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    Sull’Ucraina l’Ue rimane divisa, nonostante lo spettro di Trump

    Bruxelles – Dopo uno dei peggiori attacchi missilistici russi sull’Ucraina dall’inizio della guerra, a Bruxelles si sono riuniti stamattina (18 novembre) i ministri degli Esteri dei Ventisette per discutere, tra le altre cose, di come assicurare il sostegno europeo al Paese aggredito. Soprattutto alla luce della recente rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca: mentre l’Ue fatica a mantenere le sue stesse promesse sugli aiuti militari a Kiev, nelle stanze dei bottoni aleggia lo spettro di un eventuale stop alle forniture statunitensi e la possibilità che il nuovo presidente possa forzare l’omologo ucraino Volodymyr Zelensky ad accettare una pace che avvantaggi Mosca. Ma gli Stati membri continuano a rimanere divisi su come sostenere l’ex repubblica sovietica.Via libera agli Atacms in RussiaLa settimana si è aperta con l’annuncio del presidente uscente degli Stati Uniti, Joe Biden, che Washington autorizza l’esercito di Kiev a usare gli Atacms (dei missili a lunga gittata, capaci di raggiungere bersagli a 300 chilometri di distanza) per attaccare il nemico sul suo territorio. Il via libera non è un assegno in bianco, ha fatto sapere la Casa Bianca, ma andrà valutato di caso in caso ogni volta che l’Ucraina avrà bisogno di colpire obiettivi militari oltre i propri confini.La speranza di Biden è quella di dissuadere la Corea del Nord dall’inviare ulteriori truppe nella Federazione, proprio quando 10mila soldati di Pyongyang stanno prendendo parte alla controffensiva russa nell’oblast’ di Kursk (in cui gli ucraini sono penetrati lo scorso agosto). La decisione, presa ieri, rappresenta un cambiamento importante nell’approccio di Washington, ad appena due mesi dall’inaugurazione ufficiale della seconda presidenza Trump.La mossa della Casa Bianca è stata accolta positivamente dall’Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, che ha presieduto il suo probabilmente ultimo Consiglio Affari esteri a Bruxelles: “Secondo me gli ucraini dovrebbe poter usare le armi non solo per respingere gli attacchi ma anche per colpire da dove partono questi attacchi”, ha dichiarato, ribadendo la sua posizione sul tema. Ma la questione, come ha ricordato lo stesso capo della diplomazia Ue, è di competenza nazionale e saranno le cancellerie a decidere.L’Alto rappresentante dell’Unione per la politica estera e di sicurezza comune, Josep Borrell (foto: European Union)“Lavorare alla pace”Decisamente meno entusiasta il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani: “Noi continueremo a seguire la linea che abbiamo sempre seguito”, ha dichiarato ai giornalisti, cioè “quella dell’utilizzo delle nostre armi all’interno del territorio ucraino”. Il vicepremier forzista ha ricordato che “tutti quanti dobbiamo lavorare per la pace” (una pace giusta che “non significa la sconfitta dell’Ucraina”), ma sicuramente “bisogna sempre lasciare uno spazio aperto alla diplomazia”.Tuttavia, a detta del ministro azzurro, la telefonata tra il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente russo Vladimir Putin dello scorso venerdì – in cui ha chiesto al suo interlocutore di ritirare le truppe dall’Ucraina e di sedersi al tavolo per negoziare una “pace giusta”, per farsi rispondere che qualunque trattativa dovrà tenere conto delle “nuove realtà territoriali” (cioè dell’occupazione di circa un quinto del territorio ucraino) – non ha “ottenuto grandi effetti”. Secondo Tajani, serve “una scelta unitaria e coesa da parte di tutti gli interlocutori” che deve portare ad “una conferenza di pace” sul modello di quella tenuta in Svizzera, ma ha anche sottolineato che “non si può pensare di arrivare ad una trattativa senza la Russia“.Il titolare della Farnesina incontrerà martedì (19 novembre) a Varsavia i suoi omologhi di Francia, Germania, Regno Unito e Polonia (e la futura Alta rappresentante Kaja Kallas) nel cosiddetto formato “Weimar plus”, un forum per discutere della posizione europea rispetto alla guerra in Ucraina. Il ministro degli Esteri polacco, Radoslaw Sikorski, ha definito quelli di domani come “i più importanti colloqui” sul conflitto.Il ministro degli Esteri e vicepremier italiano Antonio Tajani (foto: Samuel Corum/Afp)Divisioni intestineMa nemmeno nel resto dei Ventisette le posizioni sono unanimi. Parigi è possibilista sull’uso delle armi occidentali in territorio russo: “Abbiamo detto apertamente che questa era un’opzione che avremmo preso in considerazione”, ha dichiarato il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot. La Francia e il Regno Unito hanno già fornito missili a lungo raggio a Kiev ma hanno sempre sostenuto che non ne avrebbero autorizzato l’uso oltre i confini ucraini finché Washington non avesse fatto lo stesso. Ora, la mossa di Biden potrebbe sparigliare le carte in tavola.Niente da fare, invece, per il governo tedesco, che continua a rifiutare di inviare a Kiev i missili Taurus a lungo raggio: “Il governo tedesco era informato della decisione di Washington di consentire all’Ucraina di utilizzare missili ad ampio raggio contro la Russia”, ha dichiarato Wolfgang Buechner, portavoce del cancelliere, ma “questo non modifica la posizione” dell’esecutivo. Invece, Berlino ha annunciato la fornitura di una grossa partita di droni kamikaze (circa 4mila unità), la cui consegna dovrebbe iniziare a dicembre.Per il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, la strategia seguita dall’Ue in questi mille giorni di guerra “è fallita”: “Una pace attraverso la de-escalation è una strategia fallimentare”, ha dichiarato ai cronisti, e a questo punto “abbiamo bisogno di una strategia che venga dalla forza”, come chiesto da tempo sia da Kiev sia dagli Stati baltici. Si tratta in altre parole “di una vera rimozione di tutte le restrizioni e di una strategia effettivamente vincente”, ha incalzato Landsbergis, per garantire “un supporto effettivo all’Ucraina che aiuterebbe l’Ucraina a vincere”.Un lanciarazzi multiplo utilizza dei missili a lunga gittata Atacms (foto: Wikimedia Commons)Del medesimo tenore anche l’omologo estone Margus Tsahkna, secondo cui Putin “non ha intenzione di cambiare rotta” e, dunque, “nessuna telefonata rafforza la nostra posizione” a fianco dell’Ucraina e contro l’aggressione russa. “Domani saranno mille giorni dall’inizio dell’invasione”, ha continuato, ma “in realtà sono quattromila dal 2014”, quando Mosca ha occupato illegalmente la Crimea e ha stazionato le sue truppe in Donbass. “È buona cosa, se vera, che gli Stati Uniti hanno tolto le restrizioni” sull’uso degli Atacms, qualcosa che Tallinn chiedeva “fin dall’inizio” dell’invasione nel febbraio 2022.Droni cinesi e asset russiAl Consiglio Affari esteri di oggi ci sono state discussioni anche su altri punti relativi all’Ucraina. C’è la questione dei droni cinesi: secondo fonti di intelligence che a Bruxelles si ritengono “convincenti”, nel territorio della Repubblica popolare verrebbero assemblati dei droni di nuova generazione che sarebbero poi trasferiti in Russia per essere usati in Ucraina.Se questo fosse confermato, ha avvertito Tajani, “sarebbe un grande errore”, poiché costituirebbe l’ennesimo salto di qualità del conflitto: “Nessuna escalation è un messaggio anche per la Cina”. Al momento le indagini sono ancora in corso, hanno riferito la scorsa settimana funzionari europei, ma in caso di conferma ci saranno non meglio specificate “conseguenze concrete” per Pechino (l’extrema ratio sarebbe rappresentata dalle sanzioni, come quelle che Bruxelles ha già comminato ai danni di Iran e Corea del Nord per il rifornimento di armi alla Federazione).Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Vyacheslav Prokofyeva via Sputnik)Inoltre, c’è la questione degli aiuti finanziari a Kiev. Nello Strumento europeo per la pace (Epf) ci sono 6,6 miliardi di euro bloccati dall’Ungheria, ma a Bruxelles si sta escogitando un modo per bypassare il veto di Budapest e far arrivare nelle casse ucraine i fondi comunitari, magari ricorrendo ad un meccanismo di contributi volontari. Dopo la prima tranche da 1,4 miliardi dello scorso agosto, l’Ue vorrebbe staccare il secondo assegno da 1,9 miliardi già il prossimo marzo, ma sta ancora mettendo a punto i dettagli concreti dell’esborso. Si tratta di risorse derivanti dagli interessi straordinari (i famosi extraprofitti) generati dagli asset russi congelati in Europa.Altri obiettivi dell’Unione sono poi quello di consegnare a Kiev un milione di proiettili d’artiglieria (un target che dovrebbe essere raggiunto entro fine anno, otto mesi in ritardo rispetto alla scadenza originariamente fissata per marzo) e quello di addestrare 75mila soldati ucraini (per ora ne sono stati addestrati circa 63mila) entro la fine dell’inverno nell’ambito della missione Eumam Ukraine, recentemente estesa fino al novembre 2026.

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    Ucraina, tensione Borrell-Tajani: “Ridicolo non permettere a Kiev di attaccare”

    Bruxelles – Sulla guerra russa in Ucraina, adesso è strappo Ue-Italia e tensioni tra l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, e il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Il primo non gradisce la linea del secondo, e ne critica le argomentazioni. Negare, come ha fatto Tajani, la possibilità di utilizzo delle armi degli alleati su suolo russo è una logica considerata come ipocrita. “Penso sia ridicolo dire che consentire di colpire all’interno del territorio russo significhi essere in guerra contro Mosca”, sostiene Borrell all’inizio della riunione informale dei ministri della Difesa, tornando sulle dichiarazioni di Tajani di ieri. Il ministro degli Esteri ha detto che l’Unione non è in guerra contro la Russia per spiegare il ‘no’ del governo all’eliminazione delle restrizioni sull’utilizzo delle armi occidentali, e l’Alto rappresentante insiste nel bacchettare il partner: “Non siamo in guerra contro Mosca, penso sia ridicolo dirlo. Stiamo sostenendo l’Ucraina“. Ecco il distinguo operato da Borrell, per replicare alle affermazioni non gradite dell’Italia. “L’Ucraina – continua Borrell – viene attaccata dal territorio russo e, secondo il diritto internazionale, può reagire attaccando i luoghi da cui viene attaccata. Quindi, non c’è nulla di strano in questo”. Dall’Italia dunque dichiarazioni inaccettabili e posizioni incomprensibili. Resta fermo per gli Stati membri il diritto di scegliere, questo Borrell né lo nega né lo mette in discussione. “E’ chiaro che questa è una cosa che spetta a ciascuno di loro”, anche perché quella estera e di difesa “non è una politica dell’Ue”. Quindi, a Tajani che lo accusava di parlare a titolo personale, replica: “Come Alto rappresentante devo avere opinioni personali se voglio spingere il consenso tra gli Stati membri”. Le riunioni informali aprono un solco tra il governo Meloni e l’Ue.

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    Tajani: “Convergenza nel governo su Fitto”. E all’Ucraina dice: “Le armi italiane non siano usate in territorio russo”

    Bruxelles – “La figura di Raffaele Fitto è la migliore possibile”: non ci sono dubbi per il vicepremier azzurro, Antonio Tajani, sul profilo del candidato italiano per la prossima Commissione europea, il quale assicura che la maggioranza di governo è compatta nel sostenerlo. E ha risposto in maniera scettica alle critiche mosse a inizio mattinata dall’Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, contro l’inerzia dimostrata fin qui dai Ventisette su due dossier cruciali: Ucraina e Medio Oriente. Il leader di Forza Italia, a Bruxelles per il Consiglio Affari esteri informale di giovedì (29 agosto), ha blindato il nome dell’attuale ministro agli Affari europei Raffaele Fitto prima di unirsi ai suoi omologhi nel palazzo Europa. “Domani ne parleremo al vertice di maggioranza, poi ci sarà il Consiglio dei ministri”, ha continuato Tajani, sottolineando come l’ex presidente della regione Puglia “sia la persona più giusta” e su come sul suo nome “ci sia una convergenza da parte di tutti” i partiti della coalizione. La sua esperienza, che il vicepremier ha assicurato essere gradita anche a Bruxelles, è il punto che mette tutti d’accordo: è importante che Roma invii al Berlaymont qualcuno “che non faccia l’apprendista commissario ma il commissario”. E tuttavia il governo italiano attenderà, appunto, fino a domani per formalizzare la nomina, dopo essere rimasto l’ultimo grande Paese del blocco a non aver ancora indicato ufficialmente alcun candidato.Quanto alle accuse, tutt’altro che velate, mosse dal capo della diplomazia Ue all’indirizzo degli Stati membri prima dell’avvio delle discussioni in Consiglio, il titolare degli Esteri si è dimostrato piuttosto indifferente. Anzitutto, sull’Ucraina: “Ogni Paese è libero di decidere” se mantenere o rimuovere le restrizioni sull’utilizzo delle armi inviate a Kiev oltre i confini della Russia, ha ribadito, sottolineando che “per l’Italia rimane la posizione di utilizzare le nostre armi all’interno del territorio ucraino“. A quanto riportato dal ministro, Roma è in procinto di inviare all’Ucraina una nuova batteria per il sistema antiaereo Samp/T.  E sulla proposta, caldeggiata nuovamente da Borrell in mattinata, di sanzionare dei membri del governo israeliano, il vicepremier forzista ha parlato di “periodo ipotetico dell’irrealtà“. L’obiettivo è “convincere Israele a fare delle scelte che portino al cessate il fuoco a Gaza perché questa è la priorità vera”, ha dichiarato Tajani, sostenendo che “non è col riconoscimento teorico della Palestina o con le sanzioni ai ministri israeliani che si risolvono i problemi” nel complesso quadro della crisi mediorientale. “Serve più diplomazia“, ha aggiunto, ricordando che gli obiettivi prioritari sono la sospensione immediata delle ostilità nella Striscia, la distribuzione degli aiuti umanitari alla popolazione palestinese e la liberazione degli ostaggi israeliani ancora in mano ai gruppi islamisti.

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    I Ventisette chiedono “pause umanitarie immediate” a Gaza. E iniziano le discussioni sulla Palestina post-guerra

    Bruxelles – Uno sforzo diplomatico a livello immediato, un impegno che inizia già ora per trovare una soluzione a medio/lungo termine alla situazione “catastrofica” nella Striscia di Gaza. Sotto la guida dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, i 27 ministri degli Esteri hanno definito oggi (13 novembre) la posizione condivisa dell’Ue sulla necessità di “pause umanitarie immediate” per permettere la consegna degli aiuti internazionali alla popolazione sotto i bombardamenti israeliani, ma soprattutto per definire un piano – al momento solo abbozzato – che guardi al “giorno dopo” la fine della guerra tra Israele e Hamas.Jabalia, Palestina (credits: Yahya Hassouna / Afp)Sul primo aspetto dell’analisi del conflitto, le discussioni si sono impostate sulla dichiarazione “unanime” pubblicata ieri (12 novembre) al termine di “un’intensa giornata di lavori, dopo la richiesta arrivata da diversi Stati membri”, ha spiegato l’alto rappresentante Borrell. Già al Consiglio Europeo del 26 ottobre era arrivata la richiesta di “pause umanitarie” ma, di fronte a una sempre più urgente necessità di portare soccorso, acqua, cibo, medicine e carburante alla popolazione della Striscia di Gaza, “la parola più importante è ‘immediate’“, ha rimarcato Borrell. È soprattutto la questione dei bombardamenti sugli ospedali a creare le preoccupazioni maggiori a Bruxelles: “L’Ue sottolinea che il diritto umanitario internazionale stabilisce che gli ospedali, le forniture mediche e i civili al loro interno devono essere protetti“, è il riferimento della dichiarazione sia ai limiti del diritto di autodifesa di Israele sia all’uso di ospedali e civili “come scudi umani” da parte di Hamas.“La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza è catastrofica e sta solamente peggiorando con il passare delle ore“, è stata la sintesi del commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, con cui i 27 ministri degli Esteri hanno fatto il punto tecnico delle conseguenze dei bombardamenti agli ospedali e più in generale della situazione del conflitto: “È urgente definire e rispettare le pause umanitarie, devono essere significative, con tempistiche certe, senza bombardamenti e annunciate con anticipo, perché le organizzazioni umanitarie possano prepararsi a sfruttarle”. I numeri della crisi umanitaria sono stati forniti dall’alto rappresentante Borrell in conferenza stampa: “Le vittime sono oltre 11 mila, ci sono 1,5 milioni di sfollati, metà degli ospedali è al collasso per la mancanza di carburante, dal valico di frontiera con l’Egitto entrano in media 40 camion al giorno, meno del 10 per cento del necessario”. Se il valico di Rafah “non è sufficiente, bisogna aumentare le capacità di transito”, le soluzioni sono due: “O più punti terrestri o l’iniziativa cipriota per un corridoio marittimo“, ha spiegato Borrell, anche se la seconda opzione è più complessa considerato il problema infrastrutturale dell’assenza di porti sulla costa di Gaza.Il piano per il dopoguerra in Palestina e a GazaL’impegno diplomatico di Bruxelles per “evitare l’escalation nella regione e ai Paesi vicini” si connette con la soluzione sul medio/lungo termine post-conflitto per costruire la pace tra Israele e Palestina. Il capo della diplomazia Ue ha messo in chiaro che “questa drammatica crisi con costi immensi di vite umane deve essere l’occasione per far capire al mondo che la soluzione può essere basata solo su due Stati”. In altre parole, “non è solo questione di ricostruire Gaza, ma soprattutto di costruire lo Stato per i palestinesi“. Il piano presentato oggi per la prima volta da Borrell al Consiglio Affari Esteri richiede “parametri per iniziare a cercare una soluzione che propizi la pace” e al momento è una sorta di “schema mentale” che passa da sei condizioni, “tre sì e tre no”, da impostare con gli Stati Uniti e i Paesi arabi.Jabalia, Palestina (credits: Mahmud Hams / Afp)Per quanto riguarda i tre ‘no’, l’alto rappresentante Borrell ha messo in chiaro che “non ci potrà essere un’espulsione forzata dei palestinesi“, che “il territorio di Gaza non si può ridurre, non può esserci rioccupazione da parte di Israele a livello permanente” e che la questione dei bombardamenti in atto a Gaza “non può essere dissociata dalla questione palestinese, va considerata nel suo complesso”. E questi sono i paletti iniziali anche per Gerusalemme. I tre ‘sì’ fanno invece parte dell’impostazione più generale di una soluzione per una pace strutturale e stabile. In primis, “a Gaza deve tornare un’autorità palestinese, la cui legittimità deve essere definita e riconosciuta”, ha spiegato Borrell, precisando che intende “non l’Autorità Nazionale Palestinese, ma una sorta di autorità palestinese”, e che in ogni caso “non si può ricostruire la Palestina né sull’occupazione israeliana né a partire da Hamas”. Come secondo punto, la soluzione deve essere “appoggiata con un forte coinvolgimento degli Stati arabi” a livello finanziario “ma soprattutto politico”. E infine dovrà mettersi in campo “più coinvolgimento dell’Ue nella regione, in particolare nella costruzione dello Stato palestinese“, ha assicurato Borell in partenza per la missione in Israele, Palestina, Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania: “Se non troviamo una soluzione politica, continuerà la spirale di violenza che si ripeterà di funerale in funerale”.
    Al Consiglio Affari Esteri intenso confronto sulle modalità per far arrivare gli aiuti alla popolazione sotto bombardamenti israeliani. L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha presentato un piano per cercare una soluzione a due Stati con Stati Uniti e Paesi arabi basata su “tre sì e tre no”

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    Tajani: “Creare lo Stato palestinese per delegittimare Hamas”

    Bruxelles – Creare uno Stato palestinese per delegittimare Hamas. DI fronte alla crisi in Medio Oriente l’Europa adesso deve approfondire il ragionamento geopolitico per il futuro della regione, già ribadito dopo il Consiglio informale del 15 ottobre. E’ Antonio Tajani a insistere esplicitamente sull’istituzione di uno nuovo Paese, vero, indipendente e sovrano. Il ministro degli Esteri, anche in qualità di segretario di Forza Italia e di vicepresidente del Ppe, porta la questione sul tavolo del Partito popolare europeo in occasione della tradizionale riunione dei leader del centro-destra europea che precede i vertici dei Consiglio europeo.“Senza negare il diritto di Israele a esistere“, sostiene Tajani, “bisogna avviare un percorso che porti alla creazione di uno Stato palestinese, che dia una prospettiva alla popolazione palestinese e che tagli l’erba sotto i piedi ad Hamas, che deve essere delegittimata sia da un punto di vista militare, attraverso una sconfitta, sia da un punto di vista politico”.Una dichiarazione più netta e più chiara di quella offerta dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Al suo arrivo in Consiglio per partecipare al vertice dei capi di Stato e di governo dell’Ue, Meloni afferma che “lo strumento più efficace per sconfiggere Hamas è dare concretezza e tempistica alla situazione palestinese e attribuire più peso all’Autorità nazionale palestinese”. Un concetto analogo a quello espresso dal suo ministro degli Esteri e alleato di maggioranza, ma espresso con toni forti. Manca però, nelle parole dell’inquilina di palazzo Chigi, l’esplicito riferimento allo Stato.Tajani, invece, tira dritto e ribadisce che “la nostra azione punta a costruire la pace con l’obiettivo due popoli e due Stati”. Ovviamente dialogando con il governo di Ramallah. In questo processo non semplice “l‘unica autorità che può essere l’interlocutore è l’Autorità nazionale palestinese (ANP). Non può essere Hamas”. Perché quest’ultima resta un’organizzazione terroristica agli occhi dell’Italia e dell’Unione europea. Per questa ragione “è difficile parlare di cessate il fuoco”. Un cessate il fuoco riguarda due eserciti, mentre in Medio Oriente si confrontano un esercito, quello di Israele, e un’organizzazione terroristica che non si vuole riconoscere in alcun modo. Meglio cercare una tregua umanitaria, come chiesto da 46 europarlamentari nella lettera inviata ai leader riuniti a Bruxelles.
    Il ministro degli Esteri al pre-vertice del Ppe rilancia la soluzione a due Stati. “Hamas va sconfitta militarmente e politicamente, nostro interlocutore è ANP”

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    L’Ue punta sul gas algerino, ma Algeri lo sta già usando come arma politica

    Bruxelles – L’Algeria è la nuova Russia, con risorse energetiche pronte da essere usate come arma politica contro l’Unione europea? Il rischio, in Europa, c’è chi lo vede e non può fare a meno di porre la questione ad una Commissione che però tira dritto e rinnova la fiducia ad un partner diventato ancor più strategico alla luce della guerra in Ucraina e la necessità di affrancarsi dalle forniture di Gazprom. Susana Solís Pérez, europarlamentare liberale (Re) vede però sullo sfondo un nuovo problema di indipendenza geopolitica per l’Unione, per effetto di questioni tutte regionali.
    C’è la questione del Sahara occidentale a dividere Algeria e Marocco. Rabat rivendica come propri i territori che invece la repubblica araba democratica di Saharawi (Rads) considera come parte integrante del Paese. Algeri sostiene la Rads e il suo movimento politico di riferimento, il Fronte polisario. Divergenze di vedute che hanno portato all‘interruzione delle relazioni diplomatiche nel 2021, e le tensioni in nord Africa hanno già avuto ripercussioni per l’Europa.
    Nella sua interrogazione, Susana Solís Pérez, ricorda che il gasdotto Maghreb-Europa (Mge) rifornisce la penisola iberica di gas algerino attraverso il Marocco. Una conduttura lunga 1.400 chilometri che dal 1996 trasporta oltre 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno nell’Europa occidentale. “A seguito della rottura delle relazioni diplomatiche tra Algeria e Marocco nell’agosto 2021, l’Algeria ha deciso di non rinnovare il contratto di 25 anni di Mge”, rileva l’europarlamentare. Preoccupata non a torto, visto che l‘Algeria ha sospeso l’accordo di amicizia con la Spagna per il sostegno dato a Madrid alle rivendicazioni marocchine sul Sahara occidentale.
    “L’Algeria ha aumentato il prezzo delle forniture di gas alla Spagna attraverso il gasdotto Medgaz“, denuncia ancora la parlamentare liberale. Medgaz è un’infrastruttura sottomarina lunga circa 757 chilometri, con una capacità massima annuale di 10,5 miliardi di metri cubi di gas. Una scelta, quella di rivedere i listini nei confronti di Madrid, che mostra “l‘uso dell’approvvigionamento energetico da parte dell’Algeria come arma politica“.
    La Commissione europea lascia all’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, il compito di rassicurare sulla questione. “L’Ue ha costantemente lavorato per rafforzare il suo partenariato con l’Algeria, concentrandosi sulle priorità indicate nell’accordo di associazione”, ricorda il membro del collegio dei commissari. Inoltre, “a seguito della decisione dell’Ue di tagliare le sue importazioni di gas dalla Russia, l’Algeria si è impegnata ad aumentare le sue forniture di gas all’Europa nel 2022 e negli anni successivi”. Tradotto: Algeri è un partner affidabile, non è una nuova Russia, “l‘Unione europea apprezza molto la cooperazione energetica con l’Algeria ed è pronta ad approfondirla ed espanderla ulteriormente”.
    La strategia Ue ha una sua logica. L‘Algeria resta comunque parte dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec). E’ vero che l’Unione ha scelto la strada della sostenibilità e del superamento dei combustibili fossili, ma nella transizione avere interlocutori privilegiati all’interno del gruppo che fissa i prezzi del barile di greggio può rappresentare un punto di forza. Un orientamento che suona però da scommessa.
    La questione è sul tavolo anche da prima dello scoppio della guerra in Ucraina. Antonio Tajani, ora ministro degli Esteri ma allora in veste europarlamentare, sollevò la stessa questione sempre via interrogazione scritta. La decisione di Sonatrach di interrompere ogni tipo di attività in Marocco e con il Marocco “pone quesiti importanti sulla dipendenza energetica dell’Unione”. Scrisse così Tajani, a riprova del fatto che già prima di un riposizionamento sul mercato l’opzione algerina non sembra delle migliori.
    Borrell ha provato a rassicurare anche in quel frangente: “Per quanto riguarda le attuali tensioni diplomatiche tra Algeria e Marocco, l’Ue è pronta a fornire tutto il sostegno necessario al processo guidato dalle Nazioni Unite per trovare una soluzione politica giusta e reciprocamente accettabile al caso del Sahara occidentale”. Ma fino ad oggi l’Ue ha sempre privilegiato la parte marocchina nel confronto con i Saharawi, il che la potrebbe esporre alle ripicche energetiche algerine. 

    La questione del Sahara occidentale è motivo di scontro tra Algeria e Marocco, e le posizioni spagnole a sostegno di Rabat ridisegnano i contratti di Sonatrach. La questione già nota prima dello scoppio delle guerra in Ucraina

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    Tajani: “Continuiamo a insistere perché si faccia luce su Giulio Regeni”

    Bruxelles – L’Italia torna a chiedere verità per Giulio Regeni, il ricercatore italiano, torturato e ucciso dalle forze di sicurezza egiziana nel 2016. Il 25 gennaio ricorre il settimo anniversario della sparizione del giovane, e il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, fresco di missione in Egitto, torna a sollevare la questione. “Ho posto il problema”, assicura a margine dei lavori del consiglio Affari esteri. Come Italia “continuiamo a lavorare e insistere perché si faccia luce sulla vicenda“. Alla controparte egiziana ha chiarito che per garantite ciò “soprattutto si colpiscano responsabili”. Dalla Farnesina arriva la richiesta di “un processo” nei loro confronti, che il Paese del nord Africa “ci dia le risposte per procedere”.
    A Roma “vogliamo un processo per i responsabili”, continua il titolare della Farnesina, e adesso si attende che il Cairo tenga fede agli impegni. “Il presidente as Sisi ha promesso che il Paese rimuoverà tutti gli ostacoli” incontrati fino a oggi e “mi auguro che a queste parole seguano i fatti”.
    L’Italia in questa vicenda gode del pieno sostegno dell’Unione europea. La questione è stata posta dall’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, che a nome della Commissione ha esortato l’Egitto a garantire piena collaborazione. Il Parlamento europeo, già nel 2020, ha approvato una risoluzione per chiedere che si chiarisca l’accaduto di sette anni fa. “Voglio essere ottimista“, ammette Tajani prima di avviarsi per riprendere parte ai lavori.

    Alla vigilia del settimo anniversario della sua sparizione il ministro degli Esteri ha ottenuto rassicurazioni dalla autorità egiziane. “Voglio essere ottimista, alle parole ora seguano i fatti”

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    Migranti, Team Europe avvia due iniziative per gestire flussi nel Mediterraneo

    Bruxelles – Investire in Africa per eliminare le condizioni alla base delle partenze, e poi cooperazione nei rimpatri e nelle riammissioni. L’Unione europea lancia nuove iniziative mirate per la dimensione esterna dell’immigrazione. Due iniziative del Team Europe, l’insieme degli Stati membri dell’Ue e le sue istituzioni per rispondere in modo unitario alle sfide globali, inclusa quella dei flussi. “L’Africa nel 2050 conterà quasi tre miliardi di persone, e se non affrontiamo le problematiche economiche e legate al clima c’è il rischio di migrazioni di massa” verso l’Europa, sottolinea Antonio Tajani, ministro degli Esteri dell’Italia. Insieme a Francia e Spagna, l’Italia è al centro di questa iniziativa che l’esecutivo comunitario avvia oggi (12 dicembre).
    Mediterraneo centrale, quella che interessa da vicini l’Italia, e Mediterraneo occidentale. E’ qui che si intende intervenire con rinnovato slancio. “Stiamo lavorando intensamente perché il tema dell’immigrazione sia affrontato con una strategia di breve, medio e lungo termine”, continua il titolare della Farnesina.
    Per quanto riguarda la parte squisitamente migratoria dell’iniziativa,  si riuniscono dei Paesi africani ed europei di origine, transito e destinazione. Si vogliono creare nuove opportunità di coordinamento con i paesi partner, i partner internazionali e le pertinenti agenzie delle Nazioni Unite.
    Nel Mediterraneo centrale, più specificatamente, l’iniziativa  sosterrà l’attuazione di azioni operative per gestire la migrazione in cooperazione e coordinamento con Burkina Faso, Ciad, Egitto, Libia, Niger, Etiopia, Eritrea, Somalia, Sudan, Tunisia, Costa d’Avorio, Guinea e Nigeria. Per gli interventi lungo la rotta che invece interessa più da vicino la Spagna, quella del Mediterraneo centrale, i Paesi africani partner principali sono Algeria, Mauritania, Senegal, Marocco, Gambia, Ghana e Mali.
    Per quanto riguarda la migrazione regolare, si vuole puntare sull’ingresso di richiedenti asilo qualificati. “Stiamo lavorando per accelerare l’attuazione di questi partenariati su misura a partire da Marocco, Tunisia ed Egitto”, fa sapere la Commissione europea. “Una gestione efficace della migrazione può avvenire solo quando si stabiliscono solidi partenariati tra paesi di origine, transito e destinazione”, sostiene l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell. “Questo è ciò che fanno le due Iniziative Team Europa, offrendo una piattaforma strategica per coordinare meglio il nostro lavoro insieme ai partner africani”.
    Le iniziative insistono su ritorni, riammissioni, e cooperazione economica. “Dobbiamo agevolare estrazione e lavorazione della materie prime in Africa, in cooperazione” con autorità e aziende locali, insiste il ministro degli Esteri italiano. Che precisa: “Bisogna agire non con una nuova colonizzazione ma favorire la crescita del continente italiano”.

    L’alleanza Ue avvia partenariati con Paese africani per ritorni, rimpatri e cooperazione economica. Tajani: “Rischio migrazioni di massa, occorre risolvere i problemi di base”