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    Cos’è l’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo al centro dell’anno cruciale per il dialogo Pristina-Belgrado

    Bruxelles – Non c’è speranza di chiudere nel 2023 un accordo definitivo per la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, se non si raggiunge un’intesa vincolante per l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, come previsto dall’accordo di Bruxelles siglato esattamente 10 anni fa. Passano da qui gli sforzi diplomatici di Unione Europea e Stati Uniti per quanto riguarda il dialogo Pristina-Belgrado, entrato nel suo tredicesimo anno di vita e diventato ormai l’unica soluzione per chiudere contese e tensioni tra i due vicini balcanici.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (13 novembre 2022)
    Mentre le pressioni della diplomazia europea e statunitense rimangono particolarmente forti su Belgrado – per l’adozione delle sanzioni internazionali contro la Russia e l’allineamento alla politica estera dell’Ue – non sono da meno quelle nei confronti di Pristina, proprio sulla questione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo. Già nel dicembre del 2021 l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, aveva avvertito il primo ministro kosovaro, Albin Kurti, che è imperativo il rispetto di tutti gli accordi sottoscritti con Belgrado, ma nel corso delle ultime settimane le missioni diplomatiche di Bruxelles e Washington – spinte anche dal tridente Francia-Germania-Italia – hanno puntato con forza su questo punto, per sgombrare il campo da ripensamenti o passi indietro rispetto agli impegni presi nel contesto del dialogo mediato dall’Ue.
    Lo dimostra in tutta la sua evidenza la nota del consigliere del Dipartimento di Stato americano, Derek Chollet, e dell’inviato speciale degli Stati Uniti per i Balcani Occidentali, Gabriel Escobar, pubblicata oggi (30 gennaio) a proposito delle “condizioni per una relazione sana, pacifica e sostenibile tra Serbia e Kosovo”. La proposta di mediazione franco-tedesca – ormai divenuta a tutti gli effetti la proposta di mediazione europea – è studiata per “interrompere la spirale di crisi e scontri e far progredire con decisione l’integrazione” dei due Paesi nell’Unione, ma per l’amministrazione Biden “uno dei compiti più critici” è sempre quello che riguarda l’attuazione dell’accordo sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. Un “obbligo internazionale, giuridicamente vincolante, che richiede un’azione da parte del Kosovo, della Serbia e dell’Unione Europea”, ma che allo stesso tempo “non mina la Costituzione né minaccia la sovranità, l’indipendenza o le istituzioni democratiche” del Kosovo.

    As Kosovo’s closest friend & ally, we believe that by working to establish the ASM, Kosovo will realize a critical element needed to build its rightful future as a sovereign, multiethnic, and independent country, integrated into Euro-Atlantic structures. https://t.co/iFfSYo2Qao pic.twitter.com/c8yGJYVeHl
    — U.S. Embassy Pristina (@USEmbPristina) January 30, 2023

    Il nodo tra Serbia e Kosovo
    Secondo quanto sottoscritto dalle due parti nell’accordo di Bruxelles del 2013, per la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi balcanici dopo la dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia il 17 febbraio 2008 è prevista l’istituzione di “un’associazione/comunità di comuni a maggioranza serba in Kosovo”, aperta a “qualsiasi altro comune, purché i membri siano d’accordo”. Un’Associazione creata “da uno statuto”, con un suo presidente, vicepresidente, Assemblea e Consiglio e la possibilità di “cooperare nell’esercizio dei loro poteri in modo collettivo” nei settori dello “sviluppo economico, istruzione, sanità, pianificazione urbana e rurale“. Forze di polizia e autorità giudiziarie saranno uniche per tutto il Kosovo, ma con l’autorizzazione alla formazione di un comando regionale di polizia per le quattro municipalità settentrionali a maggioranza serba (Mitrovica settentrionale, Zvecan, Zubin Potok e Leposavic) e un collegio di giudici istituito dalla Corte d’Appello di Pristina per occuparsi di tutte le municipalità a maggioranza serba del Kosovo.
    A 10 anni dall’accordo di Bruxelles non sono stati compiuti progressi sostanziali per l’implementazione sul campo dei 15 punti, mentre si sono acuite nell’ultimo anno le tensioni nel nord del Kosovo sia sulla questione delle targhe per i veicoli sia per le conseguenze delle dimissioni di massa di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia serbo-kosovari dalle rispettive istituzioni nazionali. L’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo è considerata da Belgrado un’entità di governo che deve essere istituita proprio a partire dall’intesa giuridicamente vincolante di Bruxelles, ma è anche una potenziale leva politica in mano del presidente della Serbia, Aleksander Vučić, per continuare a controllare indirettamente una zona contesa (l’intero Kosovo è tutt’ora considerato parte del Paese). Quello che invece contesta Pristina – dopo il deciso cambio di rotta del governo nazionalista di Kurti dall’elezione del 2021 – è che la nuova Associazione in Kosovo non sia nient’altro che una replica della fallimentare Republika Srpska in Bosnia ed Erzegovina, l’entità a maggioranza serba nel Paese che negli ultimi anni ha portato a una destabilizzazione sempre maggiore del Paese proprio per l’eccessiva autonomia garantita a un establishment politico filo-russo.
    “Siamo assolutamente contrari alla creazione di qualsiasi entità che assomigli alla Repubblica Srpska in Bosnia ed Erzegovina“, hanno assicurato i due diplomatici statunitensi nella nota, chiedendo invece a Pristina di “fornire la propria visione di questa associazione”. Secondo quanto emerge dalle parole di Chollet ed Escobar, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, avrebbe fatto notare al premier Kurti che “esistono 14 accordi simili all’interno dell’Unione Europea, nessuno dei quali viola i sistemi europei di governo effettivo”, che garantiscono autonomie specifiche all’interno del quadro degli Stati nazionali. L’associazione “non sarebbe mono-etnica” e “non aggiungerebbe un nuovo livello di potere esecutivo e legislativo al governo del Kosovo”, assicurano i mediatori, mentre l’aspetto più positivo potrebbe essere il fatto che “i comuni che condividono interessi, lingua e cultura potrebbero lavorare insieme in modo più efficace per affrontare le sfide comuni” negli ambiti autorizzati dall’accordo di Bruxelles del 2013.

    Unione Europea e Stati Uniti stanno cercando di mediare tra Serbia e Kosovo su uno dei punti più divisivi dei negoziati. La creazione della comunità è prevista dall’accordo di Bruxelles del 2013, ma il rischio è quello di istituzionalizzare la divisione etnica, come con la Republika Srpska in Bosnia

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    L’alto rappresentante Ue Borrell avverte che le tensioni in corso tra Serbia e Kosovo “sono le più pericolose dal 2013”

    Bruxelles – Un fine settimana intenso, in cui “Serbia e Kosovo mi hanno tenuto davvero molto occupato” a Parigi. È senza filtri l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nel descrivere alla stampa il clima di tensione che si respira a proposito dei rapporti tra i due Paesi balcanici, dopo il resoconto ai 27 ministri Ue degli Esteri sui due confronti con il presidente serbo, Aleksander Vučić, e il premier kosovaro, Albin Kurti, a margine del Paris Peace Forum. Borrell ha avvertito che “abbiamo raggiunto il livello di tensione più pericoloso dal 2013“, con riferimento alla situazione pre-Accordo di Bruxelles, due anni dopo l’avvio del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’Ue.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a margine del Paris Peace Forum (11 novembre 2022)
    Tutto è legato agli eventi nel nord del Kosovo dopo l’introduzione del piano a tappe del governo di Pristina dal primo novembre fino alla primavera 2023 per la re-immatricolazione delle auto con targa serba nel Paese. Il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, ha deciso di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali, denunciando la “violazione del diritto internazionale” e la mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia). “Il ritiro dei serbi dalle istituzioni ha creato un vuoto nel nord del Kosovo e in questo vuoto tutto può succedere“, è l’allarme dell’alto rappresentante Ue: “Ora dobbiamo evitare lo scontro frontale”.
    Inevitabilmente l’appello è al “ritorno della minoranza serba nelle rispettive istituzioni del Kosovo” e alla distensione del clima da parte della Serbia di Vučić. Ma anche Pristina è chiamata a “rientrare nel dialogo sulle targhe”, che al momento non soddisfa Bruxelles. In altre parole “entrambe le parti devono dimostrare la volontà di ridurre le tensioni” ed è per questo che i capi-negoziatori di Serbia e Kosovo “inizieranno in questi giorni a lavorare sulle tappe future” di un dialogo che deve dare frutti in tempi strettissimi: “Convocherò i leader [Vučić e Kurti, ndr] solo se i negoziatori raggiungeranno un accordo entro il 21 novembre“, ha messo in chiaro Borrell, precisando che “se non dovessimo raggiungerlo, ci troveremmo in una situazione molto pericolosa”.
    Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a margine del Paris Peace Forum (11 novembre 2022)
    I due partner dell’Unione Europea “sono a un bivio, devono decidere se imboccare la strada verso l’Ue o verso il passato“, che ha già visto una guerra etnica tra il 1998 e il 1999. E da Bruxelles ci si aspetta “volontà a cercare soluzioni europee”. L’alto rappresentante Borrell ha riportato alla stampa che dal Consiglio Affari Esteri di oggi (lunedì 14 novembre) è uscito un messaggio di spinta verso “progressi chiari”, che coinvolgono sia missioni sul campo – come quella dell’italiano Antonio Tajani la settimana prossima a Pristina e Belgrado – sia un quadro di compromesso più ampio, che chiuda oltre 10 anni di mediazione diplomatica dell’Ue. È qui che si inserisce la “proposta chiara” dell’inedita coppia Francia-Germania (qui tutti i dettagli), definita da Borrell “una proposta europea, una bussola di due pagine” che dovrebbe portare a un nuovo orizzonte per Serbia e Kosovo.
    “Dobbiamo riuscire a leggere il problema con lenti diverse”, ha spiegato l’alto rappresentante Ue, parlando “non più di gestione delle crisi, ma di soluzioni strutturali, perché il percorso europeo richiede questo”. La modalità ‘gestione delle crisi’ è ciò che ha caratterizzato finora il dialogo: “Ne abbiamo avute in continuazione, una volta usciti da una, ce ne troviamo un’altra da affrontare”, come l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, il riconoscimento dei documenti di identità, le rispettive targhe per i veicoli alla frontiera e sul territorio nazionale. Invece il nuovo approccio – che “nessuna delle due parti a Parigi ha rifiutato, è già un successo” – deve puntare sulla prevenzione alla radice dei problemi, per “evitare che si manifestino crisi”. A oggi però Serbia e Kosovo si trovano nel pieno della più grave degli ultimi dieci anni e hanno solo una settimana per trovare una soluzione sostenibile e non rendere ancora più spinosa la situazione già delicatissima nel cuore dei Balcani Occidentali.

    Dopo i colloqui bilaterali a Parigi con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il premier kosovaro, Albin Kurti, Borrell ha messo in chiaro che i capi-negoziatori hanno tempo fino al 21 novembre per trovare un’intesa: “Sono a un bivio, tra imboccare la strada verso l’Ue o verso il passato”

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    Tensioni della minoranza serba nel nord del Kosovo, l’Ue chiede “responsabilità” a Pristina e Belgrado

    Bruxelles – Il momento è delicato e lo si capisce dalle parole scelte dal portavoce del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae), Peter Stano, per descrivere la situazione nel nord del Kosovo: “È un’escalation molto pericolosa, che sta mettendo a rischio anni di duro lavoro e di conquiste“. Il riferimento è agli avvenimenti degli ultimi giorni nella regione di confine, dopo la decisione del governo di Pristina di imporre un piano a tappe dal primo novembre fino alla primavera 2023 per la re-immatricolazione delle auto con targa serba nel Paese. “Ci appelliamo a entrambe le parti affinché si assumano le proprie responsabilità per trovare una soluzione europea”, è l’esortazione che arriva da Bruxelles, che avverte sul rischio di “conseguenze non solo per Serbia e Kosovo, ma per l’intera regione“.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 15 giugno 2021
    La nuova ondata di tensione nel nord del Paese balcanico si è aperta con la decisione del principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali, denunciando la “violazione del diritto internazionale e dell’Accordo di Bruxelles” del 2013, come ha spiegato il leader del partito, Goran Rakić. Le dimissioni sono arrivate sabato (5 novembre) dopo una riunione nella città di Zvečan, dove alcuni poliziotti si sono simbolicamente tolti le uniformi della polizia del Kosovo. I serbi kosovari chiedono il “rispetto degli accordi già firmati” e il ritiro dell’obbligo di sostituire le targhe serbe con quelle rilasciate dalle autorità di Pristina (con annesse multe per chi non lo rispetta).
    Il nuovo piano graduale per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe era stato annunciato dal premier Albin Kurti lo scorso 28 ottobre e prevede che – per chi non si adeguerà – tra il primo e il 21 novembre sarà emesso un avvertimento, tra il 21 novembre e il 21 gennaio una multa e tra il 21 gennaio al 21 aprile sarà applicata una targa temporanea. Dal 21 aprile in poi l’entrata in vigore sarà invece definitiva e i veicoli non conformi saranno sottoposti a sequestro. La decisione aveva però subito mostrato il maggiore punto di debolezza, quando da Bruxelles era stata espressa l’insoddisfazione per il fatto che “il Kosovo ha il diritto di eliminare gradualmente le targhe, ma il processo deve avvenire secondo le modalità concordate nel dialogo” mediato dall’Ue, aveva commentato la scorsa settimana alla stampa la portavoce della Commissione Ue responsabile per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali.
    Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti (credits: Afp)
    La cosiddetta ‘battaglia delle targhe’ era scoppiata per la prima volta nel settembre dello scorso anno, quando i reparti speciali di polizia avevano fermato automobili, ciclomotori e camion ai valichi di confine di Jarinje, Brnjak e Merdare, imponendo l’applicazione di targhe di prova kosovare e scatenando boicottaggi e interruzioni stradali da parte delle frange più estremiste della minoranza serba nel nord del Paese. Dopo l’accordo provvisorio trovato a Bruxelles, nei successivi 10 mesi Serbia e Kosovo non sono mai riusciti a trovare un’intesa sulle targhe sostenibile, definitiva e reciproca. A fine luglio si erano registrati nuovi incidenti in occasione della scadenza del primo agosto per la re-immetricolazione dei veicoli con targhe serbe, che avevano spinto il governo Kurti a concedere una doppia proroga per le nuove norme sulle targhe: dal primo settembre è in vigore l’obbligo di apporre un bollo a coprire l’emblema serbo (misura identica a quella applicata da Belgrado sulle auto kosovare), mentre entro il 30 settembre – con un ulteriore rinvio al 31 ottobre – tutti i cittadini di etnia serba che vivono in Kosovo avrebbero dovuto re-immatricolare i propri veicoli, utilizzando una targa rilasciata dalle autorità di Pristina.
    Da sinistra: il rappresentante speciale dell’Ue per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić
    Con l’entrata in vigore del nuovo piano al primo novembre la tensione è tornata a crescere, anche con la regia del presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, come evidenziato da alcuni analisti. Il leader serbo ha un controllo diretto della Lista Srpska e ha appoggiato le manifestazioni di domenica (6 novembre) nella città di Kosovska Mitrovica, per chiedere la sospensione della normativa nel Paese che ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza da Belgrado nel 2008. “Ci appelliamo a tutta la responsabilità dei leader dei serbi in Kosovo affinché impediscano un’ulteriore escalation e adottino misure per un comportamento più europeo”, è l’esortazione che arriva questa settimana da Bruxelles, dopo che l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, aveva subito messo in guardia “entrambe le parti dall’astenersi da qualsiasi azione unilaterale, che potrebbe portare a ulteriori tensioni”. 
    “Chiediamo alla Serbia e ai rappresentanti serbi del Kosovo di rispettare i loro obblighi di dialogo e di tornare nelle istituzioni kosovare per svolgere i loro compiti, anche nella polizia, nella magistratura e nelle amministrazioni locali”, è l’invito urgente del portavoce Stano diretto alla parte serba. Ma allo stesso tempo, l’Ue ha esortato nuovamente il Kosovo a “estendere immediatamente il processo di reimmatricolazione dei veicoli e sospendere qualsiasi azione punitiva nei confronti dei possessori di targhe serbe”, perché “la questione delle targhe può essere risolta nell’ambito del dialogo” mediato da Bruxelles. Sia la missione dell’Ue Eulex, sia la forza militare della Nato Kosovo Force (Kfor) – che dispiega circa 3.700 soldati nel Paese – sono in stato di allerta e “continueranno a garantire la stabilità sul terreno e a sostenere il mantenimento di un ambiente sicuro“, è l’ultimo avvertimento dell’alto rappresentante Borrell, mentre il rappresentante speciale dell’Ue speciale per il dialogo Pristina-Belgrado, Miroslav Lajčák, è in contatto con le autorità di entrambi i Paesi.

    Spoke this evening to both President Vucic @predsednikrs & PM @albinkurti.
    Recent developments put years of hard work under Belgrade-Pristina Dialogue at risk.
    Called on both sides to refrain from any unilateral actions which might lead to further tensions.
    Full statement ⬇️ https://t.co/KAAltL2IzL
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) November 5, 2022

    Il nodo dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo
    La questione delle targhe si lega strettamente e potrebbe trovare una soluzione diplomatica in un altro tema scottante per l’ultimo decennio del dialogo Pristina-Belgrado: l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, secondo l’Accordo di Bruxelles firmato nel 2013. “L’Ue invita le autorità kosovare ad avviare immediatamente le iniziative per la creazione” della comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia, ha puntualizzato con determinazione il portavoce Stano. “L’Assemblea del Kosovo ha ratificato l’Accordo di Bruxelles e la Corte Costituzionale ha stabilito che deve essere istituita, è un obbligo legale vincolante“, la cui mancata attuazione “non solo mette in discussione il principio dello Stato di diritto nella regione di confine, ma danneggia anche la reputazione e la credibilità del Kosovo“.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen e la presidente del Kosovo, Vjosa Osmani
    L’avvertimento era già arrivato nel dicembre dello scorso anno dallo stesso alto rappresentante Borrell, ma né dal premier Kurti né dalla presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, sono mai arrivate aperture sulla questione. Il primo aveva risposto a Borrell che “focalizzare l’attenzione solo su una parte di accordo non implementato a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale del Kosovo è fare gli interessi dei politici di Belgrado, non del popolo che non ha mai protestato”. Mentre la seconda aveva bollato l’Associazione delle municipalità serbe come “una fase preliminare della creazione di una seconda Republika Srpska e noi non vogliamo un altro Stato che non funziona, come quello bosniaco”, con riferimento alla situazione politica delicatissima in Bosnia ed Erzegovina (per le spinte secessioniste nell’entità a maggioranza serba).
    L’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, unita alle concessioni richieste a Pristina da Bruxelles e Washington sulla questione delle targhe, potrebbe però rappresentare una chiave di volta per il superamento del cronico stallo nel dialogo tra i due Paesi balcanici. Dietro le quinte c’è una proposta franco-tedesca di cui al momento non si conoscono i dettagli, se non le indiscrezioni pubblicate in esclusiva dall’Albanian Post: nell’accordo che dovrebbe essere firmato nel 2023, in cambio dei compromessi da parte di Pristina, la Serbia si impegnerebbe a prendere atto della “realtà del Kosovo indipendente” (al momento senza un riconoscimento formale, che avverrebbe tra altri 10 anni). Da Bruxelles non arrivano né smentite né conferme alle anticipazioni, ma la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato apertamente al summit del Processo di Berlino di giovedì scorso (3 novembre) che c’è “pieno supporto dalla Commissione alla proposta franco-tedesca, sarà integrata nel dialogo facilitato dall’Ue tra Serbia e Kosovo“, dal momento in cui rappresenta “un ponte gettato per risolvere i problemi nel modo più veloce”.

    Dopo l’escalation che ha portato al ritiro dei serbi dalle istituzioni nazionali kosovare per la decisione del governo di imporre un piano a tappe per l’eliminazione delle targhe serbe nel Paese, da Bruxelles arrivano richieste di distensione e di attuazione di tutti gli accordi già presi

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    L’UE ammonisce Pristina sull’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo: “È nell’accordo con Belgrado, va attuata”

    Bruxelles – Basta scavare un po’ e sotto i sorrisi e le parole d’incoraggiamento dei mediatori dell’Unione al “futuro europeo del Kosovo” si possono intuire i punti di frizione tra l’UE e la parte kosovara per quanto riguarda il dialogo di normalizzazione dei rapporti con la Serbia. È bastato il botta e risposta tra il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, durante la conferenza stampa post-Consiglio di di associazione e stabilizzazione di oggi (martedì 7 dicembre) a mettere in luce che tra Bruxelles e Pristina corre sì buon sangue, ma non è necessariamente un amore incondizionato.
    Il cuore del problema riguarda il rispetto di una parte dell’accordo del 2013 del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’UE, quello relativo alla creazione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, vale a dire una comunità di municipalità kosovare a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia. “Focalizzare l’attenzione solo su una parte di accordo non implementato a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale del Kosovo è fare gli interessi dei politici di Belgrado, non del popolo che non ha mai protestato”, ha commentato sibillino il premier Kurti. “È ora di trovare un’intesa che guardi al benessere delle persone, più che della politica”, ha aggiunto.
    Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (7 dicembre 2021)
    Senza filtri la replica di Borrell: “Sono un democratico e non servo nessun politico, voglio che tutte le parti riconoscano l’importanza di rispettare gli impegni presi”. Per l’alto rappresentante UE, “non è vero che la sentenza rende impossibile l’attuazione di questa parte dell’accordo” e perciò da Bruxelles continuerà ad arrivare la richiesta a Pristina di “implementarla, così come tutto il resto del documento”. La questione rimane delicata e si interseca con dinamiche regionali che nelle ultime settimane sono riemerse con forza. Già a settembre, in un’intervista per il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung la presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, aveva bollato l’Associazione delle municipalità serbe come “una fase preliminare della creazione di una seconda Republika Srpska e noi non vogliamo un altro Stato che non funziona, come quello bosniaco“. Dopo le recenti dichiarazioni secessioniste del membro serbo-bosniaco della Presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina, Milorad Dodik, la percezione di questa parte dell’accordo del 2013 a Pristina non può essere certo cambiata.
    La questione della normalizzazione dei rapporti con Belgrado è stato uno dei temi centrali del quarto Consiglio di associazione e stabilizzazione UE-Kosovo, ma i progressi sembrano essere stati pochi rispetto ai due incontri fallimentari di quest’estate con Kurti e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. Ai giornalisti che hanno chiesto se ci sarà un nuovo round di alto livello prima della fine dell’anno, Borrell ha fatto capire senza troppi giri di parole che sarà quasi impossibile: “La precondizione è che entrambe le parti siano disposte a raggiungere un risultato tangibile e per il momento non sussiste“. L’alto rappresentante UE ha spiegato che “è inutile incontrarci, se in partenza non c’è l’intenzione di trovare un compromesso”, anche se “l’anno non è ancora finito e faremo tutto il possibile”.
    Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi (7 dicembre 2021)
    In ogni caso, l’UE non spegne la luce del dialogo, anzi: “Lo status quo attuale non è sostenibile né per la Serbia né per il Kosovo, e anche per questo motivo bisogna impegnarsi per rafforzare gli accordi raggiunti in passato”, ha ribadito il concetto Borrell. Bruxelles rimane impegnata “nell’abbattere le barriere e avvicinare la regione all’Unione Europea”, ma “non possiamo fare il lavoro al posto vostro”, ha aggiunto. Di qui la necessità di “focalizzarsi anche sullo Stato di diritto, le riforme economiche e la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata”, oltre che sulla “preparazione tecnica dei progetti per il Piano economico e di investimenti dell’Unione“, ha ricordato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. “Per dare senso alla costruzione di infrastrutture comuni è poi necessario un Mercato regionale, di cui il Kosovo deve fare parte”, è stata l’esortazione del commissario UE.
    Prendendo nuovamente parola, il premier kosovaro ha lodato il progetto dell’Unione Europea come “il più pacifico e di sviluppo dalla fine della seconda guerra mondiale e per questo ne vogliamo fare parte come Paese democratico”. Kurti ha promesso che “non appena arriverà la chiamata dei mediatori europei, mi recherò a Bruxelles“, ricordando che comunque i colloqui con Belgrado “stanno continuando per implementare l’accordo sulle targhe dopo gli sforzi diplomatici di Bruxelles“. Che però, oltre le parole, il rapporto tra Kosovo e Unione Europea non sia solo idillio, lo ha confermato l’ultima nota polemica di Kurti, in linea con quanto già espresso in occasione del vertice UE-Balcani Occidentali di ottobre: “Sono passati tre anni, quattro mesi e tre settimane da quando la Commissione ha confermato che soddisfiamo tutte le condizioni per la liberalizzazione dei visti per i cittadini kosovari, ma niente si è mosso”. Il premier ha avvertito che “il popolo continua ad aspettare, ma la fiducia si rafforza solo con risultati tangibili legati ai progressi”.

    Nel quarto incontro del Consiglio di associazione e stabilizzazione UE-Kosovo l’alto rappresentante Borrell ha esortato il premier Kurti a rispettare “integralmente” tutte le parti dell’intesa siglata nel 2013