La tragedia dell’Ucraina e le responsabilità dell’Occidente e dell’Europa
Conosco abbastanza bene l’Ucraina per aver avuto per anni rapporti di lavoro e di collaborazione con gruppi siderurgici locali, e per essere stato nominato dal Governo Berlusconi, nel 2005, presidente del Comitato di collaborazione economica Italia-Ucraina.
Conosco bene il Donbass, la parte più orientale del Paese, dove si concentra la maggior parte dell’industria dell’acciaio. Mi sono recato più volte in quella zona, in fabbriche del gruppo industriale con il quale intrattenevamo i rapporti più stretti, tanto da stabilire con esso una vera e propria joint venture, l’Industrial Union of Donbass. Tale gruppo industriale, ormai da tempo passato totalmente in mani russe, aveva e ha stabilimenti a Alchevsk e Dniprovskyi.
Sono stato più volte a Mariupol e a Odessa, i porti più importanti, da dove caricavamo navi di prodotti di acciaio destinati all’esportazione.
Ho molto amato Kiev, città dove avevamo uffici e in cui mi sono recato più volte per incontri e riunioni, e che mi è sempre apparsa una bellissima e storica capitale.
Ho smesso di frequentare l’Ucraina dal 2014 e cioè da quando le milizie filorusse, appoggiate dagli “uomini verdi senza mostrine”, mercenari al soldo di Mosca, hanno iniziato una guerra separatista durata fino ad oggi, distruggendo quasi completamente Donetsk, la capitale del Donbass, e provocando decine di migliaia di morti.
Quei viaggi e quelle frequentazioni mi avevano fatto capire la complessità e per certi versi la tragicità del contesto ucraino, diviso tra una parte del Paese, quella più grande centrale e occidentale, decisamente a favore di legami sempre più stretti con l’Unione Europea, e la parte orientale russofona tradizionalmente legata alla Russia e alla sua influenza.
La tragicità stava e sta nel fatto che la maggior parte della popolazione e la maggior parte dei governi che si sono succeduti a Kiev dopo la caduta dell’Unione Sovietica hanno rimproverato gli europei di scarsa empatia e di disinteresse nei confronti della giovane nazione ucraina, alle prese con le pressioni e l’influenza russa e desiderosa di affrancarsi da queste grazie al legame sempre più forte con l’Occidente. Ma contemporaneamente vi è una minoranza della popolazione (che nell’est del paese è una maggioranza) che parla russo, che non ne vuol sapere dell’Occidente, che ha ottenuto di farsi stampare sul passaporto ucraino la dizione ‘Russian Citizen’.
L’Europa ha balbettato dinanzi a questa situazione. Preoccupata di non disturbare più di tanto l’orso russo, fornitore principale di gas di molte nazioni europee come Austria, Germania, Olanda e Italia, e forse impegnata da promesse fatte ai russi dopo la caduta del muro di Berlino, ma mai ufficializzate, di non espansione della Nato a Est, non ha mai affrontato con chiarezza la questione ucraina, riempiendo di buone parole e forse anche qui di qualche promessa non ufficiale la giovane nazione, ma alla fine lasciandola sempre nel limbo tra Occidente e Oriente.
L’ambiguità ha riguardato anche il rapporto con la Russia, grande partner economico, ma anche ingombrante attore sulla scena internazionale, specie negli ultimi anni in cui Mosca ha provato a rilanciare un suo ruolo e un suo espansionismo.
Tale ambiguità europea ha favorito la convinzione a Mosca che si potessero fare dei colpi di mano senza colpo ferire e senza gravi conseguenze, come la conquista della Crimea e l’appoggio ai separatisti del Donbass.
Il delirio solitario di Putin, avvolto nella narrazione di una grande madre Russia ossessionata da problemi di sicurezza e bisognosa di confermare protezioni all’intorno mediante stati cuscinetto atti ad allontanare il più possibile i missili nucleari della Nato da Mosca, ha generato mostri; in particolare ha generato l’aggressione premeditata all’Ucraina, alla sua integrità territoriale, alla sua capacità/libertà di avere delle forze armate e di autodeterminarsi, e la minaccia, rivolta all’Occidente, di usare l’arma nucleare per ritorsione alle sanzioni economiche.
La tragedia è sotto gli occhi di tutti: una guerra che nelle intenzioni dell’aggressore doveva durare due giorni e che invece si protrae da più di una settimana, vittime civili che ormai hanno raggiunto numeri importanti anche per l’inizio dei bombardamenti sulle città, Kiev circondata dalle truppe russe, che però incontrano una feroce resistenza da parte delle forze armate ucraine, che sembrano discretamente armate e ben preparate a contenere un’invasione, e di una popolazione civile che non vuole arrendersi.
Una guerra nel cuore dell’Europa con il rischio di un’escalation drammatica dagli esiti imprevedibili.
L’Europa sembra finalmente aver ritrovato una sua unità di intenti: sanzioni mai così dure nei confronti della Russia, aiuti militari probabilmente tardivi, un crescendo di prese di posizione al fianco dell’Ucraina che probabilmente non serviranno a salvare il Paese.
Una giovane nazione diventata tale a pieno titolo proprio in questa guerra, dove giovani e anziani non arretrano e vogliono combattere per la libertà della Patria fino alla fine; dove un presidente su cui si è sempre ironizzato per il suo mestiere precedente, il comico, all’offerta americana di una sua evacuazione protetta e finalizzata a creare un governo in esilio, magari in Polonia, ha risposto ‘no grazie il mio posto è qui, è qui che si fa la storia dell’Ucraina libera, fino in fondo fino alla fine’.
Truppe speciali russe lo stanno cercando e braccando per farlo fuori ma lui, in maglietta militare e tuta mimetica, riesce ancora a parlare con il mondo chiedendo aiuto e incitando il popolo ucraino alla resistenza.
Putin nel suo delirio ha affermato pubblicamente, come spesso fanno molti russi in colloqui privati, che l’Ucraina è un paese che non esiste e che non ha diritto di esistere. La risposta è venuta dal popolo ucraino e dalla sua resistenza sul terreno. Il solco di odio verso i russi da parte della popolazione ucraina generato da questa follia resterà indelebile per secoli, a prescindere da come vada a finire la guerra.
Una tragedia immane, un cambio epocale della storia del mondo i cui effetti ancora non comprendiamo completamente, la necessità di una riflessione radicale sul nostro futuro di europei.
Comodo vivere come abbiamo fatto per decenni sotto la protezione dell’ombrello Usa; comodo non avere giovani e figli impegnati in azioni e interventi militari dove si rischia la vita; comodo, e anche un po’ stupido, pensare che la libertà e la democrazia di cui godiamo siano per sempre.
La tragedia ucraina ci dice che quel mondo è finito e che non basta fare manifestazioni con le bandiere della pace per scongiurare la guerra.
I dittatori alla Putin valutano continuamente i rapporti di forza e spingono la baionetta fino a dove questa può affondare in un terreno morbido e senza contrasti.
In questi ultimi trent’anni non siamo riusciti come occidentali a declinare il vecchio motto: o l’avversario lo abbracci e lo porti dalla tua parte o lo contrasti duramente con tutte le tue forze. Ambiguità, debolezze, mezze misure non servono a niente e le conseguenze purtroppo sono sotto gli occhi di tutti. LEGGI TUTTO