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    Costa incontra Vučić, ma non condanna lo scivolamento di Belgrado verso Mosca

    Bruxelles – L’Ue abbandona il bastone e sceglie la carota con la Serbia di Aleksandar Vučić, nonostante il leader autoritario continui a tenersi in stretti rapporti con Vladimir Putin e a gestire il Paese come un feudo personale. Il presidente del Consiglio europeo António Costa, in visita ufficiale nella capitale, ha mostrato un volto amichevole, incoraggiando lo Stato candidato a proseguire sulla via delle riforme e chiudendo un occhio sulle violazioni dello Stato di diritto.Inizia a Belgrado il tour di António Costa nei Balcani occidentali: tre giorni di incontri nelle cancellerie della regione, che si muovono in ordine sparso (e a velocità diverse) verso l’adesione al club a dodici stelle. Stamattina (13 maggio) è in Serbia, nel pomeriggio si sposterà in Bosnia-Erzegovina; quindi Montenegro, Kosovo, Macedonia del nord e infine Albania, dove venerdì (16 maggio) si terrà il sesto summit della Comunità politica europea.Adesione e riformeIl principale impegno istituzionale di Costa è stato un bilaterale con Aleksandar Vučić, il capo di Stato nazionalista al potere dal 2014 che sta trasformando la democrazia serba in un regime autoritario e sta spostando Belgrado sempre più lontana da Bruxelles e sempre più vicina a Mosca. Le rispettive delegazioni, riunitesi dopo il faccia a faccia tra i leader, si sono confrontate soprattutto sulle relazioni Ue-Serbia nella prospettiva dell’allargamento dell’Unione ai Balcani occidentali, nonché sulle opportunità di cooperazione economica.There is a positive momentum for enlargement and a clear opportunity for Serbia to seize it.During my meetings today in Belgrade with President @avucic, PM Macut @SerbianGov and Parliament speaker @anabrnabic, I stressed the importance of progressing towards EU accession… pic.twitter.com/alm4DhzBGA— António Costa (@eucopresident) May 13, 2025Durante una conferenza stampa congiunta al palazzo presidenziale, i due non hanno lesinato sulle buone maniere e i convenevoli. Costa si è detto compiaciuto di sapere che “l’integrazione nell’Ue rimane una priorità assoluta” del governo serbo e ha lodato la traiettoria di quello che ha definito un “Paese stabile, pacifico e prospero, che ha affrontato l’eredità del passato e ha scelto di abbracciare il suo futuro democratico ed europeo”.Il processo di adesione, ha sottolineato il presidente del Consiglio europeo, non è un’imposizione di Bruxelles ma “una libera scelta di ogni Stato” cui va dato seguito attraverso una serie di azioni concrete. Per tenere fede agli impegni presi, il governo serbo deve ora lavorare alacremente alle riforme. Il terzo cluster dei negoziati verrà aperto quando Belgrado avrà compiuto progressi sufficienti sulla libertà dei media, il contrasto alla corruzione e la riforma della legge elettorale.L’asse Belgrado-Mosca (che imbarazza Bruxelles)Ma c’erano un paio di grossi elefanti nella stanza che ospitava Costa, Vučić e i giornalisti. Il primo è la vicinanza politica del presidente serbo all’omologo russo Vladimir Putin, particolarmente scomoda in questa fase storica. Una relazione tossica che, almeno teoricamente, dovrebbe creare forti imbarazzi al leader di un Paese candidato all’ingresso in Ue ma che, a quanto pare, non scalfisce eccessivamente la prima carica dello Stato balcanico.Non è passata inosservata ai cronisti la partecipazione dell’uomo forte di Belgrado alla parata della vittoria sulla Piazza Rossa a Mosca, lo scorso 9 maggio. Un vero e proprio schiaffo in faccia al capo della diplomazia comunitaria Kaja Kallas, che il mese scorso aveva esortato Stati membri e Paesi candidati a non recarsi alla corte dello zar con un ammonimento scivolato addosso tanto al presidente serbo quanto al premier slovacco Robert Fico.Il presidente russo Vladimir Putin durante le celebrazioni per l’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista, il 9 maggio 2025 a Mosca (foto: Vyacheslav Prokofyev/Sputnik via Afp)Ma Costa ha gettato acqua sul fuoco, sostenendo che la visita di Vučić nella capitale della Federazione fosse unicamente intesa a “celebrare un evento del passato” (cioè gli 80 anni della vittoria sovietica sulla Germania nazista nel 1945), mentre “nel presente la Serbia è pienamente impegnata nel processo di adesione“, come certificato dal suo interlocutore.Affinché questo processo vada in porto, ha rimarcato tuttavia l’ex premier portoghese, Belgrado deve garantire “pieno allineamento” con la politica estera e di sicurezza comune (Pesc) dell’Unione, che passa attraverso la condanna dell’invasione russa dell’Ucraina e il sostegno a Kiev. “Non possiamo celebrare la liberazione di 80 anni fa e non condannare l’invasione di altri Paesi oggi“, ha osservato Costa. Per poi tornare però a tendere la mano a Vučić: “Non abbiamo la stessa visione su tutto”, ha ammesso, ma “l’unico modo per affrontare le divergenze è parlare e capirsi“.Il silenzio sulle proteste antigovernativeIl secondo elefante nella stanza era la gestione di Vučić dello Stato serbo, dove la corruzione dilaga e l’impunità ostacola un vero cambiamento. Da mesi, anziché placarsi continuano a ingrossarsi quelle che potrebbero essere le più grosse proteste antigovernative nel Paese almeno dai tempi della cacciata del leader comunista Slobodan Milošević a inizio millennio, dopo il crollo della Jugoslavia. Manifestazioni oceaniche che l’apparato di sicurezza di Belgrado reprime con la violenza ricorrendo, pare, anche a strumenti banditi dalle convenzioni internazionali come i cosiddetti “cannoni sonici“.Da quando, lo scorso novembre, è crollata una pensilina a Novi Sad uccidendo 15 persone, un’ondata di malcontento popolare ha sconvolto il Paese balcanico minacciando di far traballare la presa di Vučić sul potere. Ad animare le piazze serbe è soprattutto un movimento studentesco motivato e organizzato, che giusto ieri (12 maggio) è arrivato a Bruxelles dopo una maxi-maratona a staffetta di quasi 2mila chilometri per portare di fronte al Berlaymont la protesta – ormai ampiamente trasversale e intergenerazionale – di un popolo che vuole costruire per sé un futuro europeo anziché rimanere un satellite del Cremlino.Manifestanti a Belgrado, il 15 marzo 2025 (foto: Andrej Isakovic/Afp)Su questo aspetto (un punto su cui la stessa Commissione Ue ha iniziato ad alzare la voce negli ultimi tempi), tuttavia, i due leader hanno glissato diplomaticamente. Non una parola sull’erosione dello Stato di diritto o sulla repressione del dissenso, due dinamiche che pure non si sposano troppo bene coi criteri di Copenaghen che i Paesi candidati devono soddisfare per aderire all’Unione.Per ora, Costa preferisce mantenere un tono conciliante. Da quando ha assunto l’incarico di presidente del Consiglio europeo lo scorso dicembre, si è fatto vanto di aver posto al centro dell’attenzione i partner dei Balcani occidentali nell’ottica dell’allargamento del club a dodici stelle. Prima di ripartire alla volta di Sarajevo, l’ex premier portoghese ha incontrato anche il premier Duro Macut e la presidente del Parlamento, Ana Brnabić.

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    Serbia, Bruxelles al nuovo governo: “Le nostre richieste in linea con quelle degli studenti”

    Bruxelles – Dopo mesi di ambiguità, la Commissione europea coglie l’opportunità del nuovo governo in Serbia per mettere le cose in chiaro e fissare alcune linee rosse: ciò che l’Ue chiede al Paese candidato all’adesione di lunga data è “strettamente in linea con le richieste dei cittadini che protestano“, ha dichiarato la responsabile per l’Allargamento, Marta Kos, rivolgendosi al neo-premier Djuro Macut e ad una delegazione degli studenti che da novembre alimentano l’ondata di proteste contro l’autoritario presidente Aleksandar Vučić.Nella prima visita nel Paese balcanico da quando, lo scorso 7 aprile, Vučić ha consegnato l’esecutivo in mano al sessantunenne medico e professore universitario Macut – che non ha alcuna esperienza politica e non è iscritto ad alcun partito, ma ha sostenuto in passato il Partito Progressista Serbo (SNS) del presidente -, Kos ha voluto lanciare un messaggio. Dopo gli incontri istituzionali a Belgrado con Vučić e Macut, si è recata alla stazione di Novi Sad per deporre un mazzo di rose nel luogo dell’incidente in cui, lo scorso 1 novembre, persero la vita 15 persone. Ha incontrato organizzazioni della società civile, studenti, professori e delegazioni dei partiti d’opposizione.La commissaria Ue per l’Allargamento, Marta Kos, a Novi Sad, 30/4/25In un post su X indirizzato agli “studenti di Novi Sad”, ha affermato: “Vi capisco. Voglio ribadire che ciò che l’Ue chiede alla Serbia è strettamente in linea con le richieste dei cittadini che protestano. Ma la cosa più importante è che voi, le giovani generazioni, possiate beneficiare delle numerose opportunità che l’Ue ha da offrire“. Un’offerta presentata dalla stessa Kos al premier e reiterata a favore di telecamere: “La nostra offerta al popolo serbo è la seguente – ha dichiarato la commissaria -: collaborate con noi alle riforme necessarie per rendere possibile la vostra adesione all’Ue, collaborate con noi per istituire un sistema giudiziario indipendente e in grado di combattere la corruzione, collaborate con noi per mettere in campo leggi e istituzioni che garantiscano la libertà e l’indipendenza dei vostri media, collaborate con noi per istituire un quadro elettorale che assicuri che sia la volontà del popolo serbo e solo la sua volontà a decidere le maggioranze”.Una mano tesa verso gli studenti, l’altra verso il governo di Macut, di cui Kos “sente l’energia a collaborare con noi”. Nel tentativo di riconciliare un Paese che rischia di perdere un treno che passa “una volta in una generazione”, quello per “completare l’unificazione dell’Europa”. In un intervento deciso, Kos ha sottolineato che “molti paesi candidati se ne sono resi conto e stanno attuando riforme più rapidamente che mai”. Lo stesso non si può dire per Belgrado, impantanata in un regime sempre più impopolare e autoritario, oltre che disallineato con Bruxelles in politica estera. “Mi piacerebbe che lo stesso accadesse in Serbia – ha aggiunto -. Senza questi cambiamenti, la Serbia non può progredire nel suo percorso verso l’Ue“.Marta Kos e, alla sua destra, il neo premier serbo Djuro Macut, 29/04/25Non ha più mani da tendere invece verso Vučić, l’uomo al potere dal 2014 e principale responsabile dell’allontamento della Serbia dal percorso europeo. Il leader nazionalista, che ha rafforzato i legami con Vladimir Putin negli ultimi anni, è atteso a Mosca il 9 maggio, per partecipare alle celebrazioni del Giorno della vittoria, anniversario della sconfitta del nazismo e della fine della seconda guerra mondiale. Secondo quanto affermato da un portavoce della Commissione europea, Kos ha trasmesso al presidente filo-russo “un messaggio condiviso anche da molti Stati membri”, e cioè che la sua eventuale partecipazione alla parata del 9 maggio “avrà un impatto sul percorso” della Serbia nell’Ue.D’altro canto, Vučić ha descritto l’incontro con Kos come una “buona conversazione sulle sfide e le opportunità chiave del nostro percorso europeo”, e sottolineato “la piena disponibilità ad accelerare le riforme, non per esigenze burocratiche, ma perché crediamo che esse portino una vita migliore ai nostri cittadini”. Forse Vučić non si riferiva a quei 47 cittadini che hanno adito la Corte europea dei diritti dell’uomo, denunciando il presunto utilizzo di un cannone sonico – illegale in Serbia – per disperdere i manifestanti in occasione dell’enorme protesta dello scorso 15 marzo a Belgrado. Oggi la Cedu, sottolineando che fino a 4 mila persone hanno riportato l’accaduto, ha accolto parzialmente le richieste dei ricorrenti e indicato una misura provvisoria al governo serbo: “Fino a nuovo ordine, qualsiasi uso di dispositivi sonori a fini di controllo delle folle deve essere impedito in futuro”.To the students of Novi Sad: I hear you.I want to reiterate that what the EU asks from Serbia closely aligns with the demands of the citizens protesting.Most importantly, I want you, the young generation to benefit from the many opportunities the EU has to offer. pic.twitter.com/Ff6FiQcA6J— Marta Kos (@MartaKosEU) April 30, 2025

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    Serbia, von der Leyen e Costa non scaricano Vučić. Ma insistono su riforme e lotta alla corruzione

    Bruxelles – Travolto dalla rabbia dei cittadini in patria, l’autoritario presidente serbo Aleksandar Vučić trova sollievo a Bruxelles, dove i leader Ue Ursula von der Leyen e Antonio Costa hanno pensato che fosse il momento opportuno per ospitarlo per una cena che lo stesso Vučić ha definito “cordiale, concreta, aperta, responsabile e seria”. Una portavoce della Commissione europea aveva anticipato che le proteste in corso da oltre 4 mesi avrebbero “benissimo potuto essere oggetto di discussione”, ma il messaggio che trapela dall’incontro rischia di essere un altro: l’Ue, per ragioni strategiche ed economiche, sceglie di non scaricare Vučić voltando le spalle alle aspirazioni del popolo serbo di un taglio netto con il regime al potere da dodici anni.“Abbiamo discusso della necessità di avanzare nelle riforme relative all’Ue. Sono necessari progressi nella libertà dei media, nella lotta alla corruzione e nella riforma elettorale“, ha affermato il presidente del Consiglio europeo a margine della cena con il leader nazionalista serbo. Secondo Costa, “sono a portata di mano risultati tangibili in settori che possono apportare benefici diretti al popolo serbo. Il futuro della Serbia è nell’Ue“. Von der Leyen, con un post su X, ha sottolineato che il Paese – da undici anni candidato all’adesione all’Ue – deve portare avanti le riforme “in particolare per compiere passi decisivi verso la libertà dei media, la lotta alla corruzione e la riforma elettorale”.Manifestanti a Belgrado, 15/03/25 (Photo by Andrej ISAKOVIC / AFP)Secondo Srđan Cvijić, presidente dell’International Advisory Committee of the Belgrade Centre for Security Policy, la percezione pubblica in Serbia dell’incontro “è stata ampiamente negativa, poiché molti lo vedono come un segno del continuo sostegno dell’Unione Europea al governo sempre più autoritario di Vučić“. Contattato da Eunews, l’analista politico suggerisce però che “un’analisi più attenta rivela un cambiamento nel tono e nel trattamento riservato” al leader servo rispetto ad incontri precedenti.In particolare, von der Leyen si era recata in Serbia poco prima dell’inizio delle proteste, il 25 ottobre 2024, ed in una conferenza stampa congiunta con Vučić aveva lodato i progressi di Belgrado nello stato di diritto e nelle riforme democratiche. Dichiarazioni “in netto contrasto con la reale traiettoria politica del Paese”, che “hanno suscitato forti reazioni tra i cittadini serbi favorevoli all’integrazione europea“, sottolinea Cvijić. A confronto, il protocollo seguito ieri “è stato visibilmente più sobrio”. Nessun “caro Aleksandar”, nessuna conferenza stampa congiunta, solo una breve dichiarazione scritta in cui i leader Ue hanno evidenziato la necessità di maggiori sforzi su libertà dei media, lotta alla corruzione e riforma elettorale, piuttosto che soffermarsi sui progressi già acquisiti.Srđan Cvijić, presidente dell’International Advisory Committee of the Belgrade Centre for Security PolicyBen più elaborata è stata invece la ricostruzione dell’incontro offerta ai media da Vučić. A partire dalle accuse sull’utilizzo da parte delle forze dell’ordine di un’arma sonica a lungo raggio per disperdere i manifestanti durante l’imponente manifestazione dello scorso 15 marzo. Vučić ha assicurato ai leader europei che “non c’era nessun cannone sonoro, che siamo pronti a verificarlo in ogni modo, che forniremo anche una risposta alla Corte europea dei diritti dell’uomo”. Prima di specificare curiosamente che “il suo utilizzo non è vietato da nessuna parte in Europa” e che “negli Stati Uniti lo usano quasi ogni giorno”.In una nota pubblicata sul sito ufficiale del presidente serbo, si legge che Vučić avrebbe riaffermato l’impegno assoluto di Belgrado “nel percorso verso l’Ue, ancora di più di quanto non lo sia stata finora”. Non proprio quel che è emerso nell’ultimo rapporto Ue sull’Allargamento, pubblicato il 30 ottobre 2024 – il giorno prima dell’incidente alla stazione di Novi Sad che ha causato 15 vittime e scatenato le proteste in Serbia -: nel documento veniva evidenziato soprattutto il disallineamento rispetto alla politica estera comunitaria, i continui ammiccamenti verso Mosca e Pechino, ma anche l’avanzamento a rilento sulle riforme sullo Stato di diritto e sulla normalizzazione dei rapporti con il Kosovo. “Credo che entro la fine dell’anno il nostro obiettivo sia quello di aprire almeno due cluster per progredire rapidamente verso l’Ue”, ha affermato Vučić. La Serbia ha aperto 22 dei 35 capitoli negoziali del suo processo di adesione, con due chiusi solo provvisoriamente.“Presto avremo una decisione sulla formazione di un nuovo governo o su nuove elezioni”, avrebbe comunicato Vučić ai due leader Ue. A Belgrado è ancora insediato il governo del dimissionario Miloš Vučević, una delle teste saltate sotto la pressione delle proteste studentesche. Il premier aveva fatto un passo indietro lo scorso 28 gennaio, e sono dunque ampiamente scaduti i 30 giorni previsti dalla legge serba per incaricare un nuovo esecutivo o richiamare i cittadini alle urne.I leader avrebbero discusso inoltre di economia e investimenti, nonché dell’interesse dell’Unione europea “per le risorse minerarie e i progetti comuni con la Serbia”. Proprio ieri Bruxelles ha adottato il primo elenco di 47 progetti strategici per l’approvvigionamento di materie prime critiche nei Paesi membri. In Serbia, nella valle di Jadar, tiene banco da anni la vicenda della possibile costruzione del sito di estrazione di litio più grande d’Europa. L’Ue ci ha messo gli occhi da tempo, ed è uno dei motivi per cui Bruxelles è pronta a fare concessioni al regime serbo. Secondo Vučić, “nel giro di sette o otto giorni” Jadar sarà indicato come “progetto strategico dell’Ue in Paesi terzi”.Il presidente nazionalista si è detto in definitiva convinto che il colloquio “abbia significato molto per il futuro della Serbia”. Per l’Ue però – ne è sicuro Srđan Cvijić- Vučić è “un partner sempre più tossico e politicamente oneroso”.

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    Serbia, Vučić sempre più repressivo: raid della polizia nelle sedi di quattro Ong, per far piacere a Trump

    Bruxelles – Travolto dal più grande movimento di protesta dai tempi del crollo regime diSlobodan Milošević, in Serbia il presidente autoritario Aleksandar Vučić mostra i muscoli contro la società civile. E lo fa approfittando dell’ordine esecutivo con cui Donald Trump ha congelato i fondi americani destinati agli aiuti all’estero: ieri (25 febbraio) la polizia serba ha fatto irruzione nelle sedi di quattro Ong che ricevevano fondi da USAID e sospettate di uso improprio di fondi e riciclaggio di denaro.Le quattro organizzazioni prese di mira dall’indagine avviata dal Dipartimento Speciale della Procura della Repubblica sono il Center for Research, Transparency and Accountability, Civic Initiatives, Center for Practical Politics e Trag Foundation. Tutte e quattro si occupano da anni di diritti umani e civili, stato di diritto, elezioni democratiche, e via dicendo.L’Ufficio del Procuratore Generale di Belgrado ha confermato l’apertura del caso e di aver contattato il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti per fornire le informazioni necessarie in merito ai “sospetti che i massimi funzionari del governo statunitense hanno precedentemente espresso in merito all’uso improprio di fondi, al possibile riciclaggio di denaro e all’uso improprio dei fondi dei contribuenti statunitensi in Serbia”.Nel comunicato diffuso dalla Procura, si citano “il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il segretario di Stato americano Marco Rubio, il segretario stampa della Casa Bianca Karoline Leavitt, nonché il Dipartimento per l’efficienza del governo guidato da Elon Musk e anche il direttore dell’FBI Kash Patel”, tra coloro che “hanno espresso sospetti sul lavoro di USAID”.Aleksandar Vučić (credits: Angela Weiss / Afp)Ma le ong hanno accusato lo Stato di “attaccare i diritti civili fondamentali e di continuare a esercitare pressioni illegali sulla società civile in Serbia”. Vučić avrebbe colto l’occasione per intensificare la repressione: l’avvio dell’indagine segue infatti settimane di dichiarazioni pubbliche da parte di esponenti del governo, e dello stesso presidente, che alludevano al finanziamento delle proteste studentesche da parte dell’agenzia statunitense. Dall’inizio delle proteste scoppiate per un incidente alla stazione di Novi Sad in cui sono morte 15 persone, Vučić ha più volte lanciato generiche accuse di ingerenze straniere per sobillare i manifestanti.Civic Initiatives ha rilasciato una dichiarazione in cui conferma che nella mattina di martedì una ventina di agenti della polizia sono entrati nei loro uffici senza mostrare alcun mandato di perquisizione. Allo stesso tempo le forze dell’ordine hanno fatto irruzione anche nella sede del think-tank Center for Practical Politics, che si trova nello stesso edificio, nonostante quest’ultima non abbia alcun progetto finanziato da USAID. Il direttore del think-tank, Dragan Popović, si è sfogato con un post su X, in cui ha definito la perquisizione “una dimostrazione insensata dei muscoli del regime autoritario”.Popović si è detto preoccupato per il fatto che “l’azione di Trump contro l’USAID venga utilizzata per minacciare il lavoro della società civile in Serbia”. Timore condiviso oltreoceano da Amnesty International Usa, secondo cui il raid della polizia contro le ong in Serbia “è un esempio orribile” di come “le accuse di Trump e Musk contro USAID senza prove documentate o un giusto processo hanno minacciato i partner che si occupano di diritti umani in tutto il mondo”. La Serbia non è l’unico Paese ad aver lanciato campagne contro le ong dopo le accuse di Trump sull’operato di USAID. Il primo ministro slovacco Robert Fico ha affermato che nel suo paese i fondi “sono stati usati senza dubbio per fini politici, con l’obiettivo di favorire alcuni partiti”, e ha promesso indagini più approfondite.Le proteste oceaniche in Serbia contro il presidente Aleksandar Vučić (foto: Tadija Anastasijevic/Afp)A distanza di oltre un giorno, non è arrivato alcun commento dai vertici delle istituzioni europee. Né dall’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, né dalla commissaria per l’Allargamento, la slovena Marta Kos. Eppure Belgrado è in corsa per l’adesione all’Unione europea e come tale dovrebbe garantire un determinati standard di rispetto dello stato di diritto. Scegliendo il silenzio, di fatto l’Ue sostiene il regime di Vučić ai danni delle aspirazioni democratiche del movimento di protesta che guidato dagli studenti. Sacrificati sull’altare della stabilità: l’Ue non vuole isolare la Serbia, paese già pericolosamente nell’orbita di Mosca e capace di destabilizzare tutta la regione.

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    Serbia, le proteste segneranno “la fine del regime” di Aleksandar Vučić. Intervista a Srđan Cvijić

    Bruxelles – Come nelle tessere del domino, in Serbia il crollo fatale di una pensilina alla stazione ferroviaria di Novi Sad ha innescato il più grande movimento di protesta dai tempi della caduta del regime di Slobodan Milošević. Venticinque anni dopo, un altro regime rischia di sbriciolarsi di fronte alle manifestazioni che si susseguono da ormai tre mesi, quello “violento e brutale” del Partito progressista serbo (Sns) e del suo leader, il presidente Aleksandar Vučić. “In un modo o nell’altro, questa è la fine del regime di Vučić”, ha predetto in un’intervista a Eunews Srđan Cvijić, analista politico e presidente dell’International Advisory Committee of the Belgrade Centre for Security Policy.Pochi giorni fa, nel tentativo di placare le proteste studentesche, si è dimesso il primo ministro Miloš Vučević, al centro della bufera perché sindaco di Novi Sad ai tempi della ristrutturazione della stazione ferroviaria. “Un non evento”, secondo Cvijić, perché Vučević altro non era che un burattino del presidente, che nei dodici anni al potere “ha concentrato progressivamente tutto il potere su di sé”. Per questo – spiega da Belgrado Cvijić – “non ha sortito alcun effetto sulle manifestazioni“: gli studenti non si sono fermati, e non si fermeranno.Srđan Cvijić, presidente dell’International Advisory Committee of the Belgrade Centre for Security PolicyLa morte di 15 persone – più due feriti gravi – nell’incidente del 15 novembre scorso a Novi Sad ha scoperchiato il vaso di pandora sulla corruzione dilagante nel Paese balcanico, rovesciando per strada migliaia di persone al grido di ‘Corruption kills’. L’avanguardia della mobilitazione sono le Università: gli studenti hanno insediato nelle facoltà dei plenum, organi “dal basso” incaricati di prendere le decisioni e coordinati tra loro a livello nazionale. Senza colori politici e senza leader riconoscibili. “Gli studenti sono estremamente cauti a non avere niente a che fare con la politica, non c’è nessun contatto nemmeno con l’opposizione“, racconta ancora Cvijić, che ha potuto partecipare in prima persona – in quanto membro della società civile – ad alcuni di questi plenum.Nelle piazze di Belgrado e delle principali città serbe, a differenza di quanto succede in Georgia, non si vedono nemmeno bandiere dell’Unione europea. Eppure entrambi sono paesi candidati all’adesione all’Ue, e – a Belgrado come a Tbilisi – nelle mobilitazioni entrano in gioco anche le posizioni marcatamente filo-russe dei propri governi. Ma “qui l’Unione europea è percepita come un alleato di Vučić“, ammette Cvijić, che è stato anche analista politico senior per le relazioni esterne dell’Ue. “A causa di tutta una serie di rapporti economici. È comprensibile, l’Ue non vuole isolare la Serbia, ma ha creato questa percezione”, spiega ancora, mettendo in chiaro che “non vuol dire che popolazione è anti-europea, ma che è delusa dall’Unione europea”.A livello nazionale invece, secondo il politologo serbo l’elusione delle etichette politiche non è soltanto una “decisione pragmatica” per evitare di esporsi alla “macchina del fango incredibilmente feroce” dell’apparato governativo, ma il frutto di anni di “antipolitica di Vučić”, che ha fatto sì che la popolazione “percepisce con sospetto qualsiasi attore politico”. È proprio la mancanza del legame con la politica la chiave del successo travolgente delle proteste: “Gli studenti hanno canalizzato la rivolta di una popolazione intera“, la “frustrazione di dodici anni di questo regime violento e brutale”, e “il livello di solidarietà è incredibile”, conferma Cvijić.Addirittura, dopo una prima fase di arresti coatti durante i cortei di novembre, ultimamente – come durante il blocco stradale messo in atto lo scorso 27 gennaio da studenti e agricoltori su due importanti arterie verso il centro di Belgrado – la polizia stessa non ha voluto intervenire contro i manifestanti. Il partito nazionalista di Vučić si fa vendetta da solo: i responsabili delle violenze commesse sui manifestanti – sarebbero una ventina le persone attaccate in questi mesi – si sono spesso dimostrati affiliati all’Sns, come nel caso dell’agguato, sempre il 27 gennaio, subito a Novi Sad da un gruppo di studenti, colpevoli di aver imbrattato con graffiti e adesivi anti-governativi un ufficio del Partito progressista serbo, e nel quale è rimasta gravemente ferita una donna.Il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e di spalle l’ex premier Miloš Vučević (credits: Oliver Bunic / Afp)“Anche quando il coinvolgimento non è diretto, le violenze sono il risultato dell’istigazione e della propaganda” del regime, accusa Cvijić. Un regime “che assomiglia più a un’organizzazione mafiosa piuttosto che a un governo“. A questo punto, Vučić sembra essere scivolato in uno stretto pozzo, e qualsiasi tentativo di dimenarsi e risalire la china non fa altro che ricacciarlo più in giù. Come le accuse esplicite contro l’ingerenza nelle proteste di “agenti stranieri, provenienti da diversi Paesi occidentali”, che rischiano di alienargli definitivamente il già scarso supporto di cui gode nel resto d’Europa. Come l’apertura ad un rimpasto del governo e le dimissioni del premier: “Ora il regime è in difficoltà, perché se nominerà semplicemente un altro primo ministro come Vučević farà infuriare la gente – spiega Cvijić -, ma nemmeno le elezioni sono un’opzione perché i partiti di opposizione hanno già dichiarato che non parteciperebbero”.L’unica opzione – indica l’analista – è “nominare un governo tecnico di transizione, con due scopi: liberare i media controllati dal governo e creare condizioni per elezioni libere”. A quel punto, sarà fondamentale scoprire se il movimento studentesco si sfilaccerà o se appoggerà uno dei candidati. Per ora, questa questione non si pone perché, più che politica, in Serbia è in atto “una vera rivoluzione morale e emotiva”. E questo, “in un modo o nell’altro, è la fine del regime di Vučić”.

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    A Bruxelles nuovo vertice trilaterale Borrell-Kurti-Vučić per riprendere il filo del dialogo tra Serbia e Kosovo

    Bruxelles – Un nuovo incontro di alto livello, per “fare il punto sui progressi compiuti” nell’ambito del dialogo mediato dall’Ue. Non è altisonante l’annuncio sul nuovo round di colloqui tra i leader di Kosovo e Serbia, considerate le premesse dell’ultimo anno e le tensioni che ancora non sono risolte dopo l’ondata di violenza dal maggio 2023. L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha reso noto con un comunicato che domani (26 giugno) il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il primo ministro kosovaro, Albin Kurti, saranno a Bruxelles per incontri bilaterali e un vertice trilaterale finale.Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, il 18 marzo 2023 (Ohrid, Macedonia del Nord)Sono passati nove mesi dall’ultima riunione di alto livello del dialogo Pristina-Belgrado a Bruxelles – infruttuoso e incagliato sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo – e nel mezzo si è assistito a uno dei momenti più bassi per i rapporti dei due Paesi balcanici impegnati dal 2011 in un complessissimo confronto diplomatico mediato dall’Unione Europea per la normalizzazione delle relazioni. Quando i rapporti non si sono di certo ristabiliti su un livello di normalità accettabile da Bruxelles, si dovrà cercare di spingere per riprendere il filo del discorso lasciato in sospeso da quelle 12 ore di discussione a Ohrid, sulle sponde del lago in Macedonia del Nord. Il 18 marzo 2023 era stato dato il via libera – ma senza firma – all’allegato di attuazione della complicatissima intesa di Bruxelles raggiunta il 27 febbraio (che aveva definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo), la vera chiave di volta di tutta l’impalcatura per stabilire “ciò che deve essere fatto, entro quando, da chi e come”. Eppure, dopo più di un anno è scarso l’impegno di Belgrado e Pristina per rispettare quegli impegni, e per questo motivo – prima di dare l’addio all’istituzione che rappresenta – Borrell vuole lanciare un ultimo segnale che l’Unione non molla la presa.Il punto di domani a Bruxelles partirà da quei pochi progressi registrati su tre elementi menzionati già nella riunione di alto livello del 14 settembre dello scorso anno. Ovvero la dichiarazione sulle persone scomparse, l’annuncio sul comitato di monitoraggio congiunto e la presentazione della bozza sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. È proprio questo il punto su cui è ancora incagliato il dialogo Pristina-Belgrado e su cui si continuano a registrare tensioni che, nel corso del 2023, sono sfociate in pericolosi episodi di violenza: l’Accordo di Bruxelles del 2013 mai implementato sulla comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrativeLe tensioni tra Kosovo e SerbiaA soli due mesi dall’intesa di Ohrid, il 26 maggio è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro il un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti di quest’anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Il partito al potere in Serbia ha vinto la ripetizione del voto a Belgrado. Tra violenze e ultranazionalismo

    Bruxelles – Questa volta è un trionfo per il partito al potere in Serbia, il Partito Progressista Serbo (Sns) controllato da vicino dal presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić. Dopo l’ondata di proteste e le obiezioni della comunità internazionale su diverse criticità emerse nello svolgimento delle elezioni legislative e amministrative del 17 dicembre 2023, nella capitale Belgrado si è tornati ieri (2 giugno) al voto per la nuova composizione del Consiglio comunale. Nella vittoria schiacciante del partito al potere da 12 anni a livello nazionale (e 11 nella capitale) sono emerse però ancora nuove possibili irregolarità e violenze, e una retorica nazionalista ormai esasperata.Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Elvis Barukcic / Afp)“Deploriamo le minacce e gli attacchi subiti dai giornalisti durante i servizi sulle elezioni del 2 giugno“, è la denuncia dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) su quanto accaduto ieri a Belgrado: “I giornalisti hanno un ruolo cruciale nel coprire le elezioni, per informare il pubblico sui candidati, le loro piattaforme e gli sviluppi in corso”. L’Osce, che già aveva denunciato tutta una serie di punti deboli nello svolgimento dell’ultima tornata di voto a livello nazionale e locale, continua a esortare “leader politici, funzionari pubblici e autorità a condannare inequivocabilmente e a indagare prontamente su tutti i casi di violenza e minacce contro i giornalisti”.È in questo contesto che il Partito Progressista Serbo ha conquistato 64 seggi su 110 al Consiglio comunale di Belgrado, secondo quanto emerge dai risultati finali dello scrutinio dei voti, e ora l’ex-giocatore di pallanuoto Aleksandar Šapić è pronto a diventare sindaco. A differenza delle elezioni di dicembre l’opposizione ha corso divisa, con alcuni movimenti che hanno deciso di boicottare il voto – l’affluenza al voto si è fermata al 46 per cento – mentre gli altri si sono schierati o con il candidato Savo Manojlović (per la coalizione ‘Anche io sono Belgrado’) o con Dobrica Veselinović (per ‘Scegliamo Belgrado’). A spingere alle urne il partito di Vučić è stata anche la ventata di retorica ultranazionalista sprigionata nel Paese dopo il voto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sull’istituzione della Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio di Srebrenica, su cui ha fatto leva proprio il presidente serbo per compattare la base degli elettori del partito al potere.Le tensioni tra Ue e Serbia dopo le elezioni di dicembreI sei mesi trascorsi tra le elezioni legislative anticipate del 17 dicembre 2023 e la ripetizione delle amministrative nella capitale Belgrado di ieri sono stati tutt’altro che sereni tra Bruxelles e Belgrado, considerato quanto accaduto proprio alle urne alla fine dello scorso anno. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone erano scese in piazza per settimane, rispondendo all’appello dei partiti e movimenti riuniti nella coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, appena sconfitta dal Partito Progressista Serbo. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti“, mettendo con le spalle al muro il governo per ripetere quantomeno il voto nella capitale.Le proteste di piazza dell’opposizione serba a Belgrado (credits: Miodrag Sovilj / Afp)Proprio la questione del rispetto degli standard democratici ha esacerbato i rapporti tra la Serbia di Vučić e le istituzioni Ue. In occasione delle elezioni del 17 dicembre, l’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Osce Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale) aveva confermato di aver “assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska [l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina, ndr]” a Belgrado senza essere formalmente registrati come residenti. Da qui il Parlamento Europeo ha richiesto alla Commissione Ue azioni pesanti nel caso in cui venisse accertato il coinvolgimento delle autorità nei brogli elettorali, tra cui la “sospensione dei finanziamenti dell’Ue sulla base di gravi violazioni dello Stato di diritto” e, implicitamente, un possibile stop ai negoziati di adesione. La premier uscente Brnabić ha poi chiuso la porta a un’indagine internazionale, “perché richiederebbe l’annullamento della sovranità nazionale”, ma a Bruxelles rimangono ancora grosse preoccupazioni sulle irregolarità alle urne e la mancanza di completa trasparenza nel processo elettorale.Il neo-primo ministro della Serbia, Miloš Vučević, 2 maggio 2024 (credits: Oliver Bunic / Afp)Mentre nel Consiglio dell’Ue regna l’immobilismo (dettato soprattutto dal potere di veto del premier ungherese, Viktor Orbán, su qualsiasi tipo di azione contro l’alleato Vučić), a Belgrado il 2 maggio si è insediato il nuovo governo guidato da Miloš Vučević, stretto alleato del presidente della Repubblica nonché leader del Partito Progressista Serbo dopo le dimissioni dello stesso Vučić lo scorso anno. Il nuovo esecutivo si è posto in perfetta linea di continuità con il precedente (l’ex-premier Brnabić oggi è speaker dell’Assemblea nazionale) in politica estera – sia per la strada verso l’adesione all’Ue sia per il mantenimento dei rapporti con Russia e Cina – ma anche nelle questioni considerate di politica interna (cioè il rapporto con il Kosovo, di cui non è mai stata riconosciuta l’indipendenza dal 2008). Tra i membri del gabinetto Vučević compaiono due figure particolarmente controverse, tanto da essere incluse nella lista delle persone sanzionate dagli Stati Uniti nell’ultimo anno: l’ex-capo dell’intelligence serba, Aleksandar Vulin, e il politico di lungo corso e proprietario di aziende con sede in Russia Nenad Popović.Infine non va dimenticato il caso delle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba – ora membro del nuovo governo – Vulin aveva riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Il presidente serbo Vučić mantiene ambiguità verso la linea Ue anche sui rapporti con la Cina

    Bruxelles – Un rapporto “d’acciaio” che “nessuno potrà spezzare”. Non quello tra la Serbia e l’Unione Europea, ma tra la Serbia e la Cina. Sono queste le parole scelte dal presidente serbo, Aleksandar Vučić, per accogliere l’omologo cinese, Xi Jinping, oggi (8 maggio) a Belgrado, nel suo tour europeo che lo ha portato anche a Parigi e infine a Budapest. Una tappa carica di simbolismo per le relazioni tra Serbia e Cina – ricorre il 25esimo anniversario dal bombardamento Nato di Belgrado che colpì anche l’ambasciata cinese – i cui toni hanno evidenziato ancora una volta la distanza di Vučić dalla linea che l’Unione a cui vorrebbe aderire sta cercando (a fatica) di tenere nei confronti di Pechino.Da sinistra: il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a Belgrado il 7 maggio 2024 (credits: Elvis Barukcic / Afp)“La Cina non ha mai voltato le spalle alla Serbia, sono stati al nostro fianco anche 25 anni fa, siete sempre i benvenuti nella vostra seconda casa”, è stata l’accoglienza con tutti gli onori al presidente cinese da parte del leader serbo, facendo riferimento ai bombardamenti Nato nella primavera del 1999 condannati da Pechino. Un atteggiamento che non cela completamente una buona dose di provocazione nei confronti dell’Unione Europea, dalla politica estera alla politica economica. “Come piccolo Paese dobbiamo affrontare pressioni che provengono da diverse parti a causa della politica autonoma che portiamo avanti, ti chiediamo sostegno”, è la richiesta di Vučić a uno dei Paesi che più creano preoccupazioni a Bruxelles, con implicito riferimento al non-allineamento sulle sanzioni Ue contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina. Negli ultimi due anni il presidente serbo ha dovuto fare l’equilibrista per non diventare il paria in Europa – con un’opposizione totale alla linea dura dell’Ue contro il Cremlino – ma allo stesso tempo per non trovarsi costretto a recidere il legame con Mosca adottando le sanzioni internazionali. Ed è proprio grazie alla sponda cinese (e alla stessa ambiguità di Pechino verso la Russia) che Vučić riesce a ritagliarsi uno spazio di manovra altrimenti insostenibile, dimostrando al contrario l’immobilità dell’Ue nel prendere contromisure.Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, a Mosca (4 dicembre 2019)Un altro tema su cui la Serbia trova il sostegno della Cina è senza dubbio quello della sovranità territoriale e del non-riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo (dichiarata unilateralmente nel 2008), nonostante Bruxelles sia impegnata da oltre 10 anni nella mediazione di un difficilissimo dialogo per la normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Pristina. “I due Paesi sostengono fermamente i reciproci interessi, sulla base di solidi rapporti politici”, ha confermato Xi Jinping: “La Cina appoggia la Serbia nella difesa della sua indipendenza e nel suo corso di sviluppo“. Anche su questo fronte per il leader serbo risulta più sostenibile continuare a ostacolare quanto negoziato a livello diplomatico con Bruxelles, mentre l’Unione sembra incapace di reagire con la stessa rigidità assunta nei confronti di Pristina. Per Pechino la carta di scambio è il riconoscimento di Taiwan come parte integrante della Cina, questione non particolarmente spinosa a Belgrado: “Siamo amici fedeli”, ha confermato Vučić a proposito di un altro tema di distanza dalla cautela che invece sta cercando l’Unione Europea (sempre ricordando che la Serbia è un Paese candidato all’adesione).E poi c’è la politica economica e commerciale, proprio uno dei due temi di “interesse vitale” per l’Unione Europea al centro del vertice trilaterale di lunedì (6 maggio) a Parigi tra il presidente cinese, l’omologo francese, Emmanuel Macron, e la numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. “La Serbia e la Cina stanno passando da avere relazioni strategiche al futuro comune dei nostri due Paesi, è la più alta forma di cooperazione e sono orgoglioso di aver potuto firmarla oggi”, ha esultato Vučić, parlando della Dichiarazione congiunta siglata oggi per il rafforzamento del partenariato strategico globale tra Pechino e Belgrado: “Traccia la direzione per lo sviluppo delle relazioni nostre bilaterali”. I due leader hanno siglato un totale di 28 accordi e protocolli d’intesa dalle infrastrutture alla cultura, dallo sport alla tecnologia – compreso uno sull’acquisto di nove treni elettrici per le ferrovie del Paese balcanico, mentre l’alta velocità Belgrado-Budapest sarà completata entro il 2026 con il sostegno cinese – e la cui traiettoria non può non impensierire Bruxelles: “La Serbia diventa il primo Paese europeo con il quale costruiremo una comunità per un futuro comune“, ha aggiunto il presidente cinese.Per concludere la carrellata di dichiarazioni sibilline, se non di vere e proprie provocazioni nei confronti dell’Unione Europea, il presidente Vučić ha voluto anche sottolineare che la Cina “è il nostro principale investitore e il secondo partner commerciale”, con le esportazioni da Belgrado verso Pechino che sono “aumentate di 140 volte negli ultimi dieci anni, e con l’Accordo di libero scambio [dell’ottobre 2023, ndr] potremo esportare quasi il 95 per cento dei prodotti che produciamo senza dazi”. Il leader serbo si è però dimenticato di ricordare il valore commerciale di questo rapporto e della differenza abissale con quanto in ballo con i Ventisette: se nel 2022 la Cina muoveva 5,8 miliardi (in euro) tra esportazioni (4,7) e importazioni (1,1), nello stesso anno la Serbia importava 21,39 miliardi ed esportava 17,69 miliardi nell’Ue, per un totale di 39,08 miliardi di euro (più di sei volte rispetto a Pechino).Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews