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    I negoziati di adesione UE di Albania e Macedonia del Nord dovrebbero iniziare “entro la fine del 2021”

    Bruxelles – C’è una nuova data-limite per l’apertura dei negoziati di adesione all’UE di Albania e Macedonia del Nord: il 31 dicembre 2021. Ma stavolta sarà bene che non si riveli l’ennesima promessa non mantenuta da Bruxelles, o il processo di allargamento dell’Unione nei Balcani Occidentali rischierà di essere compromesso alla radice.
    L’obiettivo è stato fissato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, durante la prima conferenza stampa del suo viaggio di tre giorni nelle sei capitali balcaniche. Accanto a lei, sulla tribuna a Tirana, lo sguardo del premier albanese, Edi Rama, è uno di quelli ancora pieni di fiducia nella prospettiva europea del Paese, ma con una punta di frustrazione per i continui rinvii delle istituzioni UE, nonostante tutte le richieste per l’apertura dei capitoli negoziali siano già state soddisfatte.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il premier albanese, Edi Rama, a Tirana (28 settembre 2021)
    “Voglio essere molto chiara, io e il mio gabinetto siamo fortemente convinti che il futuro dell’Albania sia nell’Unione Europea”, ha esordito von der Leyen. “Per questo motivo vogliamo che le prime conferenze intergovernative si possano organizzare entro la fine dell’anno“. La presidente dell’esecutivo comunitario ha riconosciuto gli sforzi del Paese nell’intraprendere il cammino europeo – in particolare “sulla riforma del sistema giudiziario, la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata” – e ha definito il vertice UE-Balcani Occidentali in programma il prossimo 6 ottobre a Kranj (Slovenia) “un’occasione per dialogare direttamente con un futuro membro dell’Unione come è l’Albania”.
    Il premier albanese Rama ha dimostrato una particolare lucidità nel distinguere i problemi e le posizioni delle diverse istituzioni europee. “Io non scommetto più su nessuna data, ma aspetto in serenità ciò che succederà: ci vuole pazienza, noi siamo pronti, il resto dipende dai nostri interlocutori”, ha commentato sulla questione delle tempistiche per l’adesione all’UE. “Apprezzo l’obiettivo fissato dalla Commissione, ma capisco perfettamente cosa sta succedendo al Consiglio e nei singoli Paesi membri”, ha aggiunto Rama. Con un sorriso amaro, il primo ministro ha ricordato che “l’Albania è in una situazione assurda. Siamo ostaggio del veto della Bulgaria alla Macedonia del Nord, anche se potremmo già sederci al tavolo dei negoziati a Bruxelles”. Da Tirana non c’è comunque nessuna intenzione di tirarsi indietro: “Siamo fortunati a essere nati in questo continente e poter aspirare all’accesso all’Unione Europea, che è a servizio dei cittadini”, ha ribadito Rama.

    Delighted to start my visit to the Western Balkans in Albania.⁰My message is clear: Albania’s future is in the EU. The @EU_Commission stands firmly by this commitment. With good progress on justice reforms, Albania has clearly delivered. Now the EU should do too. pic.twitter.com/VLYjz7s8oU
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) September 28, 2021

    L’apertura dei negoziati di adesione all’UE per Albania e Macedonia del Nord passa però dalla questione scottante dello stallo imposto in seno al Consiglio dalla Bulgaria. Ed è proprio a Skopje che l’atmosfera si fa più pesante. “Il veto rischia di mettere in discussione la credibilità dell’Unione Europea come partner“, è stato il duro commento del premier macedone, Zoran Zaev, durante la conferenza stampa congiunta con von der Leyen, arrivata nella capitale della Macedonia del Nord nel primo pomeriggio. “Noi ci siamo impegnati a seguire i valori europei, ma con questo veto è la stessa Unione a metterli in discussione”, ha aggiunto.
    Anche per Skopje comunque non è in discussione il cammino europeo, almeno per il momento: “Questo processo non ha alternative e serve un nuovo impegno da parte di tutti, perché non si incoraggino le forze contrarie all’unità e ai valori europei”, ha ribadito con forza il premier macedone. Zaev ha espresso la sua gratitudine alla presidente von der Leyen per il “continuo impegno profuso per l’adesione della Macedonia all’UE” e ha chiesto che durante il summit in programma mercoledì prossimo a Kranj “i ventisette leader europei ribadiscano l’impegno per l’allargamento dell’Unione ai Balcani“.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il premier macedone, Zoran Zaev, a Skopje (28 settembre 2021)
    Il riferimento al veto della Bulgaria è stato esplicito: “Ci aspettiamo che Sofia approvi il quadro come gli altri ventisei Paesi membri“, è stata l’esortazione del primo ministro, che ha anche sottolineato che il via libera non può riguardare altro se non “i nostri successi sul piano delle riforme”. Per qualsiasi altra questione che sta bloccando l’avvio dei negoziati Zaev si è detto disponibile a impegnarsi in colloqui bilaterali “con il mutuo rispetto della dignità nazionale”.
    Anche a Skopje la presidente della Commissione Europea ha confermato che il suo obiettivo è quello di avviare i negoziati di adesione all’UE di Macedonia del Nord e Albania entro la fine del 2021: “Sarò sincera, adesso è compito dell’Unione Europea risolvere la questione dello stallo“. Anche per il popolo macedone “il futuro è nell’Unione Europea e il mio gabinetto è fortemente legato a questa promessa”, ha ribadito von der Leyen, che ha chiesto di “non perdere la pazienza e la fiducia” nell’Europa: “Avete il supporto di tanti a Bruxelles e non solo, arriviamo fino in fondo”.

    North Macedonia has made outstanding progress on EU-related reforms and taken courageous decisions. I support the formal opening of accession negotiations with North Macedonia & Albania, as soon as possible.  You will be part of the EU.
    It is not a question of if, but when. pic.twitter.com/LkOX9XBAH8
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) September 28, 2021

    Vaccini e investimenti
    Se gli ostacoli al processo di adesione all’UE di Albania e Macedonia del Nord sono stati inevitabilmente il tema cruciale nelle prime due tappe del viaggio di von der Leyen nei Balcani, la presidente della Commissione Europea ha voluto anche sottolineare il contributo dell’Unione alla ripresa economica e sociale della regione dopo la pandemia COVID-19.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    Per quanto riguarda l’invio di vaccini, da maggio a oggi sono state donate 430 mila dosi a Tirana e 270 mila a Skopje grazie al pacchetto Team Europe, del valore di quasi 40 miliardi di euro: “Sappiamo di avere un inizio difficile, ma ora siamo in grado di aiutarvi nello sforzo di proteggere tutta la popolazione”, ha ribadito von der Leyen. Un’altra “notizia positiva” è l’adozione dell’equivalenza del certificato COVID digitale, “grazie alla quale è stata eliminata ogni restrizione di viaggio legata alla pandemia” tra l’Unione Europea e i due Paesi balcanici.
    Altro punto su cui ha insistito von der Leyen è il Piano economico e di investimenti da 29 miliardi di euro, annunciato il 6 ottobre dello scorso anno e sbloccato dall’accordo tra Parlamento e Consiglio dell’UE sullo strumento di assistenza pre-adesione IPA III. La presidente della Commissione Europea ha sottolineato che servirà a “sostenere la ripresa della regione dopo questa crisi, puntando su investimenti per il futuro digitale e sostenibile dei Balcani”. Inoltre, per rafforzare la convergenza economica a lungo termine con i Paesi membri dell’UE, “proporremo di aumentare il budget di altri 600 milioni di euro entro la fine dell’anno“, ha promesso von der Leyen.
    Il capitolo Serbia-Kosovo
    Un ultimo punto di confronto con i leader della regione balcanica ha riguardato la tensione crescente tra Belgrado e Pristina, scatenata dalla ‘battaglia delle targhe’. La leader dell’esecutivo UE si è detta “molto preoccupata per la situazione che si è creata” tra Serbia e Kosovo e ha chiesto “un immediato ritorno al dialogo”, portando l’esempio positivo della nascita dell’Unione Europea: “È un processo lungo, ma che conduce a un futuro di pace e di sviluppo”. L’unica soluzione per i due Paesi è “confrontarsi positivamente al tavolo dei negoziati”, ha sottolineato von der Leyen.
    Non è solo l’esecutivo comunitario a essere preoccupato per le implicazioni della nuova causa di conflittualità tra Pristina e Belgrado. “La Serbia e il Kosovo devono trovare urgentemente una soluzione pacifica e sostenibile per garantire la sicurezza di tutti i cittadini”, si legge in una dichiarazione firmata dai relatori del Parlamento UE per la Serbia, Vladimír Bilčík, e per il Kosovo, Viola von Cramon-Taubadel, e dai presidenti della delegazione alla commissione parlamentare di Stabilizzazione e associazione UE-Serbia, Tanja Fajon, e per le relazioni con Bosnia ed Erzegovina e Kosovo, Romeo Franz.
    Le richieste degli eurodeputati vanno dal “ritiro della polizia speciale e di qualsiasi unità dell’esercito” allo “smantellamento dei posti di blocco” in Kosovo. Ma “devono cessare” anche tutte le “azioni unilaterali, le provocazioni e la retorica infiammatoria, che aumentano le tensioni e colpiscono il benessere delle comunità locali”. Per i leader di Serbia e Kosovo l’esortazione è di “utilizzare la piattaforma del dialogo facilitato dall’UE per risolvere tutte le questioni aperte, comprese quelle relative alla libertà di movimento”.
    La questione ha un impatto diretto sulle stesse prospettive europee di Serbia e Kosovo, dal momento in cui “la normalizzazione delle relazioni è una precondizione per l’adesione all’UE“, hanno ricordato gli europarlamentari. “È essenziale per garantire la stabilità e la prosperità nella regione in generale” e per questo motivo le due parti devono “impegnarsi nuovamente in modo attivo e costruttivo” per cercare un accordo “globale, sostenibile e giuridicamente vincolante”.

    ‘Serbia and Kosovo must urgently find a peaceful and sustainable solution in order to ensure the security and safety of all citizens.’
    Joint statement with @VladoBilcik, @tfajon & @RomeoFranz1 👇 https://t.co/CvtB22zPFq
    — Viola von Cramon (@ViolavonCramon) September 28, 2021

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    Prove tecniche del vertice UE-Balcani Occidentali: inizia il viaggio di von der Leyen nella regione

    Bruxelles – Ora si inizia a fare sul serio. A poco più di una settimana dal vertice UE-Balcani Occidentali in programma in Slovenia, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, è pronta per iniziare il suo viaggio nella regione. Al centro del confronto con i leader dei Paesi balcanici, tutti i dossier più caldi: dalle prospettive di adesione all’UE, al sostegno economico di Bruxelles alla regione, fino alle complicazioni nell’apertura dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord e le tensioni tra Serbia e Kosovo. Tra oggi e giovedì (30 settembre) andranno in scena le prove tecniche del summit del 6 ottobre, l’occasione migliore per captare gli umori degli invitati a Kranj.
    Saranno 72 ore intense per la leader dell’esecutivo comunitario, ospite dei presidenti di Stato e di governo di Albania, Macedonia del Nord, Kosovo, Montenegro, Serbia e Bosnia ed Erzegovina. Il viaggio inizia questa mattina da Tirana, dove von der Leyen inaugurerà una scuola ricostruita dopo il terremoto del 2019 grazie ai fondi europei, per poi continuare con le visite a Skopje, Pristina e Podgorica. Tra mercoledì e giovedì la presidente della Commissione UE sarà a Belgrado, per partecipare all’evento di lancio di un progetto ferroviario legato al Corridoio paneuropeo X. Ultima tappa a Sarajevo, dove incontrerà i membri della presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina.
    I problemi da affrontare
    Presentando le premesse e gli obiettivi del viaggio, la portavoce della Commissione UE Dana Spinant ha spiegato che von der Leyen non solo “esprimerà attaccamento alla regione e al suo futuro europeo”, ma “discuterà anche dei temi politici di attualità e degli sviluppi regionali con tutti i leader che incontrerà”. Tra le questioni più scottanti sul tavolo c’è la tensione crescente tra Belgrado e Pristina sulla ‘battaglia delle targhe’, che continua a riguardare da vicino Bruxelles. Il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna, Peter Stano, ha ribadito che “la de-escalation è responsabilità di entrambe le parti”. Facendo riferimento alla dichiarazione dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, Stano si è detto preoccupato di “una situazione che non è positiva né per i cittadini serbi né per quelli kosovari”, né tantomeno per il dialogo decennale mediato dall’Unione Europea.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić
    Se il rapporto sempre più in salita tra Pristina e Belgrado sta catalizzando l’attenzione di Bruxelles, sarebbe un grave errore per le istituzioni europee sottovalutare gli altri malumori e difficoltà presenti nella regione. Primo su tutti, lo stallo sull’avvio del processo di adesione all’UE di Albania e Macedonia del Nord. Il problema è tutto del Consiglio dell’UE, a causa del veto della Bulgaria sul quadro negoziale con Skopje per questioni di natura ideologico-culturale. Nonostante le dure critiche dell’alto rappresentante Borrell agli Stati membri, nulla sembra essersi sbloccato e questa immobilità sta minando la fiducia dei cittadini macedoni e albanesi (il cui quadro negoziale con l’UE è legato a quello di Skopje) sulle reali possibilità di fare ingresso nell’Unione Europea.
    Di conseguenza, il viaggio nei Balcani della presidente von der Leyen rappresenta un tentativo di rassicurare i partner regionali. Non solo a Skopje e Tirana, ma anche a Podgorica. Nonostante il Montenegro sia attualmente il Paese allo stadio più avanzato nel processo di adesione all’UE, Bruxelles teme che possano ripetersi episodi di debiti stellari contratti dal Paese con la Cina, come quello che si è risolto solo a luglio, dopo mesi di incertezza. Ecco perché la Commissione Europea sta facendo del Piano economico e di investimenti da 29 miliardi di euro per la stabilizzazione della regione il suo cavallo di battaglia: in questo senso potrà presentare ai leader balcanici un risultato tangibile, ovvero l’accordo sullo strumento di assistenza pre-adesione IPA III che ha finalmente sbloccato questi fondi.
    Gli altri punti in agenda
    Tra i temi da affrontare per la presidente von der Leyen in questo viaggio nei Balcani – e che riemergeranno la settimana prossima al Brdo Congress Centre – ci sono anche il rispetto dello Stato di diritto e delle riforme necessarie per seguire la strada dell’integrazione europea. Questo discorso vale in particolare per la Bosnia ed Erzegovina, che ha ancora molto da lavorare sui 14 criteri di Copenaghen, che disciplinano le condizioni base per iniziare il processo negoziale). Il Paese ha bisogno di sostegno da Bruxelles sul fronte della riconciliazione etnica, del rafforzamento della democrazia e della stabilizzazione delle istituzioni nazionali.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e il primo ministro ungherese, Viktor Orbán
    Occhi puntati anche sulla Serbia del presidente Aleksandar Vučić, sempre più attratta dalle lusinghe del premier ungherese, Viktor Orbán (che non si sta dimostrando esattamente un campione nel rispetto dello Stato di diritto). Ultima in ordine cronologico, l’esortazione a Bruxelles di velocizzare l’accesso di Belgrado all’UE, per “difendere con maggiore energia i confini meridionali dello spazio Schengen“. Orbán ha sottolineato con forza che “tutti saremmo stati più al sicuro” se la Serbia avesse fatto parte dell’Unione, facendo un riferimento nemmeno troppo implicito alla questione della rotta migratoria sui Balcani.
    Anche considerata la drammatica situazione dei campi profughi in Bosnia – coperta da una coltre di silenzio estivo, ma pronta a ripetersi con il ritorno dell’inverno – per le istituzioni europee il tema della gestione della rotta balcanica dovrebbe essere il primo, non l’ultimo tema in agenda. Ma in un’Unione che non riesce a trovare un’intesa sulla migrazione e l’asilo nemmeno al suo interno, è quasi utopico pensare che i Ventisette possano parlare con una sola voce ai loro partner balcanici durante il vertice in Slovenia. Impossibile aspettarselo da un viaggio di soli tre giorni in sei capitali da parte della presidente della Commissione UE.

    Per tre giorni la presidente della Commissione UE discuterà con i leader balcanici dei problemi regionali e delle prospettive di integrazione europea. È il banco di prova più importante prima del summit in Slovenia del 6 ottobre

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    Dialogo Serbia-Kosovo, si stringe la collaborazione tra UE e Stati Uniti per risolvere un confronto sempre più teso

    Bruxelles – Sembrano lontani i tempi in cui l’Unione Europea e gli Stati Uniti di Donald Trump si davano battaglia diplomatica sui Balcani. È passato solo un anno dai colloqui tra Serbia e Kosovo mediati da Washington che hanno rischiato di far saltare l’intero processo di mediazione UE, ma il clima politico è cambiato totalmente. “Con l’amministrazione di Joe Biden si apre uno degli scenari di cooperazione più stretta di sempre e abbiamo già visto che insieme possiamo stimolare progressi importanti nella regione”, ha confermato il rappresentante speciale dell’UE per il dialogo Pristina-Belgrado, Miroslav Lajčák.
    Parole che gettano un ponte tra le due potenze anche sul fronte della stabilizzazione dei Balcani Occidentali e che hanno trovato una sponda nella controparte statunitense durante l’evento online The Belgrade-Pristina dialogue: Getting back on track?, organizzato oggi (lunedì 13 settembre) dal think tank European Policy Centre (EPC). “Vogliamo vedere tutti i Paesi della regione entrare a far parte dell’Unione Europea, non solo Serbia e Kosovo”, ha dichiarato il vice-segretario aggiunto dell’Ufficio per gli Affari europei ed eurasiatici del Dipartimento di Stato, Gabriel Escobar.
    I relatori dell’evento organizzato dall’EPC The Belgrade-Pristina dialogue: Getting back on track? (13 settembre 2021)
    Per quanto riguarda il dialogo tra Pristina e Belgrado, Escobar ha promesso di sostenere “con tutti gli sforzi possibili” il lavoro dei colleghi europei, per “convincere le due parti che un accordo di normalizzazione dei rapporti è l’unico futuro auspicabile“. Nonostante ci sia preoccupazione “per i pochi progressi” nell’ultimo anno, Washington aiuterà il processo “sia con messaggi politici, sia vigilando che gli accordi raggiunti finora siano implementati”. In ultima battuta, il vice-segretario Escobar ha anticipato che potrebbe fare presto un viaggio in Serbia e in Kosovo con Lajčák, a seconda degli sviluppi della pandemia COVID-19.
    Proprio il rappresentante speciale dell’UE ha voluto ricordare i “risultati concreti per la vita delle persone” ottenuti in 10 anni di dialogo facilitato da Bruxelles: dalle elezioni municipali nel nord del Kosovo, al transito di merci e persone dalla frontiera, fino al controllo territoriale da parte delle autorità di Pristina e lo scambio di informazioni a livello giudiziario. Ma adesso arriva la parte più difficile: “Dobbiamo trovare un accordo sulla normalizzazione dei rapporti tra le due parti e implementare gli accordi già raggiunti”, ha indicato Lajčák.
    Più facile a dirsi che a farsi, considerati gli sviluppi politici degli ultimi mesi. Con l’elezione del nuovo primo ministro kosovaro, Albin Kurti, i rapporti tra Pristina e Belgrado sono diventati sempre più tesi, come hanno confermato gli ultimi due incontri di alto livello a Bruxelles. Il rappresentante speciale dell’UE cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno (“Dopo lo stop per le elezioni, ora abbiamo due interlocutori con mandati forti, con cui possiamo interfacciarci e trovare dei compromessi”), ma è innegabile che il confronto si stia incrinando come non succedeva da prima della ripresa dei colloqui nel luglio del 2020.
    Lo ha sottolineato anche l’eurodeputata tedesca e relatrice sul Kosovo per il Parlamento Europeo, Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/ALE), intervenuta nel corso dell’evento di EPC: “I due governi avranno anche un forte mandato, ma le elezioni municipali di metà ottobre in Kosovo e le elezioni presidenziali in Serbia del prossimo anno ci fanno temere che soprattutto da parte serba venga meno il supporto al compromesso con la controparte kosovara”. L’arma a disposizione dell’UE per stimolare la “volontà politica delle due parti” è l’erogazione dei fondi previsti dallo strumento di assistenza pre-adesione IPA III, che possono essere sospesi in caso di “regresso democratico”.
    La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, con il commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi
    Non che le notizie che arrivano dai Balcani siano incoraggianti. In un’intervista per il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, la presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, ha ribadito il rifiuto di Pristina alla creazione della Comunità delle municipalità serbe nel Paese, prevista dall’accordo del 2013 del dialogo mediato dall’UE. Secondo Osmani, per la Serbia si tratterebbe solo della “fase preliminare della creazione di una seconda Republika Srpska” (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina) e “noi non vogliamo un altro Stato che non funziona, come quello bosniaco”.
    La presidente kosovara ha poi ricordato l’illegittimità della decisione contenuta nell’accordo del 2013 secondo una sentenza del 2015 della Corte Costituzionale di Pristina e ha escluso che si formi “una struttura mono-etnica di potere nel nostro Paese”. Parole che provocheranno presto una scia di polemiche a Belgrado e che renderanno ancora più necessaria la pressione congiunta di Bruxelles e Washington per superare lo stallo sui Balcani.

    Durante un evento organizzato dall’European Policy Centre, il rappresentante speciale UE Lajčák e il vice-segretario del Dipartimento di Stato Escobar hanno confermato l’impegno congiunto per raggiungere un accordo di normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado

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    Montenegro, pagata la prima rata del debito da 809 milioni con la Cina grazie al supporto di tre banche occidentali

    Bruxelles – Dalle sabbie mobili del debito cinese il Montenegro potrebbe aver fatto il primo significativo passo per uscirne. Il condizionale è d’obbligo, perché la somma dovuta a Pechino è vertiginosa: 809 milioni di euro, un quinto del debito pubblico complessivo di 4,33 miliardi, il 103 per cento del prodotto interno lordo del Paese. Il governo di Podgorica ha annunciato mercoledì 21 luglio il pagamento della prima rata da 33 milioni all’Export-Import (Exim) Bank of China, ente di credito statale con vocazione internazionale, e spera di essersi messo alle spalle lo scenario peggiore: quello di cedere porzioni del territorio nazionale alla Cina.
    “L’incredibile successo”, come lo ha definito il ministro delle Finanze, Milojko Spajić, è un accordo di “copertura” con tre banche occidentali per proteggere il rischio valutario (perdita potenziale per chi investe all’estero) di un prestito contratto con la Cina nel 2014, che ha abbassato il tasso di interesse dal 2 allo 0,88 per cento (e scambiato da dollaro a euro). Il governo guidato da Zdravko Krivokapić non ha voluto rendere noto quali enti hanno sostenuto l’operazione, ma il ministro delle Finanze ha specificato che “il creditore è ancora la cinese Exim Bank, ma alla transazione hanno partecipato due banche americane e una banca francese“.
    Il percorso dell’autostrada A1 Bar-Boljare in costruzione, Montenegro (fonte: Il Post)
    Il finanziamento all’ente di credito cinese era stato chiesto sette anni fa dal governo di Milo Đukanović (allora premier, oggi presidente della Repubblica) per finanziare la costruzione del primo tratto dell’autostrada che collegherà il porto montenegrino di Antivari (Bar) alla località di Boljare, circa 160 chilometri dal Mar Adriatico al confine con la Serbia. I 41 chilometri in costruzione a nord di Podgorica costituiscono uno dei tratti autostradali più costosi al mondo: oltre 20 milioni di euro al chilometro, più di dieci volte il costo medio europeo.
    Gli altri 120 sono ancora da costruire e dipenderanno dalle capacità di Podgorica di ripagare il debito: la prossima rata è fissata a gennaio 2022, anche se potrebbe essere concessa una proroga per le difficoltà economiche causate dalla pandemia COVID-19. Secondo quanto riportato dal Financial Times, se Podgorica non fosse riuscita ad adempiere ai propri obblighi entro la fine di luglio, Pechino avrebbe avuto il diritto di acquisire il controllo di parte del territorio montenegrino, verosimilmente uno sbocco sul Mediterraneo.
    La notizia dell’intervento dei tre istituti di credito occidentali ha fatto tirare un sospiro di sollievo anche a Bruxelles, dove da mesi la questione è rimasta pendente. Le conseguenze di un’eventuale cessione parziale di sovranità da parte del governo di Podgorica alla Cina per insolvenza non coinvolgono direttamente l’Unione Europea, ma gli effetti indiretti sarebbero molto gravi sul piano dell’allargamento UE nella regione balcanica.
    Attualmente il Montenegro è il Paese allo stadio più avanzato nel processo di adesione all’UE tra i sei dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Serbia, Macedonia del Nord). Tuttavia, la presenza e il controllo diretto di una porzione del territorio nazionale da parte di uno degli avversari geopolitici più temuti dall’Unione nell’area balcanica potrebbe mettere a serio rischio l’intero progetto di fare del Montenegro il ventottesimo Paese membro UE. Rischio noto sia al Parlamento Europeo, che già a maggio chiedeva un intervento a sostegno del vicino balcanico, sia alla Commissione UE.
    Il ponte Moracica, presso Podgorica, lungo l’autostrada A1 Bar-Boljare, Montenegro
    La richiesta di assistenza inviata in primavera dal vicepremier del Montenegro, Dritan Abazović, è rimasta solo all’apparenza inascoltata (anche perché l’Unione non era tenuta a pagare di tasca propria il debito di un Paese non-membro). È già in campo uno schema di aiuti finanziari da 60 milioni di euro, oltre al Piano economico e di investimenti da 29 miliardi per la regione sbloccato dall’accordo sullo strumento di assistenza pre-adesione IPA III. Parallelamente, fonti a Bruxelles hanno fatto sapere che erano state sondate le piste del Kreditanstalt für Wiederaufbau (istituto di credito per la ricostruzione tedesco), dell’Agenzia di sviluppo francese e della Cassa Depositi e Prestiti italiana, per guidare gli aiuti finanziari europei. Tutto questo prima dell’intervento dei tre istituti di credito di cui ancora non si conoscono i dettagli.
    In attesa di avere più informazioni a disposizione, la Commissione Europea “continuerà a sostenere il Montenegro nel suo percorso verso l’adesione”, ha assicurato la portavoce per la Politica di vicinato e l’allargamento, Anna Pisonero. “In questo contesto lavorerà con il Paese per trovare soluzioni finanziarie per i suoi progetti di investimento e per garantire anche la sostenibilità del suo debito pubblico”. In cantiere per il governo Krivokapić c’è la rivalutazione dei beni dello Stato, con l’obiettivo di venderne alcuni per raccogliere soldi da destinare al ripianamento dei debiti.
    È comunque difficile che la sola vendita di asset statali – di cui il ministro delle Finanze non ha saputo dare una stima – e le privatizzazioni possano essere sufficienti per colmare il buco da 809 milioni di euro con Pechino. Ecco perché dovrà mettersi in moto un circolo virtuoso nell’economia del Paese. Le sabbie mobili del debito cinese non sono ancora superate e la strada verso l’adesione all’Unione Europea chiede continui sforzi politici e finanziari al Montenegro.
    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    Podgorica ha raggiunto un accordo di “copertura” con due istituti di credito statunitensi e uno francese, rimettendosi sulla strada dell’adesione all’Unione Europea. Il prestito era stato chiesto nel 2014 per la costruzione dell’autostrada A1 Bar-Boljare

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    Dialogo Serbia-Kosovo, ennesima fumata nera. Ora per l’UE diventa difficile gestire le tensioni tra Vučić e Kurti

    Bruxelles – Così non va. Dopo un anno dalla ripresa del dialogo tra Serbia e Kosovo mediato dall’UE, è difficile continuare a illudersi alla vigilia di ogni incontro che possa essere arrivato il momento dello sblocco delle trattative e ritrovarsi l’indomani a tracciare l’ennesimo bilancio negativo. Parlare di “approcci molto diversi delle due parti“, come ha fatto il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, al termine della riunione ad alto vertice di ieri (lunedì 19 luglio), la quinta dal 12 luglio del 2020, sembra ormai un eufemismo.
    Il confronto tra Pristina e Belgrado, che si era interrotto per nove mesi tra settembre 2020 e giugno 2021, sembrava essere pronto per approdare in un porto sicuro, sotto le pressioni dell’Unione di risolvere le questioni regionali come prerequisito per l’adesione UE. E invece a Bruxelles si sta arenando nelle secche delle accuse reciproche e della mancanza di volontà di cercare un compromesso. Le grandi speranze dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ogni volta vengono spente dagli scontri tra i rappresentanti serbi e kosovari. Era successo al vertice di giugno, è riaccaduto ieri: “Abbiamo ottenuto pochissimi progressi“, ha confessato Lajčák in conferenza stampa.
    Il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák
    Il confronto tra Serbia e Kosovo facilitato dall’UE inizia ad assumere i tratti di un processo autoreferenziale: l’importante è che non si fermi, nella speranza che prima o poi qualcosa si sblocchi. “L’unico risultato che posso riferire è che il dialogo continuerà“, ha rivendicato il rappresentante speciale, tentando di far passare per promettente un risultato che non può essere all’altezza delle ambizioni che si è fissata la Commissione Europea. In particolare, continuano a pesare le parole di Borrell dell’ottobre dello scorso anno, quando prometteva che un accordo “è questione di mesi, non di anni”.
    Di mensile c’è invece solo la continuazione delle riunioni tecniche dei negoziatori, con la prospettiva di un sesto incontro di alto livello a settembre. Sarà il terzo per il premier kosovaro, Albin Kurti, ma con le premesse dell’incontro di ieri si fatica a capire come in soli due mesi si potranno ricucire i rapporti lacerati con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić.
    Fuoco incrociato
    All’apertura del quinto incontro del dialogo Serbia-Kosovo l’alto rappresentante Borrell aveva richiamato le parti a un “approccio costruttivo e pragmatico”, per “chiudere una volta per tutte i capitoli del loro doloroso passato con un accordo definitivo e giuridicamente vincolante”. Auspici che sono stati vanificati dall’atteggiamento di Kurti e Vučić nei confronti della rispettiva controparte.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić
    Il presidente serbo ha definito l’incontro “molto negativo in tutti i sensi” e si è scagliato contro la delegazione kosovara per aver respinto una proposta in tre punti avanzata dai mediatori europei. Oltre agli incontri mensili tra i capi-delegazione, la proposta UE “si riferiva all’intensificazione degli sforzi comuni per l’identificazione dei resti delle persone scomparse e all’impegno ad astenersi da azioni destabilizzanti”. Stando alle parole di Vučic, Kurti avrebbe risposto solo accusando Belgrado di essere responsabile di tre genocidi: nel 1878 dopo l’indipendenza ottenuta al congresso di Berlino, durante le guerre balcaniche e la prima guerra mondiale, e infine durante la guerra in Kosovo nel 1998-1999. “Non hanno fatto altro che chiedere alla Serbia di rispondere del suo passato“.
    Il presidente serbo ha detto di aver insistito sul “rispetto degli accordi raggiunti nell’aprile 2013 a Bruxelles”, a partire dalla creazione della Comunità delle municipalità serbe in Kosovo. Un tema su cui Pristina sembra essere sorda. “Non ci sarà molto da aspettarsi” da un nuovo round di negoziati tecnici a fine agosto, si è sbilanciato Vučic. A suo avviso, la parte kosovara “non ha alcun interesse a negoziare”, perché il suo unico obiettivo sarebbe “ottenere il sì della Serbia all’indipendenza del Kosovo e imporci di riconoscere presunti crimini e genocidi ai danni del popolo kosovaro albanese”.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti
    Dal canto suo, il premier Kurti ha denunciato che la proposta di un accordo di pace in sei punti presentata dalla sua delegazione “è stata respinta senza essere neanche letta” dal presidente serbo. Questo dimostrerebbe “la loro riluttanza a raggiungere un’intesa”. Il primo ministro kosovaro non ha negato di aver insistito sul passato tra Pristina e Belgrado: “Non capisco perché dovremmo avere paura di affrontarlo, quando sappiamo di avere problemi”. Secondo lui la Serbia “non vuole riconoscere il suo passato criminale, né l’indipendenza del Kosovo“, due fattori del dialogo “strettamente collegati l’uno all’altro”.
    Da quando Kurti è stato nominato nuovo premier del Kosovo, i rapporti con Belgrado sono diventati sempre più tesi, alimentando una spirale di nazionalismo nei rispettivi territori. Con un atto palesemente provocatorio Kurti ieri ha regalato a Borrell e soprattutto a Vučić tre libri sui crimini serbi in Kosovo: una confessione di donne violentate durante la guerra, il lavoro dell’attivista serba per i diritti umani, Nataša Kandić, sull’uccisione di 1.133 bambini e la scomparsa di altri 109 nel conflitto del 1998-1999, e un’opera sullo sterminio degli albanesi fra il 1878 e il 1884 nel Sangiaccato di Niš. “La Serbia è arrivata in Kosovo con un genocidio ed è andata via con un altro genocidio“, ha attaccato il premier kosovaro. Le premesse in vista dell’incontro di settembre, tutt’altro che incoraggianti, sono tutte qui.

    Nessun progresso dal quinto vertice di alto livello a Bruxelles, che evidenzia l’incapacità di cercare un compromesso tra Pristina e Belgrado. Le parti si accusano reciprocamente di voler affossare il confronto, con la ripresa programmata a settembre

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    Allargamento UE, la Serbia e quella pericolosa alleanza con Orbán: “Belgrado può contare sul sostegno dell’Ungheria”

    Bruxelles – Viktor Orbán non sta godendo di un momento di grande popolarità nell’Unione Europea, per usare un eufemismo. La legge anti-LGBT+ del premier ultra-conservatore ungherese è da settimane al centro di una bufera tra le istituzioni europee che coinvolge direttamente il rispetto dello Stato di diritto nel Paese. Ma, proprio nel giorno in cui è entrata in vigore quella legge “vergognosa” – come l’ha definita la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen – c’è un Paese che ha deciso di riceverlo con tutti gli onori del caso: la Serbia. In maniera quasi beffarda, proprio quella Serbia che sta negoziando con Bruxelles l’adesione all’Unione Europea e che è al centro della politica di allargamento dell’Unione nei Balcani occidentali.
    Questa mattina (giovedì 8 luglio) Orbán è arrivato a Belgrado con il ministro degli Esteri, Peter Szijjarto (che ha ricevuto l’Ordine della bandiera serba, un’onorificenza statale), e a altri componenti del governo ungherese. Dopo essere stato accolto all’aeroporto della capitale da Nikola Selaković, ministro degli Esteri serbo, il premier magiaro si è incontrato con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. I due leader politici sono legati da stima reciproca e da un rapporto che ormai si è trasformato in amicizia e non sono rare le visite nei rispettivi Paesi. In particolare Vučić non ha mai nascosto la sua ammirazione per Orbán, preso a modello come uomo forte all’interno dell’UE: “È un veterano della politica europea”.
    Allo stesso tempo, il primo ministro ungherese guarda con interesse all’allargamento dell’Unione nei Balcani occidentali, come potenziale bacino di influenza e di possibili partner futuri a Bruxelles. Vanno in questa direzione le parole di supporto all’adesione della Serbia, pronunciate nel corso della conferenza stampa congiunta post-vertice: “La Serbia è un Paese chiave per la stabilità della regione balcanica, allo stesso modo della Polonia nell’Europa centrale“. Il riferimento all’Est Europa non è casuale. Polonia e Ungheria fanno entrambe parte del Gruppo di Visegrád (con Repubblica Ceca e Slovacchia) e stanno dando grossi grattacapi a Bruxelles: dalla minaccia prolungata di veto per il vincolo sullo Stato di diritto sull’approvazione del bilancio pluriennale UE 2021-2027 e del Recovery Fund, alla violazione dell’indipendenza del sistema giudiziario, fino alla questione del mancato rispetto dei diritti LGBT+.
    “Fino a quando non sarà integrata la Serbia nell’Unione Europea, i Balcani occidentali non lo saranno“, ha sottolineato con forza Orbán, che poi ha utilizzato i suoi consueti toni aggressivi nei confronti delle istituzioni europee: “La Serbia è un Paese chiave e questo l’UE lo deve capire“. Tanto che, secondo lui, “è più nel suo interesse avere con sé la Serbia, piuttosto che di Belgrado entrare nell’Unione”. Per questo motivo “Belgrado può contare sul nostro sostegno, come Budapest conta su di voi“, ha concluso a effetto l’ospite ungherese.

    Мађарска влада и премијер Виктор Орбан су прави пријатељи Србије. Мађарска ће увек моћи да рачуна на српско пријатељство.https://t.co/JuMfYiRKnP pic.twitter.com/oxPljPQBkl
    — Александар Вучић (@avucic) July 8, 2021

    Lusinghe che non hanno lasciato indifferente il presidente serbo: “Molti dicono di appoggiare il percorso della Serbia verso l’integrazione nell’Unione, ma sono pochi quelli che lo fanno apertamente e con coraggio, disposti anche a incassare critiche, come lo fate voi”. È così che si rinsalda “l’amicizia” tra ungheresi e serbi, almeno di alto vertice. Senza dimenticare l’aspetto commerciale, con l’Ungheria al quinto posto tra i partner commerciali della Serbia, delle infrastrutture (è in cantiere un progetto di linea ferroviaria veloce tra le due capitali) e la comunione di visioni: “Le nostre minoranze godono di pieni diritti senza alcun problema di convivenza interetnica”, ha rivendicato Vučić.
    Curiosamente, è passato invece sotto silenzio il tema dei diritti LGBT+. In Serbia si attende ancora l’approvazione della legge sull’istituto del partenariato, vale a dire il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso. Non è equiparabile al matrimonio – riservato solo alle coppie eterosessuali – ma garantirà diritti sul fronte dell’eredità, delle assicurazioni e dell’acquisto di immobili. Come in Italia, invece, non permetterà le adozioni. Mentre in Ungheria ieri è stata punita con una multa di 700 euro la pubblicazione di un libro di fiabe della Rainbow Families Foundation che raffigurava al suo interno anche alcune famiglie arcobaleno. Sarebbe interessante conoscere l’opinione della premier serba, Ana Brnabić, omosessuale dichiarata che ogni anno sfila al Pride di Belgrado, sull’amicizia tra Serbia e Ungheria e sui rischi che il Paese corre nel seguire questo alleato sulla strada del mancato rispetto dei diritti dei cittadini.

    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    Proprio nel giorno dell’entrata in vigore della legge anti-LGBT+ al centro delle polemiche a Bruxelles, il premier ungherese è stato ospitato dal presidente Vučić: “Sono pochi quelli che ci appoggiano come fate voi”

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    Allargamento UE, Sassoli riceve presidenti dei Parlamenti balcanici: “Istituzioni siano motore di pace e democrazia”

    Bruxelles – Se la politica di allargamento dell’UE rispecchiasse fedelmente le espressioni di intenti, l’Unione sarebbe già da tempo ben avviata sulla strada dei trentatré Paesi membri. I progressi dei sei Stati dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia-Eerzegovina, Macedonia del nord, Montenegro, Kosovo, Serbia), in materia di riforme e cooperazione regionale sono stati evidenziati a più riprese a Bruxelles ma, per motivazioni che variano da caso a caso, l’orizzonte dell’adesione è ancora lontano. Rimane però una certezza: se le promesse non saranno seguite da fatti concreti, l’entusiasmo cederà il passo alla disillusione e i Balcani guarderanno con sempre più interesse ad altre potenze, come Russia e Cina.
    Di tutto questo si è parlato nel corso del secondo vertice del Parlamento Europeo e dei presidenti dei Parlamenti dei Balcani Occidentali (lunedì 28 giugno), a distanza di un anno e cinque mesi dal primo incontro di questo tipo a Bruxelles. Un’occasione per ribadire il ruolo centrale delle istituzioni democratiche nel processo di allargamento UE nella regione, con l’impegno a rafforzarne la dimensione parlamentare.
    Il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, firma la dichiarazione congiunta durante il secondo vertice con i presidenti dei Parlamenti dei Balcani Occidentali (28 giugno 2021)
    Tutto ciò è emerso non solo dallo scambio di vedute durante la riunione, ma anche da quanto messo nero su bianco nella dichiarazione congiunta del presidente del Parlamento UE, David Sassoli, degli omologhi dei Parlamenti portoghese e sloveno (rispettivamente Igor Zorčič ed Eduardo Ferro Rodrigues), in rappresentanza delle presidenze attuali e future del Consiglio dell’UE, e di quelli balcanici: Gramoz Ruçi (Albania), Bakir Izetbegović (Bosnia ed Erzegovina), Glauk Konjufca (Kosovo), Talat Xhaferi (Macedonia del Nord), Aleksa Bečić (Montenegro) e Ivica Dačić (Serbia).
    Anche in vista del summit UE-Balcani Occidentali che dovrebbe tenersi a Lubiana durante il semestre di presidenza slovena, la prospettiva dei Parlamenti nazionali dovrà essere sempre più quella di uno “spazio inclusivo di dialogo”, con l’obiettivo di “favorire la riconciliazione” e di “fornire un contributo diretto alla pace, alla stabilità, alla prosperità e al rafforzamento della democrazia” in tutta la regione. Il focus su cui lavorare rimane l’attuazione delle riforme richieste da Bruxelles, dallo Stato di diritto all’indipendenza della magistratura, dal pluralismo all’indipendenza del media e della magistratura, fino alla parità di genere e alla lotta contro i cambiamenti climatici.
    Ma se le istituzioni balcaniche dovranno dimostrare un vero impegno su questi punti, altrettanto fondamentale sarà quello che l’Unione Europea dovrà mettere in campo. Non solo attraverso il dialogo interparlamentare con l’Eurocamera e il coinvolgimento della società civile dei Balcani durante la Conferenza sul futuro dell’Europa, ma soprattutto “tenendo fede alle promesse” del Consiglio dell’UE. L’invito è ad accelerare il processo di allagamento, “un interesse politico, economico e di sicurezza della stessa Unione”, conclude la dichiarazione congiunta.

    Very positive 2nd summit with the speakers from the #WesternBalkans!
    Enlargement means hope, for all sides! We call on the Council to keep its promises and speed up the enlargement process.
    This is a geostrategic investment, for a strong, united Europe. https://t.co/znHkqeU1NH pic.twitter.com/ounhDFgGXS
    — David Sassoli (@EP_President) June 28, 2021

    L’esortazione ai governi dei Ventisette nel rispettare le promesse fatte ai Paesi balcanici è stata ribadita con forza anche dal presidente del Parlamento UE, che dopo l’incontro ha parlato di “speranza per tutte le parti” se si procederà sulla strada dell’allargamento dell’Unione. Il processo di adesione dei Balcani occidentali “basato sul merito” rappresenta un “investimento geostrategico, per un’Europa forte e unita“, ha commentato su Twitter.
    Secondo Sassoli, questa consapevolezza scaturisce dalle conseguenze della pandemia COVID-19, che “ha ulteriormente evidenziato quanto dipendiamo gli uni dagli altri per affrontare le sfide attuali e future”. In questo senso, gli atti di solidarietà e cooperazione a livello finanziario e umanitario confermano gli sforzi dell’UE per “contribuire allo sviluppo sostenibile e alla ripresa socio-economica a lungo termine” della regione.
    Ma il vero “motore di pace e democrazia” sono proprio i Parlamenti nazionali, che “possono favorire la comprensione reciproca e la riconciliazione nei Balcani occidentali”. Con questo obiettivo, l’Eurocamera “rimarrà un partner impegnato verso un futuro europeo comune” e offrirà sostegno in diversi modi: sia nell’area della “mediazione e dialogo”, sia nel “rafforzamento delle capacità parlamentari”, ma anche attraverso “l’osservazione elettorale e le azioni per i diritti umani”, è stata la promessa del presidente del Parlamento Europeo al termine del vertice.
    Da sinistra, i presidenti: Igor Zorčič (Assemblea nazionale slovena), Talat Xhaferi (Assemblea della Macedonia del Nord), Aleksa Bečić (Assemblea del Montenegro), Bakir Izetbegović (Camera dei Popoli della Bosnia ed Erzegovina), David Sassoli (Parlamento Europeo), Gramoz Ruçi (Assemblea di Albania), Ivica Dačić (Assemblea nazionale della Serbia) e Glauk Konjufca (Assemblea del Kosovo)

    Nella dichiarazione congiunta firmata durante il secondo vertice interparlamentare è stato ribadito l’impegno a collaborare per “favorire la riconciliazione nella regione”. Dal presidente dell’Eurocamera l’invito al Consiglio dell’UE a “rispettare le promesse” per l’adesione dei sei Paesi

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    Bosnia ed Erzegovina, la prospettiva UE è un “atto di fede”: servono ancora riforme strutturali e riconciliazione etnica

    Bruxelles – L’allargamento dell’Unione Europea ai Balcani occidentali procede come un elastico: il cammino è tracciato, ma non sono rari né gli slanci di entusiasmo improvviso né la sensazione che tutto il processo stia ristagnando. Talvolta la prospettiva europea dei Balcani può essere considerata come vero e proprio “atto di fede”, prendendo in prestito l’espressione usata dall’eurodeputato Paulo Rangel (PPE) durante la presentazione della relazione sul rapporto 2019/2020 della Commissione UE sulla Bosnia ed Erzegovina.
    In plenaria il testo è stato approvato con 483 voti a favore, 73 voti contrari e 133 astenuti, l’ultimo delle sei relazioni sui progressi dei Paesi dei Balcani occidentali (il primo dibattito su Albania, Kosovo, Macedonia del Nord e Serbia si era tenuto lo scorso 25 marzo, il secondo sul Montenegro il 18 maggio). L’impressione rimane quella di un sostegno diffuso del Parlamento Europeo alle aspirazioni di adesione all’UE della Bosnia ed Erzegovina, anche se le condizioni in cui versano la società e le istituzioni del Paese pongono una serie di paletti sulle modalità e le tempistiche con cui questo processo potrà avere luogo.
    Il relatore per la Bosnia ed Erzegovina, Paulo Rangel (PPE)
    “La diversità etnica e religiosa è parte del DNA dell’Unione Europea, perciò la futura integrazione della Bosnia ed Erzegovina non può che essere un fenomeno naturale”, ha spiegato il relatore Rangel. Se gli eurodeputati sono “grandi sostenitori” del commino europeo di Sarajevo, servono però “riforme profonde e un impegno di riconciliazione etnica” per aspirare allo status di Paese candidato all’adesione all’UE. C’è molto da fare sui 14 criteri di Copenaghen, che disciplinano le condizioni base per iniziare il processo negoziale: dal rispetto delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, alle garanzie per la democrazia in una società multietnica, passando per le fondamentali riforme costituzionali, elettorali, della giustizia e del sistema scolastico.
    Allo stesso tempo, quel “crediamo nei cittadini bosniaci e nel futuro europeo della Bosnia” prende le mosse da alcuni piccoli passi in avanti. Il vicepresidente del gruppo del PPE ha sottolineato che “nonostante la difficile situazione causata dalla pandemia COVID-19, abbiamo registrato progressi”, come le elezioni nella città di Mostar (le prime dal 2008) e la ripresa dei lavori del comitato parlamentare di stabilizzazione e di associazione UE-Bosnia Erzegovina. “I leader bosniaci devono garantire che la popolazione sia cosciente del nostro sostegno e delle prospettive europee, nell’ottica della riconciliazione”, ha concluso l’europarlamentare portoghese.
    Parola a Commissione e Consiglio
    Parole di supporto sono arrivate anche da Consiglio e Commissione UE, anche se “i progressi dipendono dal rispetto dei 14 criteri”, ha sottolineato la segretaria di Stato portoghese e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Ana Paula Zacarias. In primis, la questione della “piena cooperazione con la Corte internazionale di giustizia” e la “fine della glorificazione dei criminali di guerra condannati“, come ha dimostrato la sentenza sul caso Ratko Mladić, comandante militare dei serbo-bosniaci durante la guerra del 1992-1995.
    La segretaria di Stato portoghese e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Ana Paula Zacarias
    Sul fronte delle riforme, “rileviamo slanci solo in tempi più recenti”, ha precisato Zacarias: “La Costituzione continua a non essere in linea con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo” e per questo si deve “puntare sulle riforme costituzionali, che spazzino via tutte le discriminazioni ancora esistenti”. Visione condivisa dal commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi: “Come ho detto ai leader bosniaci nell’ultimo anno, ci sono ancora molte questioni in sospeso e dovranno fare la loro parte”, anche sul fronte della parità di rappresentanza, del funzionamento degli organi dello Stato, del conflitto di interessi e degli appalti pubblici. Ma soprattutto, “deve finire il negazionismo sui crimini di guerra e la retorica divisiva degli ultimi mesi“, ha avvertito il commissario Várhelyi. “L’unica prospettiva della Bosnia nell’UE è quella di un Paese unico, unito e sovrano“.
    L’Unione Europea rimane però particolarmente impegnata in tutta la regione, Bosnia compresa. L’approvazione dello strumento IPA III, per Sarajevo, significa investimenti in infrastrutture, “come il corridoio 5G, i collegamenti stradali ed energetici con Serbia e Montenegro e lo sminamento del fiume Sava per rilanciare gli scambi commerciali fluviali”, ha assicurato Várhelyi. C’è poi il capitolo della lotta al COVID-19: “Dall’inizio della pandemia abbiamo stanziato 80,5 milioni di euro in sovvenzioni immediate e 250 milioni in micro-finanziamenti”. Ma tra maggio e agosto sono in arrivo anche 651 mila dosi di vaccino Pfizer/BioNTech dall’UE (di cui 213.800 alla Bosnia), 952 mila dal programma COVAX (177 mila alla Bosnia), oltre alle 30 mila dalla Croazia e 4.500 dalla Slovenia direttamente a Sarajevo: “Non ci fermiamo qui, mobiliteremo sempre più Stati membri perché mettano a disposizione vaccini non appena saranno disponibili”.
    Il confronto in Aula
    Animato il confronto in plenaria, con i gruppi politici che hanno espresso posizioni diverse sulla strategia da adottare nei confronti del cammino europeo del Paese balcanico. “La Bosnia appartiene all’UE, perciò lanciamo un appello agli Stati membri perché le concedano lo status di Paese candidato“, è stata l’esortazione di Dietmar Köster (S&D). “Vanno però rafforzate le libertà dei media, il contrasto a ogni discriminazione e il superamento delle tensioni etniche”. Klemen Grošelj (Renew Europe) ha sottolineato che gli accordi di Dayton del 1995 avevano come priorità la pace, “non il funzionamento Stato”, ma ora la Bosnia “si trova di fronte alla scelta se continuare a basarsi sulla divisione etnica o sui principi comunitari“.
    L’eurodeputato del Movimento 5 Stelle e vicepresidente del Parlamento UE, Fabio Massimo Castaldo
    A questo proposito, l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle e vicepresidente del Parlamento UE, Fabio Massimo Castaldo, ha avvertito che “non possiamo nasconderci dietro un dito, accettando questo precario status quo” e non appoggiando “soluzioni condivise da autorità politiche e società civile, per elaborare una nuova Costituzione”. L’UE non deve avere la “presunzione di imporre le 14 priorità, perché il dialogo si costruisce anche e soprattutto facilitandolo“. Ecco perché Castaldo ha accolto “con grande favore” la proposta di accogliere i Balcani occidentali nella Conferenza sul futuro dell’Europa, “per rinnovare quello slancio e quella promessa di prospettiva europea che spesso i nostri partner non hanno visto così decisa e così determinata come avrebbero dovuto”.
    Željana Zovko (PPE) ha però avvertito che “potrebbe essere un grave danno, se sarà negato il concetto dei popoli costituenti”, così come stabilito dagli accordi di pace di Dayton (ovvero bosgnacchi musulmani, croati cattolici e serbi ortodossi). Dure le destre, con Dominique Bilde (ID) che ha parlato di un “rischio di diminuire la fiducia dei cittadini europei“, se l’UE insiste “acriticamente” con l’allargamento, “non considerando le questioni di sicurezza sul rimpatrio degli jihadisti nei Balcani e la crisi migratoria”. Ruža Tomašić (ECR) ha invece attaccato la linea del Parlamento Europeo di “negare l’identità di chi non vuole ascoltare e ignorare la questione dei tre popoli costituenti secondo gli accordi di Dayton”.

    Approvata dagli eurodeputati in plenaria la relazione sui progressi di Sarajevo verso l’adesione all’UE. Ma rimane ancora lunga la strada per soddisfare i 14 criteri su Stato di diritto e rispetto delle minoranze