e delle forze democratiche, nonché di coloro che beneficiare e sostenere il regime di Lukashenko”. I nuovi elenchi includono funzionari penitenziari considerati responsabili della tortura e del maltrattamento di detenuti, inclusi prigionieri politici, propagandisti di spicco, nonché membri del ramo giudiziario coinvolti nel perseguire e condannare oppositori democratici, membri della società civile e giornalisti.

    Borrell: “Bielorussia complice nella guerra in Ucraina”. La decisione per evitare che le misure anti-Putin siano aggirate

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    Contro la propaganda del Cremlino. A Praga un nuovo centro dedicato ai media indipendenti di Russia e Bielorussia

    Bruxelles – Al via una nuova iniziativa per combattere la macchina propagandistica del Cremlino. O meglio, per sostenere i media indipendenti russi e bielorussi che lavorano in Europa e che “mantengono un pubblico significativo in patria”.  Il Centro della società civile di Praga ha lanciato oggi (17 luglio) il Free Media Hub East, polo dedicato a fornire assistenza, supporto psicologico e soluzioni tecnologiche per eludere la censura ai media in esilio nell’Ue.
    Cofinanziato dalla Commissione europea con oltre 2,2 milioni di euro, rafforzerà inoltre la cooperazione tra i centri che ospitano giornalisti e professionisti dell’informazione da Minsk e da Mosca. People in Need in Repubblica Ceca, Baltic Centre for Media Excellence e Sustainability Foundation in Lettonia, Helsinki Foundation for Human Rights in Polonia e Media in Cooperation and Transition in Germania. Il Free Media Hub East metterà a disposizione circa mille slot per aiutare con i visti e la registrazione dei giornalisti in esilio.
    “Per combattere la propaganda di guerra del Cremlino, abbiamo bisogno di media indipendenti che raccontino la verità sulla Russia. E noi dobbiamo sostenerli. È un nostro dovere morale e un nostro interesse strategico” ha dichiarato la vice presidente della Commissione europea, Vera Jourová. Il nuovo progetto, ha aggiunto, “fa parte di questi sforzi. Riunisce organizzazioni della società civile con una grande esperienza nel sostenere coloro che lottano per la libertà di espressione e la democrazia”.
    Gli sforzi a sostegno dei media indipendenti in Russia e Bielorussia completano quelli per “per far fronte alla sistematica campagna internazionale di manipolazione dei media e di distorsione dei fatti” diffusa dai regimi di Putin e Lukashenko. Anche nell’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, adottato il 23 giugno, figuravano cinque emittenti “sotto il controllo permanente, diretto o indiretto, della leadership della Federazione Russa”: RT Balkan, Oriental Review, Tsargrad, New Eastern Outlook e Katehon, che sono state aggiunte alla lista che già comprendeva Sputnik, Russia Today, Rossiya RTR / RTR Planeta, Rossiya 24 / Russia 24, TV Centre International, NTV / NTV Mir, Rossiya 1, REN TV e Pervyi Kanal.

    Cofinanziato dall’Ue, ha inaugurato il 17 luglio il Free Media Hub East, che fornirà assistenza, supporto psicologico e soluzioni tecnologiche ai media in esilio nei Paesi europei. Jourová: “Dovere morale e interesse strategico sostenere chi racconta la verità sulla Russia”

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    La condanna a 15 anni di carcere per la leader bielorussa Tsikhanouskaya. L’Ue: “Il regime Lukashenko ne risponderà”

    Bruxelles – Il Paese delle condanne già scritte. A soli tre giorni dalla sentenza a 10 anni di carcere per il Premio Nobel per la Pace 2022, Ales Bialiatski, anche la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya, ha ricevuto la sua condanna – in contumacia – dal regime di Alexander Lukashenko. Quindici anni in prigione, se mai ritornerà nel Paese. O, sarebbe meglio dire, se lo farà mentre l’autoproclamato presidente bielorusso ancora sarà a capo della macchina di repressione dell’opposizione e della libertà di pensiero.
    La presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche nel Paese, Sviatlana Tsikhanouskaya, con la foto del marito Siarhei Tsikhanouski (credits: John Thys / Afp)
    “Quindici anni di carcere, è così che il regime ha ‘premiato’ il mio lavoro per i cambiamenti democratici in Bielorussia“, è quanto rende noto la stessa Tsikhanouskaya da Vilnius (Lituania), città in cui vive da esule da quando è stata costretta a fuggire per non fare la fine dei quasi 1.500 oppositori in carcere per la partecipazione alle manifestazioni pacifiche e la richiesta di democrazia nel Paese. “Oggi non penso alla mia condanna, penso a migliaia di innocenti, detenuti e condannati a pene detentive reali”, ha incalzato la leader dell’opposizione, promettendo di non fermarsi “finché ognuno di loro non sarà rilasciato”. Il processo in contumacia a carico di Tsikhanouskaya era iniziato lo scorso 17 gennaio, con accuse di matrice politica – dall’alto tradimento alla creazione di un’organizzazione estremista. La pena massima prevista dal Codice penale bielorusso era di 15 anni di reclusione, che nel pomeriggio di ieri (6 marzo) è stata effettivamente inflitta alla leader che aveva corso per le elezioni presidenziali del 2020.
    “È una farsa che non ha niente a che fare con la giustizia“, era stato l’avvertimento di Tsikhanouskaya durante la sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) dello scorso 22 febbraio. A Minsk è stata modificata la legislazione sulla cittadinanza del 2002 con la possibilità di privare della cittadinanza i bielorussi all’estero condannati per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista” o “grave danno agli interessi della Bielorussia”, anche in assenza dell’imputato a processo. A questo si aggiunge il fatto che il marito della leader dell’opposizione, Siarhei Tsikhanouski – già condannato a 18 anni di reclusione dopo essere stato imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali – ha ricevuto un’ulteriore inasprimento della condanna di un anno e mezzo lunedì scorso (27 febbraio): “Vogliono spezzarlo e fare pressione su di me, ma non ce la faranno”.

    15 years of prison.
    This is how the regime “rewarded” my work for democratic changes in Belarus.
    But today I don’t think about my own sentence. I think about thousands of innocents, detained & sentenced to real prison terms.
    I won’t stop until each of them is released. pic.twitter.com/9kQREV0sgl
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) March 6, 2023

    Le istituzioni Ue contro la Bielorussia di Lukashenko
    Da sinistra: la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche nel Paese, Sviatlana Tsikhanouskaya, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (26 maggio 2022)
    “Prima hanno imprigionato il marito, poi hanno arrestato lei, ora la condannano a 15 anni di carcere in contumacia”, è l’attacco della presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, al regime di Lukashenko, che “sarà chiamato a risponderne”. Tsihanouskaya “sta pagando le conseguenze della sua lotta per la libertà e la democrazia“, ha incalzato Metsola, che ha promesso di portare avanti “la nostra spinta per una Bielorussia libera”. Da parte della Commissione Ue è stato il titolare per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, a condannare l’ennesimo “deplorevole segno di come funziona il regime di Lukashenko”, mentre “il popolo bielorusso sa che la libertà prevarrà”.
    Al momento un totale di 195 persone e 35 entità è interessato dalle sanzioni dell’Ue – compreso lo stesso Lukasehnko e il figlio Viktor, consigliere per la Sicurezza Nazionale – sia per la repressione delle manifestazioni pacifiche dopo l’esito truccato delle elezioni presidenziali dell’agosto 2020, sia per la partecipazione ormai attiva all’aggressione armata della Russia all’Ucraina. Da mesi gli eurodeputati chiedono all’esecutivo comunitario di inasprire il regime di misure restrittive contro Lukashenko e la sua cerchia, adeguandolo a quello applicato al regime di Putin. Al momento non ci sono novità dal Berlaymont rispetto alle anticipazioni di metà gennaio della presidente Ursula von der Leyen: “Presenteremo presto una nuova tornata di sanzioni contro la Bielorussia”.

    Comminata la pena massima alla presidente ad interim riconosciuta dall’Ue per capi d’imputazione che vanno dall’alto tradimento alla creazione di un’organizzazione estremista: “È così che il regime ha ‘premiato’ il mio lavoro per i cambiamenti democratici in Bielorussia”

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    Le istituzioni Ue contro Minsk per la condanna a 10 anni di carcere per Bialiatski, Premio Nobel bielorusso per la Pace

    Bruxelles – Una condanna già scritta, ma che comunque fa un rumore assordante. Il Premio Nobel per la Pace 2022, vincitore del Premio Sakharov per la libertà di pensiero, attivista e fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna, Ales Bialiatski, è stato condannato oggi (3 marzo) a 10 anni di carcere dal regime dell’autoproclamato presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, con l’accusa di contrabbando di denaro e di finanziamento di “attività che violano gravemente l’ordine pubblico”. Insieme a Bialiatski sono stati condannati anche il vicepresidente di Viasna Valiantsin Stefanovic, l’attivista Zmitser Salauyou e l’avvocato Uladzimir Labkovich, rispettivamente a nove, otto e sette anni di carcere
    Il fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna, Ales Bialiatski, al Parlamento Europeo (16 aprile 2015)
    Un “insulto alla giustizia”, è il durissimo attacco della presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, leader dell’istituzione comunitaria da sempre più vicina e a supporto dell’opposizione a Lukashenko. L’ennesima sentenza politicamente motivata, contro uno degli esponenti più rilevanti della società civile in Bielorussia che si oppone all’elezione truccata del 9 agosto 2020. Parole di condanna anche da parte dai presidenti delle altre due istituzioni comunitarie. “La loro lotta per i diritti umani e la giustizia in Bielorussia continuerà”, ha messo in chiaro la leader della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, promettendo che “i tentativi di metterli a tacere falliranno, saremo portatori delle loro voci”. Per il numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel, le sentenze di Minsk “sono una vergogna, le accuse sono inventate e montante” e per questo motivo il diktat di Bruxelles al regime di Lukashenko è di “rilasciare tutti gli altri attivisti democratici ingiustamente imprigionati”.
    “L’Unione Europea condanna con la massima fermezza questi processi farsa, che rappresentano un altro terribile esempio del tentativo del regime di Lukashenko di mettere a tacere coloro che si battono in difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali del popolo bielorusso”, è l’altrettanto netta presa di posizione dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, anticipando una “reazione alla brutale repressione” di coloro che “hanno osato opporsi alle violazioni dei diritti umani nel Paese e che hanno rifiutato il ruolo della Bielorussia nella guerra della Russia contro l’Ucraina”.
    Ales Bialiatski alla cerimonia di conferimento del Premio Sakharov per la libertà di pensiero, alla sede del Parlamento Europeo a Bruxelles (16 dicembre 2020)
    Nel dicembre del 2020 Bialiatski era tra i leader dell’opposizione in Bielorussia a cui il Parlamento Ue aveva conferito il Premio Sakharov per la libertà di pensiero, mentre lo scorso anno alla sua organizzazione Viasna è stato assegnato il Nobel per la Pace insieme all’ong russa per la difesa dei diritti umani Memorial e all’organizzazione ucraina Centro per le Libertà Civili. Ma dal luglio 2021 si trova in carcere a Minsk e il processo a suo carico era iniziato lo scorso gennaio: da subito si sapeva che avrebbe rischiato tra i 7 e i 12 anni di carcere. In tutti questi mesi è rimasta alta l’attenzione dell’Eurocamera e delle altre istituzioni comunitarie sulla situazione di Bialiatski, grazie anche ai numerosi inviti alla presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya. “Invito la comunità internazionale a unirsi alla campagna di solidarietà con il difensore dei diritti umani Ales Bialiatski”, ha twittato la leader bielorussa, lanciando l’hashtag #freeales: “Sosteneteci organizzando eventi e rilasciando dichiarazioni, se il regime vuole mettere a tacere Ales, dobbiamo fare in modo che il suo nome si senta ancora più forte“.

    I call on the international community to join the campaign of solidarity with human rights defender Ales Bialiatski — #freeales. Please support us by organizing events & making statements. The regime wants to silence Ales, so we have to make sure his name is heard even louder! pic.twitter.com/bBbHMWQM8D
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) March 3, 2023

    Bialiatski e gli altri prigionieri politici in Bielorussia
    Il numero dei prigionieri politici continua a crescere di giorno in giorno, e ora ha toccato quota 1461, come riportano i corrispondenti della BBC. Lo scorso 27 febbraio il marito della leader dell’opposizione, Siarhei Tsikhanouski – già condannato a 18 anni di reclusione dopo essere stato imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali – ha ricevuto un’ulteriore inasprimento della condanna di un anno e mezzo. Da tre mesi non si hanno invece notizie da Maria Kolesnikova, una delle tre leader dell’opposizione nel 2020 che ha scontato il primo anno di carcere degli 11 a cui è stata condannata: a inizio dicembre è stata ricoverata in ospedale in gravi condizioni di salute.
    La presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya (credits: John Thys / Afp)
    Intanto il Parlamento nazionale e l’autoproclamato presidente Lukashenko hanno approvato gli emendamenti alla legislazione sulla cittadinanza del 2002, introducendo la possibilità di privare della cittadinanza i bielorussi all’estero condannati per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista” o “grave danno agli interessi della Bielorussia”, anche in assenza dell’imputato a processo. Una legge tagliata su misura della leader delle forze democratiche Tsikhanouskaya, il cui processo in contumacia è iniziato lo scorso 17 gennaio: l’ennesima “farsa che non ha niente a che fare con la giustizia”, è stato l’attacco della presidente ad interim riconosciuta dall’Ue nel corso della sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) della scorsa settimana.

    “È un insulto alla giustizia”, è l’attacco della presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola. Il fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna accusato di contrabbando di denaro e di finanziamento delle proteste dal regime dell’autoproclamato presidente Lukashenko