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    Si riaccendono le tensioni nel nord del Kosovo. Escalation tra barricate, retorica incendiaria e attacco alla missione Ue

    Bruxelles – Un fine settimana di ordinaria follia nel nord del Kosovo, dove da venerdì (9 dicembre) la tensione è tornata ancora a crescere in maniera preoccupante, anche complice la retorica incendiaria di Belgrado. Barricate ai passaggi di frontiera, arresti e granata stordente contro la missione Eulex dell’Unione Europea: l’escalation degli ultimi mesi nelle regioni settentrionali del Paese, dove si concentra la minoranza serba, ha raggiunto uno dei livelli di criticità più alti mai toccati. Anche se parlare di rischio di guerra tra Serbia e Kosovo è al momento del tutto azzardato.
    Tutto è iniziato – di nuovo – nel pomeriggio di venerdì, dopo la decisione di Pristina di inviare alcune centinaia di forze di polizia per tenere sotto controllo la situazione a Kosovska Mitrovica e ai valichi di confine (dal momento in cui gli agenti serbo-kosovari dimessisi in massa a inizio novembre non sono ancora tornati in servizio). Nonostante le rassicurazioni del premier Albin Kurti del fatto che le operazioni non hanno alcun target etnico – ma sarebbero indirizzate a contrastare la criminalità che rischia di prendere il sopravvento nella regione senza un’adeguata presenza di forze dell’ordine – la reazione di Belgrado è stata violentissima. La premier serba, Ana Brnabić, è arrivata a minacciare la possibilità di inviare mille soldati da Belgrado sul territorio kosovaro (cosa non possibile senza il consenso della Nato, secondo quanto previsto dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu del 1999) per contrastare un “comportamento irresponsabile” da parte del governo di Pristina.
    Soldati della Kosovo Force (Kfor) della Nato a Zubin Potok, dove è stata eretta una barricata da manifestanti serbo-kosovara (credits: Armend Nimani /Afp)
    La situazione tesa è andata esasperandosi proprio per la retorica nazionalista dei due governi. Da una parte la presidente kosovara, Vjosa Osmani, ha attaccato Belgrado, affermando che “il sogno egemonico della Serbia non si avvererà, non ci saranno mai poliziotti e militari serbi sul territorio del Kosovo”, mentre la premier serba Brnabić ha alzato l’asticella, avvertendo che il rapporto “è al limite di un nuovo conflitto”. Dichiarazioni che – come fanno notare diversi analisti – rispondo a logiche di rafforzamento politico a livello interno e hanno poca aderenza con la realtà: sul campo è presente la più grande missione militare della Nato, la Kosovo Force (Kfor), con i suoi 3.700 soldati, e un nuovo conflitto armato – dopo quello tra il 1998 e il 1999, conclusosi solo grazie all’intervento dell’Alleanza Atlantica – sarebbe un suicidio diplomatico per entrambi i Paesi.
    Allo stesso tempo la situazione non deve essere sottostimata, dal momento in cui era da mesi che non si vedevano barricate ai valichi di frontiera, alzate dalle frange più estremiste e violente della minoranza serba-kosovara. Nella giornata di sabato le proteste si sono esacerbate con la notizia dell’arresto di un ex-agente della polizia kosovara, Dejan Pantić, accusato di “attacchi terroristici”. I blocchi stradali nel settore nord di Kosovska Mitrovica, Zvecan e Leposavic sono stati realizzati con mezzi pesanti – tra cui anche alcuni donati da Bruxelles attraverso i progetti finanziati dall’Ue – mentre sono aumentati gli atti di sabotaggio, che hanno coinvolto anche Eulex.
    Nel corso della notte tra sabato e domenica (10-11 dicembre) vicino a Rudare una granata stordente ha colpito una pattuglia di ricognizione della missione civile nell’ambito della politica di sicurezza e difesa comune dell’Unione, senza causare nessun ferito né danneggiamento di materiale. “Chiediamo ai responsabili di astenersi da ulteriori azioni di provocazione e sollecitiamo le istituzioni del Kosovo a portare i colpevoli davanti alla giustizia”, si legge in una dichiarazione della missione Eulex. “L’Ue non tollererà attacchi a Eulex o il ricorso ad atti violenti e criminali nel nord del Paese“, è l’attacco dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “I gruppi serbi del Kosovo devono rimuovere immediatamente le barricate” e “tutti gli attori devono evitare un’escalation”.

    Stun grenade attack on #EULEX reconnaissance patrol.
    Read the full statement in English, Albanian and Serbian here:https://t.co/52yvDy8HEx pic.twitter.com/9YZG2vmudZ
    — EULEX Kosovo (@EULEXKosovo) December 11, 2022

    Il rinvio delle elezioni locali nel nord del Kosovo
    A questo si aggiunge la situazione politica nel nord del Kosovo, che si intreccia strettamente con le dimissioni di massa di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali del 5 novembre, in segno di protesta contro l’obbligo di sostituire le targhe serbe con quelle rilasciate dalle autorità di Pristina (in larga parte utilizzate dalla minoranza serba nel Kosovo settentrionale). Tra i dimissionari ci sono anche i sindaci di Kosovska Mitrovica, Zubin Potok, Zvecan e Leposavic e per questo motivo nelle quattro città si dovrà tornare alle urne, altro elemento di tensione con le frange più estremiste della minoranza serba in Kosovo. Le elezioni anticipate – in programma inizialmente per il 18 dicembre – sono state rinviate il prossimo 23 aprile dalle istituzioni di Pristina, per non rischiare di rendere la situazione fuori controllo. Ad annunciarlo è stata la stessa presidente Osmani, dopo consultazioni con diverse forze politiche.
    Manifestazioni di serbi del Kosovo nel nord del Paese (credits: Armend Nimani / AFP)
    Nel quadro dell’escalation di tensione nel nord del Kosovo, la politica locale si interseca con quella internazionale. In vista di quelli che sono ormai considerati gli ultimi mesi decisivi per chiudere la questione del Kosovo, la proposta di mediazione franco-tedesca che dovrebbe portare a termine il dialogo tra Pristina e Belgrado insisterà sulla completa implementazione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia). Se il 2023 sarà davvero l’anno dell’accordo definitivo tra i due Paesi balcanici, chi vincerà le elezioni locali nelle quattro città sarà verosimilmente il rappresentante dei serbi del Kosovo all’interno della Associazione delle municipalità. E Belgrado ha tutto l’interesse che Lista Srpska – il partito più vicino al presidente serbo, Aleksandar Vučić – non perda la presa politica sul territorio.
    Non è un caso se il leader serbo ha avuto recentemente uno scatto d’ira per la nomina di Nenad Rašić come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi all’interno del governo kosovaro. Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado e concorrente di Lista Srpska, il cui leader Goran Rakić si era dimesso dallo stesso ministero a inizio novembre. Vučić ha definito Rašić “la peggiore feccia serba” proprio perché la questione nel Kosovo settentrionale è strettamente legata alla politica interna serba: “Per anni ha creato una sovrapposizione tra partito e interesse nazionale”, ha spiegato in un’intervista a Eunews Giorgio Fruscione, politologo dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ed esperto delle questioni balcaniche. Dentro e fuori i confini nazionali Vučić tenta di far apparire “tutti gli esponenti che non ricadono sotto il suo controllo non ‘abbastanza’ serbi”. La mossa di Kurti di posizionare un serbo del Kosovo non fedele a Belgrado “sembra uno scacco matto” e per Belgrado è cruciale che lo stesso scenario non si ripeta nelle quattro amministrazioni locali finora controllate nel nord del Paese.
    Gli sforzi diplomatici dell’Ue
    Dopo settimane di tensione per la questione delle targhe e le nomine ministeriali in Kosovo – che ha spinto lo stesso presidente serbo Vučić a minacciare, e poi ritrattare, un boicottaggio del vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana – i Ventisette stanno spingendo perché i due Paesi balcanici raggiungano “progressi concreti verso un accordo globale giuridicamente vincolante” sulla normalizzazione delle loro relazioni, come messo in chiaro dalle conclusioni del summit in Albania. Bruxelles sta puntando tutte le sue carte su un aggiornamento della proposta franco-tedesca, che – come riportano fonti europee – dovrebbe consentire di raggiungere un’intesa “in meno di un anno”.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Solo tre settimane fa l’alto rappresentante Borrell era riuscito in extremis a far raggiungere un accordo di compromesso tra le due parti per porre termine alla grave crisi sulle targhe nel nord del Kosovo. La mediazione di Bruxelles con i capi-negoziatori, arrivata dopo un incontro fallimentare tra Vučić e Kurti, si è rivelata decisiva anche per l’avanzamento del dialogo per la normalizzazione delle relazioni tra Pristina e Belgrado: il testo del 23 novembre in cinque paragrafi si concentra “pienamente, e con urgenza, sulla proposta di normalizzazione” secondo quanto “presentato questo settembre dal facilitatore dell’Ue e sostenuto da Francia e Germania”. In questo modo la proposta di Parigi e Berlino è entrata ufficialmente nel cuore del dialogo mediato da Bruxelles, che nelle intenzioni dei maggiori attori diplomatici a livello europeo si dovrebbe chiudere entro la fine dell’anno prossimo.
    Anche l’Italia sta cercando di ritagliarsi un ruolo decisivo per la distensione dei rapporti tra Serbia e Kosovo. A fine novembre la missione diplomatica a Belgrado e Pristina dei ministri degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto, aveva spinto “la ricerca e le soluzioni ai problemi” emersi con sempre più urgenza negli ultimi mesi. Nel corso del vertice di Tirana la stessa premier Giorgia Meloni si era intrattenuta in contatti bilaterali con i presidenti Vučić e Osmani per affrontare “una questione annosa per questa regione” e per “portare avanti il ruolo dell’Italia di amicizia e cooperazione” con i partner balcanici. A fronte della nuova ondata di escalation sul campo il ministro Tajani ha chiesto in particolare a Belgrado di allentare le tensioni e si è rivolto direttamente al presidente serbo in una telefonata, chiedendo “moderazione” per evitare un peggioramento della situazione: “La stabilità della regione è un obiettivo italiano ed europeo“, ha precisato il titolare della Farnesina.
    Il tema è stato oggetto della riunione dei ministri degli Esteri dei Ventisette. Alla luce della situazione l’Alto rappresentante Borrell ha deciso di inviare in missione Tomáš Szunyog, il rappresentante speciale per il Kosovo, così da poter fornire un quadro più preciso della situazione in occasione del vertice dei capi di Stato e di governo. La missione è prevista per mercoledì, 14 dicembre, in tempo utile per poter informare i leader il giorno seguente.

    Una granata stordente ha colpito una pattuglia di ricognizione della missione Eulex: “L’Ue non tollererà il ricorso ad atti violenti e criminali”, avverte l’alto rappresentante Borrell. Posticipate le elezioni locali in quattro città per non aggravare la situazione. Ma non c’è rischio di conflitto

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    Il presidente serbo Vučić ci ripensa. Nonostante le tensioni con il Kosovo parteciperà al vertice Ue-Balcani Occidentali

    dall’inviato a Tirana – Nelle ultime ore prima del vertice Ue-Balcani Occidentali in Albania va in scena l’ultima mossa di una partita a scacchi che dura da più di dieci anni. Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, ha annunciato che farà un passo indietro rispetto alla sua decisione di boicottare il summit come ritorsione per gli ultimi avvenimenti in Kosovo. Domani (martedì 6 dicembre) parteciperà ai lavori con gli altri cinque leader balcanici, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri Ue e i presidenti del Consiglio, Charles Michel, e della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Scongiurato a meno di ventiquattr’ore dall’inizio del summit la possibilità di un vertice Ue-Balcani Occidentali ‘meno uno’, che avrebbe potuto rappresentare non solo uno sgarbo istituzionale nei confronti del premier albanese, Edi Rama (promotore della prima riunione di questo genere nella regione ancora extra-Ue), ma soprattutto avrebbe reso quasi vane le conclusioni sui rapporti tra Serbia e Kosovo del vertice stesso. “Rientra nel suo gioco di fare la vittima eterna, è un paradigma che ha funzionato nel nazionalismo serbo degli ultimi 30 anni”, spiega a Eunews Giorgio Fruscione, politologo dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ed esperto delle questioni balcaniche, Serbia in primis. “Non avevo alcun dubbio sul fatto che Vučić avrebbe confermato la sua presenza”, ribadisce Fruscione, sottolineando che il presidente serbo “non può permettersi di fare la voce grossa con Bruxelles in un momento così delicato per il dossier kosovaro“.
    A scatenare le ire di Vučić venerdì scorso (2 dicembre) era stata la nomina di Nenad Rašić come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi all’interno del governo kosovaro guidato da Albin Kurti. Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado e concorrente di Lista Srpska. Proprio il leader del partito serbo-kosovaro più vicino a Vučić, Goran Rakić, si era dimesso dal ministero riservato alla minoranza serba nel Paese durante l’ondata di ritiri di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali a inizio novembre, in segno di protesta contro l’obbligo di sostituire le targhe serbe con quelle rilasciate dalle autorità di Pristina.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić
    Nonostante l’accordo del 24 novembre scorso, che ha risolto la grave tensione tra Serbia e Kosovo sulla questione delle targhe dei veicoli alla frontiera, la maggior parte dei serbi-kosovari dimessisi non è ancora rientrata in servizio e il premier Kurti ha dovuto colmare il vuoto nel suo governo, “continuando a giocare a scacchi con Belgrado”, è l’analisi di Fruscione. Proprio da questa partita a scacchi sulla questione kosovara dipende in parte la rabbia di Vučić: “La mossa di Kurti di posizionare un serbo del Kosovo non fedele a Belgrado sembra uno scacco matto“. Ma c’è di più.
    Una seconda motivazione che ha spinto il leader serbo a rilasciare delle dichiarazioni “al limite del surreale” alla rete filo-governativa Rtv Pink – in cui ha definito Rašić “la peggiore feccia serba” – è legata a questioni di politica interna: “Per anni Vučić ha creato una sovrapposizione tra partito e interesse nazionale”, spiega ancora Fruscione. Di qui il tentativo di far sembrare il Partito Progressista Serbo “l’unico o il migliore rappresentante della bandiera serba” dentro e fuori i confini nazionali (anche se il Kosovo è tutt’ora considerato da Belgrado parte del Paese), mentre “tutti gli esponenti che non ricadono sotto il suo controllo non sono ‘abbastanza’ serbi“.
    Il passo indietro di Vučić
    Il rappresentante speciale UE, Miroslav Lajčák, con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, a Belgrado
    Il ripensamento del leader serbo – arrivato senza nessuno stupore degli analisti – è stato annunciato al termine del confronto con il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, volato questa mattina nella capitale serba proprio per cercare di risolvere con la diplomazia uno strappo che si sarebbe fatto sentire al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana. Nella dura accusa di Vučić di venerdì le istituzioni di Bruxelles erano state definite colpevoli di “mancata condanna” della presunta incostituzionalità della decisione del governo Kurti: anche per questa ragione il boicottaggio dell’imminente summit di Tirana con i Ventisette aveva assunto un significato quantomeno simbolico.
    “La sua partecipazione non dovrebbe cambiare gli equilibri del vertice, ma è servita per scopi interni”, mette in chiaro Fruscione. Anche se “Lajčák non è andato a supplicare Vučić di essere presente a Tirana, c’è sicuramente del lavoro intenso dietro le quinte”, dal momento in cui la partita a scacchi Serbia-Kosovo potrebbe essere arrivata alle battute finali. “Credo che siano giorni e settimane, probabilmente gli ultimi mesi decisivi per chiudere la questione del Kosovo“, in cui la mediazione di Bruxelles – accompagnata da una proposta franco-tedesca in 9 punti – è “l’elemento-chiave per far ragionare le due parti, che approfittano di pretesti come questo per rivendicare interessi nazionali”. Ribaltando l’interpretazione che il presidente Vučić sta cerando di far passare in patria (che l’Ue privilegia il Kosovo e punisce la Serbia), Fruscione puntualizza la “preponderanza almeno nella forma verso Belgrado” da parte delle istituzioni comunitarie. Ma per Bruxelles la missione quasi impossibile ora è chiudere la partita senza far avvertire a nessuna della due parti il peso della sconfitta.

    In Belgrade today, I discussed the way forward on normalisation of relations as a follow-up to the last Dialogue meetings with @predsednikrs @avucic. We also spoke about current issues, including return of Kosovo Serbs to Kosovo institutions, Energy Roadmap and missing persons. pic.twitter.com/NlhE9bfOxm
    — Miroslav Lajčák (@MiroslavLajcak) December 5, 2022

    Il numero uno della Serbia aveva annunciato che avrebbe boicottato il summit di Tirana del 6 dicembre dopo la nomina del serbo-kosovaro Nenad Rasić (ostile a Belgrado) nel governo del Kosovo. Il cambio di decisione dopo l’incontro con il rappresentante speciale Ue, Miroslav Lajčák

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    Via libera dai 27 ambasciatori Ue alla liberalizzazione dei visti Schengen del Kosovo “non oltre il primo gennaio 2024”

    Bruxelles – Un passo avanti significativo nell’ormai infinita vicenda della liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo – unico Paese europeo (fatta eccezione per Russia e Bielorussia) a cui non è riconosciuta – anche se Pristina dovrà aspettare ancora un poco più di un anno al massimo prima di poter finalmente celebrare l’esenzione del regime dei visti in ingresso nello spazio Schengen. I 27 ambasciatori dei Paesi membri dell’Ue hanno dato il via libera in Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio) al mandato negoziale del Consiglio dell’Ue, in vista degli imminenti negoziati con l’Eurocamera.
    La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel
    “Oggi [mercoledì 30 novembre, ndr] abbiamo compiuto un passo importante verso l’esenzione dei visti per il Kosovo e speriamo ora di raggiungere rapidamente un accordo con il Parlamento Europeo per trasformare questa promessa in realtà”, ha commentato il ministro degli Esteri ceco e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Jan Lipavský, che ha sottolineato come questo risultato sia stato reso possibile “dagli sforzi del Kosovo per rafforzare i controlli alle frontiere, la gestione dell’immigrazione e la sicurezza”. L’esenzione implica la possibilità di viaggiare senza visto per un soggiorno di massimo 90 giorni (su un periodo di 180) nell’area che ha abolito le frontiere interne, utilizzando il proprio passaporto senza ulteriori requisiti: è in vigore per 63 Paesi di tutto il mondo, compresi quelli dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, ma non il Kosovo), Regno Unito, Moldova, Georgia e Ucraina.
    Secondo la posizione approvata oggi dai 27 ambasciatori, l’esenzione dall’obbligo di visto si applicherebbe a partire dalla data di inizio del funzionamento del Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (Etias), secondo la proposta francese emersa all’ultima riunione del gruppo di lavoro sui visti del Consiglio a metà ottobre. Si tratta di un sistema digitale per tenere traccia dei visitatori extra-comunitari nella zona Schengen, che riguarderà tutti i viaggiatori provenienti dai 63 Paesi ‘visa free’ per l’Ue e che prevederà la compilazione di un modulo d’ingresso (come per l’Electronic System for Travel Authorization negli Stati Uniti).
    Il vero problema riguarda il fatto che non è ancora stato stabilito quando l’Etias sarà operativo: inizialmente era previsto entro il 2022, poi la data di entrata in vigore è stata posticipata alla primavera 2023 e ancora alla fine del prossimo anno. È per questo motivo che assume particolare rilevanza la specifica degli ambasciatori “e comunque non oltre il primo gennaio 2024” per la liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo. “Accolgo con favore l’importante e a lungo attesa decisione odierna del Coreper sull’abolizione dei visti”, ha commentato il primo ministro kosovaro, Albin Kurti. Per Pristina è “un riconoscimento del nostro impegno per lo Stato di diritto, la lotta alla corruzione, il rafforzamento dei controlli alle frontiere e la gestione dell’immigrazione”. Ringraziando la presidenza di turno ceca del Consiglio dell’Ue, Kurti ha sottolineato che ora attende “con impazienza” la finalizzazione del processo.

    I welcome today’s important & overdue decision by COREPER on visa lib. for Kosova, an acknowledgement of our commitment to rule of law, fighting corruption, strengthening border controls & managing migration. Thankful to @EU2022_CZ & look fwd to the finalization of this process.
    — Albin Kurti (@albinkurti) November 30, 2022

    La lunga attesa del Kosovo
    Il dialogo dl Kosovo con la Commissione Europea sulla liberalizzazione dei visti è iniziato il 19 febbraio 2012, a quattro anni dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza dalla Serbia. Nel maggio 2016 la Commissione aveva proposto al Parlamento e al Consiglio dell’Ue (che devono entrambi dare il via libera definitivo) di concedere l’esenzione per i cittadini kosovari, mentre procedevano i lavori per il rispetto degli ultimi due requisiti da parte di Pristina: la demarcazione dei confini (con il Montenegro) e il bilancio della lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione. Due anni più tardi, il 18 luglio 2018, lo stesso esecutivo comunitario aveva confermato che il Kosovo ha soddisfatto tutti i requisiti previsti dalla tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti, incoraggiando i co-legislatori ad adottare la proposta di abolirne l’obbligo in ingresso sul territorio dell’Unione. La stessa esortazione è arrivata il 12 ottobre con la presentazione del Pacchetto Allargamento 2022.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Ma dal 2018 a oggi niente si era mosso in Consiglio. Il Parlamento Ue ha più volte accusato i 27 Paesi membri per il “fallimento di non aver mantenuto la promessa” ai cittadini del Kosovo. L’intesa di oggi tra i 27 ambasciatori è considerata cruciale perché supera uno stallo che ha una doppia natura: cinque membri Ue non riconoscono l’indipendenza di Pristina (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e, allo stesso tempo, Francia e Paesi Bassi hanno frenato fino all’ultimo l’iniziativa della Commissione, almeno prima dell’inedito impegno congiunto sull’asse Parigi-Berlino per risolvere le controversie più urgenti che riguardano il Kosovo.
    Come hanno sottolineato i 27 ambasciatori Ue, Pristina in questi anni “ha compiuto progressi significativi in tutti i blocchi della tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti“, inclusi i settori della sicurezza dei documenti, della gestione delle frontiere e della migrazione, dell’ordine pubblico e dei diritti fondamentali relativi alla libertà di circolazione. Una volta che entrerà in vigore l’esenzione dall’obbligo di visto anche per i cittadini kosovari – al massimo fra un anno e un mese – l’intera regione dei Balcani Occidentali sarà soggetta allo stesso regime (con la Commissione Ue che continuerà a monitorare “attivamente” l’attuazione dei requisiti, attraverso il meccanismo di liberalizzazione post-visto). Tutti i cittadini europei potranno così viaggiare liberamente con il proprio passaporto sull’intero continente, senza discriminazioni di nazionalità.

    Approvato il mandato del Consiglio dell’Ue per i negoziati con l’Eurocamera. Prima della data-limite, il regolamento sull’esenzione dei visti per i cittadini kosovari potrebbe applicarsi a partire dall’entrata in funzione del Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (Etias)

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    L’accordo di Cenerentola a Bruxelles. Allo scoccare della mezzanotte Serbia e Kosovo trovano l’intesa sulle targhe

    dall’inviato a Strasburgo – “We have a deal!” Abbiamo un accordo, sulle targhe serbe in Kosovo. Come quasi sempre – tra Pristina e Belgrado – all’ultimo secondo, quando tutto sembra andare per il verso sbagliato. Ad annunciarlo, con un tweet in cui si può leggere tutto il sollievo per una situazione che sembrava essere sfuggita di mano dopo l’ultimo incontro fallimentare a Bruxelles tra il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, è stato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “Sono molto lieto di annunciare che i capi-negoziatori del Kosovo e della Serbia, sotto la guida dell’Ue, hanno concordato misure per evitare un’ulteriore escalation e concentrarsi pienamente sulla proposta di normalizzazione delle loro relazioni”.
    Da sinistra: il capo-negoziatore della Serbia, Petar Petković, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, e il capo-negoziatore del Kosovo, Besnik Bislimi (23 novembre 2022)
    La nuova riunione focalizzata sulla questione delle targhe serbe in Kosovo tra i due capi-negoziatori – il kosovaro Besnik Bislimi e il serbo Petar Petković – era stata convocata nella giornata di ieri (mercoledì 23 novembre) dal rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, a Bruxelles. L’obiettivo era quello di dare un seguito più costruttivo al vertice di alto livello di lunedì (21 novembre), per “trovare una soluzione per allentare le tensioni sul campo” a proposito delle targhe serbe in Kosovo e “lavorare per la normalizzazione delle relazioni“, aveva anticipato lo stesso membro del gabinetto von der Leyen. Dopo diverse ore di negoziati – ormai sullo scadere del termine della proroga di 48 ore concessa da Pristina sull’imposizione di multe per le targhe serbe in Kosovo con la sigla KM (acronimo di Kosovska Mitrovica) e altre utilizzate dalla minoranza serba nel nord del Paese – i diplomatici sono arrivati alla fine a un’intesa complessiva, “grazie al loro impegno costruttivo” e al “supporto inestimabile della diplomazia statunitense”, ha specificato Lajčák.
    Secondo quanto reso noto dall’alto rappresentante Borrell, “la Serbia smetterà di emettere targhe con denominazioni di città kosovare“, mentre “il Kosovo cesserà ogni ulteriore azione relativa alla re-immatricolazione dei veicoli“. Si tratta dello stesso compromesso su cui era naufragata la riunione d’emergenza di lunedì e su cui l’alto rappresentante aveva ribadito con forza l’assoluta irremovibilità da parte dell’Ue. Allo stesso tempo, “le parti sono consapevoli che tutti i precedenti accordi di dialogo devono essere attuati” – a partire dagli Accordi di Bruxelles del 2013 – a ridosso di una convocazione dei due leader balcanici che arriverà “nei prossimi giorni”, per “discutere dei prossimi passi” sulle targhe serbe in Kosovo e sulla normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi. Nonostante Bruxelles rimanga saldamente l’attore internazionale in carica per la mediazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado, Borrell ha avvertito senza giri di parole che “in caso di ostruzione da parte di una delle parti, abbiamo concordato che l’Ue può interrompere il processo” che dura ormai da oltre 10 anni.

    We reached an agreement between #Kosovo and #Serbia today that will allow to avoid further escalation.
    We will discuss next steps within the framework of our proposal for normalisation of relations between the two parties. pic.twitter.com/YQ7vVWPOgT
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) November 23, 2022

    Cos’aveva scatenato le tensioni sulle targhe serbe in Kosovo
    Le tensioni imperniate sulle targhe serbe in Kosovo sono cresciute giorno dopo giorno nelle regioni settentrionali del Paese nelle prime tre settimane di novembre, dopo l’introduzione del piano a tappe per l’applicazione delle regole sulla re-immatricolazione dei veicoli lo scorso 28 ottobre. Secondo quanto previsto dal piano, fino al 21 novembre è stato emesso solo un solo avvertimento a chi non si è adeguato alle nuove norme sulle targhe serbe in Kosovo, mentre da giovedì (24 novembre, con una doppia proroga per un totale di tre giorni) e il 21 gennaio le autorità kosovare avrebbero dovuto emettere una multa e tra il 21 gennaio al 21 aprile avrebbero dovuto applicare una targa temporanea. Dal 21 aprile in poi l’entrata in vigore sarebbe dovuta essere invece definitiva e i veicoli non conformi sottoposti a sequestro.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    Il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, ha deciso di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali, denunciando la “violazione del diritto internazionale” e la mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia). La situazione è arrivata a diventare così delicata da essere definita dallo stesso alto rappresentante Borrell “la più pericolosa dal 2013“, anche peggiore rispetto ad agosto, quando si era riaccesa la disputa a proposito delle targhe serbe in Kosovo per colpa dell’assenza di una soluzione definitiva dopo quasi un anno di negoziati. “Meno di 50 poliziotti kosovaro-albanesi stanno gestendo la situazione, questo crea un vuoto di sicurezza sul campo molto pericoloso in una situazione di fragilità evidente”, è stato l’allarme suonato a Bruxelles.
    Lo scorso 14 novembre l’alto rappresentante Borrell ha poi dato il via libera al lavoro dei negoziatori delle due parti, prima di convocare una settimana più tardi i leader Kurti e Vučić, proprio in occasione della prima scadenza (prorogata in quel momento a martedì 22 novembre) sull’entrata in vigore delle multe per chi ancora utilizza targhe serbe in Kosovo. Riunione andata poi malissimo, a causa del “comportamento non costruttivo delle parti e della totale mancanza di rispetto per i loro obblighi legali internazionali, in particolare del Kosovo”, ha attaccato con veemenza Borrell al termine del vertice. Nello specifico, quella presentata era “una proposta che avrebbe potuto risolvere la situazione, che il presidente Vučić ha accettato, mentre il primo ministro Kurti non l’ha fatto“. La stessa proposta, appunto, su cui è stato raggiunto un compromesso sulle targhe serbe in Kosovo nella tarda serata di soli due giorni più tardi.
    Da sinistra: il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto (22 novembre 2022)
    Mentre Pristina ha accettato lunedì a mezzanotte una proroga di 48 ore sulle multe contro chi usa targhe serbe in Kosovo – chiesta dall’ambasciatore statunitense nel Paese balcanico, Jeff Hovenier, per tentare di raggiungere un’intesa dell’ultima ora -ft immediatamente si è attivata la diplomazia. L’Italia, in particolare, si è inserita con una missione diplomatica guidata dai ministri italiani degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto, a Pristina, dedicata alle prospettive di integrazione della regione nell’Unione, affiancandolo a una proposta di mediazione franco-tedesca di ampio respiro su cui anche Bruxelles spinge per chiudere in tempi relativamente brevi un dialogo che ha visto fin troppi colpi di scena dall’8 marzo 2011.

    Ad annunciarlo è stato l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, sullo scadere della proroga per l’entrata in vigore delle multe per la re-immatricolazione dei veicoli. Belgrado smetterà di emettere targhe con denominazioni di città kosovare, Pristina ulteriori azioni del piano a tappe

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    Posticipata di altre 48 ore l’entrata in vigore delle multe in Kosovo sulle targhe serbe. Italia spinge colloqui con Belgrado

    dall’inviato a Strasburgo – Non c’è un giorno senza colpi di scena tra Pristina e Belgrado, in un mese frenetico per l’acuirsi della tensione nel nord del Kosovo per la decisione del governo guidato da Albin Kurti di implementare senza ripensamenti il piano a tappe per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe dello scorso 28 ottobre, senza che la Serbia abbia smesso di emettere nuove targhe con le denominazioni delle città kosovare. Dopo le feroci accuse arrivate ieri (lunedì 21 novembre) dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, al termine di una riunione d’urgenza fallimentare con i due leader balcanici (il premier Kurti e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić), da Pristina è arrivata la decisione di prorogare al 24 novembre l’entrata in vigore delle multe per chi non rispetta le nuove regole.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti (21 novembre 2022)
    “Ringrazio l’ambasciatore [statunitense in Kosovo, ndr] Jeff Hovenier per il suo impegno e la sua partecipazione”, ha scritto il premier Kurti in un tweet nella notte tra lunedì e martedì, annunciando che “accetto la sua richiesta di rinviare di 48 ore l’imposizione di multe per le targhe automobilistiche illegali KM [acronimo di Kosovska Mitrovica, ndr] e altre”. In questo modo viene dato ancora del tempo a Stati Uniti e Unione Europea per “trovare una soluzione nei prossimi due giorni” alla disputa tra Pristina e Belgrado, ha precisato lo stesso Kurti. Tuttavia, da Bruxelles è abbastanza chiara la traccia: “Chiedo al Kosovo di sospendere immediatamente ulteriori tappe della re-immatricolazione dei veicoli” – ha ribadito con forza l’alto rappresentante Borrell ieri in una conferenza stampa dai toni quasi sconsolati – mentre “alla Serbia di sospendere l’emissione di nuove targhe con le denominazioni delle città kosovare, incluse quelle KM”.
    Secondo le parole di Borrell il vero scoglio sarebbe Pristina (“Vučić ha accettato, mentre il primo ministro Kurti non l’ha fatto”), che dovrebbe convincersi in queste ore a fare passi indietro sul piano a tappe. Dopo i primi 21 giorni di novembre con un solo avvertimento, a chi non si adeguerà da giovedì (24 novembre, con una doppia proroga per un totale di tre giorni) e il 21 gennaio sarà emessa una multa e tra il 21 gennaio al 21 aprile sarà applicata una targa temporanea. Dal 21 aprile in poi l’entrata in vigore sarà invece definitiva e i veicoli non conformi saranno sottoposti a sequestro. Proprio per questa ragione sono tornate a crescere le tensioni nel nord del Paese: il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, ha deciso di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali. La denuncia è di “violazione del diritto internazionale”, sommata alla mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia).

    I thank Ambassador Hovenier for his commitment and engagement. I accept his request for a 48-hour postponement on imposition of fines for illegal ‘KM’ (and other) car plates. I am happy to work with the US and the EU to find a solution during the next two days. https://t.co/iXq1SCM8JL
    — Albin Kurti (@albinkurti) November 21, 2022

    Il ruolo dell’Italia tra Kosovo e Serbia
    Mentre la situazione sul campo rischia di tornare ad aggravarsi per le dispute politiche delle due parti, il nuovo governo italiano guidato da Giorgia Meloni cerca di rafforzare la tradizionale posizione di Roma di sponsor delle prospettive di integrazione della regione nell’Unione, provando a mettere sul tavolo tutto il suo peso politico e affiancandolo a una proposta di mediazione franco-tedesca di ampio respiro. Oggi i ministri italiani degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto, hanno guidato una missione diplomatica in entrambe le capitali balcaniche, per incontrare gli omologhi e i leader che rischiano di far naufragare oltre 10 anni di mediazione guidata dall’Ue.
    “Ho apprezzato la decisione del Kosovo di sospendere per 48 ore l’imposizione di multe per la questione delle targhe, è un segnale positivo di disponibilità, che ho sentito anche dalla Serbia”, ha dichiarato alla stampa il titolare della Farnesina. Il ministro Tajani ha poi sottolineato di nutrire “speranza” per un compromesso: “Noi siamo venuti a cercare soluzioni, non ci schieriamo, ma stiamo nel mezzo per cercare e favorire soluzioni ai problemi”, dal momento in cui “le iniziative unilaterali non servono a raggiungere un compromesso, vogliamo che riparta il dialogo e il confronto”. Secondo le parole del ministro degli Esteri italiano, “tocca a noi svolgere un ruolo di pacificatori, saremo una garanzia sia per la minoranza serba in Kosovo sia per i kosovari”.
    Il ministro Crosetto ha parlato di “tempi difficili”, perché “il clima è peggiorato nelle ultime settimane” nel nord del Kosovo. L’Italia comunque “ha il dovere di essere protagonista nel dialogo“, per aiutare i due partner a “cercare insieme una soluzione a un problema che impedisce lo sviluppo e il reciproco rispetto”. Il quadro è sempre quello dell’adesione di entrambi i Paesi balcanici all’Ue: “L’Europa è una grande famiglia, ma dove bisogna saper convivere” e, “quando due membri futuri non vanno d’accordo, la responsabilità degli altri è di farli sedere a tavola e farli mettere d’accordo in modo che nessuno si senta trattato in modo diverso“. Questo è ciò che si propone di fare l’Italia nel nuovo quadro di mediazione in cui si è inserita di prepotenza, di fronte a un’escalation che la riguarda da vicino (il continente italiano è quello più consistente nella forza militare della Nato Kosovo Force): “È troppo importante questa parte dell’Europa per lasciarla da sola in momento di difficoltà“, ha concluso Crosetto.

    Oggi missione congiunta con il Ministro della Difesa @GuidoCrosetto in Serbia e Kosovo. Lavoriamo per allentare le tensioni tra i due Paesi, anche grazie alla presenza del nostro contingente militare. L’Italia vuole essere protagonista di pace anche nei Balcani Occidentali.
    — Antonio Tajani (@Antonio_Tajani) November 22, 2022

    Il premier kosovaro, Albin Kurti, ha accettato una proroga (fino a giovedì 24 novembre) al piano graduale di re-immatricolazione dei veicoli nel nord del Paese, per cercare un’intesa dell’ultimo minuto. Intanto i ministri Tajani e Crosetto guidano la missione nei due Paesi balcanici

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    Lo storico accordo sui documenti d’identità tra Kosovo e Serbia, grazie alla mediazione Ue. Ora tocca alle targhe

    Bruxelles – Bisogna leggere tra le righe dell’intesa tra Pristina e Belgrado per capire quanto si tratti di un accordo storico per la regione balcanica. Il via libera reciproco ai documenti d’identità nazionali alla frontiera è un primo riconoscimento de facto della sovranità del Kosovo da parte della Serbia, nonostante Belgrado si rifiuti per principio di definirlo come tale: mai nei 14 anni d’indipendenza unilaterale di Pristina la polizia di frontiera serba aveva consentito l’ingresso nel Paese a persone che mostravano una carta d’identità rilasciata dalle autorità kosovare (al loro posto venivano rilasciati documenti serbi provvisori).
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 18 agosto 2022
    “Nell’ambito del dialogo facilitato dall’Unione Europea, la Serbia ha accettato di abolire i documenti di ingresso e uscita per i possessori di documenti d’identità kosovari, mentre il Kosovo ha accettato di non introdurli per i possessori di documenti d’identità serbi“, si legge in una nota dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Nello stesso accordo tra Pristina e Belgrado è contenuta la precisazione che i serbi del Kosovo “potranno viaggiare liberamente tra il Kosovo e la Serbia utilizzando le proprie carte d’identità”, grazie alle garanzie fornite a Bruxelles dal premier kosovaro, Albin Kurti. “Lieto” di annunciare l’intesa sulla libertà di circolazione raggiunta nella giornata di sabato (27 agosto), l’alto rappresentante Borrell ha sottolineato che il risultato è stato reso possibile grazie all’incontro di alto livello del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’Ue della scorsa settimana e agli “intensi sforzi” continuati nelle due capitali nei giorni seguenti in coordinamento con “i nostri partner statunitensi”.
    Da Bruxelles e da Washington si guarda a questo accordo storico come un segnale incoraggiante di disponibilità al compromesso anche su un’altra questione calda nell’estate 2022. L’alto rappresentante Borrell non ha nascosto che “ci sono alcuni problemi ancora aperti e mi aspetto che entrambi i leader continuino a dare prova di pragmatismo e costruttività per risolvere il problema delle targhe“. Dopo quasi un anno di soluzione provvisoria, a fine luglio erano scoppiate nuove tensioni nel nord del Kosovo sulla questione delle targhe automobilistiche al passaggio della frontiera, a seguito della decisione del governo di Pristina di introdurre l’obbligo su tutto il territorio nazionale di utilizzare quelle kosovare al posto di quelle serbe (molto diffuse tra la minoranza serba nel nord del Paese) a partire dal primo agosto. Prorogata di un mese, la misura identica a quella applicata da Belgrado entrerà in vigore da giovedì primo settembre.

    I am happy that we found a European solution that facilitates travel between #Kosovo and #Serbia, which is in the interest of all citizens of Kosovo and Serbia.
    I thank @predsednikrs and @albinkurti for their leadership, and underline the excellent practical EU – US cooperation pic.twitter.com/kO4UZNenwk
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) August 27, 2022

    Anche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha salutato “con favore” l’accordo sulla libera circolazione tra Pristina e Belgrado, ma allo stesso tempo ha esortato il premier kosovaro Kurti e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, a “risolvere le questioni in sospeso attraverso il dialogo politico”. In Kosovo è di stanza il più grande contingente dell’Alleanza Atlantica, la cui forza militare internazionale Kosovo Force (Kfor) dispiega circa 3.700 soldati e il cui mandato è quello di “contribuire al mantenimento di un ambiente sicuro e protetto” nella regione e alla “dissuasione di nuove ostilità”. In un tweet lo stesso segretario generale Stoltenberg ha ribadito che “la Nato rimane vigile”. Dalle due capitali sono arrivate reazioni opposte. Il premier Kurti ha sottolineato con entusiasmo che “la reciprocità è lo spirito di una soluzione giusta e di principio“, ricordando che “i cittadini della nostra Repubblica possono ora recarsi in Serbia liberamente e da pari a pari”, mentre Pristina “non introdurrà documenti di ingresso e uscita per i documenti serbi”. Il presidente Vučić ha invece messo in rilievo che “è fondamentale” che i serbi del Kosovo possano entrare e uscire dal Kosovo “liberamente” con documenti rilasciati dalle autorità di Belgrado, ma ribadendo con forza che il compromesso con Pristina è solo per “ragioni pratiche” e che questo “non rappresenta un riconoscimento implicito dell’indipendenza”.
    La posizione non cambia – “in base alla Costituzione serba, il Kosovo è parte integrante della Repubblica di Serbia” – ma è sotto gli occhi di tutti che accettare i documenti d’identità rilasciati da un’autorità che si considera nazionale ha nei fatti delle implicazioni concrete sul riconoscimento della sovranità del Paese stesso. I rapporti tra Pristina e Belgrado rimangono comunque molto tesi, sia per la questione delle targhe sia per la volontà del Kosovo di presentare la richiesta formale di adesione Ue entro la fine dell’anno. Anche per le spinte e nazionaliste in entrambi i Paesi, un accordo finale sembra ancora molto distante e Bruxelles dovrà spingere ancora molto sul dialogo per dare seguito a questo passo storico: al centro della disputa non c’è solo il riconoscimento formale della sovranità del Kosovo da parte della Serbia, ma anche il rispetto da parte di Pristina dell’intesa del 2013 sulla creazione della Comunità delle municipalità serbe nel Paese (ancora non implementata per il timore che nel Paese si crei una Republika Srpska come in Bosnia ed Erzegovina, problematica anche per l’Unione Europea).

    Citizens of our Republic may now travel to Serbia freely as equals. I want to thank HRVP Borrell, EUSR Lajcak, DAS Escobar & Ambasador Hovenier for their contribution. Reciprocity is the spirit of a principled & just solution. 🇽🇰will not introduce entry-exit docs for Serbian IDs.
    — Albin Kurti (@albinkurti) August 27, 2022

    A questo scenario complesso si è aggiunta un’altra controversia, che dimostra quanto la posizione intransigente di Vučić risponda a delicate dinamiche interne al Paese, in particolare in relazione all’elettorato nazionalista su cui ha costruito il proprio successo politico. Conferendo un nuovo mandato di governo alla premier uscente, Ana Brnabić, dopo le elezioni dello scorso 3 aprile (l’esecutivo sarà formato entro i prossimi 20 giorni), il presidente serbo ha annunciato proprio sabato scorso che l’EuroPride in programma tra il 12 e il 18 settembre a Belgrado sarà “annullato o rinviato”. La dichiarazione ha alzato un polverone di polemiche in tutta Europa, ma va rilevato un tecnicismo non irrilevante: Vučić non ha detto “vietato”, perché un’autorità nazionale non ha il potere di cancellare l’evento più atteso dalla comunità LGBTQ+ europea una volta assegnata la città, fatta eccezione per ragioni di sicurezza pubblica motivate dalle forze di polizia. Il numero uno della Serbia ha fatto riferimento a “questioni urgenti” – ovvero la disputa di confine con il Kosovo e la crisi energetica – che nulla c’entrano con lo svolgimento pacifico della manifestazione annuale itinerante.
    Ecco perché questa dichiarazione deve essere letta in ottica puramente politica: nel giorno dell’annuncio di un accordo di compromesso storico con il Kosovo, Vučić ha ritenuto necessario distogliere l’attenzione dei partiti di estrema destra e della Chiesa Ortodossa, concedendo loro un ‘successo’ interno dopo le manifestazioni di agosto nella capitale serba contro l’EuroPride (i vertici religiosi hanno addirittura minacciato “maledizioni contro tutti coloro che organizzano e partecipano a una cosa del genere”). Il governo Brnabić ha appoggiato la decisione del presidente, affermando che non sussistono le condizioni per lo svolgimento dell’EuroPride in sicurezza: “Gruppi estremisti potrebbero approfittare di tale evento per alimentare tensioni e creare instabilità in Serbia“, si legge in una nota. Anche questa posizione si mostra precaria e poco fondata, dal momento in cui la marcia del Pride Month di Belgrado si svolge ininterrottamente da otto anni (dopo un’interruzione per le violenze dell’estrema destra nel 2010) e dal 2017 vi partecipa anche Brnabić, prima premier omosessuale dichiarata nella storia del Paese.
    Gli organizzatori hanno denunciato l’illegalità della decisione e hanno confermato che la marcia dell’EuroPride si terrà in ogni caso il 17 settembre, come da programma: “Lo Stato non può cancellare l’evento, sarebbe una chiara violazione della Costituzione nazionale”, oltre che “degli articoli 11, 13 e 14 della Convenzione europea sui diritti umani, che la Serbia ha ratificato come membro del Consiglio d’Europa”. Nel comunicato viene anche ricordato che dopo l’assegnazione dell’evento a Belgrado nel 2019 la premier serba aveva promesso “pieno appoggio” alla manifestazione e alla protezione dei diritti della comunità LGBTQ+ nel Paese. Immediata la levata di scudi in difesa dell’EuroPride 2022 anche a Bruxelles. “I diritti non siano ostaggio dell’estrema destra“, ha ribadito con forza l’eurodeputata del Partito Democratico, Alessandra Moretti, ribadendo che “l’Europa non fa passi indietro sulle libertà”. Messaggio rinforzato dalla co-presidente dell’intergruppo LGBTQ+ del Parlamento Europeo, Terry Reintke: “Siamo pienamente solidali con il Belgrade Pride, saremo con voi fra tre settimane e marceremo per le strade di Belgrado“.

    The @LGBTIintergroup in the European Parliament stands in full solidarity with @belgradepride 🌈
    We will be there for @EuroPride in 3 weeks and march with you in the streets of Belgrade.
    Freedom of assembly is a fundamental right.
    We stand together to defend our rights.
    💕✨ pic.twitter.com/OHgNqG9Zsv
    — Terry Reintke (@TerryReintke) August 27, 2022

    L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha annunciato che i due governi hanno raggiunto l’intesa sull’uso delle rispettive carte d’identità alla frontiera, grazie al dialogo mediato da Bruxelles. È un primo passo per il riconoscimento (de facto) della sovranità di Pristina da parte di Belgrado

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    Il Kosovo è pronto a presentare la domanda di adesione all’Unione Europea entro la fine dell’anno

    Bruxelles – Il Kosovo spinge sempre più forte sull’acceleratore e, dopo la richiesta di adesione al Consiglio d’Europa, è pronta a continuare con estrema determinazione sulla strada della candidatura a Paese membro dell’Unione Europea. È stato lo stesso premier del Kosovo, Albin Kurti, ad anticipare all’agenzia di stampa turca Anadolu la volontà del governo di Pristina di presentare la richiesta formale per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione Ue entro la fine dell’anno. La decisione è arrivata ieri (mercoledì 24 agosto) durante l’ultima riunione del governo, con l’adozione della proposta di formare un gruppo di lavoro interistituzionale incaricato di formulare la richiesta formale alla Commissione Europea.
    Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    Se il Kosovo vuole raggiungere la piena adesione all’Ue, deve però affrontare una serie di difficoltà dentro e fuori la regione dei Balcani Occidentali. Tutto parte dalla dichiarazione di indipendenza unilaterale dalla Serbia del 17 febbraio 2008, mai riconosciuta non solo da Belgrado, ma anche da cinque Paesi membri Ue: Spagna, Grecia, Slovacchia, Cipro e Romania. Questa posizione sta mostrando che impatto possano esercitare i cinque governi europei sulla libertà di manovra di Bruxelles nelle aperture nei confronti di Pristina, a partire dalla questione della liberalizzazione dei visti. Nonostante la Commissione abbia riconosciuto dal 2016 che Pristina ha soddisfatto tutte le richieste, anche al vertice Ue-Balcani Occidentali dello scorso giugno non è stato trovato un accordo tra i Paesi membri Ue per permettere ai cittadini kosovari di viaggiare liberamente sul suolo europeo.
    A questo si somma un rapporto ancora particolarmente teso proprio con Belgrado, all’interno del dialogo mediato dall’Unione Europea a partire dal 2008. Una settimana fa (giovedì 18 agosto) si è svolto a Bruxelles il sesto incontro di alto livello con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier kosovaro Kurti, portati allo stesso tavolo dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Il vertice non ha prodotto alcun risultato concreto, ma è stato definito “di gestione della crisi” dall’alto rappresentante, a sottolineare quanto fosse necessario che i due leader balcanici si confrontassero. A fine luglio erano scoppiate nuove tensioni nel nord del Kosovo sulla questione delle targhe automobilistiche e dei documenti d’identità al passaggio della frontiera, dopo la decisione del governo di Pristina di introdurre l’obbligo su tutto il territorio nazionale di utilizzare quelle kosovare al posto di quelle serbe (molto diffuse tra la minoranza serba nel nord del Paese) a partire dal primo agosto. Prorogata di un mese, la misura identica a quella applicata da Belgrado entrerà in vigore dal primo settembre, ha confermato oggi lo stesso Kurti.

    Il presidente serbo #Vucic ha reso note le richieste del premier kosovaro #Kurti per l’accordo finale tra 🇽🇰 e 🇷🇸👇
    1/3 https://t.co/X2SGJZfpjQ
    — BarBalcani // BarBalkans (@BarBalcani) August 21, 2022

    Dopo l’incontro tra Vučić e Kurti è stato il presidente serbo a rendere note le condizioni poste dal premier kosovaro per raggiungere l’accordo finale sulla normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi. Il primo punto definisce i principi generali delle relazioni bilaterali, come il riconoscimento reciproco e l’ingresso del Kosovo nelle organizzazioni internazionali, il secondo disciplina la risoluzione dei problemi del passato (persone scomparse, restituzione dei manufatti artistici sottratti dalla Serbia, riparazioni di guerra), mentre il terzo si concentra sulla cooperazione futura tra Pristina e Belgrado. Il governo Kurti vuole anche mettere nero su bianco gli uguali diritti dei cittadini di etnia albanese a Bujanovac e Presevo (in Serbia), ma concede aperture sugli accordi già siglati (in particolare la controversa istituzione delle Comunità delle municipalità serbe in Kosovo), per arrivare infine alla stipulazione dell’accordo conclusivo.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 18 agosto 2022
    La decisione del governo di Pristina di presentare la domanda di adesione Ue dimostra la volontà del Kosovo di muoversi su diversi binari paralleli e di preparare il terreno a Bruxelles aggiungendo un elemento di pressione sulla Serbia per portare a termine il dialogo tra le due parti. Si attende una risposta da Belgrado, che difficilmente sarà diversa dal recente passato. Già a fine luglio la ministra degli Esteri kosovara, Donika Gërvalla, aveva ventilato la possibilità di porre la fine del 2022 come data ultima per la presentazione della richiesta formale sullo status di Paese candidato all’adesione Ue e il presidente serbo Vučić aveva commentato in modo durissimo: “Il giorno in cui scopriremo che hanno chiesto ufficialmente di aderire a un’organizzazione, la nostra risposta sarà molto più forte di quanto pensino e non sarà solo una dichiarazione ai media“.
    La ministra Gërvalla aveva fatto riferimento al fatto che il Kosovo “ha già attuato la maggior parte dell’Accordo di stabilizzazione e associazione” e che soddisfa “tutti i prerequisiti per ottenere lo status” di Paese candidato all’adesione Ue. Pristina si aspetta anche che il processo che porterà al suo ingresso al Consiglio d’Europa “non richieda tanto tempo come per altri Paesi della regione”, grazie al lavoro fatto su diritti umani, standard democratici e Stato di diritto. In ballo potrebbe esserci anche la candidatura al programma di Partenariato per la pace della Nato, ma in questo caso l’unanimità dei membri dell’Alleanza Atlantica potrebbe diventare un importante ostacolo.
    Il processo di adesione all’Unione Europa
    Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione, per diventare un Paese membro dell’Ue è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen. Ottenuto il parere positivo della Commissione, si può arrivare o alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione – un accordo bilaterale tra Ue e Paese richiedente, utilizzato in particolare per i Balcani Occidentali, a cui viene offerta la prospettiva di adesione – o direttamente il conferimento dello status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.
    Il processo di allargamento UE coinvolge i sei Paesi dei Balcani Occidentali – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – la Turchia (i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan), Georgia, Moldova e Ucraina. Le ultime due hanno ricevuto lo status di Paesi candidati il 24 giugno, mentre la Georgia è ancora ferma alla richiesta di adesione (con la “prospettiva europea” per Tbilisi). Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente dal 2014 e dal 2012, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord si è sbloccato dopo tre anni di stallo, con l’avvio dei negoziati lo scorso 19 luglio. La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016, mentre il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione. Proprio da Pristina si aspettano le prossime novità, ma, per quanto le autorità del Kosovo proveranno a spingere, il cammino verso l’adesione Ue rimarrà tutto in salita.

    Lo ha anticipato il premier kosovaro, Albin Kurti, al termine dell’ultima riunione del governo di Pristina. È stata approvata la proposta per la formazione di un gruppo di lavoro interistituzionale che dovrà formulare la richiesta formale per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione

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    Dopo le tensioni al confine tra Serbia e Kosovo, si terrà il 18 agosto a Bruxelles il nuovo round di dialogo ad alto livello

    Bruxelles – Dopo le tensioni di confine, il tentativo di rimettere insieme i cocci con il dialogo. Si terrà il prossimo 18 agosto il nuovo incontro a Bruxelles tra il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, nel quadro del dialogo facilitato dall’Unione Europea, a più di un anno dall’ultimo (il quinto) infruttuoso vertice di alto livello mediato dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e dal rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák. “L’invito dell’alto rappresentante Borrell è stato accettato da entrambe le parti”, ha spiegato il portavoce Peter Stano durante il punto quotidiano con la stampa europea. “Speriamo in un buon incontro, è da tempo che c’è necessità di un incontro di questo livello“, ha aggiunto.
    Il nuovo round di alto livello tra i leader di Serbia e Kosovo arriva dopo le tensioni di confine dell’ultima settimana sulla questione delle targhe automobilistiche al passaggio della frontiera, un tema che già nel settembre del 2021 aveva esacerbato i rapporti tra i due Paesi. A seguito di quella che era stata definita “la battaglia delle targhe” (per l’imposizione da parte del governo di Pristina dell’applicazione di targhe di prova kosovare ai veicoli serbi in ingresso, misura identica a quella applicata da Belgrado), a Bruxelles era stato trovato un accordo per trovare – all’interno di un gruppo di lavoro congiunto – una soluzione definitiva al problema entro il 21 aprile 2022, sulla base di pratiche e standard comunitari (mentre temporaneamente sono stati coperti con degli adesivi i simboli nazionali sulle rispettive targhe). Dopo otto incontri in sei mesi tra gli esperti di Belgrado e Pristina, il compito di raggiungere l’intesa è passato ai capi-negoziatori delle due parti – con indiscrezioni della presenza di tre proposte sul tavolo – ma da mesi la situazione è in stallo.

    In cooperation with our international allies, we pledge to postpone implementation of decisions on car plates & entry-exit documents at border crossing points w/ Serbia for 30 days, on the condition that all barricades are removed & complete freedom of movement is restored. pic.twitter.com/oJNaQi0qPO
    — Albin Kurti (@albinkurti) July 31, 2022

    A gettare di nuovo benzina sul fuoco è stata la decisione del governo di Pristina di introdurre l’obbligo su tutto il territorio nazionale di utilizzare le targhe kosovare al posto di quelle serbe (molto diffuse tra la minoranza serba nel nord del Paese) a partire da lunedì primo agosto. La misura ha scatenato le proteste proprio di centinaia di cittadini di etnia serba, che hanno creato barricate ai valichi di confine di Jarinje e Bernjak. Dopo il crescere delle tensioni tra i manifestanti e la polizia – con alcuni spari da parte dei primi, che non hanno provocato nessun ferito – su consiglio di Bruxelles e di Washington il premier Kurti ha deciso di posticipare l’introduzione dell’obbligo di un mese, al primo di settembre.
    Come hanno fatto notare diversi analisti, la situazione non è mai sfuggita di mano anche nei momenti di maggiore tensione, sia per la retorica allarmistica e nazionalistica che rappresenta una costante nei rapporti tra i due Paesi, sia per la presenza del più grande contingente della Nato proprio in Kosovo (pronto a intervenire a ogni eventualità di scoppio delle ostilità). In ogni caso, ci si attende che all’incontro del 18 agosto tra Vučić e Kurti anche la questione delle targhe venga affrontata tra le priorità “da spingere nell’agenda del dialogo facilitato dall’Ue”, ha sottolineato il portavoce Stano, non volendo però rendere noti i temi su cui si concentreranno le discussioni di alto livello a Bruxelles.

    Welcome Kosovo decision to move measures to 1 September. Expect all roadblocks to be removed immediately.Open issues should be addressed through EU-facilitated Dialogue&focus on comprehensive normalisation of relations btwn Kosovo&Serbia, essential for their EU integration paths
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) July 31, 2022

    Al vertice nel quadro del dialogo facilitato dall’Unione Europea parteciperanno il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti. L’alto rappresentante Ue Borrell e il rappresentante speciale Lajčák proveranno a mediare anche sulla questione delle targhe