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    Lo storico accordo sui documenti d’identità tra Kosovo e Serbia, grazie alla mediazione Ue. Ora tocca alle targhe

    Bruxelles – Bisogna leggere tra le righe dell’intesa tra Pristina e Belgrado per capire quanto si tratti di un accordo storico per la regione balcanica. Il via libera reciproco ai documenti d’identità nazionali alla frontiera è un primo riconoscimento de facto della sovranità del Kosovo da parte della Serbia, nonostante Belgrado si rifiuti per principio di definirlo come tale: mai nei 14 anni d’indipendenza unilaterale di Pristina la polizia di frontiera serba aveva consentito l’ingresso nel Paese a persone che mostravano una carta d’identità rilasciata dalle autorità kosovare (al loro posto venivano rilasciati documenti serbi provvisori).
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 18 agosto 2022
    “Nell’ambito del dialogo facilitato dall’Unione Europea, la Serbia ha accettato di abolire i documenti di ingresso e uscita per i possessori di documenti d’identità kosovari, mentre il Kosovo ha accettato di non introdurli per i possessori di documenti d’identità serbi“, si legge in una nota dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Nello stesso accordo tra Pristina e Belgrado è contenuta la precisazione che i serbi del Kosovo “potranno viaggiare liberamente tra il Kosovo e la Serbia utilizzando le proprie carte d’identità”, grazie alle garanzie fornite a Bruxelles dal premier kosovaro, Albin Kurti. “Lieto” di annunciare l’intesa sulla libertà di circolazione raggiunta nella giornata di sabato (27 agosto), l’alto rappresentante Borrell ha sottolineato che il risultato è stato reso possibile grazie all’incontro di alto livello del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’Ue della scorsa settimana e agli “intensi sforzi” continuati nelle due capitali nei giorni seguenti in coordinamento con “i nostri partner statunitensi”.
    Da Bruxelles e da Washington si guarda a questo accordo storico come un segnale incoraggiante di disponibilità al compromesso anche su un’altra questione calda nell’estate 2022. L’alto rappresentante Borrell non ha nascosto che “ci sono alcuni problemi ancora aperti e mi aspetto che entrambi i leader continuino a dare prova di pragmatismo e costruttività per risolvere il problema delle targhe“. Dopo quasi un anno di soluzione provvisoria, a fine luglio erano scoppiate nuove tensioni nel nord del Kosovo sulla questione delle targhe automobilistiche al passaggio della frontiera, a seguito della decisione del governo di Pristina di introdurre l’obbligo su tutto il territorio nazionale di utilizzare quelle kosovare al posto di quelle serbe (molto diffuse tra la minoranza serba nel nord del Paese) a partire dal primo agosto. Prorogata di un mese, la misura identica a quella applicata da Belgrado entrerà in vigore da giovedì primo settembre.

    I am happy that we found a European solution that facilitates travel between #Kosovo and #Serbia, which is in the interest of all citizens of Kosovo and Serbia.
    I thank @predsednikrs and @albinkurti for their leadership, and underline the excellent practical EU – US cooperation pic.twitter.com/kO4UZNenwk
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) August 27, 2022

    Anche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha salutato “con favore” l’accordo sulla libera circolazione tra Pristina e Belgrado, ma allo stesso tempo ha esortato il premier kosovaro Kurti e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, a “risolvere le questioni in sospeso attraverso il dialogo politico”. In Kosovo è di stanza il più grande contingente dell’Alleanza Atlantica, la cui forza militare internazionale Kosovo Force (Kfor) dispiega circa 3.700 soldati e il cui mandato è quello di “contribuire al mantenimento di un ambiente sicuro e protetto” nella regione e alla “dissuasione di nuove ostilità”. In un tweet lo stesso segretario generale Stoltenberg ha ribadito che “la Nato rimane vigile”. Dalle due capitali sono arrivate reazioni opposte. Il premier Kurti ha sottolineato con entusiasmo che “la reciprocità è lo spirito di una soluzione giusta e di principio“, ricordando che “i cittadini della nostra Repubblica possono ora recarsi in Serbia liberamente e da pari a pari”, mentre Pristina “non introdurrà documenti di ingresso e uscita per i documenti serbi”. Il presidente Vučić ha invece messo in rilievo che “è fondamentale” che i serbi del Kosovo possano entrare e uscire dal Kosovo “liberamente” con documenti rilasciati dalle autorità di Belgrado, ma ribadendo con forza che il compromesso con Pristina è solo per “ragioni pratiche” e che questo “non rappresenta un riconoscimento implicito dell’indipendenza”.
    La posizione non cambia – “in base alla Costituzione serba, il Kosovo è parte integrante della Repubblica di Serbia” – ma è sotto gli occhi di tutti che accettare i documenti d’identità rilasciati da un’autorità che si considera nazionale ha nei fatti delle implicazioni concrete sul riconoscimento della sovranità del Paese stesso. I rapporti tra Pristina e Belgrado rimangono comunque molto tesi, sia per la questione delle targhe sia per la volontà del Kosovo di presentare la richiesta formale di adesione Ue entro la fine dell’anno. Anche per le spinte e nazionaliste in entrambi i Paesi, un accordo finale sembra ancora molto distante e Bruxelles dovrà spingere ancora molto sul dialogo per dare seguito a questo passo storico: al centro della disputa non c’è solo il riconoscimento formale della sovranità del Kosovo da parte della Serbia, ma anche il rispetto da parte di Pristina dell’intesa del 2013 sulla creazione della Comunità delle municipalità serbe nel Paese (ancora non implementata per il timore che nel Paese si crei una Republika Srpska come in Bosnia ed Erzegovina, problematica anche per l’Unione Europea).

    Citizens of our Republic may now travel to Serbia freely as equals. I want to thank HRVP Borrell, EUSR Lajcak, DAS Escobar & Ambasador Hovenier for their contribution. Reciprocity is the spirit of a principled & just solution. 🇽🇰will not introduce entry-exit docs for Serbian IDs.
    — Albin Kurti (@albinkurti) August 27, 2022

    A questo scenario complesso si è aggiunta un’altra controversia, che dimostra quanto la posizione intransigente di Vučić risponda a delicate dinamiche interne al Paese, in particolare in relazione all’elettorato nazionalista su cui ha costruito il proprio successo politico. Conferendo un nuovo mandato di governo alla premier uscente, Ana Brnabić, dopo le elezioni dello scorso 3 aprile (l’esecutivo sarà formato entro i prossimi 20 giorni), il presidente serbo ha annunciato proprio sabato scorso che l’EuroPride in programma tra il 12 e il 18 settembre a Belgrado sarà “annullato o rinviato”. La dichiarazione ha alzato un polverone di polemiche in tutta Europa, ma va rilevato un tecnicismo non irrilevante: Vučić non ha detto “vietato”, perché un’autorità nazionale non ha il potere di cancellare l’evento più atteso dalla comunità LGBTQ+ europea una volta assegnata la città, fatta eccezione per ragioni di sicurezza pubblica motivate dalle forze di polizia. Il numero uno della Serbia ha fatto riferimento a “questioni urgenti” – ovvero la disputa di confine con il Kosovo e la crisi energetica – che nulla c’entrano con lo svolgimento pacifico della manifestazione annuale itinerante.
    Ecco perché questa dichiarazione deve essere letta in ottica puramente politica: nel giorno dell’annuncio di un accordo di compromesso storico con il Kosovo, Vučić ha ritenuto necessario distogliere l’attenzione dei partiti di estrema destra e della Chiesa Ortodossa, concedendo loro un ‘successo’ interno dopo le manifestazioni di agosto nella capitale serba contro l’EuroPride (i vertici religiosi hanno addirittura minacciato “maledizioni contro tutti coloro che organizzano e partecipano a una cosa del genere”). Il governo Brnabić ha appoggiato la decisione del presidente, affermando che non sussistono le condizioni per lo svolgimento dell’EuroPride in sicurezza: “Gruppi estremisti potrebbero approfittare di tale evento per alimentare tensioni e creare instabilità in Serbia“, si legge in una nota. Anche questa posizione si mostra precaria e poco fondata, dal momento in cui la marcia del Pride Month di Belgrado si svolge ininterrottamente da otto anni (dopo un’interruzione per le violenze dell’estrema destra nel 2010) e dal 2017 vi partecipa anche Brnabić, prima premier omosessuale dichiarata nella storia del Paese.
    Gli organizzatori hanno denunciato l’illegalità della decisione e hanno confermato che la marcia dell’EuroPride si terrà in ogni caso il 17 settembre, come da programma: “Lo Stato non può cancellare l’evento, sarebbe una chiara violazione della Costituzione nazionale”, oltre che “degli articoli 11, 13 e 14 della Convenzione europea sui diritti umani, che la Serbia ha ratificato come membro del Consiglio d’Europa”. Nel comunicato viene anche ricordato che dopo l’assegnazione dell’evento a Belgrado nel 2019 la premier serba aveva promesso “pieno appoggio” alla manifestazione e alla protezione dei diritti della comunità LGBTQ+ nel Paese. Immediata la levata di scudi in difesa dell’EuroPride 2022 anche a Bruxelles. “I diritti non siano ostaggio dell’estrema destra“, ha ribadito con forza l’eurodeputata del Partito Democratico, Alessandra Moretti, ribadendo che “l’Europa non fa passi indietro sulle libertà”. Messaggio rinforzato dalla co-presidente dell’intergruppo LGBTQ+ del Parlamento Europeo, Terry Reintke: “Siamo pienamente solidali con il Belgrade Pride, saremo con voi fra tre settimane e marceremo per le strade di Belgrado“.

    The @LGBTIintergroup in the European Parliament stands in full solidarity with @belgradepride 🌈
    We will be there for @EuroPride in 3 weeks and march with you in the streets of Belgrade.
    Freedom of assembly is a fundamental right.
    We stand together to defend our rights.
    💕✨ pic.twitter.com/OHgNqG9Zsv
    — Terry Reintke (@TerryReintke) August 27, 2022

    L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha annunciato che i due governi hanno raggiunto l’intesa sull’uso delle rispettive carte d’identità alla frontiera, grazie al dialogo mediato da Bruxelles. È un primo passo per il riconoscimento (de facto) della sovranità di Pristina da parte di Belgrado

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    Nel 2021 la Serbia ha migliorato il proprio allineamento agli standard di adesione all’UE

    Bruxelles – Ora è arrivata anche la conferma dalla istituzioni dell’Unione Europea: nel 2021 la Serbia ha fatto progressi sul livello di allineamento agli standard di adesione all’UE e con i recenti progressi sullo Stato di diritto sta dimostrando di voler continuare su questa strada. È quanto emerge dalle conclusioni del Consiglio di stabilizzazione e associazione UE-Serbia, riunitosi oggi (martedì 25 gennaio) a Bruxelles.
    A presiedere il vertice sono stati per l’UE il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per il vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e per la parte serba la premier, Ana Brnabić, e la ministra per l’integrazione europea, Jadranka Joksimović.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la premier serba, Ana Brnabić, al Consiglio di stabilizzazione e associazione UE-Serbia (martedì 25 gennaio)
    Partendo dai risultati del referendum sulla riforma giudiziaria, i partecipanti hanno accolto “con favore” il completamento di questo “importante passo” sul fronte delle riforme costituzionali richieste dall’Unione e hanno auspicato che il Paese “continui e approfondisca l’impegno sullo Stato di diritto” nei settori del sistema giudiziario, della lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, della libertà dei media e del trattamento interno dei crimini di guerra. Rimangono ancora sotto la lente di Bruxelles il “corretto funzionamento delle istituzioni democratiche” e il “rafforzamento della fiducia nei processi elettorali”.
    Ma, in vista del prossimo incontro di alto vertice tra UE e Serbia, le conclusioni mettono in evidenza la necessità per Belgrado di “intensificare ulteriormente gli sforzi per allinearsi alla politica estera e di sicurezza comune dell’UE“. In questo senso vengono considerati apprezzabili sia la “partecipazione attiva” della Serbia alle missioni e alle operazioni militari, sia i preparativi per contribuire alle missioni civili. Per Bruxelles questo è un punto-chiave per allontanare il Paese balcanico dalle sirene russe e nazionaliste, in un momento particolarmente delicato nella regione per le tensioni etniche nella vicina Republika Srpska (l’entità serba della Bosnia ed Erzegovina). “Sono necessari ulteriori sforzi per superare le eredità del passato e per promuovere in modo costruttivo la fiducia reciproca, il dialogo e la tolleranza nella regione”, in particolare “evitando azioni e dichiarazioni che vanno contro questo obiettivo”.
    A proposito della cooperazione regionale, l’avanzamento dei negoziati di adesione della Serbia all’UE (che con la nuova metodologia ha portato all’apertura del gruppo tematico di capitoli negoziali sull’agenda verde e la connettività sostenibile) può passare solo dalla normalizzazione delle relazioni con il Kosovo, attraverso il dialogo mediato da Bruxelles. “È necessario un impegno costruttivo in buona fede e in uno spirito di compromesso per raggiungere un accordo globale giuridicamente vincolante in conformità al diritto internazionale”, sottolineano le conclusioni del Consiglio di stabilizzazione e associazione, ribadendo la “forte aspettativa che tutti gli accordi passati siano pienamente rispettati e attuati“.

    È quanto emerge dall’ultimo Consiglio di stabilizzazione e associazione UE-Serbia svoltosi oggi a Bruxelles: “Ora Belgrado deve intensificare ulteriormente i suoi sforzi sulla politica estera e di sicurezza comune”

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    Balcani occidentali, Borrell vuole far rivivere la tradizione delle “cene informali” con i leader della regione

    Bruxelles – Cena con dialogo. Sta sfoderando tutto l’arsenale diplomatico a sua disposizione l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, per ravvivare la fiamma dell’europeismo nei Balcani occidentali e promuovere la stabilità nella regione. Rimproveri agli Stati membri UE di poco impegno, accelerazione sul fronte dei vaccini anti-COVID e ora il tentativo di far rivivere la tradizione delle “cene informali” con i leader dei Paesi balcanici (sulle orme della predecessora, Federica Mogherini). L’obiettivo rimane sempre lo stesso: far sentire la presenza geopolitica dell’Unione nella penisola e accelerare il processo di allargamento dell’UE nei Balcani.
    Ieri sera (martedì 18 maggio) i capi di Stato e di governo di Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia si sono incontrati a Bruxelles per un incontro non ufficiale, insieme all’alto rappresentante Borrell e al commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. “L’impegno dell’Unione nei confronti dei Balcani occidentali è indiscutibile e deve essere molto visibile”, ha twittato Borrell per spiegare i motivi della cena: “Tenere discussioni strategiche e politiche aperte sul nostro futuro comune” e “valutare la situazione e le sfide in una regione strategica per l’Europa”. Oltre all’allargamento dell’UE nella regione, c’è l’idea di condividere “un approccio più ampio e geopolitico” con i partner balcanici.

    The EU’s commitment to the Western Balkans is unquestionable and needs to be very visible. This is why I revived the tradition of regular informal dinners with the six leaders tonight, to have open strategic and political discussions on our common future. pic.twitter.com/Cn9T1ApE33
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) May 18, 2021

    Come reso noto dal Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), l’incontro si è tenuto “in un’atmosfera aperta e schietta”, che ha permesso di presentare “una riflessione strategica” su come “accelerare le riforme e soddisfare le aspettative dei cittadini sull’integrazione nell’Unione”, ma anche “rafforzare le narrazioni positive e costruttive nella regione”. Per tutti i commensali, l’integrazione europea dei Balcani occidentali rimane “un obiettivo strategico fondamentale”, mentre è stato confermato il “forte impegno per la cooperazione regionale” nelle sfide globali, come la pandemia COVID-19.
    Un resoconto confermato anche dalle parole della prima ministra della Serbia, Ana Brnabić, che in una dichiarazione alla stampa in tarda serata ha offerto un retroscena sull’incontro: “Inizialmente l’atmosfera era tesa, ma poi la cena è proseguita molto meglio ed è durata più del previsto“. Secondo la premier, “è sempre positivo quando dialoghiamo, abbiamo affrontato importanti questioni politiche ed economiche, concentrandoci sul futuro migliore per i nostri cittadini”.
    È presumibile che parte della tensione iniziale sia stata causata dalla richiesta avanzata dal nuovo primo ministro kosovaro, Albin Kurti, di spingere i cinque Paesi UE che ancora non riconoscono l’indipendenza del Kosovo (Spagna, Grecia, Cipro, Romania e Slovacchia) ad allinearsi alla posizione degli altri ventidue Stati membri e a quella del Parlamento UE. Parlando con i giornalisti, il premier ha dichiarato di aver discusso con “amici e colleghi a Bruxelles su come possono aiutarci a fare riforme nei nostri Paesi”, ma soprattutto “a convincere i cinque Stati membri che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo a farlo“. Kurti ha poi ribadito la necessità di liberalizzare i visti per i cittadini kosovari, “gli unici in Europa soggetti a un regime di visti”. Qualche pagina del menù per la prossima cena informale è già pronto.
    Da sinistra: Albin Kurti (primo ministro del Kosovo), Zoran Tegeltija (presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina), Edi Rama (primo ministro dell’Albania), Josep Borrell (alto rappresentante UE), Milo Đukanović (presidente del Montenegro), Ana Brnabić (prima ministra della Serbia), Zoran Zaev (primo ministro della Macedonia del Nord) e Olivér Várhelyi (commissario UE per la Politica di vicinato e l’allargamento)

    L’alto rappresentate ha ospitato a Bruxelles i capi di Stato e di governo dei sei Paesi per discussioni geopolitiche in un’atmosfera “aperta e schietta”. L’obiettivo: favorire la stabilità della penisola e accelerare il processo di allargamento UE