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    L’UE in pressing sulla Serbia: “Si allinei alle sanzioni contro la Russia e si impegni sul rispetto dello Stato di diritto”

    Bruxelles – Si riparte, ancora, da Aleksandar Vučić e dal suo rapporto ambiguo con Vladimir Putin. Dopo il trionfo alle elezioni di domenica (3 aprile) da parte del suo Partito Progressista Serbo, Bruxelles torna a pressare Belgrado per un maggiore allineamento della Serbia a livello di politica estera con l’Unione – in quanto Paese candidato all’adesione – e soprattutto perché cambi la sua posizione sulle sanzioni contro la Russia. La volontà del presidente Vučić di rimanere “neutrale” rispetto al campo occidentale, nel quale comunque sta cercando di entrare, e al Cremlino, tradizionale alleato politico e partner commerciale, nasconde tutta l’ambiguità di una scelta che sta creando non pochi problemi all’UE per il possibile aggiramento delle misure restrittive.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić
    Proprio in virtù dell’aggressione militare russa “non provocata e ingiustificata” contro la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, “ci aspettiamo che la Serbia, come Paese che sta negoziando la sua adesione all’UE, si allinei progressivamente alle nostre posizioni, comprese le dichiarazioni e le misure restrittive, in linea con il quadro negoziale”, hanno dichiarato in una nota l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. I Ventisette sono “il principale partner politico e, di gran lunga, economico della Serbia” ed è per questo che la condivisione dei pacchetti di sanzioni contro la Russia dovrebbe essere la naturale conseguenza dell’impegno dell’Unione nel Paese: “Continuiamo a sostenere la ripresa economica, l’energia, la sicurezza alimentare”, anche attraverso il Piano economico e di investimento per i Balcani occidentali.
    Oltre all’allineamento sulle sanzioni, c’è bisogno anche di un maggiore impegno della Serbia sul rispetto dello Stato di diritto, a partire dal risultato delle elezioni di domenica. “Il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche è un pilastro centrale del processo di adesione all’UE”, hanno ricordato Borrell e Várhelyi, puntualizzando che “una serie di carenze hanno portato a una competizione ineguale” alla vigilia del voto, come fatto notare dagli eurodeputati dopo la missione di osservazione elettorale in Serbia. “Incoraggiamo il nuovo Parlamento e la leadership politica a continuare a lavorare per un dialogo autentico e costruttivo in tutto lo spettro politico”, con l’obiettivo di arrivare a “un ampio consenso interpartitico sulle riforme“, necessario per il cammino verso l’UE: indipendenza del sistema giudiziario, lotta alla corruzione e al crimine organizzato, libertà di stampa e condanna senza eccezione dei crimini di guerra. Un riferimento particolare anche alla normalizzazione delle relazioni con il Kosovo attraverso il dialogo mediato dall’UE, “che determina il ritmo generale” dei negoziati di adesione all’UE di entrambe le parti.
    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e l’autocrate russo, Vladimir Putin
    Ma nello stesso momento in cui Bruxelles chiede alla Serbia di allinearsi alle sanzioni contro la Russia, proprio da Mosca arrivano le congratulazioni di Putin a Vučić per la sua “convincente vittoria” alle elezioni presidenziali. Come riportato dall’agenzia di stampa russa Tass, in un telegramma l’autocrate russo ha invitato il presidente serbo a “rafforzare la partnership strategica” tra i due Paesi, dimostrando quanto la politica di Vučić sia più vicina al Cremlino di quanto le sue dichiarazioni di “neutralità” vogliano far sembrare.

    Dopo l’esito delle elezioni di domenica 3 aprile, che hanno sancito il triplice trionfo del partito al potere, la Commissione Europea ha chiesto a Belgrado di “avvicinarsi alle posizioni dell’Unione” e prendere le distanze da Putin (che si è congratulato per la vittoria del presidente Vučić)

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    Il vento nazionalista soffia ancora in Ungheria e Serbia: Orbán e Vučić stravincono le elezioni (tra le polemiche)

    Strasburgo, dall’inviato – Dentro e appena fuori i confini dell’UE, là dove l’Unione sta spingendo il processo di allargamento, non si è placato il vento dei populismi di destra, i più vicini alla Russia di Vladimir Putin. L’intensa domenica di elezioni (3 aprile) in Ungheria e Serbia ha sancito il trionfo rispettivamente del premier Viktor Orbán e del presidente Aleksandar Vučić, i due leader che stanno costruendo una forte alleanza nazionalista sull’asse Budapest-Belgrado, non completamente allineata alla politica di Bruxelles nei confronti della Russia. Due tornate elettorali particolarmente intense alla vigilia – per le aspettative di un cambiamento al vertice dei due Paesi – ma anche dopo la chiusura dei seggi, a causa delle grosse polemiche sul processo di voto e delle rivendicazioni di vittoria delle elezioni, sia in Ungheria sia in Serbia.
    Qui Budapest
    Niente da fare per l’opposizione unita guidata da Péter Márki-Zay. Nonostante il testa a testa previsto alla vigilia del voto, il partito Fidesz del premier Orbán ha conquistato il 53,13 per cento dei voti alle elezioni parlamentari, migliorando di quattro punti percentuali il risultato di quattro anni fa e assicurandosi nuovamente la maggioranza dei due terzi dell’Assemblea nazionale (135 seggi su 199). Con il 98,96 per cento delle schede scrutinate, la commissione elettorale ungherese ha confermato il nuovo trionfo dell’uomo forte di Budapest, che ora riceverà il quarto mandato consecutivo per formare l’esecutivo (al potere ininterrottamente dal 29 maggio 2010).
    Alta l’affluenza, al 69,54 per cento – in leggera flessione rispetto alle elezioni del 2018 (70,22) – che però non ha premiato l’opposizione formata dai sei partiti guidati dall’economista conservatore Márki-Zay (socialisti, verdi, liberali, progressisti e conservatori): nel sistema elettorale che assegna 106 seggi ai collegi uninominali, la coalizione ne ha conquistati 56, fermandosi al 35,04 per cento dei voti. A superare la soglia di sbarramento al 5 per cento anche i nazionalisti di estrema destra del Movimento Nostra Patria (6,17 punti percentuali, per 7 deputati), più il seggio garantito alla minoranza tedesca.

    Hungary, national parliament election:
    With 99% counted, the right-wing Fidesz/KDNP (NI|EPP) alliance of Prime Minister Viktor Orbán wins a 2/3-parliamentary majority for the 3rd time in a row.
    The right-wing extremist Mi Hazánk (~NI) enters parliament for the 1st time. #Ungarn pic.twitter.com/kRkvIvJWyz
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 4, 2022

    “Abbiamo ottenuto una vittoria così grande che può essere vista anche dalla luna, e sicuramente da Bruxelles”, ha esultato il premier Orbán, polemizzando contro “la più grande forza che ha provato a schiacciarci” prima del voto: “Contro il globalismo, contro i burocrati di Bruxelles, contro Soros, contro i media mainstream europei e anche contro il presidente ucraino”, Volodymyr Zelensky, in riferimento ai rimproveri rivoltigli durante l’ultimo Consiglio Europeo. La prima dichiarazione populista del premier ungherese è servita e porta con sé una nota sinistra sui rapporti con Kiev e soprattutto con Putin, tradizionale alleato di Orbán. Dopo aver tenuto un profilo basso nell’ultimo mese di campagna elettorale, che è coinciso con l’inizio della campagna militare russa in Ucraina, ora da Budapest potrebbero arrivare picconate all’unanimità sempre raggiunta tra i leader UE sulle sanzioni e sulla lotta senza quartiere a Mosca. “Fidesz rappresenta una forza conservatrice patriottica e cristiana, è il futuro dell’Europa. Prima l’Ungheria!”, ha concluso il suo messaggio post-voto Orbán, facendo capire con quale spirito tornerà ad approcciarsi a Bruxelles.
    Il premier ungherese ha però taciuto la sconfitta personale arrivata dal referendum sulla legge anti-LGBT+, che si è tenuto sempre ieri contemporaneamente alle elezioni parlamentari. Solo il 44,46 per cento degli elettori ha espresso un voto valido, non raggiungendo il quorum richiesto per avallare la proposta legislativa del governo. Un’altra criticità ha riguardato lo svolgimento del processo elettorale, reso opaco dalle modifiche alla legge elettorale, dalle regole di registrazione degli indirizzi, dai problemi di trasparenza dei finanziamenti della campagna e dall’influenza del partito al potere sui media. Riconoscendo la sconfitta “in questo sistema”, il candidato premier dell’opposizione Márki-Zay ha ribadito che “è la propaganda ad aver vinto queste elezioni, non l’onestà, abbiamo fatto tutto quello che potevamo”.

    Hungary: national referendum today:
    “Do you support the teaching of sexual orientation to minors in public education institutions without parental consent?”
    Vote among all eligible voters
    No: 41%Yes: 3%
    Threshold to meet: 50%+ of eligible voters voting either ‘yes’ or ‘no’ pic.twitter.com/7P2F20ABIk
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 4, 2022

    Qui Belgrado
    Contemporaneamente alle elezioni in Ungheria, anche per la Serbia il 3 aprile 2022 segna una data-chiave per la riaffermazione delle forze nazionaliste legate alla Russia di Putin. Con il 90 per cento delle schede scrutinate, il presidente Vučić è proiettato alla seconda vittoria consecutiva al primo turno delle presidenziali, con il 59,55 per cento dei voti, mentre il principale candidato dell’opposizione unita, Zdravko Ponoš, si ferma al 17. Per quanto riguarda le elezioni parlamentari, il Partito Progressista Serbo di Vučić si attesta al 43,45 per cento dei voti, assicurandosi 122 deputati sui 250 dell’Assemblea nazionale: lontano il cartello di opposizione Serbia Unita, con 13 punti percentuali e 36 seggi. Sembrano tramontare anche le possibilità per l’opposizione di strappare dalle mani dei nazionalisti la capitale Belgrado: il candidato dell’SNS, Aleksandar Šapić, si sta affermando con quasi il 40 per cento delle preferenze, mentre quelli dell’opposizione Serbia Unita, Vladeta Janković, e del movimento della sinistra ecologista Moramo, Dobrica Veselinović, rispettivamente al 20 e al 10 per cento.
    Nel mezzo di un processo elettorale su cui si attende il giudizio degli osservatori internazionali anche del Parlamento Europeo per le sospette irregolarità di voto e le violenze contro i candidati dell’opposizione al Partito Progressista Serbo fuori da alcuni seggi, l’UE guarda con preoccupazione alle dichiarazioni del presidente Vučić, che ieri sera si è attribuito la vittoria dalla sede dell’SNS. “Quello che è importante per europei, russi e americani è che proseguiremo nella nostra politica di neutralità“, ha affermato, confermando che Belgrado manterrà buoni rapporti con la Russia e, implicitamente, non aderirà alle sanzioni occidentali. “Dobbiamo vedere cosa fare sul petrolio e ci saranno colloqui sul gas” russo, ha aggiunto Vučić, ribadendo con forza che “questa crisi ha scosso economie molto più forti della nostra, ma noi siamo completamente stabili”.

    Serbia (Presidential Election), 88.7% parallel count:
    Vučić (SNS+-EPP): 59% (+4)Ponoš (US-S&D): 18% (+2)Jovanović (NADA-*): 6% (+1)…
    Source: CeSID / Ipsos
    +/- vs. 2017 election result
    ➤ https://t.co/eWnraQ39P8#Izbori2022 #Srbija #Serbia #SerbiaElections pic.twitter.com/IXba6uQHet
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 3, 2022

    I due più stretti alleati di Putin in Europa, il premier ungherese e il presidente serbo, sono stati riconfermati con un’ampia maggioranza dai rispettivi elettorati. Contestazioni sul processo elettorale e sullo svolgimento del voto, oltre alle provocazioni rivolte all’UE

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    Una delegazione di eurodeputati parteciperà alla missione di osservazione elettorale in Serbia il 3 aprile

    Bruxelles – Sarà una super domenica di elezioni in Serbia e per questo appuntamento fondamentale per il Paese balcanico le istituzioni UE vogliono tenere sotto controllo lo svolgimento, l’affluenza e le modalità di voto. Con questo obiettivo inizia oggi (giovedì 31 marzo) fino a lunedì prossimo (4 aprile) la missione di osservazione elettorale da parte di una delegazione di sette eurodeputati, in occasione delle elezioni parlamentari (anticipate), presidenziali e amministrative in Serbia del 3 aprile.
    “Esamineremo tutti gli aspetti delle elezioni, compreso il quadro giuridico, l’amministrazione elettorale, i reclami e i ricorsi, l’ambiente politico e la campagna elettorale, la performance dei media, la situazione delle minoranze nazionali e la partecipazione delle donne”, ha commentato il capo della delegazione del Parlamento UE, l’eurodeputato olandese Thijs Reuten (S&D). I membri del Parlamento UE si uniranno alla missione internazionale di osservazione delle elezioni in Serbia organizzata dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), che incontrerà in questi giorni candidati, partiti, funzionari, amministratori e cittadini. Al termine della missione saranno presentate le conclusioni sul processo elettorale, in linea con quanto osservato sul territorio serbo.
    Il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić (Belgrado, 8 luglio 2021)
    Il triplice appuntamento elettorale si innesta sullo sfondo di una situazione politica particolarmente tesa nel Paese. Le elezioni parlamentari arrivano a due anni dal boicottaggio dei partiti di opposizione per le accuse al presidente Aleksandar Vučić di politiche illiberali nei confronti della società civile e della libertà di stampa: dal 2020 il suo Partito Progressista Serbo (SNS) governa con una maggioranza di 188 deputati su 250 e il voto anticipato è stato imposto dallo scetticismo dei partner internazionali sul livello di rispetto degli standard democratici del Paese. La convocazione degli elettori per il rinnovo dell’Assemblea nazionale lo stesso giorno dell’elezione del nuovo presidente della Serbia sa di pronunciamento sui cinque anni di presidenza Vučić, che cerca la riconferma per un secondo mandato.
    La campagna elettorale in Serbia, che è ruotata attorno a temi vecchi (adesione UE, Kosovo, NATO) e apparentemente nuovi (aggressione russa dell’Ucraina e rapporto tra Mosca e Belgrado), è stata travolta dalle polemiche sulla partecipazione di alcuni criminali di guerra alle elezioni parlamentari e amministrative. Come il politico ultra-nazionalista Vojislav Šešelj, leader del Partito radicale serbo, condannato a dieci anni di prigione dal Meccanismo per i tribunali penali internazionali dell’Aia nell’aprile 2018 per crimini di guerra contro l’etnia croata nel villaggio di Hrtkovci nel 1992. Secondo la legge serba, se un deputato riceve una pena detentiva superiore a sei mesi, il suo mandato cessa e non può essere rieletto: ma la misura non è mai stata applicata nel caso di Šešelj. “Non c’è spazio per il revisionismo, la glorificazione dei criminali di guerra e la negazione dei genocidi“, ha commentato nel corso del punto quotidiano con la stampa di Bruxelles la portavoce della Commissione Europea Ana Pisonero, anche se non ha risposto esplicitamente alla domanda su una presa di posizione dell’UE sullo scandalo della candidatura dei criminali di guerra.
    A livello internazionale ed europeo, l’esito delle elezioni in Serbia assume ancora più significato se si considera il contemporaneo appuntamento elettorale nella vicina Ungheria, Paese membro UE a cui Belgrado guarda come punto di riferimento nell’Unione e come alleato sull’asse sovranista/nazionalista. Come il presidente serbo Vučić, anche il premier ungherese, Viktor Orbán, punta alla rielezione (la terza consecutiva) in un clima di accuse da parte dell’opposizione e di Bruxelles di violazioni della libertà di stampa e dei diritti delle minorazione, anche considerata la consultazione sul referendum sui diritti LGBT+ che si terrà proprio domenica 3 aprile. Vučić e Orbán sono legati da stima reciproca e da un rapporto particolarmente stretto a livello politico: il presidente serbo ammira le modalità di governo dell’uomo forte di Budapest – “veterano della politica europea” – mentre il premier ungherese punta a stringere con Belgrado un’alleanza strategica nell’ottica del futuro ingresso del Paese balcanico nell’Unione. Ecco perché, con le elezioni in Serbia e in Ungheria di domenica, non sono in gioco solo le prospettive della politica interna dei due Paesi, ma anche l’indirizzo su cui procederà il processo di allargamento UE nella regione balcanica.

    Saranno valutati gli standard democratici delle elezioni presidenziali, parlamentari e amministrative nel Paese. L’appuntamento alle urne sullo sfondo delle polemiche sui criminali di guerra e del contemporaneo voto nell’Ungheria di Orbán, alleato del presidente serbo Vučić

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    Zelensky: “Ursula von der Leyen mi ha promesso che in pochi mesi la Commissione darà il parere sulla nostra adesione”

    Bruxelles – La Commissione Europea darà la sua opinione formale sull’adesione dell’Ucraina all’UE in pochi mesi, così come prevede la procedura. Lo ha annunciato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, in un tweet diffuso dopo un colloquio con la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen. “Abbiamo avuto una conversazione approfondita”, in cui il tema centrale questa volta è stato l’allargamento dell’Unione all’Ucraina: “L’opinione della Commissione sulla nostra domanda di adesione all’UE sarà preparata in pochi mesi“. Zelensky ha confermato che “il governo ucraino e la Commissione hanno ricevuto le indicazioni necessarie” e che “ci muoviamo insieme verso l’obiettivo strategico”.

    Had substantial conversation with EC President @vonderleyen. EC opinion on UA application for #EU membership will be prepared within few months. UA Government and EC are instructed. Moving to our strategic goal together.
    — Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) March 18, 2022

    Sempre su Twitter la numero uno della Commissione ha ribadito che il sostegno dell’UE all’Ucraina “è assoluto”, anche sul fronte della possibile adesione: “Il percorso verso l’Unione è iniziato“. La presidente von der Leyen ha poi ammonito che “tempi come questi richiedono visione, fermezza e resistenza per poter fare un difficile passo dopo l’altro”, assicurando che “la Commissione camminerà in questa direzione”.
    Lo scorso 7 marzo gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) avevano concordato di invitare la Commissione Europea a presentare un parere su sulla domanda di adesione dell’Ucraina (e anche della Georgia e della Repubblica di Moldova), che sarà poi trasmesso al Consiglio dell’UE. La domanda formale di Kiev era stata inoltrata a Bruxelles il 28 febbraio, a soli quattro giorni dall’inizio dell’invasione russa del Paese, con la richiesta di una “procedura speciale accelerata” che sa più di ricerca di un appoggio anche politico contro i progetti espansionistici del Cremlino. La prospettiva europea dell’Ucraina ha ricevuto l’endorsement prima del Parlamento Europeo riunito nella sessione plenaria straordinaria del primo marzo e poi del vertice dei leader UE della settimana scorsa a Versailles.

    I assured President @ZelenskyyUa of the EU’s unabated support. Ukraine’s European path has now begun. Times like these require the vision, steadfastness and stamina to take one difficult step after the next. The @EU_Commission will move ahead on this path. pic.twitter.com/Yn4JVXzSAG
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) March 18, 2022

    Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione e richiesto il parere della Commissione dal Coreper, per diventare un Paese membro dell’UE è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen, ovvero le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno). Dopodiché si arriva alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente, e a questo punto si può presentare la vera e propria domanda di adesione all’Unione: se accettata, viene conferito lo status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.

    Il presidente ucraino ha sottolineato che Kiev e Bruxelles si muovono “insieme verso l’obiettivo strategico”. La presidente della Commissione Europea ribadisce che il sostegno all’Ucraina “è assoluto”

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    L’invasione russa dell’Ucraina potrebbe essere il “momento del risveglio” dell’UE per l’allargamento ai Balcani

    Bruxelles – Il processo di allargamento dell’Unione Europea ha preso un nuovo slancio, dall’Ucraina ai Balcani. Non solo sul piano delle nuove richieste di adesione, ma anche per quanto riguarda le prospettive per i Paesi candidati all’adesione UE ormai da decenni. “Spero che questo sia un momento di risveglio per l’Unione Europea, che rinvigorisca il processo e saldi i Balcani Occidentali fermamente all’UE”, ha dichiarato l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in visita oggi (lunedì 14 marzo) in Macedonia del Nord, parlando degli effetti dell’invasione russa dell’Ucraina sul rapporto tra la regione e Bruxelles.
    Incontrando il primo ministro macedone, Dimitar Kovačevski, l’alto rappresentante Borrell ha riconosciuto le “grandi aspettative e speranze” del Paese sul cammino UE e si è augurato di “iniziare il negoziato formale di adesione dell’Albania e della Macedonia del Nord appena possibile, spero nella prossima conferenza intergovernativa”. Che la Commissione Europea spinga per l’accelerazione di questo processo non è un segreto – e i mancati progressi del vertice UE-Balcani Occidentali dello scorso ottobre sono stati una scottatura per la presidente, Ursula von der Leyen – ma la decisione è in mano al Consiglio, che dovrà trovare l’unanimità per l’apertura dei negoziati con Skopje e Tirana.
    Al momento lo stallo è causato dal veto della Bulgaria, anche se stanno aumentando le speranze di assistere nei prossimi mesi a una svolta con il nuovo governo di Sofia guidato da Kiril Petkov. Proprio Borrell ha confermato in un tweet che “è giunto il momento di risolvere le questioni bilaterali di lunga data” e che Bruxelles accoglie con favore il “nuovo slancio tra Sofia e Skopje per una soluzione reciprocamente accettabile”. Per l’Unione Europea “la Macedonia del Nord e l’intera regione sono una priorità strategica”, anzi “geopolitica”, per cui “nessun problema bilaterale dovrà fermare questo processo”, ha sottolineato con forza l’alto rappresentante UE. “Geopolitica” perché la Russia può mirare a destabilizzare la regione e di qui la necessità di allineare la gestione della risposta al Cremlino e di supportare i Balcani Occidentali a “gestire al meglio le conseguenze della guerra e aumentare la resilienza di ogni Paese“.
    Da parte del premier Kovačevski è stata ribadita la fiducia della Macedonia del Nord nel processo di allargamento UE: “Abbiamo dimostrato di essere partner credibili, l’avvio dei negoziati deve essere la prova della credibilità dell’Unione Europea“, ha sottolineato in conferenza stampa al termine del colloquio con l’alto rappresentante Borrell. Ringraziandolo per l’impegno nelle istituzioni comunitarie a sostegno dell’ottenimento di una data di inizio del processo negoziale, Kovačevski ha ricordato a Borrell che “in un periodo di instabilità internazionale, mai come oggi c’è bisogno di un’Europa unita e forte”. Soprattutto per il fatto che “la guerra in corso è un rischio per l’influenza di Paesi terzi nella regione balcanica” e che “lasciare un vuoto geostrategico in questa regione non è un’opzione”.

    Good meeting with Prime Minister @DKovachevski. North Macedonia has clear expectations to start EU negotiations, and rightly so.
    Welcome the new impetus between Sofia and Skopje for a mutually acceptable solution.
    It is high time to resolve long standing bilateral issues. pic.twitter.com/1FQ12lEK0L
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) March 14, 2022

    L’alto rappresentante UE, Josep Borrell, nel corso della sua visita a Skopje ha dichiarato che “è necessario gestire al meglio le conseguenze della guerra e aumentare la resilienza di ogni Paese” della regione

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    I leader UE pronti a nuove sanzioni contro la Russia di Putin. L’Ucraina sempre più vicina “politicamente”

    Bruxelles – Via libera a nuove sanzioni, ma nella sostanza ancora non si scende. Per il leader UE riuniti al Consiglio informale di Versailles “aumentare ulteriormente la nostra pressione sulla Russia e sulla Bielorussia” è una prima intesa sufficiente, che verrà approfondito nella seconda giornata di riunioni di oggi (venerdì 11 marzo) e nei prossimi giorni dai ministri competenti: “Restiamo pronti a muoverci rapidamente con ulteriori sanzioni”, recitano le prime righe delle conclusioni del Consiglio.
    Come scrivevamo ieri, tutte le decisioni senza precedenti sono state prese e ora ogni capitale inizia a fare i propri calcoli in termini di ricadute economiche. Tuttavia, il primo round di discussioni tra i leader UE sull’aggressione militare dell’Ucraina da parte della Russia di Putin è stata un’occasione per tirare le fila, due settimane dopo il Consiglio straordinario che aveva portato a quell’unità mai vista prima nell’Unione. “I responsabili di questa guerra di aggressione saranno chiamati a rispondere dei loro crimini, anche per aver colpito indiscriminatamente i civili”, si legge nel testo che condanna “la Russia e la sua complice Bielorussia”, con un endorsement all’apertura dell’indagine della Corte penale internazionale dell’Aja. In particolare, preoccupa la questione nucleare: “Chiediamo che la sicurezza degli impianti nucleari dell’Ucraina sia garantita immediatamente con l’assistenza dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica”.
    Ma è il capitolo strettamente legato al rapporto con l’Ucraina a offrire maggiori spunti di riflessione sull’approccio che sarà sviluppato nelle prossime settimane e nei prossimi mesi con Kiev. Sul breve periodo, “continueremo a fornire un sostegno politico, finanziario, materiale, medico e umanitario coordinato”, si legge nelle conclusioni. Riprendendo le iniziative degli ultimi giorni della Commissione UE, i 27 leader dell’Unione hanno sottolineato l’impegno per offrire protezione temporanea a tutti i rifugiati di guerra in fuga dall’Ucraina e hanno chiesto che “i fondi siano resi disponibili senza indugio”, attraverso una “rapida” adozione della proposta sull’azione di coesione per i rifugiati in Europa (CARE).
    Sul lungo periodo l’UE e gli Stati membri si impegnano a “fornire sostegno per la ricostruzione di un’Ucraina democratica, una volta che l’assalto russo sarà cessato“. Di che tipo e di quale entità ancora non è dato sapere, ma saranno discussioni che verranno portate avanti direttamente con la controparte ucraina. Uscendo dalla prima riunione sul conflitto Russia-Ucraina a Versailles, il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, ha annunciato che “lavoreremo per rafforzare politicamente i legami con l’Ucraina, per esempio invitando regolarmente il presidente, Volodymyr Zelensky, a partecipare ai Consigli europei“. Nonostante il non perfetto allineamento dei Ventisette sulle modalità con cui il processo dovrà essere portato avanti, il Consiglio “ha riconosciuto le aspirazioni e la scelta europea dell’Ucraina” e, in attesa del parere della Commissione UE sulla richiesta presentata da Kiev, saranno “rafforzati ulteriormente i nostri legami e approfondito il nostro partenariato per sostenere l’Ucraina nel perseguire il suo cammino”. Significative le ultime righe delle conclusioni: “L’Ucraina appartiene alla nostra famiglia europea“, mentre è stato invitato l’esecutivo UE a “presentare i pareri sulle domande della Repubblica di Moldova e della Georgia“. Il nuovo processo di allargamento UE si è messo in moto a Versailles.

    Le conclusioni del Consiglio informale di Versailles sottolineano che gli Stati membri sono pronti ad “aumentare ulteriormente la pressione” su Mosca e Kiev. Il presidente ucraino Zelensky sarà invitato a “regolarmente” alle prossime riunioni

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    Bruxelles alza la voce contro la destabilizzazione russa nei Balcani: “Tutta la Bosnia allineata o a rischio i fondi UE”

    Bruxelles – Cresce la preoccupazione nelle istituzioni europee sull’azione di destabilizzazione che la Russia di Putin può esercitare nei Balcani Occidentali, in particolare in Bosnia ed Erzegovina. L’avvertimento è arrivato a più riprese nelle ultime due settimane – cioè da quando è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina – dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e la questione è stata portata anche davanti all’Aula del Parlamento Europeo di Strasburgo.
    “Trent’anni dopo la divisione violenta della Jugoslavia, la guerra è tornata in Europa e parlare di Balcani è necessario”, ha sottolineato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, nel corso del dibattito in plenaria dell’Eurocamera. Ancora prima della destabilizzazione della Russia, “il 2021 è stato un anno perso per la Bosnia, anche sull’applicazione delle 14 priorità-chiave”. Proprio il commissario al centro delle polemiche per la sua (presunta) ambiguità sulla questione del separatismo della Republika Srpska dalle istituzioni centrali si è mostrato durissimo nel condannare il mancato riconoscimento dell’alto rappresentante per la Bosnia e il boicottaggio del governo federale: “Ha un impatto devastante su imprese e cittadini e mette a rischio i fondi UE del Piano economico e di investimenti“.
    Várhelyi ha spiegato che sono necessari “passi urgenti” da parte del membro serbo della presidenza tripartita, Milorad Dodik, per “ridurre la tensione“. A rischio, nel breve periodo, ci sono i 600 milioni di euro in finanziamenti messi a disposizione dalla Commissione UE per la Bosnia (all’interno di un pacchetto complessivo per la regione da 3,2 miliardi) “per sostenere la connettività digitale e le infrastrutture”. Tra queste anche il corridoio paneuropeo 5C, che passa dal territorio della Republika Srpska: “Solo il ritorno pieno nelle istituzioni statali e lo svolgimento libero ed equo delle elezioni di ottobre potrà permettere di concentrarsi su un’agenda positiva europea”, è stato il monito del commissario.
    Nel corso del dibattito in Aula sul rischio di destabilizzazione dei Balcani da parte della Russia, anche l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle Fabio Massimo Castaldo ha ricordato che “a un mese dal trentesimo anniversario della sua dichiarazione di indipendenza, la Bosnia ed Erzegovina sta attraversando la sua peggior crisi politica dalla fine delle guerre”. Per l’europarlamentare italiano “non basta minacciare dure sanzioni e inviare 500 soldati per scongiurare la spirale di tensione inter-etnica, mentre già partono tanti volontari filo-russi verso l’Ucraina”. È necessario piuttosto “un nostro coinvolgimento diretto sempre più forte”, sia con investimenti economici, sia con la “rivalutazione profonda dell’architettura dello Stato bosniaco, superando i limiti emersi da 30 di crisi perenne e instabilità”. In caso contrario, “sarà sin troppo facile per la Russia continuare con la sua opera di destabilizzazione della Bosnia e aprire un secondo fronte nel cuore dell’Europa”, ha avvertito Castaldo.
    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    Il commissario UE per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, ha avvertito che sono a rischio i 600 milioni di investimenti dai fondi europei, anche a causa del separatismo filo-russo della Republika Srpska

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    La premier estone Kallas spinge l’UE sulla difesa comune e sull’adesione dell’Ucraina: “Se non ora, quando?”

    Bruxelles – Di fronte alla minaccia russa, i Baltici cercano di prendere il timone per guidare l’Unione Europea sull’onda dell’intransigenza nella risposta al Cremlino. Ora come nel prossimo futuro. “A Mosca sono sicuri che prima o poi ci stancheremo della nostra iniziativa e chiederemo di tornare al tavolo dei negoziati. Putin ci metterà alla prova e noi dovremo resistere, questa è una maratona in cui esercitare pazienza strategica”, così ha esortato i Ventisette a sostegno dell’Ucraina la prima ministra dell’Estonia, Kaja Kallas, dall’Aula del Parlamento UE di Strasburgo.
    L’Estonia condivide con la Russia circa 300 chilometri di confine e, dopo l’invasione dell’Ucraina, “niente può più essere come prima“, ha attaccato Kallas. Non può esserlo soprattutto nel rapporto con il Cremlino sul tema della sicurezza europea e globale, il tema del dibattito all’Eurocamera di questa mattina (mercoledì 9 marzo) in cui la premier estone è intervenuta. Tracciando le linee di intervento del “dopo” l’invasione, la leader del Paese baltico ha indicato due aree su cui l’UE dovrà concentrarsi: la difesa comune e il sostegno all’Ucraina. “Il nostro atteggiamento di deterrenza deve diventare una politica di contenimento intelligente”, ovvero “consolidare ciò che il mondo libero ha realizzato nelle ultime settimane”, dalla denuncia dell’aggressione dell’Ucraina all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a larghissima maggioranza, all’indagine della Corte penale internazionale dell’Aja sui crimini contro l’umanità da parte dell’establishment russo.
    La premier dell’Estonia, Kaja Kallas (9 marzo 2022)
    La questione più urgente è la difesa comune. La decisione di utilizzare il Fondo europeo per la pace per assistere l’Ucraina “è solo un primo passo verso il rafforzamento della nostra sicurezza continentale”, ha commentato Kallas, sottolineando che “il rafforzamento delle nostre capacità di difesa comune devono andare mano nella mano con la NATO“. Difesa comune europea significa “pianificare la nostra spesa in modo saggio e coordinato” e “concentrarci sulle capacità troppo costose per ogni singolo Stato membro”, come i missili a lungo raggio. Nel delineare la strategia – che sarà oggetto del confronto tra i leader UE di domani e venerdì (10-11 marzo) – la premier estone ha spinto perché “le nostre capacità europee siano mobili e all’avanguardia“, perché “se la Russia può avere una forza militare enorme, noi possiamo competere con una tecnologia di qualità e all’avanguardia”.
    Ma il nuovo ordine mondiale non dovrà dimenticare “chi guarda all’Unione Europea come un luogo sicuro e pacifico“. L’Ucraina “è stata attaccata dalla Russia nel 2014 perché voleva entrare nell’UE e il 24 febbraio perché cerca di prendere il posto che le spetta tra di noi”, ha puntato il dito la premier Kallas. È nell’interesse dei Ventisette che Kiev “diventi più stabile, più prospera e solidamente fondata sullo Stato di diritto, come il caso dell’Estonia dimostra”, e di qui la necessità di “dare una prospettiva di adesione” all’Ucraina: “È un dovere morale, perché gli ucraini stanno combattendo anche per l’Europa. Se non ora quando?”
    La leader del Paese baltico non ha avuto esitazioni a definire l’azione di Bruxelles come “unità da Unione geopolitica“, che “ha sorpreso Putin, il mondo e oserei dire anche noi stessi”, dal momento in cui “abbiamo cambiato più nelle ultime due settimane che nei precedenti trent’anni”. È notizia di questa mattina che gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno dato il via libera per inasprire le sanzioni contro Russia e Bielorussia. “Un nuovo pacchetto di sanzioni economiche contro più di 100 responsabili del governo e dell’oligarchia russa sta già circolando tra i Paesi membri”, ha confermato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.

    🔴 #Ukraine | Approbation par le COREPER II de nouvelles sanctions à l’encontre de dirigeants et oligarques russes et de membres de leurs familles impliqués dans l’agression russe contre l’Ukraine. ⤵️ 1/5 #PFUE2022 pic.twitter.com/SHatb7ZD4z
    — Présidence française du Conseil de l’UE 🇫🇷🇪🇺 (@Europe2022FR) March 9, 2022

    Nel suo intervento alla plenaria del Parlamento UE, la premier estone Kallas ha parlato sia dei profughi in arrivo dall’Ucraina, sia del popolo russo. Sono già 2 milioni quelli in fuga dal territorio ucraino verso l’UE “e continueranno ad arrivare, perché in un conflitto i rifugiati si dirigono verso dove c’è sicurezza, e non è la Russia”. L’obiettivo di Putin è quello di “terrorizzare i civili”, una strategia già sperimentata a Grozny, nel corso della seconda guerra cecena: “Asili, ospedali, edifici residenziali sono presi di mira, in violazione del diritto internazionale umanitario”.
    Ma la guerra di Putin è anche contro il proprio stesso popolo. “Ha lasciato i russi senza accesso alla verità, vivono isolati dall’informazione”, ha attaccato Kallas. “Il nostro compito è quello di rompere questo muro di bugie“, mobilitando “il nostro potenziale tecnologico per vincere la guerra per la verità” anche grazie al “ruolo enorme delle piattaforme globali di Internet”. La premier estone si è rivolta direttamente ai cittadini russi, ricordando che “l’Unione Europea non sta agendo contro di voi, ma è il vostro governo che sta istituendo pratiche familiari al passato sovietico”, dal razionamento delle derrate alimentari alla censura, fino all’indottrinamento dei bambini. “State vedendo solo l’inizio di una privazione che peggiorerà, capiamo che vi farà male, come lo fa a noi, ma dobbiamo mettere fine alla barbarie di Putin”, ha concluso con una nota tetra la prima ministra estone dal podio di Strasburgo.

    Intervenuta alla plenaria del Parlamento UE, la prima ministra Kaja Kallas ha avvertito che “Putin ci metterà alla prova e noi dovremo resistere, questa è una maratona in cui esercitare pazienza strategica”