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    Lo storico accordo sui documenti d’identità tra Kosovo e Serbia, grazie alla mediazione Ue. Ora tocca alle targhe

    Bruxelles – Bisogna leggere tra le righe dell’intesa tra Pristina e Belgrado per capire quanto si tratti di un accordo storico per la regione balcanica. Il via libera reciproco ai documenti d’identità nazionali alla frontiera è un primo riconoscimento de facto della sovranità del Kosovo da parte della Serbia, nonostante Belgrado si rifiuti per principio di definirlo come tale: mai nei 14 anni d’indipendenza unilaterale di Pristina la polizia di frontiera serba aveva consentito l’ingresso nel Paese a persone che mostravano una carta d’identità rilasciata dalle autorità kosovare (al loro posto venivano rilasciati documenti serbi provvisori).
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 18 agosto 2022
    “Nell’ambito del dialogo facilitato dall’Unione Europea, la Serbia ha accettato di abolire i documenti di ingresso e uscita per i possessori di documenti d’identità kosovari, mentre il Kosovo ha accettato di non introdurli per i possessori di documenti d’identità serbi“, si legge in una nota dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Nello stesso accordo tra Pristina e Belgrado è contenuta la precisazione che i serbi del Kosovo “potranno viaggiare liberamente tra il Kosovo e la Serbia utilizzando le proprie carte d’identità”, grazie alle garanzie fornite a Bruxelles dal premier kosovaro, Albin Kurti. “Lieto” di annunciare l’intesa sulla libertà di circolazione raggiunta nella giornata di sabato (27 agosto), l’alto rappresentante Borrell ha sottolineato che il risultato è stato reso possibile grazie all’incontro di alto livello del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’Ue della scorsa settimana e agli “intensi sforzi” continuati nelle due capitali nei giorni seguenti in coordinamento con “i nostri partner statunitensi”.
    Da Bruxelles e da Washington si guarda a questo accordo storico come un segnale incoraggiante di disponibilità al compromesso anche su un’altra questione calda nell’estate 2022. L’alto rappresentante Borrell non ha nascosto che “ci sono alcuni problemi ancora aperti e mi aspetto che entrambi i leader continuino a dare prova di pragmatismo e costruttività per risolvere il problema delle targhe“. Dopo quasi un anno di soluzione provvisoria, a fine luglio erano scoppiate nuove tensioni nel nord del Kosovo sulla questione delle targhe automobilistiche al passaggio della frontiera, a seguito della decisione del governo di Pristina di introdurre l’obbligo su tutto il territorio nazionale di utilizzare quelle kosovare al posto di quelle serbe (molto diffuse tra la minoranza serba nel nord del Paese) a partire dal primo agosto. Prorogata di un mese, la misura identica a quella applicata da Belgrado entrerà in vigore da giovedì primo settembre.

    I am happy that we found a European solution that facilitates travel between #Kosovo and #Serbia, which is in the interest of all citizens of Kosovo and Serbia.
    I thank @predsednikrs and @albinkurti for their leadership, and underline the excellent practical EU – US cooperation pic.twitter.com/kO4UZNenwk
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) August 27, 2022

    Anche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha salutato “con favore” l’accordo sulla libera circolazione tra Pristina e Belgrado, ma allo stesso tempo ha esortato il premier kosovaro Kurti e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, a “risolvere le questioni in sospeso attraverso il dialogo politico”. In Kosovo è di stanza il più grande contingente dell’Alleanza Atlantica, la cui forza militare internazionale Kosovo Force (Kfor) dispiega circa 3.700 soldati e il cui mandato è quello di “contribuire al mantenimento di un ambiente sicuro e protetto” nella regione e alla “dissuasione di nuove ostilità”. In un tweet lo stesso segretario generale Stoltenberg ha ribadito che “la Nato rimane vigile”. Dalle due capitali sono arrivate reazioni opposte. Il premier Kurti ha sottolineato con entusiasmo che “la reciprocità è lo spirito di una soluzione giusta e di principio“, ricordando che “i cittadini della nostra Repubblica possono ora recarsi in Serbia liberamente e da pari a pari”, mentre Pristina “non introdurrà documenti di ingresso e uscita per i documenti serbi”. Il presidente Vučić ha invece messo in rilievo che “è fondamentale” che i serbi del Kosovo possano entrare e uscire dal Kosovo “liberamente” con documenti rilasciati dalle autorità di Belgrado, ma ribadendo con forza che il compromesso con Pristina è solo per “ragioni pratiche” e che questo “non rappresenta un riconoscimento implicito dell’indipendenza”.
    La posizione non cambia – “in base alla Costituzione serba, il Kosovo è parte integrante della Repubblica di Serbia” – ma è sotto gli occhi di tutti che accettare i documenti d’identità rilasciati da un’autorità che si considera nazionale ha nei fatti delle implicazioni concrete sul riconoscimento della sovranità del Paese stesso. I rapporti tra Pristina e Belgrado rimangono comunque molto tesi, sia per la questione delle targhe sia per la volontà del Kosovo di presentare la richiesta formale di adesione Ue entro la fine dell’anno. Anche per le spinte e nazionaliste in entrambi i Paesi, un accordo finale sembra ancora molto distante e Bruxelles dovrà spingere ancora molto sul dialogo per dare seguito a questo passo storico: al centro della disputa non c’è solo il riconoscimento formale della sovranità del Kosovo da parte della Serbia, ma anche il rispetto da parte di Pristina dell’intesa del 2013 sulla creazione della Comunità delle municipalità serbe nel Paese (ancora non implementata per il timore che nel Paese si crei una Republika Srpska come in Bosnia ed Erzegovina, problematica anche per l’Unione Europea).

    Citizens of our Republic may now travel to Serbia freely as equals. I want to thank HRVP Borrell, EUSR Lajcak, DAS Escobar & Ambasador Hovenier for their contribution. Reciprocity is the spirit of a principled & just solution. 🇽🇰will not introduce entry-exit docs for Serbian IDs.
    — Albin Kurti (@albinkurti) August 27, 2022

    A questo scenario complesso si è aggiunta un’altra controversia, che dimostra quanto la posizione intransigente di Vučić risponda a delicate dinamiche interne al Paese, in particolare in relazione all’elettorato nazionalista su cui ha costruito il proprio successo politico. Conferendo un nuovo mandato di governo alla premier uscente, Ana Brnabić, dopo le elezioni dello scorso 3 aprile (l’esecutivo sarà formato entro i prossimi 20 giorni), il presidente serbo ha annunciato proprio sabato scorso che l’EuroPride in programma tra il 12 e il 18 settembre a Belgrado sarà “annullato o rinviato”. La dichiarazione ha alzato un polverone di polemiche in tutta Europa, ma va rilevato un tecnicismo non irrilevante: Vučić non ha detto “vietato”, perché un’autorità nazionale non ha il potere di cancellare l’evento più atteso dalla comunità LGBTQ+ europea una volta assegnata la città, fatta eccezione per ragioni di sicurezza pubblica motivate dalle forze di polizia. Il numero uno della Serbia ha fatto riferimento a “questioni urgenti” – ovvero la disputa di confine con il Kosovo e la crisi energetica – che nulla c’entrano con lo svolgimento pacifico della manifestazione annuale itinerante.
    Ecco perché questa dichiarazione deve essere letta in ottica puramente politica: nel giorno dell’annuncio di un accordo di compromesso storico con il Kosovo, Vučić ha ritenuto necessario distogliere l’attenzione dei partiti di estrema destra e della Chiesa Ortodossa, concedendo loro un ‘successo’ interno dopo le manifestazioni di agosto nella capitale serba contro l’EuroPride (i vertici religiosi hanno addirittura minacciato “maledizioni contro tutti coloro che organizzano e partecipano a una cosa del genere”). Il governo Brnabić ha appoggiato la decisione del presidente, affermando che non sussistono le condizioni per lo svolgimento dell’EuroPride in sicurezza: “Gruppi estremisti potrebbero approfittare di tale evento per alimentare tensioni e creare instabilità in Serbia“, si legge in una nota. Anche questa posizione si mostra precaria e poco fondata, dal momento in cui la marcia del Pride Month di Belgrado si svolge ininterrottamente da otto anni (dopo un’interruzione per le violenze dell’estrema destra nel 2010) e dal 2017 vi partecipa anche Brnabić, prima premier omosessuale dichiarata nella storia del Paese.
    Gli organizzatori hanno denunciato l’illegalità della decisione e hanno confermato che la marcia dell’EuroPride si terrà in ogni caso il 17 settembre, come da programma: “Lo Stato non può cancellare l’evento, sarebbe una chiara violazione della Costituzione nazionale”, oltre che “degli articoli 11, 13 e 14 della Convenzione europea sui diritti umani, che la Serbia ha ratificato come membro del Consiglio d’Europa”. Nel comunicato viene anche ricordato che dopo l’assegnazione dell’evento a Belgrado nel 2019 la premier serba aveva promesso “pieno appoggio” alla manifestazione e alla protezione dei diritti della comunità LGBTQ+ nel Paese. Immediata la levata di scudi in difesa dell’EuroPride 2022 anche a Bruxelles. “I diritti non siano ostaggio dell’estrema destra“, ha ribadito con forza l’eurodeputata del Partito Democratico, Alessandra Moretti, ribadendo che “l’Europa non fa passi indietro sulle libertà”. Messaggio rinforzato dalla co-presidente dell’intergruppo LGBTQ+ del Parlamento Europeo, Terry Reintke: “Siamo pienamente solidali con il Belgrade Pride, saremo con voi fra tre settimane e marceremo per le strade di Belgrado“.

    The @LGBTIintergroup in the European Parliament stands in full solidarity with @belgradepride 🌈
    We will be there for @EuroPride in 3 weeks and march with you in the streets of Belgrade.
    Freedom of assembly is a fundamental right.
    We stand together to defend our rights.
    💕✨ pic.twitter.com/OHgNqG9Zsv
    — Terry Reintke (@TerryReintke) August 27, 2022

    L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha annunciato che i due governi hanno raggiunto l’intesa sull’uso delle rispettive carte d’identità alla frontiera, grazie al dialogo mediato da Bruxelles. È un primo passo per il riconoscimento (de facto) della sovranità di Pristina da parte di Belgrado

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    Il Kosovo è pronto a presentare la domanda di adesione all’Unione Europea entro la fine dell’anno

    Bruxelles – Il Kosovo spinge sempre più forte sull’acceleratore e, dopo la richiesta di adesione al Consiglio d’Europa, è pronta a continuare con estrema determinazione sulla strada della candidatura a Paese membro dell’Unione Europea. È stato lo stesso premier del Kosovo, Albin Kurti, ad anticipare all’agenzia di stampa turca Anadolu la volontà del governo di Pristina di presentare la richiesta formale per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione Ue entro la fine dell’anno. La decisione è arrivata ieri (mercoledì 24 agosto) durante l’ultima riunione del governo, con l’adozione della proposta di formare un gruppo di lavoro interistituzionale incaricato di formulare la richiesta formale alla Commissione Europea.
    Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    Se il Kosovo vuole raggiungere la piena adesione all’Ue, deve però affrontare una serie di difficoltà dentro e fuori la regione dei Balcani Occidentali. Tutto parte dalla dichiarazione di indipendenza unilaterale dalla Serbia del 17 febbraio 2008, mai riconosciuta non solo da Belgrado, ma anche da cinque Paesi membri Ue: Spagna, Grecia, Slovacchia, Cipro e Romania. Questa posizione sta mostrando che impatto possano esercitare i cinque governi europei sulla libertà di manovra di Bruxelles nelle aperture nei confronti di Pristina, a partire dalla questione della liberalizzazione dei visti. Nonostante la Commissione abbia riconosciuto dal 2016 che Pristina ha soddisfatto tutte le richieste, anche al vertice Ue-Balcani Occidentali dello scorso giugno non è stato trovato un accordo tra i Paesi membri Ue per permettere ai cittadini kosovari di viaggiare liberamente sul suolo europeo.
    A questo si somma un rapporto ancora particolarmente teso proprio con Belgrado, all’interno del dialogo mediato dall’Unione Europea a partire dal 2008. Una settimana fa (giovedì 18 agosto) si è svolto a Bruxelles il sesto incontro di alto livello con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier kosovaro Kurti, portati allo stesso tavolo dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Il vertice non ha prodotto alcun risultato concreto, ma è stato definito “di gestione della crisi” dall’alto rappresentante, a sottolineare quanto fosse necessario che i due leader balcanici si confrontassero. A fine luglio erano scoppiate nuove tensioni nel nord del Kosovo sulla questione delle targhe automobilistiche e dei documenti d’identità al passaggio della frontiera, dopo la decisione del governo di Pristina di introdurre l’obbligo su tutto il territorio nazionale di utilizzare quelle kosovare al posto di quelle serbe (molto diffuse tra la minoranza serba nel nord del Paese) a partire dal primo agosto. Prorogata di un mese, la misura identica a quella applicata da Belgrado entrerà in vigore dal primo settembre, ha confermato oggi lo stesso Kurti.

    Il presidente serbo #Vucic ha reso note le richieste del premier kosovaro #Kurti per l’accordo finale tra 🇽🇰 e 🇷🇸👇
    1/3 https://t.co/X2SGJZfpjQ
    — BarBalcani // BarBalkans (@BarBalcani) August 21, 2022

    Dopo l’incontro tra Vučić e Kurti è stato il presidente serbo a rendere note le condizioni poste dal premier kosovaro per raggiungere l’accordo finale sulla normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi. Il primo punto definisce i principi generali delle relazioni bilaterali, come il riconoscimento reciproco e l’ingresso del Kosovo nelle organizzazioni internazionali, il secondo disciplina la risoluzione dei problemi del passato (persone scomparse, restituzione dei manufatti artistici sottratti dalla Serbia, riparazioni di guerra), mentre il terzo si concentra sulla cooperazione futura tra Pristina e Belgrado. Il governo Kurti vuole anche mettere nero su bianco gli uguali diritti dei cittadini di etnia albanese a Bujanovac e Presevo (in Serbia), ma concede aperture sugli accordi già siglati (in particolare la controversa istituzione delle Comunità delle municipalità serbe in Kosovo), per arrivare infine alla stipulazione dell’accordo conclusivo.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 18 agosto 2022
    La decisione del governo di Pristina di presentare la domanda di adesione Ue dimostra la volontà del Kosovo di muoversi su diversi binari paralleli e di preparare il terreno a Bruxelles aggiungendo un elemento di pressione sulla Serbia per portare a termine il dialogo tra le due parti. Si attende una risposta da Belgrado, che difficilmente sarà diversa dal recente passato. Già a fine luglio la ministra degli Esteri kosovara, Donika Gërvalla, aveva ventilato la possibilità di porre la fine del 2022 come data ultima per la presentazione della richiesta formale sullo status di Paese candidato all’adesione Ue e il presidente serbo Vučić aveva commentato in modo durissimo: “Il giorno in cui scopriremo che hanno chiesto ufficialmente di aderire a un’organizzazione, la nostra risposta sarà molto più forte di quanto pensino e non sarà solo una dichiarazione ai media“.
    La ministra Gërvalla aveva fatto riferimento al fatto che il Kosovo “ha già attuato la maggior parte dell’Accordo di stabilizzazione e associazione” e che soddisfa “tutti i prerequisiti per ottenere lo status” di Paese candidato all’adesione Ue. Pristina si aspetta anche che il processo che porterà al suo ingresso al Consiglio d’Europa “non richieda tanto tempo come per altri Paesi della regione”, grazie al lavoro fatto su diritti umani, standard democratici e Stato di diritto. In ballo potrebbe esserci anche la candidatura al programma di Partenariato per la pace della Nato, ma in questo caso l’unanimità dei membri dell’Alleanza Atlantica potrebbe diventare un importante ostacolo.
    Il processo di adesione all’Unione Europa
    Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione, per diventare un Paese membro dell’Ue è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen. Ottenuto il parere positivo della Commissione, si può arrivare o alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione – un accordo bilaterale tra Ue e Paese richiedente, utilizzato in particolare per i Balcani Occidentali, a cui viene offerta la prospettiva di adesione – o direttamente il conferimento dello status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.
    Il processo di allargamento UE coinvolge i sei Paesi dei Balcani Occidentali – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – la Turchia (i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan), Georgia, Moldova e Ucraina. Le ultime due hanno ricevuto lo status di Paesi candidati il 24 giugno, mentre la Georgia è ancora ferma alla richiesta di adesione (con la “prospettiva europea” per Tbilisi). Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente dal 2014 e dal 2012, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord si è sbloccato dopo tre anni di stallo, con l’avvio dei negoziati lo scorso 19 luglio. La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016, mentre il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione. Proprio da Pristina si aspettano le prossime novità, ma, per quanto le autorità del Kosovo proveranno a spingere, il cammino verso l’adesione Ue rimarrà tutto in salita.

    Lo ha anticipato il premier kosovaro, Albin Kurti, al termine dell’ultima riunione del governo di Pristina. È stata approvata la proposta per la formazione di un gruppo di lavoro interistituzionale che dovrà formulare la richiesta formale per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione

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    Alla vigilia del vertice di Bruxelles tra Vučić e Kurti, l’Ue condanna la “retorica incendiaria” tra Serbia e Kosovo

    Bruxelles – I presupposti vanno tutti nella direzione di un vertice tanto atteso quanto delicato e difficilmente risolutivo. A due giorni dal nuovo incontro tra il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, nel quadro del dialogo facilitato dall’Ue, il clima rimane teso e da Bruxelles arrivano richiami alla collaborazione e alla distensione dei rapporti, che hanno conosciuto nuove tensioni nelle ultime settimane.
    “A breve saranno pubblicati i dettagli sui temi da affrontare al vertice di alto livello di giovedì 18 agosto, ma saranno discusse tutte le questioni più importanti“, ha confermato la portavoce della Commissione Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali, nel corso del punto quotidiano con la stampa europea. “Non voglio speculare sui possibili risultati, per noi rimane importante che entrambe le parti mettano fine alle ostilità e alla retorica incendiaria e mostrino piena responsabilità” nell’affrontare il sesto vertice di alto livello, ha poi precisato la portavoce. Il riferimento è alle dichiarazioni degli scorsi giorni di entrambi i leader balcanici sulla situazione nel nord del Kosovo, dove da inizio mese è tornata di attualità la questione delle targhe automobilistiche al passaggio della frontiera. I disordini – mai fuori controllo, nonostante alcuni incidenti tra le forze dell’ordine di Pristina e i cittadini kosovari di etnia serba – sono stati definiti “a un passo dalla catastrofe” dal presidente serbo Vučić, mente il premier kosovaro Kurti ha utilizzato una serie di interviste (anche a Repubblica) per mettere in guardia da una potenziale guerra serba fomentata dalla Russia di Putin.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 15 giugno 2021
    L’avvertimento di non seguire la strada della retorica “incendiaria” era già arrivato domenica (14 agosto) in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), preoccupato per le dichiarazioni sulla guerra e sul conflitto nei Balcani Occidentali: “I politici di alto livello delle due parti saranno ritenuti responsabili di qualsiasi escalation che porti a un aumento delle tensioni e, potenzialmente, della violenza nella regione”. Un richiamo esplicito al presidente della Serbia e al premier del Kosovo, richiamati alla “responsabilità” e al confronto costruttivo all’interno del dialogo facilitato dall’Ue: “Il raggiungimento di un accordo globale e giuridicamente vincolante sulla piena normalizzazione delle relazioni richiede un clima che contribuisca a ripristinare la fiducia, la riconciliazione e le buone relazioni”, è la posizione di Bruxelles, che continua a insistere sul rispetto e la “piena attuazione” degli accordi già raggiunti, come quello in ambito energetico del 21 giugno scorso e l’intesa del 2013 (che Pristina ancora si rifiuta di attuare sul punto dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo).
    Nel suo richiamo alle due parti l’Ue è forte anche dello “stretto coordinamento” con gli Stati Uniti e con la Nato, attraverso la collaborazione tra la missione civile Eulex e i 3.700 soldati della Kosovo Force (Kfor), la forza militare internazionale per l’ordine e la pace in Kosovo. È anche per questo motivo che, prima del vertice di giovedì presieduto da Josep Borrell, alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Vučić e Kurti incontreranno domani (mercoledì 17 agosto) il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg. Dopo le notizie delle barricate e dei disordini al confine tra Serbia e Kosovo dello scorso 31 luglio, proprio la missione Nato in Kosovo aveva rilasciato un comunicato in cui avvertiva di essere “pronta a intervenire se la stabilità viene messa a repentaglio” nella regione e a prendere tutte le misure necessarie per mantenere un ambiente sicuro e protetto in Kosovo in ogni momento, in linea con il suo mandato Onu”.

    Sul tavolo dell’incontro di alto livello con il presidente serbo e il premier kosovaro ci saranno “tutti i temi più importanti ancora aperti” tra Belgrado e Pristina. L’Ue si aspetta “piena responsabilità e la fine alle ostilità da entrambe le parti”, in particolare sulla questione delle targhe

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    Dopo le tensioni al confine tra Serbia e Kosovo, si terrà il 18 agosto a Bruxelles il nuovo round di dialogo ad alto livello

    Bruxelles – Dopo le tensioni di confine, il tentativo di rimettere insieme i cocci con il dialogo. Si terrà il prossimo 18 agosto il nuovo incontro a Bruxelles tra il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, nel quadro del dialogo facilitato dall’Unione Europea, a più di un anno dall’ultimo (il quinto) infruttuoso vertice di alto livello mediato dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e dal rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák. “L’invito dell’alto rappresentante Borrell è stato accettato da entrambe le parti”, ha spiegato il portavoce Peter Stano durante il punto quotidiano con la stampa europea. “Speriamo in un buon incontro, è da tempo che c’è necessità di un incontro di questo livello“, ha aggiunto.
    Il nuovo round di alto livello tra i leader di Serbia e Kosovo arriva dopo le tensioni di confine dell’ultima settimana sulla questione delle targhe automobilistiche al passaggio della frontiera, un tema che già nel settembre del 2021 aveva esacerbato i rapporti tra i due Paesi. A seguito di quella che era stata definita “la battaglia delle targhe” (per l’imposizione da parte del governo di Pristina dell’applicazione di targhe di prova kosovare ai veicoli serbi in ingresso, misura identica a quella applicata da Belgrado), a Bruxelles era stato trovato un accordo per trovare – all’interno di un gruppo di lavoro congiunto – una soluzione definitiva al problema entro il 21 aprile 2022, sulla base di pratiche e standard comunitari (mentre temporaneamente sono stati coperti con degli adesivi i simboli nazionali sulle rispettive targhe). Dopo otto incontri in sei mesi tra gli esperti di Belgrado e Pristina, il compito di raggiungere l’intesa è passato ai capi-negoziatori delle due parti – con indiscrezioni della presenza di tre proposte sul tavolo – ma da mesi la situazione è in stallo.

    In cooperation with our international allies, we pledge to postpone implementation of decisions on car plates & entry-exit documents at border crossing points w/ Serbia for 30 days, on the condition that all barricades are removed & complete freedom of movement is restored. pic.twitter.com/oJNaQi0qPO
    — Albin Kurti (@albinkurti) July 31, 2022

    A gettare di nuovo benzina sul fuoco è stata la decisione del governo di Pristina di introdurre l’obbligo su tutto il territorio nazionale di utilizzare le targhe kosovare al posto di quelle serbe (molto diffuse tra la minoranza serba nel nord del Paese) a partire da lunedì primo agosto. La misura ha scatenato le proteste proprio di centinaia di cittadini di etnia serba, che hanno creato barricate ai valichi di confine di Jarinje e Bernjak. Dopo il crescere delle tensioni tra i manifestanti e la polizia – con alcuni spari da parte dei primi, che non hanno provocato nessun ferito – su consiglio di Bruxelles e di Washington il premier Kurti ha deciso di posticipare l’introduzione dell’obbligo di un mese, al primo di settembre.
    Come hanno fatto notare diversi analisti, la situazione non è mai sfuggita di mano anche nei momenti di maggiore tensione, sia per la retorica allarmistica e nazionalistica che rappresenta una costante nei rapporti tra i due Paesi, sia per la presenza del più grande contingente della Nato proprio in Kosovo (pronto a intervenire a ogni eventualità di scoppio delle ostilità). In ogni caso, ci si attende che all’incontro del 18 agosto tra Vučić e Kurti anche la questione delle targhe venga affrontata tra le priorità “da spingere nell’agenda del dialogo facilitato dall’Ue”, ha sottolineato il portavoce Stano, non volendo però rendere noti i temi su cui si concentreranno le discussioni di alto livello a Bruxelles.

    Welcome Kosovo decision to move measures to 1 September. Expect all roadblocks to be removed immediately.Open issues should be addressed through EU-facilitated Dialogue&focus on comprehensive normalisation of relations btwn Kosovo&Serbia, essential for their EU integration paths
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) July 31, 2022

    Al vertice nel quadro del dialogo facilitato dall’Unione Europea parteciperanno il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti. L’alto rappresentante Ue Borrell e il rappresentante speciale Lajčák proveranno a mediare anche sulla questione delle targhe

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    Da Belgrado un altro schiaffo a Bruxelles e alle sanzioni Ue. Dopo Sputnik, anche Russia Today aprirà una sede in Serbia

    Bruxelles – Se l’Unione Europea ancora continua ad appellarsi alla Serbia di Aleksandar Vučić per un allineamento alle sanzioni internazionali contro la Russia, la realtà dei fatti rimane ben distante. Non solo da un punto di vista di politica estera ed energetica, ma anche di informazione e disinformazione. L’ultima dimostrazione di questa assenza di volontà da parte di Belgrado nel chiudere la porta a Mosca per stringere i legami con Bruxelles è la notizia che “sono in corso i preparativi” per l’apertura in Serbia di una sede di Russia Today, organo di propaganda del Cremlino entrato nella lista delle sanzioni dell’UE a pochi giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.
    La caporedattrice di Sputnik Serbia, Ljubinka Milinčić
    A confermarlo in un’intervista per la rete televisiva serba Nova.rs è Ljubinka Milinčić, caporedattrice di Sputnik Serbia, l’altro media statale russo la cui distribuzione sul territorio comunitario è stata sospesa a inizio marzo per arginare la diffusione della disinformazione di Mosca sulla guerra in corso in Ucraina (dal 3 giugno sono state aggiunte altre tre grandi emittenti del Cremlino, Rossiya RTR/RTR Planeta, Rossiya 24/Russia 24 e TV Centre International). Ad assumere la guida di Russia Today in Serbia potrebbe essere la figlia della stessa caporedattrice di Sputnik Serbia, anche se Milinčić non ha voluto commentare l’indiscrezione di Nova.rs.
    Questa decisione allontana ancora di più le speranze di Bruxelles di una – ormai quasi irrealizzabile – adozione da parte di Belgrado delle sanzioni internazionali contro la Russia, considerato il fatto che la Serbia è un Paese candidato all’adesione Ue e che tra i capitoli negoziali compare anche l’allineamento alla politica estera dell’Unione. Sul piano della disinformazione, per Bruxelles Russia Today e Sputnik sono considerati “essenziali e strumentali” nel sostenere l’aggressione della Russia contro l’Ucraina, specifica una nota del Consiglio sulla sospensione della distribuzione via cavo, satellite, Iptv (sistema di trasmissione di segnali televisivi su reti informatiche), piattaforme, siti web e app. Come documentato dalla task force East StratCom del Servizio europeo di azione esterna (Seae) contro la disinformazione, i due media statali russi rappresentano una minaccia “significativa e diretta” per la sicurezza dell’Unione Europea e per i partner già stretti – tra cui sarebbe inclusa anche la Serbia – dal momento in cui “fanno parte di uno sforzo coordinato di manipolazione delle informazioni”.
    La questione del non-allineamento della Serbia alle sanzioni UE non riguarda solo l’ambito della disinformazione, ma anche – e soprattutto – quello energetico. A fine maggio il presidente Vučić ha stretto un accordo con Vladimir Putin per la fornitura di 2,2 miliardi di metri cubi di gas (il 73 per cento del fabbisogno annuale nazionale) a condizioni economiche particolarmente favorevoli, proprio mentre i Paesi membri dell’Ue si stanno vedendo tagliare le forniture di gas dal colosso energetico russo Gazprom e Bruxelles sta cercando di spingere l’indipendenza energetica dalle fonti fossili di Mosca entro il prossimo autunno. A inizio giugno il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, si sarebbe dovuto recare in visita a Belgrado per definire i dettagli dell’accordo informale sull’energia tra i due Paesi. Ma sono state proprio le sanzioni Ue in vigore in Bulgaria (uno dei Ventisette), in Macedonia del Nord e in Montenegro (partner balcanici dell’Unione) a impedire il viaggio di Lavrov in Serbia con la chiusura dei rispettivi spazi aerei, come previsto dalle misure restrittive che includono il divieto di ingresso e transito sul territorio dei Paesi membri e dei partner allineati per gli individui sanzionati.

    La caporedattrice di Sputnik Serbia, Ljubinka Milinčić, ha confermato che anche l’altro organo di propaganda del Cremlino aprirà un ufficio di rappresentanza nella capitale. La distribuzione dei due media statali russi è stata sospesa sul territorio Ue dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina

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    La sanzioni UE hanno costretto il ministro russo Sergei Lavrov ad annullare la visita in Serbia

    Bruxelles – Se fosse stato necessario un episodio simbolico per confermare l’efficacia delle sanzioni UE contro la Russia, oggi è arrivato. Il viaggio in Serbia del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, è stato annullato a causa della decisione di Bulgaria, Macedonia del Nord e Montenegro di applicare le misure restrittive volute dai Ventisette e condivise da tutti i partner balcanici (fatta eccezione per Serbia e Bosnia ed Erzegovina), chiudendo i rispettivi spazi aerei al velivolo che lo avrebbe dovuto portare a Belgrado.
    È dal 25 febbraio (il giorno successivo all’inizio dell’invasione in Ucraina) che il presidente russo, Vladimir Putin, e il suo braccio destro Lavrov sono stati inseriti nella lista delle sanzioni dell’UE. Nei confronti dei soggetti colpiti dalle misure restrittive – dopo sei pacchetti di sanzioni, 1158 individui e 98 entità – è previsto il congelamento dei beni e il divieto di mettere fondi a loro disposizione, ma anche il divieto di viaggio che impedisce l’ingresso o il transito attraverso il territorio dei Paesi membri e dei partner allineati. È su questa base che nella giornata di ieri (domenica 5 giugno) i governi bulgaro (uno dei Ventisette), macedone e montenegrino hanno preso la decisione di applicare la misura nel caso la rotta del velivolo su cui avrebbe dovuto viaggiare Lavrov fosse passata per il proprio spazio aereo tra oggi e domani.

    La visita programmata in Serbia avrebbe dovuto portare Lavrov a colloquio con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e in un secondo momento con il ministro degli Interni, Aleksandar Vulin. Al centro delle discussioni ci sarebbe dovuta essere l’intesa per il rinnovo di altri tre anni del contratto sulla fornitura di gas naturale russo verso il Paese balcanico a condizioni favorevoli, con la definizione dei dettagli dell’accordo informale preso telefonicamente tra i due presidenti la settimana scorsa. Il viaggio di Lavrov era programmato da giorni e, se si fosse concretizzato, sarebbe stato il primo in un Paese europeo dall’inizio della guerra in Ucraina. A questo punto è probabile che sarà il ministro degli Esteri serbo, Nikola Selaković, a volare prossimamente a Mosca, considerato il fatto che la compagnia di bandiera Air Serbia è l’unico vettore che ancora opera da e verso la Russia.
    Da sinistra: il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e l’omologo russo, Vladimir Putin
    “Sono profondamente dispiaciuto per l’ostruzione alla visita di un grande e comprovato amico della Serbia“, ha commentato il ministro Vulin in un comunicato: “Chi ha impedito l’arrivo di Lavrov non vuole la pace, sogna di sconfiggere la Russia, e la Serbia è orgogliosa di non far parte dell’isteria anti-russa“. Una nuova porta chiusa in faccia a Bruxelles sulla necessità di allinearsi alle sanzioni internazionali contro Mosca, per riflettere anche nella pratica la condanna dell’aggressione militare ai danni dell’Ucraina e per abbandonare la presunta politica di neutralità. Da parte del presidente serbo è stata invece espressa “insoddisfazione” per gli impedimenti alla visita di Lavrov ed è stata ribadita la volontà di mantenere “l’indipendenza e l’autonomia nel processo decisionale politico”, anche al netto del percorso di avvicinamento all’UE. Lo si legge in un comunicato pubblicato solo in lingua serba (come quello del ministro Vulin, non tradotto nella sezione del sito in inglese), al termine dell’incontro con l’ambasciatore russo in Serbia, Alexander Bocan Kharchenko. Durante l’incontro si è parlato anche di un possibile incontro tra i ministri degli Esteri dei due Paesi.
    Intanto però la questione sta creando tensione nella regione balcanica, in particolare con la Croazia, Paese membro UE. “Non siamo in tempi in cui si può stare seduti su due sedie”, ha commentato nel corso di una conferenza stampa il premier croato, Andrej Plenković, a proposito del viaggio annullato da Lavrov. “La Serbia deve decidere da che parte stare, se ha veramente l’ambizione di continuare sulla strada dell’integrazione nell’Unione Europea“, ha incalzato il leader dell’esecutivo di Zagabria. Immediata e rabbiosa la reazione di Belgrado, per voce del ministro Vulin: “Plenković non capisce che la Serbia è seduta su un unica sedia, quella serba, e che non è un territorio, ma uno Stato [un riferimento tra le righe al contrasto con il Kosovo sulla questione dell’autoproclamata indipendenza, ndr] e sono gli Stati a decidere chi sono i loro amici”. Con un riferimento che porta indietro le lancette della storia di 30 anni, ai tempi delle guerre nell’ex-Jugoslavia: “Se c’è un popolo che ha inequivocabilmente scelto la parte sbagliata della storia, è quello croato, e se c’è un popolo che ha portato i croati dalla parte giusta della storia, è quello serbo”, è stato l’accusa sibillina del ministro degli Interni di Belgrado.

    Bulgaria, Macedonia del Nord e Montenegro hanno chiuso il proprio spazio aereo al volo del braccio destro di Vladimir Putin, applicando le misure restrittive condivise tra i partner internazionali. Il viaggio era previsto per definire i dettagli dell’accordo sul gas Mosca-Belrado

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    Le richieste di Bruxelles non scalfiscono Belgrado. La Serbia riceverà per altri tre anni il gas russo a condizioni favorevoli

    Bruxelles – L’UE incalza, la Serbia non cede. Nonostante le incessanti richieste di allineamento alle sanzioni internazionali contro la Russia che arrivano dai Ventisette, e che Belgrado sta rispedendo al mittente, la Serbia sta anche dimostrando di non voler fare nulla per allentare il forte legame con Mosca. Il presidente Aleksandar Vučić ha trovato un’intesa strategica con il collega russo Vladimir Putin, per il rinnovo di altri tre anni del contratto sulla fornitura di gas naturale russo verso il Paese balcanico – in scadenza il 31 maggio – “a condizioni estremamente favorevoli”.
    Come riportano i media statali serbi, l’intesa tra i due leader è stata trovata ieri (domenica 29 maggio) nel corso di una telefonata e la firma potrebbe concretizzarsi nei primissimi giorni di giugno nel corso di una visita a Belgrado da parte del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov (sarebbe la prima in un Paese europeo dall’inizio della guerra in Ucraina). A quanto si apprende, Vučić e Putin hanno anche confermato la propria disponibilità a continuare la partnership rafforzata tra i due Paesi e hanno discusso della guerra in Ucraina e della questione del Kosovo. Per quanto riguarda la fornitura del gas dalla Russia alla Serbia, i dettagli saranno formalizzati all’inizio di questa settimana, ma alcune anticipazioni sono arrivate nel corso di una conferenza stampa del presidente Vučić al termine della telefonata con Putin: “La Serbia ha bisogno di grandi quantità di gas, ma avremo un inverno sicuro, mentre il costo dipenderà da ulteriori colloqui”.
    Da sinistra: il presidente della Serbia, Aleksander Vučić, e della Russia, Vladimir Putin
    Secondo quanto riferito dallo stesso Vučić, la Serbia importa dalla Russia l’81 per cento del suo fabbisogno totale di gas, che si attesta attorno ai tre miliardi di metri cubi all’anno: la metà è destinata alle centrali termiche ed elettriche, mentre il 26 per cento è consumato dall’industria. Attualmente il gas naturale fornito da Gazprom costa alla Serbia 270 dollari per mille metri cubi e, stando alle parole del presidente serbo, durante l’inverno 2022 il prezzo potrebbe scendere a un decimo di quello pagato a Mosca dal resto del continente europeo (tra 310 e 410 dollari per mille metri cubi). L’intesa di massima si dovrebbe applicare per la fornitura di 2,2 miliardi di metri cubi di gas (il 73 per centro del fabbisogno annuale totale), mentre i restanti 800 milioni dovranno essere concordati successivamente.
    Ci sono diversi elementi che mantengono stretto il rapporto energetico tra Mosca e Belgrado. Prima di tutto, sarà necessario attendere la versione definitiva dell’accordo triennale siglata da entrambe le parti, senza dimenticare che nei prossimi mesi potrebbero essere trovate intese minori per integrare le necessità di gas del Paese balcanico. La russa Gazprom è poi proprietaria di maggioranza di Naftna Industrija Srbije (l’industria petrolifera serba), direttamente o attraverso società controllate: è anche l’unico fornitore di gas naturale in Serbia e il proprietario di maggioranza di entrambi i gasdotti che lo trasportano.
    Ciò che preoccupa Bruxelles è anche l’opportunismo del presidente Vučić, che da una parte cerca l’adesione del Paese nell’Unione Europea e dall’altra non appare intenzionato ad allentare l’alleanza storica con Putin. Se è vero che l’accordo per il gas al 2025 non influisce direttamente su nessun pacchetto di sanzioni UE contro la Russia, va sottolineato l’atteggiamento accusatorio del neo-rieletto presidente della Serbia nel presentarlo: “È molto favorevole per noi, anche se non è facile resistere perseguendo una politica indipendente e sovrana. Ma ci siamo riusciti dall’inizio della guerra in Ucraina ed è importante continuare a farlo”. Il riferimento è alle pressioni dei Ventisette per adottare le sanzioni economiche contro Mosca (la Serbia è l’unico Paese europeo a essersi opposta, insieme a Bosnia ed Erzegovina e Bielorussia) e abbandonare la presunta politica di neutralità e di condannare anche nei fatti l’aggressione militare russa.
    A questo si aggiunge un altro fattore sul medio-lungo periodo. Rispondendo alle domande dei giornalisti, Vučić ha ventilato l’ipotesi della costruzione di un nuovo impatto di stoccaggio di gas in Serbia gestito da Gazprom, tema di discussione durante la conversazione telefonica con il leader della Russia. Tutto questo si verificherebbe mentre Polonia e Bulgaria prima e Finlandia poi si sono viste tagliare le forniture di gas da Mosca e soprattutto mentre i 27 Paesi membri dell’UE dovranno cercare una via di uscita dalla dipendenza dalle fonti fossili russe, aumentando i partenariati internazionali e le vie di approvvigionamento (aperte anche alla Serbia). C’è un’ultima questione che, per quanto remota, non può far stare tranquillo il presidente Vučić. Se l’Unione Europea dovesse decidere di interrompere le forniture di gas da Mosca, la Serbia si troverebbe completamente tagliata fuori: il gasdotto BalkanStream (prolungamento del TurkStream che connette Russia e Turchia) passa dalla Bulgaria, mentre il gasdotto serbo-ungherese può essere chiuso da Budapest.

    Il presidente serbo, Aleksandar Vučić, non cede alle pressioni dei Ventisette sull’allineamento alle sanzioni contro Mosca e trova un accordo con Vladimir Putin per la fornitura di 2,2 miliardi di metri cubi di gas a prezzo agevolato rispetto al resto d’Europa

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    L’UE in pressing sulla Serbia: “Si allinei alle sanzioni contro la Russia e si impegni sul rispetto dello Stato di diritto”

    Bruxelles – Si riparte, ancora, da Aleksandar Vučić e dal suo rapporto ambiguo con Vladimir Putin. Dopo il trionfo alle elezioni di domenica (3 aprile) da parte del suo Partito Progressista Serbo, Bruxelles torna a pressare Belgrado per un maggiore allineamento della Serbia a livello di politica estera con l’Unione – in quanto Paese candidato all’adesione – e soprattutto perché cambi la sua posizione sulle sanzioni contro la Russia. La volontà del presidente Vučić di rimanere “neutrale” rispetto al campo occidentale, nel quale comunque sta cercando di entrare, e al Cremlino, tradizionale alleato politico e partner commerciale, nasconde tutta l’ambiguità di una scelta che sta creando non pochi problemi all’UE per il possibile aggiramento delle misure restrittive.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić
    Proprio in virtù dell’aggressione militare russa “non provocata e ingiustificata” contro la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, “ci aspettiamo che la Serbia, come Paese che sta negoziando la sua adesione all’UE, si allinei progressivamente alle nostre posizioni, comprese le dichiarazioni e le misure restrittive, in linea con il quadro negoziale”, hanno dichiarato in una nota l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. I Ventisette sono “il principale partner politico e, di gran lunga, economico della Serbia” ed è per questo che la condivisione dei pacchetti di sanzioni contro la Russia dovrebbe essere la naturale conseguenza dell’impegno dell’Unione nel Paese: “Continuiamo a sostenere la ripresa economica, l’energia, la sicurezza alimentare”, anche attraverso il Piano economico e di investimento per i Balcani occidentali.
    Oltre all’allineamento sulle sanzioni, c’è bisogno anche di un maggiore impegno della Serbia sul rispetto dello Stato di diritto, a partire dal risultato delle elezioni di domenica. “Il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche è un pilastro centrale del processo di adesione all’UE”, hanno ricordato Borrell e Várhelyi, puntualizzando che “una serie di carenze hanno portato a una competizione ineguale” alla vigilia del voto, come fatto notare dagli eurodeputati dopo la missione di osservazione elettorale in Serbia. “Incoraggiamo il nuovo Parlamento e la leadership politica a continuare a lavorare per un dialogo autentico e costruttivo in tutto lo spettro politico”, con l’obiettivo di arrivare a “un ampio consenso interpartitico sulle riforme“, necessario per il cammino verso l’UE: indipendenza del sistema giudiziario, lotta alla corruzione e al crimine organizzato, libertà di stampa e condanna senza eccezione dei crimini di guerra. Un riferimento particolare anche alla normalizzazione delle relazioni con il Kosovo attraverso il dialogo mediato dall’UE, “che determina il ritmo generale” dei negoziati di adesione all’UE di entrambe le parti.
    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e l’autocrate russo, Vladimir Putin
    Ma nello stesso momento in cui Bruxelles chiede alla Serbia di allinearsi alle sanzioni contro la Russia, proprio da Mosca arrivano le congratulazioni di Putin a Vučić per la sua “convincente vittoria” alle elezioni presidenziali. Come riportato dall’agenzia di stampa russa Tass, in un telegramma l’autocrate russo ha invitato il presidente serbo a “rafforzare la partnership strategica” tra i due Paesi, dimostrando quanto la politica di Vučić sia più vicina al Cremlino di quanto le sue dichiarazioni di “neutralità” vogliano far sembrare.

    Dopo l’esito delle elezioni di domenica 3 aprile, che hanno sancito il triplice trionfo del partito al potere, la Commissione Europea ha chiesto a Belgrado di “avvicinarsi alle posizioni dell’Unione” e prendere le distanze da Putin (che si è congratulato per la vittoria del presidente Vučić)