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    I talebani chiudono le porte delle università alle donne afghane, per l’Ue è “crimine contro l’umanità”

    Bruxelles – Prima il divieto di frequentare parchi e palestre, poi l’obbligo di indossare il niqab, il velo integrale che lascia scoperti solo gli occhi, ora la mazzata più devastante: in Afghanistan, il regime dei talebani ha chiuso le porte delle università alle donne “fino a nuovo ordine”. In 16 mesi, altrettanti decreti che hanno a poco a poco estromesso le donne dalla vita pubblica del Paese.
    La fazione integralista islamica, che ha preso il potere a Kabul nell’agosto del 2021, sta inasprendo sempre più la sua interpretazione della Sharia (la legge islamica): dopo aver già escluso le ragazze dalla maggior parte delle scuole secondarie, ieri (21 dicembre) il ministro dell’Istruzione superiore, l’ex comandante militare Neda Mohammad Nadim, ha inoltrato una lettera a tutte le università del Paese in cui ordina di “sospendere le donne dall’istruzione universitaria”. Definito da Nadim “non islamico e contrario ai valori afghani”, il percorso scolastico femminile viene di fatto bloccato dopo che, neanche tre mesi fa, a migliaia di donne era stato permesso di sostenere gli esami di ammissione agli atenei del Paese, anche se con pesanti restrizioni sulla scelta dei corsi di studio.
    Ragazze afghane all’esame di ammissione all’Università di Kabul, 13/10/2022 (Photo by Wakil KOHSAR / AFP)
    Donne che sono scese in piazza, a Kabul e a Jalalabad, per protestare contro il regime, seguite dai colleghi maschi e da alcuni professori che hanno deciso di abbandonare le aule in segno di solidarietà. È arrivata immediatamente anche la ferma condanna della comunità internazionale: i governi di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna, Olanda, Norvegia, Svizzera, Canada e Australia hanno rilasciato un comunicato congiunto in cui definiscono le oppressive misure del regime “implacabili e sistemiche”, che smascherano “il disprezzo dei talebani per i diritti umani e le libertà fondamentali del popolo afghano”. I ministri degli esteri degli 11 Paesi promettono che “le politiche talebane progettate per eradicare le donne dalla vita pubblica avranno conseguenze” sulle relazioni con il regime.
    Alla condanna si è unito l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Josep Borrell, che ha citato lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, secondo cui “le privazioni intenzionali dei diritti fondamentali a causa dell’identità del gruppo o della collettività, commesse nell’ambito di un attacco diffuso o sistematico, sono definite crimini contro l’umanità“. L’Unione europea, ancora presente a Kabul con una sede allo scopo di monitorare la situazione umanitaria e facilitare la consegna degli aiuti, “rimane impegnata nei confronti del popolo afghano” e continuerà a fornire “l’assistenza necessaria alla popolazione nel miglior modo possibile”.

    The EU strongly condemns the Taliban’s decision to suspend higher education for Afghan women.
    A unique move in the world that violates rights and aspirations of Afghans and deprives #Afghanistan of women’s contributions to society.
    Gender persecution is a crime against humanity
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) December 21, 2022

    La decisione di sospendere le ragazze dall’istruzione universitaria è solo l’ultima di una serie di misure che hanno estromesso le donne dalla vita pubblica. Ferma condanna della comunità internazionale e del capo della diplomazia europea, Josep Borrell: “Ci saranno conseguenze sulle relazioni con il regime”

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    L’UE inizia a ristabilire una “presenza minima” in Afghanistan: “Questo non è un riconoscimento del regime talebano”

    Bruxelles – Sono iniziate le operazioni dell’UE per ristabilire una “presenza minima di personale internazionale” in Afghanistan. Lo ha reso noto Peter Stano, portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) in una dichiarazione alla stampa di Bruxelles.
    Ampiamente annunciata da mesi, questa decisione di Bruxelles risponde alla necessità di “facilitare la consegna degli aiuti e monitorare la situazione umanitaria”, ha specificato Stano. Tuttavia, “la nostra presenza minima a Kabul non deve in alcun modo essere vista come un riconoscimento” del regime talebano, ha sottolineato con forza il portavoce: “Questo è stato chiaramente comunicato anche alle autorità di fatto” nel Paese.
    Una fonte della Commissione ha fatto sapere che la dichiarazione di Stano è stata una reazione a un tweet “leggermente esagerato” da parte dei talebani. Il contenuto incriminato era stato pubblicato ieri sera (giovedì 20 gennaio) sul profilo Twitter del portavoce del regime, Abdul Qahar Balkhi: “Dopo il raggiungimento di un’intesa con i rappresentanti dell’UE in Afghanistan, è stata ufficialmente aperta l’ambasciata con una presenza permanente a Kabul”, specificando che il personale diplomatico “ha iniziato le operazioni sul terreno”.
    A poche settimane dalla conquista del potere in Afghanistan da parte dei talebani il 15 agosto dello scorso anno, era stato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ad affermare che l’Unione Europea non ha “altra possibilità se non impegnarci con i talebani, parlare, discutere e accordarci qualora possibile”, con l’obiettivo di “sostenere chi è rimasto nel Paese”. Per questo motivo le istituzioni comunitarie dovevano iniziare a ragionare su “come impostare una presenza UE a Kabul coordinata dal Servizio europeo per l’azione esterna”. La sede UE nella capitale dell’Afghanistan non è mai stata chiusa in tutti questi mesi: “La nostra delegazione potrebbe essere riattivata se le condizioni di sicurezza saranno garantite”, aveva avvertito Borrell.
    A ottobre si era tenuto a Doha (Qatar) un incontro informale a livello tecnico tra l’UE e i talebani con la mediazione dell’emirato del Golfo, per cercare accordi soprattutto nella gestione della crisi migratoria, mentre la Commissione annunciava un pacchetto di aiuti da un miliardo di euro a supporto dei cittadini dell’Afghanistan e dei Paesi vicini. Poco più di mese dopo era arrivata proprio dal regime talebano la richiesta a Bruxelles di assistenza operativa per garantire il funzionamento degli aeroporti, ritenuta essenziale anche dai rappresentanti dell’UE per facilitare il passaggio sicuro dei cittadini stranieri e afghani che cercano di lasciare il Paese.

    Per Bruxelles la presenza di personale internazionale a Kabul servirebbe solo a “facilitare la consegna degli aiuti UE e monitorare la situazione umanitaria in Afghanistan”, specifica il portavoce Peter Stano

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    Il governo dei talebani chiede assistenza all’UE per garantire il funzionamento degli aeroporti in Afghanistan

    Bruxelles – Non facendo concessioni sulla propria posizione di non riconoscimento del governo provvisorio dell’Afghanistan, l’Unione Europea sta portando avanti a Doha (Qatar) il dialogo con il regime dei talebani, per “garantire l’impegno operativo nell’interesse dell’UE e del popolo afghano”, precisa una nota del Servizio europeo per l’azione esterna.
    Tra i punti in agenda compare la richiesta a Bruxelles da parte della delegazione afghana di assistenza operativa per garantire il funzionamento degli aeroporti. I rappresentanti dell’UE ci starebbero pensando, considerata “l’importanza fondamentale di mantenere aperti gli aeroporti dell’Afghanistan”. Inoltre, gli stessi talebani hanno ribadito “l’impegno a facilitare il passaggio sicuro dei cittadini stranieri e afghani che desiderano lasciare il Paese“, specifica la nota dell’agenzia UE.
    Preoccupa in particolare il peggioramento della situazione umanitaria con l’arrivo dell’inverno: “L’Unione Europea intende continuare a fornire assistenza umanitaria alle donne, agli uomini e ai bambini afghani in difficoltà”, che “non sarà soggetta a tassazione”. Nessun ripensamento sul fatto che il sostegno UE allo sviluppo dell’Afghanistan per il momento rimarrà sospesa, ma si sta iniziando a prendere in considerazione “un’assistenza finanziaria sostanziale a diretto beneficio del popolo afghano“. In altre parole, “convogliata esclusivamente attraverso organizzazioni internazionali e ONG”, per garantire i servizi essenziali (istruzione e sanità) e  mezzi di sussistenza per la popolazione.
    In linea con la posizione adottata dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a seguito del ritorno al potere dei talebani in Afghanistan, la delegazione europea ha sottolineato la necessità di un “processo trasparente e partecipativo” sul fronte di una possibile riforma costituzionale, così come della riconciliazione nazionale attraverso l’amnistia generale. A questo proposito la delegazione afgana ha riaffermato il suo impegno per “amplificare questo messaggio e la sua applicazione” nel Paese, così come per il rispetto della libertà di parola e dei media, “in linea con i principi islamici”, e dei diritti umani e le libertà fondamentali, “compresi i diritti delle donne e delle minoranze”.
    Ultimo capitolo sui rapporti internazionali. Se da una parte c’è l’impegno per assicurare l’integrità territoriale di “un Afghanistan sovrano, in pace con i vicini e che interagisce con la comunità internazionale”, allo stesso tempo l’UE ha insistito sull’obbligo dei talebani di intraprendere “un’azione determinata per combattere tutte le forme di terrorismo“. La delegazione afghana ha riaffermato il suo impegno a non permettere che il territorio nazionale serva da base per ospitare e finanziare gruppi che minaccino la sicurezza degli altri Paesi e “ha accolto con favore” la presenza delle missioni diplomatiche in Afghanistan, compresa quella dell’UE, che sta ancora valutando se stabilire “una presenza minima” sul terreno a Kabul.

    Dialogo tra la delegazione UE e del governo provvisorio afghano a Doha: riconfermato l’impegno sul libero passaggio per chi vuole lasciare il Paese e sulla lotta al terrorismo. Bruxelles valuta “una presenza minima” sul terreno a Kabul

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    Kabul e gli errori dell’occidente: ora non abbandonare gli afgani. L’Europa al bivio di una difesa comune

    Roma – Non abbandonare Kabul, non lasciare che l’Afghanistan precipiti verso la catastrofe umanitaria che ancora si può evitare. L’Europa, la Nato, la difesa UE e gli errori compiuti dall’occidente in questi 20 anni. Riflessioni di protagonisti, esperti, giornalisti e politici che la Rappresentanza della Commissione europea in Italia ha fatto incontrare per comprendere meglio il contesto in cui è avvenuto il ritiro dal Paese ora in mano ai Talebani.
    “Quel giorno di agosto l’UE non c’era” ha ricordato Marco Minniti, ex ministro ed esperto di questioni internazionali, “senza un sistema di protezione autonoma e di difesa, l’Europa non esiste”. Una considerazione che dall’aeroporto di Kabul può essere facilmente trasposta nel Mediterraneo nell’affrontare l’acutissima crisi libica. “Tripoli assediata si è rivolta alla Turchia” afferma Minniti che avverte sui pericoli dell’immobilismo in questo frangente. Difficile dar torto ma la difesa europea ha molti ostacoli davanti a sé, lo spiega bene Antonio Parenti, capo della Rappresentanza italiana ricordando i limiti dell’unanimismo, I’incapacità dei Paesi membri di essere uniti pure davanti alle emergenze. Davanti a certe scelte la cooperazione rafforzata è una strada seppure difficile, l’unica da percorrere, perché “ogni giorno che lasciamo passare perdiamo terreno nella lotta contro le autocrazie”. Nel dibattito entrano a pieno titolo Russia e Cina, gli attori che l’Europa sta soffrendo maggiormente nel gioco dei pesi a livello internazionale.
    Non basta la Nato anche se l’ambasciatore a Stefano Pontecorvo ne difende il ruolo, le prerogative e la buona organizzazione nella catena di comando. L’evacuazione da Kabul da parte italiana ha funzionato molto bene “abbiamo salvato tutti i collaboratori, quelli che rischiavano la vendetta talebana e lasciamo indietro una società migliore di quella che avevamo trovato”.
    Tutto vero ma non basta a giustificare gli errori, il fallimento della “Nation building”, ricorda il giornalista Amedeo Ricucci che non ha timori nel definire in “20 anni di occupazione” la presenza occidentale in Afghanistan. Racconta dell’esercito fantasma, “che abbiamo visto liquefarsi da un giorno all’altro. Lo sapevano tutti che i talebani non erano sconfitti e che tutto sarebbe collassato.  Un ritiro precipitoso, nonostante tutto fosse già scritto da oltre un anno: l’annuncio di Obama e poi la decisione definitiva di Trump, e ancora una partita lasciata tutta nelle mani dei militari uno dei drammatici errori.
    Una piena responsabilità che non consente di avere titubanza nell’affrontare l’emergenza umanitaria. Una catastrofe ancora evitabile, “trasformando gli impegni finanziari in azioni concrete utilizzando la rete di ONG ancora diffusa”, sostiene l’ambasciatore Pontecorvo. Per il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè “abbiamo il dovere di attivare i corridoi umanitari” ma insieme a questa via diplomatica “nessun riconoscimento a un regime che non ha nulla di democratico”.  A incalzare la politica e i piani alti di Bruxelles è ancora Minniti che allarga il campo al ruolo che l’UE dovrebbe conquistarsi nello scacchiere mondiale: “Se aspetta l’unanimità tra poco questa partita non sarà più giocabile”.

    Esperti e protaginisti a confronto sul futuro di uno Stato ripiombato nel fondamentalismo. Minniti: “Lo scacco all’occidente” ma ora l’UE sulla difesa comune non può più restare ferma. La cooperazione rafforzata come unica strada percorribile per superare le divergenze degli Stati membri

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    Afghanistan, UE discute con i talebani a Doha

    Bruxelles – A Bruxelles si affrettano a precisare che l’avvenimento “non è un riconoscimento” del governo provvisorio, ma a Doha, in Qatar, l‘UE discute con i talebani. Si tratta di “un incontro informale”, tenuto “a livello tecnico” con la mediazione dell’emirato del Golfo, e che serve a cercare accordi.
    Dopo la caduta del governo filo-occidentale e il ritorno al potere dei talebani, l’Aghanistan è diventato un vero e proprio rompicapo per diplomazia e non solo. Da una parte c’è la necessità di sminare una crisi migratoria, dall’altra parte la difficoltà nell’individuare un interlocutore. L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Josep Borrell, ha scelto la strada della realpolitik: occorre discutere con chi comanda.
    La linea dell’UE è quella del dialogo e dell’accordo, laddove possibile. Un riconoscimento comunque de facto, anche se per ora a Bruxelles lo smentisco. E’ vero, l’UE discute con i talebani ma lo fa a livello di “inviati speciali e rappresentanti per l’Afghanistan”.
    L’incontro-confronto non è un’iniziativa dell’Unione europea. Nella capitale del Qatar si trovano anche inviati speciali degli Stati Uniti. Le due delegazioni occidentali discutono sulla possibilità di garantire accesso umanitario nel Paese, favorire l’uscita dal Paese di chi lo desidera, evitare la proliferazione del terrorismo.
    Intanto la Commissione europea annuncia un pacchetto di aiuti da un miliardo di euro per l’Afghanistan e i Paesi vicini. “Dobbiamo fare tutto il possibile per evitare un grave collasso umanitario e socioeconomico in Afghanistan”, sottolinea la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, piuttosto preoccupata. Con l’approssimarsi dell’inverno “l’assistenza umanitaria da sola non sarà sufficiente per evitare la carestia e una grave crisi umanitaria“.
    UE schierata con il popolo afghano, e allo stesso tempo contro chi lo comanda. “Il popolo afghano non dovrebbe pagare il prezzo delle azioni dei talebani”, aggiunge von der Leyen. Parole che dimostrano tutta la difficoltà dell’Unione europea a gestire il dossier afghano.

    Incontro informale e a livello tecnico in Qatar per garantire assistenza umanitaria. Con l’inviato speciale europeo anche uomini della missione degli Stati Uniti. Von der Leyen teme la carestia. “Pronto un miliardo di euro”

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    Afghanistan, Borrell: “Serve una presenza UE a Kabul. Non c’è altra possibilità se non impegnarci con i talebani”

    Bruxelles – È passato un mese dall’ingresso dei talebani a Kabul e l’Unione Europea sta iniziando a fare i conti con il nuovo assetto politico e sociale in Afghanistan. “Non abbiamo altra possibilità se non impegnarci con i talebani, parlare, discutere e accordarci qualora possibile”: le parole dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, durante il dibattito di oggi (martedì 14 settembre) alla plenaria del Parlamento Europeo spazzano via ogni dubbio sulle intenzioni dell’Unione.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Bruxelles sta considerando “come impostare una presenza UE a Kabul coordinata dal Servizio europeo per l’azione esterna“, ha specificato Borrell, dal momento in cui “la sede non è mai stata chiusa e la nostra delegazione potrebbe essere sfruttata se le condizioni di sicurezza saranno garantite”. Per i Ventisette sarà cruciale stare sul campo per valutare la natura delle azioni del nuovo governo, “da cui dipenderà il tipo di impegno con i talebani, anche se non significa che li riconosceremo”. Un rapporto che comunque non potrà prescindere dal rispetto di cinque criteri: non diventare terreno di proliferazione del terrorismo, rispetto dei diritti umani, costituzione di un governo inclusivo e rappresentativo, libertà di azione per l’aiuto umanitario e facilitazione dell’uscita dal Paese per chi vuole farlo.
    “Abbiamo visto che il nuovo governo non è inclusivo né partecipativo, ora sappiamo cosa possiamo aspettarci”, ha sottolineato l’alto rappresentante Borrell, e “parlare di diritti umani con i talebani sembra un ossimoro”. Tuttavia, l’Unione dovrà cercare un compromesso per “aiutare gli afghani che non sono riusciti a fuggire e sostenere chi rimarrà nel Paese“. All’orizzonte c’è una situazione umanitaria “drammatica”, un sistema finanziario “in caduta libera” e “un’ondata migratoria che dipenderà dalle evoluzioni nel Paese”.
    È proprio la questione migratoria a scaldare gli animi nelle capitali europee, dove “si teme che la questione del favorire l’uscita dal Paese per chi rischia di essere perseguitato diventi un appello al confluire in massa in Europa”. L’alto rappresentante ha concluso il suo intervento ricordando che “le persone si muoveranno solo quando i talebani lo permetteranno, ma non sarà un’ondata come quella del 2015”. Intanto l’UE dovrà cercare di parlare “con una sola voce, non con 27 diverse” e per questo motivo è stato indicato il Servizio europeo per l’azione esterna come lo strumento per un “impegno coordinato”.
    Il dibattito in Aula
    È stato particolarmente acceso il confronto tra gli eurodeputati, in particolare sul tema della possibile ondata migratoria dall’Afghanistan. L’asse S&D-Verdi ha insistito sulla necessità di garantire la protezione internazionale e di raggiungere un accordo tra i Paesi membri sull’accoglienza per chi fuggirà dal Paese, mentre le destre si sono scagliate contro chi vuole replicare scenari simili a quelli della crisi migratoria del 2015.
    “Tutte le parole di sostegno al popolo afghano non hanno valore se non le traduciamo in fatti e se tutti i Paesi europei non accettano di creare corridoi umanitari, mostrando umanità e solidarietà“, è stato il monito della presidente del gruppo S&D, Iratxe García Pérez. Le ha fatto eco l’eurodeputata olandese Tineke Strik (Verdi/ALE): “Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità con visti umanitari, ricongiungimenti familiari e la piena applicazione della direttiva sulla protezione temporanea“. Spazio anche per lo sviluppo di “una politica estera comune che garantisca sovranità e forza operativa internazionale”, mentre García Pérez ha proposto simbolicamente di “riconoscere la resistenza delle donne afghane con l’assegnazione del Premio Sakharov 2021“.
    L’europarlamentare del Partito Democratico, Simona Bonafè (S&D)
    Anche l’europarlamentare in quota PD Simona Bonafè (S&D) ha ricordato il ruolo delle donne, “a cui abbiamo promesso un futuro migliore” e che ora “non possono essere lasciate sole”. Di qui la necessità di una “strategia per l’accoglienza”, che sia diversa dalle conclusioni “deludenti” dell’ultimo Consiglio Affari Esteri. Il vicepresidente del Parlamento UE Fabio Massimo Castaldo (Movimento 5 Stelle) ha portato in Aula la lettera firmata da 76 eurodeputati per chiedere alla Commissione Europea per chiedere l’apertura di corridoi umanitari con l’Afghanistan, applicando la direttiva del 2001 sulla protezione temporanea. “Serve coerenza, serve coraggio e serve ora, perché il tempo scorre veloce e contro di noi“, ha incalzato Castaldo.
    Il francese Jérôme Rivière (ID) si è invece scagliato contro “le sinistre aperturiste”, ha denunciato il fatto che “ad approfittare della nostra mancanza di coesione saranno Russia e Cina”, mentre “noi come sempre dovremo proteggerci da un’ondata di migrazioni”. Massimiliano Salini (PPE) ha insistito sulla prospettiva di “sviluppare una strategia geopolitica per fare dell’Europa una grande potenza”, mentre il collega tedesco Michael Gahler ha avvertito che “sarà necessario piuttosto appoggiare i Paesi vicini all’Afghanistan per garantire un’accoglienza dignitosa nella regione”.

    L’alto rappresentante UE è intervenuto durante la plenaria del Parlamento Europeo per spiegare l’approccio dell’Unione al nuovo governo afghano. Scontro tra S&D-Verdi e le destre sulla politica di accoglienza dei rifugiati

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    Seminario dei repubblicani americani a Roma su crisi afghana, Europa e atlantismo

    Si è svolto a Roma, venerdì 10 settembre, alla vigilia del ventennale dell’attacco alle Torri Gemelle,  un importante seminario a porte chiuse per 15 giovani parlamentari europei, per parlare di nuovi equilibri geopolitici, di Europa e di patto atlantico, organizzato dalla fondazione Fare Futuro (presieduta dal senatore Adolfo Urso), dal più importante think thank dei repubblicani americani “International Repubblican Institute” e dal Comitato Atlantico. Da quanto si apprende da alcune fonti interne alla fondazione del senatore Urso, questo seminario dovrebbe dare l’avvio a un proficuo e continuo sodalizio fra le tre organizzazioni.
    L’evento di natura formativa – uno dei principali tra quelli promossi in Europa dall’International  Republican Institute – è parte di un più ampio programma avviato da tempo dall’Istituto statunitense con giovani parlamentari provenienti da vari Paesi europei appartenenti ai gruppi popolari, conservatori e liberali, che ricoprono per la prima volta incarichi a livello nazionale e sono destinati, secondo la valutazione dell’IRI, a futuri ruoli apicali.
    Il seminario è stata occasione per discutere del nuovo ruolo del patto Atlantico e dell’Europa nella gestione della difficile situazione venutasi a creare in Afghanistan. Il fatto che un importante think thank repubblicano come IRI abbia scelto l’Italia per organizzare un simile evento rappresenta un segnale importante di come la parte repubblicana degli Stati Uniti veda nel nostro Paese un interlocutore assai importante nei prossimi scenari geopolitici internazionali. La presenza di Draghi sicuramente rassicura, ma certo per il partito dei conservatori americani non può essere considerato un interlocutore della propria area politica.
    La fine dell’era Merkel in Europa apre sicuramente un vuoto di potere, che fino a ora nessuno sembra in grado di riempire. Questo perché, al di là di chi potrà essere il prossimo cancelliere tedesco, è chiaro che il lungo periodo di cancelleria tedesca che ha caratterizzato la politica europea negli ultimi 15 anni, non potrà essere replicato. Ecco allora che anche dall’estero si guarda a chi fra i nuovi leader potrebbe essere il punto di riferimento. E chissà che almeno per i conservatori americani questo non si trovi proprio in Italia.
    Gli indizi e le indiscrezioni suggeriscono che da tempo ci sia sempre un maggiore interesse da parte del Grand Old Party (GOP) americano verso la leadership italiana di Giorgia Meloni, che non a caso è stata l’unica leader europea a essere stata invitata per ben due volte alla più importante convention annuale repubblicana. Il fatto che la leader di FDI sia da qualche mese anche presidente del partito conservatore europeo non fa che aumentare la sua credibilità e autorevolezza internazionale, con buona pace di Matteo Salvini.
    Il seminario, tenutosi a porte chiuse, ha visto la partecipazione di 15 giovani parlamentari dell’Europa centro-orientale, che per ragioni geografiche, storiche e geografiche è saldissima nella sua fedeltà al Patto Atlantico.
    Molti gli esperti e autorevoli esponenti politici intervenuti al seminario, a cominciare dal ministro della difesa, Lorenzo Guerini, il presidente del Copasir, Adolfo Urso, presidente Centro Studi di geopolitica economica, generale Carlo Jean, l’eurodeputato di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza, il presidente del Comitato Atlantico italiano, Fabrizio Luciolli, il presidente dell’Associazione parlamentare di amicizia Italia-lsraele, Lucio Malan, il presidente del CeSI, Andrea Margelletti, e il politologo Carlo Pelanda, esperto di studi strategici.
    La delegazione di parlamentari europei e responsabili delle fondazioni ha deposto una corona all’altare della Patria in memoria delle vittime dell’11 settembre e dei militari civili caduti in Afghanistan durante le missioni USA e NATO. Toccante anche la decisione da parte di ognuno degli eurodeputati di deporre una rosa bianca, come segno commemorativo del ventennale degli attacchi terroristici del 2001.
    Presente con decine di uffici nel mondo, e con una rete consolidata in Europa, da Vienna a Bratislava, da Bruxelles a Budapest, l’IRI è un vero punto di riferimento del mondo conservatore a stelle e strisce e nel suo board vanta pesi massimi dell’Elefantino come Lindsey Graham, Tom Cotton, Marco Rubio, Mitt Romney e, prima della scomparsa, John McCain.
    Fonti interne alla fondazione fanno sapere che il sodalizio con il think thank repubblicano sarebbe solo all’inizio, e per il prossimo anno sarebbe già prevista una nuova iniziativa comune, anche se è tutto ancora rigorosamente top secret.

    Organizzato dalla fondazione Fare Futuro e dal think tank International Repubblican Institute, ha ospitato 15 giovani parlamentari europei per un confronto sui nuovi equilibri geopolitici

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    Afghanistan, Borrell: “Presenza dell’UE a Kabul necessaria, ma in sicurezza”

    Bruxelles – Come impostare il dialogo con l’Afghanistan in mano ai talebani e come fare a evacuare tutte le persone che l’UE vuole e deve ancora evacuare. Su queste due questioni i ministri europei degli Esteri cercano la quadra, riuniti oggi (3 settembre) in un vertice informale di Gymnich a Kranj, in Slovenia, ospitato dall’attuale presidente di turno del Consiglio dell’UE.
    La crisi in Afghanistan irrompe nell’agenda e costringe l’alto rappresentate UE per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, ad ammettere che l’UE è decisa a impostare un dialogo “operativo” e costruttivo con i talebani, con la necessità di instaurare una “presenza” congiunta dell’UE a Kabul per coordinare e monitorare le operazioni. Il dialogo sarà basato su un “impegno operativo”, spiega Borrell, che in altre parole significa che sarà finalizzato ad ottenere una serie di condizioni: Kabul non potrà essere terreno fertile per lo sviluppo o la protezione di cellule terroristiche; serviranno progressi sul rispetto diritti umani, “in particolare per le donne” (sostiene Borrell) e sullo stato di diritto e la libertà dei media; la formazione di un governo di transizione attraverso negoziati con le altre forze politiche, che consenta anche libero accesso agli aiuti umanitari. C’è poi l’ultimo impegno richiesto ai talebani sul lasciar partire persone afgane e di nazionalità straniere che sono a rischio e sono rimaste lì. Cinque condizioni che elenca Borrell in una conferenza stampa improvvisata quando il Consiglio Gymnich non è ancora finito. Ben consapevole che se queste sono le “condizioni” messe sul tavolo da Bruxelles non è scontato che i talebani abbiano la stessa idea di come saranno le future relazioni con il Continente.
    Se un dialogo “mirato” è percepito come necessario, altrettanto dovuta è la presenza europea a Kabul per coordinare le operazioni e in qualche modo monitorare che queste condizioni siano rispettate. Lo dice chiaramente Borrell, confermando una serie di indiscrezioni uscite nei giorni scorsi su una “ambasciata” europea a Kabul. Il capo della diplomazia europea non parla espressamente di ambasciata, ma di “presenza congiunta dell’Unione Europea coordinata dal Servizio europeo per l’azione esterna” di cui è al timone. Per coordinare gli sforzi di evacuazione di chi resta da evacuare, “gli Stati membri decideranno su base volontaria se accogliere le persone” ma “abbiamo deciso di lavorare in coordinamento, per coordinare i nostri contatti con i Talebani, anche attraverso una presenza congiunta dell’UE a Kabul coordinata dal Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) se le condizioni della sicurezza sono soddisfatte”, ha precisato Borrell.

    Dialogo necessario e finalizzato “a un impegno operativo”, dice l’alto rappresentate UE, Josep Borrell, a margine della riunione Gymnich. Accordo tra i ministri degli Esteri per una presenza europea in loco per coordinare le operazioni di evacuazione, “se saranno soddisfatte le condizioni di sicurezza”