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    Dieci ospiti alla porta dell’Ue. L’anno in cui i Ventisette hanno rotto gli indugi sul processo di allargamento dell’Unione

    Bruxelles – Un anno di stravolgimenti nella politica internazionale scatenati dall’invasione russa dell’Ucraina hanno lasciato un segno a diversi livelli sul continente europeo e sull’Unione a 27. Ma dopo quasi due decenni di stagnazione e di progressi a rilento, il rischio di destabilizzazione del Cremlino nei Paesi partner più stretti dell’Unione Europea ha segnato una svolta positiva nel processo di allargamento Ue, in un 2022 che ha visto un’ondata di novità tra nuovi Paesi candidati all’adesione – o in attesa di risposta – e altri nuovi avviati sulla strada dei negoziati. In totale 10 capitali che guardano all’Unione come la propria futura casa.
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio dal presidente Volodymyr Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada, su iniziativa rispettivamente del primo ministro georgiano Irakli Garibashvili e della presidente moldava Maia Sandu. In soli quattro giorni (7 marzo) gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno concordato di invitare la Commissione a presentare un parere su ciascuna delle domande di adesione presentate dai tre Paesi richiedenti, da trasmettere poi al Consiglio per la decisione finale sul primo step del processo di allargamento Ue.
    Prima di dare il via libera formale, un mese più tardi (8 aprile) a Kiev la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, ha consegnato al presidente Zelensky il questionario necessario per il processo di elaborazione del parere della Commissione, promettendo che sarebbe stata “non come al solito una questione di anni, ma di settimane”. Lo stesso ha fatto il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, a margine del Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo l’11 aprile. Meno di settanta giorni dopo, il 17 giugno il gabinetto von der Leyen ha dato la luce verde a tutti e tre i Paesi, specificando che Ucraina e Moldova meritavano subito lo status di Paesi candidati, mentre la Georgia avrebbe dovuto lavorare su una serie di priorità. La decisione ufficiale è arrivata al Consiglio Europeo del 23 giugno, che ha approvato la linea tracciata dalla Commissione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue.
    L’avvio dei negoziati di Albania e Macedonia del Nord
    Ma il 2022 non è stato memorabile a proposito dell’allargamento Ue solo per l’attenzione rivolta da Bruxelles verso Est. Dal 2004 (anno in cui l’Unione è passata da 15 a 25 membri) si è messa in moto la politica di avvicinamento dei Balcani Occidentali, ma senza nessun nuovo ingresso – fatta eccezione per la Slovenia nel 2004 e la Croazia nel 2013 – da allora. La situazione più delicata negli ultimi anni si è registrata con Albania e Macedonia del Nord, pronte ad avviare i negoziati di adesione all’Unione già nel 2019 e che solo dopo le aspre tensioni dell’ultimo anno sono state ammesse ai tavoli negoziali. Tirana e Skopje sono candidate rispettivamente dal 2014 e 2005 (con un’attesa per la risposta di cinque anni e mezzo per la prima e di quasi due anni per la seconda) e sono legate dallo stesso dossier, ovvero possono avanzare solo insieme.
    Da sinistra: il primo ministro della Repubblica Ceca e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Petr Fiala, della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski, dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (19 luglio 2022)
    Il processo di allargamento Ue a Skopje è stato ostacolato fino al 2018 dalla Grecia, per la contesa identitaria e sul cambio del nome del Paese balcanico: solo con gli Accordi di Prespa la Repubblica di Macedonia è diventata Repubblica della Macedonia del Nord. A quel punto la Commissione Ue ha stimolato due volte il Consiglio Ue ad aprire i negoziati di adesione con i due Paesi, ma il 19 ottobre 2019 Francia, Danimarca e Paesi Bassi hanno chiuso la porta a Tirana, chiedendo di implementare le riforme strutturali prima di sedersi ai tavoli negoziali. Dopo cinque mesi, al Consiglio del 25-26 marzo 2020, è arrivato il via libera dei Ventisette, prima di un nuovo stop determinato dal veto della Bulgaria all’avvio dei negoziati di adesione di Skopje il 9 dicembre 2020. A nulla sono serviti due vertici Ue-Balcani Occidentali – il primo a Kranji (Slovenia) nel 2021 e il secondo il 23 giugno a Bruxelles – per trovare una via d’uscita.
    La svolta si è concretizzata solo grazie alla spinta decisiva della presidenza di turno francese del Consiglio dell’Ue, con la proposta di mediazione tra Sofia e Skopje per risolvere una disputa storico-culturale che ha provocato la frustrazione di tutti i leader balcanici. Grazie a questa iniziativa il Parlamento bulgaro ha revocato il veto il 24 giugno e sono iniziate le trattative con Skopje, che considerava “irricevibile” la prima versione del testo. Dopo il discorso della presidente von der Leyen al Parlamento nazionale il 14 luglio per placare le tensioni e divisioni che si sono registrate nel Paese proprio in merito della proposta francese, anche i deputati macedoni hanno dato il via libera al compromesso e il 17 luglio è stato firmato il protocollo bilaterale tra Bulgaria e Macedonia del Nord. Solo due giorni più tardi il momento atteso da tre anni, con l’avvio dei negoziati di adesione Ue di Tirana e Skopje e le prime conferenze intergovernative svoltesi a Bruxelles. Albania e Macedonia del Nord sono diventate il quarto e quinto Paese candidato ad aprire i capitoli di negoziazione nell’ambito del processo di allargamento Ue.
    Il cammino degli altri balcanici
    A completare il quadro dei successi dell’allargamento Ue nel 2022 ci sono Bosnia ed Erzegovina e Kosovo, che hanno fatto progressi nel loro cammino di avvicinamento all’Unione. Per quanto riguarda Sarajevo (che ha fatto domanda di adesione nel 2016) il primo momento di svolta è arrivato nel corso del vertice dei leader Ue del 23 giugno, quando le tre ‘colombe’ in Consiglio – Slovenia-Croazia-Austria – avevano bloccato le discussioni su Ucraina e Moldova fino a quando non si fosse trovata almeno una parziale risposta alla questione bosniaca. Il breve stallo ha portato alla decisione di conferire anche alla Bosnia ed Erzegovina la prospettiva europea (come alla Georgia), con l’obiettivo di “tornare a decidere nel merito” quanto prima, a condizione che la Commissione riferisse “senza indugio” sull’attuazione delle 14 priorità-chiave.
    Il ponte di Mostar (Bosnia ed Erzegovina) illuminato con la bandiera dell’Unione Europea
    La leader dell’esecutivo comunitario von der Leyen ha continuato a inviare segnali incoraggianti alla Bosnia ed Erzegovina sul suo coinvolgimento nell’allargamento Ue, sia con la raccomandazione al Consiglio di concedere lo status di candidato all’adesione arrivata il 12 ottobre, sia con un discorso particolarmente appassionato a Sarajevo nel corso del suo viaggio nelle capitali balcaniche per annunciare il supporto energetico dell’Unione alla regione (28 ottobre). Dopo aver valutato il parere della Commissione, l’ultimo vertice dei leader Ue del 15 dicembre ha dato il via libera alla concessione alla Bosnia ed Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Ue, sottolineando allo stesso tempo la necessità di implementare le riforme fondamentali nei settori dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali, del rafforzamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione. Nel processo di allargamento Ue Sarajevo è diventato l’ottavo candidato all’adesione.
    Per quanto riguarda il Kosovo, la situazione è resa complicata da due fattori: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza dalla Serbia nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e allo stesso tempo con Belgrado è in atto un dialogo più che decennale mediato da Bruxelles sulla normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi che ancora non ha portato a un accordo definitivo. Mentre si sono riaccese aspre tensioni a partire da fine luglio con la Serbia per il controllo politico del nord del Kosovo, Pristina ha comunque deciso di puntare tutto sul processo di allargamento Ue e ha iniziato a fine agosto i lavori per presentare la domanda di adesione all’Unione. Mentre l’opinione pubblica internazionale era concentrata sulla cosiddetta ‘battaglia delle targhe‘ e a carpire i dettagli della proposta franco-tedesca sulla mediazione finale nel 2023, il 6 dicembre al vertice Ue-Balcani Occidentali di Tirana la presidente Vjosa Osmani ha confermato che la lettera era pressoché ultimata. Otto giorni più tardi è stata firmata a Pristina la richiesta formale per ottenere lo status di Paese candidato e consegnata dal premier Albin Kurti alla presidenza di turno ceca del Consiglio dell’Ue il 15 dicembre a Praga.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e il ministro ceco per gli Affari europei e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Mikuláš Bek (15 dicembre 2022)
    Meno positivo è invece il quadro degli altri tre Paesi coinvolti nel processo di allargamento Ue (che dal 22 giugno 2021 è stato riformato con una nuova metodologia). Il Montenegro sta portando avanti i negoziati di adesione dal 2012 e al momento è il Paese allo stadio più avanzato. Tuttavia la crisi istituzionale che ha paralizzato Podgorica negli ultimi due anni e mezzo ha determinato uno stallo prolungato sui capitoli negoziali relativi allo Stato di diritto, in particolare il 23 (potere giudiziario e diritti fondamentali) e il 24 (giustizia e affari interni). La Serbia ha avviato i negoziati di adesione nel 2014 e quest’anno ha conosciuto una forte battuta d’arresto a causa della guerra russa in Ucraina: nel tentativo di seguire una politica di non-allineamento tra Bruxelles e Mosca, Belgrado non si è allineata alle sanzioni internazionali contro la Russia, ma per l’Ue non è concepibile che un partner candidato all’adesione non si allinei Politica estera e di sicurezza comune (Pesc). Infine, nel processo di allargamento Ue sarebbe coinvolta dal 1987 anche la Turchia: il Paese ha ottenuto lo status di candidato nel 1999 e ha avviato i negoziati di adesione nel 2005. Tuttavia, a causa delle continue provocazioni nel Mediterraneo orientale e delle violazioni dello Stato di diritto da parte del presidente Recep Tayyip Erdoğan, non c’è all’orizzonte nessun tipo di avanzamento.
    Come funziona il processo di allargamento Ue
    Il processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).
    Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.
    Per i Balcani Occidentali è previsto un processo parallelo – e separato – ai negoziati di adesione all’Unione, che ha comunque un impatto sull’allargamento Ue. Il processo di stabilizzazione e associazione è finalizzato ad aiutare i partner balcanici per un’eventuale adesione, attraverso obiettivi politici ed economici che stabilizzino la regione e creino un’area di libero scambio. Dopo la definizione di un quadro generale delle relazioni bilaterali tra l’Unione Europea e il Paese partner, la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione offre la prospettiva futura di adesione.

    Dai nuovi candidati Bosnia ed Erzegovina, Moldova e Ucraina all’apertura dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord dopo 3 anni di stallo, fino alla candidatura di Georgia e Kosovo. Il rischio di destabilizzazione russa ha dato uno scossone ai tentennamenti dei Ventisette

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    La Commissione ha raccomandato la concessione dello status di candidato all’adesione Ue alla Bosnia ed Erzegovina

    Bruxelles – Il nuovo Pacchetto Allargamento della Commissione Europea presenta una novità particolarmente attesa in Bosnia ed Erzegovina, in particolare dopo le delusioni del vertice Ue-Balcani Occidentali di giugno. A sei anni dalla richiesta di adesione all’Unione Europea da parte di Sarajevo, la Commissione Ue ha raccomandato al Consiglio di concedere alla Bosnia lo status di Paese candidato all’adesione all’Unione. Lo ha reso noto il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, in audizione alla commissione Affari esteri (Afet) del Parlamento Ue, presentando il Pacchetto Allargamento 2022: “Rispetto all’anno scorso il nostro compito è cambiato, c’è stata un’enorme evoluzione nella politica di allargamento dopo l’aggressione russa all’Ucraina”.
    L’allargamento dell’Unione nella regione balcanica è “più importante che mai per motivi geopolitici, per garantire la pace e la stabilità sul continente“, come ha dimostrato la “reazione immediata” delle richieste di adesione di Ucraina, Moldova e Georgia a pochi giorni dall’inizio dell’invasione russa. Al vertice dei leader Ue di giugno “c’è stato un chiaro impegno”, con la concessione dello status di candidati a Kiev e Chişinău e la prospettiva europea per Tbilisi: “Dal prossimo nel Pacchetto Allargamento avremo 10 relazioni, ma già entro la fine dell’anno intendiamo presentare una valutazione sulle capacità dei tre nuovi partner di colmare le lacune evidenziate nelle nostre valutazioni”, ha aggiunto il commissario Várhelyi.
    Pensando al presente, però, “tutti i sei Paesi dei Balcani Occidentali devono aderire il prima possibile all’Unione”, ha avvertito il titolare per l’Allargamento nel gabinetto von der Leyen, parlando della raccomandazione del Collegio dei commissari di oggi (mercoledì 12 ottobre) ai Ventisette di concedere lo status di Paese candidato all’adesione Ue anche alla Bosnia ed Erzegovina. La decisione – che “spetterà al Consiglio Europeo, probabilmente al vertice di dicembre” – sarà comunque condizionata sia dal rispetto delle 14 priorità-chiave sia dall’adozione di diverse misure da parte di Sarajevo, elencate in un report tutt’altro che incoraggiante sui progressi fatti nel campo giudiziario, politico e dello Stato di diritto (anche considerate le tensioni nella Republika Srpska).
    Facendo appello alla “responsabilità di tutte le forze politiche” dopo le elezioni dello scorso 2 ottobre, il commissario ha spiegato che in Bosnia dovranno essere approvate “in via prioritaria” la legge sul Consiglio superiore della magistratura, quella sulla prevenzione del conflitto di interessi e misure per rafforzare la prevenzione e la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata. Fondamentale anche il coordinamento “a tutti i livelli” della gestione delle frontiere e del funzionamento del sistema di asilo, l’istituzione di un meccanismo nazionale di prevenzione contro la tortura, ma anche l’adozione di un programma nazionale per l’acquis Ue e la libertà di espressione e la protezione dei giornalisti. “Quella che stiamo offrendo è una grande opportunità per la Bosnia, che arriva una volta nella vita e che i cittadini meritano“, ha sottolineato con forza il commissario Várhelyi. Tutto questo comunque “dovrà essere soddisfatto prima di poter pensare di aprire i negoziati di adesione” all’Unione.

    ❗ BREAK: European Commission to recommend candidate status for Bosnia and Herzegovina 🇧🇦 in the European Parliament this afternoon. An absolute necessity for a geopolitical EU. Member States must now make the right call and support the people of BiH on their European path. pic.twitter.com/Q7V8D0R7WM
    — Thijs Reuten 🇪🇺🌹 (@thijsreuten) October 12, 2022

    Gli altri dossier del Pacchetto Allargamento 2022
    Non c’è solo la Bosnia al centro dell’attenzione di Bruxelles sui progressi dei Paesi candidati (o quasi) all’adesione Ue. Presentando le altre sei relazioni – compresa la Turchia, che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale – è soprattutto la Serbia a destare le maggiori preoccupazioni: “Deve essere un partner e alleato sincero, per promuovere la sicurezza sul continente, e deve rivedere le sue posizioni per allinearsi all’Ue e distanziarsi di più dalla Russia“, è l’ennesima esortazione del commissario Várhelyi. In ogni caso, Belgrado è “un importante partner economico, che va aiutato ad affrontare le sfide energetiche” e che allo stesso tempo sta proseguendo sul cammino di avvicinamento agli standard Ue, “come dimostra il referendum sulle riforme costituzionali di gennaio“.
    Tutti gli altri quattro partner balcanici sono “completamenti allineati alla politica estera e di difesa” dell’Unione Europea, in particolare dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina. Macedonia del Nord e Albania presentano “importanti progressi con risultati concreti” sul piano dell’attuazione delle riforme richieste, spinte anche dallo sblocco dello stallo sull’avvio dei negoziati di adesione lo scorso 19 luglio. Tirana deve però accelerare l’iter sulla libertà di espressione e il diritto di proprietà intellettuale (mentre la riforma della giustizia è “un esempio di serietà nel rafforzamento dello Stato di diritto”), Skopje deve fare passi in avanti sulla riforma dell’amministrazione pubblica ed entrambi i governi devono impegnarsi sulla lotta alla corruzione.
    In una posizione più complessa – anche se sulla carta più avanzata – è il Montenegro, ancora fermo sui capitoli negoziali 23 (potere giudiziario e diritti fondamentali) e 24 (giustizia e affari interni): “La valutazione del 2021 era identica, rimangono una seria preoccupazione“, ha confessato il commissario per l’Allargamento agli eurodeputati. Di fronte a una situazione instabile sul piano politico (che ha recentemente visto in crisi anche il governo di scopo guidato da Dritan Abazović), è necessario “un serio sforzo da parte di tutte le forze partitiche nel settore giudiziario”, così come nella libertà di espressione e dei media, e nella lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata. Oltre alla Bosnia, anche il Kosovo è l’unico Paese dei Balcani Occidentali a cui non è ancora stato riconosciuto lo status di Paese candidato (Pristina ha annunciato che entro la fine dell’anno farà richiesta di adesione). “Vorremmo vedere un cammino più rapido sul programma di riforme, ma c’è un rafforzamento dello Stato democratico”, ha confermato Várhelyi. Rinnovata la raccomandazione al Consiglio di liberalizzare il regime dei visti per i cittadini kosovari e chiesto infine un “approccio costruttivo da parte di tutti gli attori” per quanto riguarda il dialogo Pristina-Belgrado.

    A sei anni dalla richiesta di adesione all’Unione Europea, nel Pacchetto Allargamento 2022 l’esecutivo comunitario ha incluso per la prima volta l’esortazione al Consiglio di riconoscere lo status a Sarajevo. La decisione finale spetterà ora ai 27 leader Ue (probabilmente a dicembre)

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    Il nome di Ursula von der Leyen è stato inciso nella ‘Walk of the Brave’ di Kiev: “Simbolo del legame tra Ue e Ucraina”

    Bruxelles – La terza è quella della consacrazione. Se la prima volta della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a Kiev era servita per esprimere vicinanza al popolo e alle istituzioni dell’Ucraina e per indicare la strada del Paese verso l’adesione all’Unione, e la seconda per portare un segnale concreto di sostegno prima del vertice cruciale dei leader Ue sulla questione, la visita di oggi (giovedì 15 settembre) ha sancito l’ingresso della numero uno dell’esecutivo comunitario nella ‘Walk of the Brave’, la strada con i nomi dei valorosi che hanno combattuto al fianco di Kiev contro la Russia.
    “Sono onorata di essere tornata qui a Kiev, ma soprattuto di vedere quanto la città sia cambiata in meglio, la vita è tornata”, ha esordito von der Leyen nel suo intervento alla stampa con il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky. “Voglio ringraziarvi dal profondo del cuore per l’onorificenza che ho ricevuto oggi”, ha continuato, facendo riferimento non solo al nome inciso sulla strada ‘dei coraggiosi’, ma anche alla medaglia di prima classe dell’Ordine di Jaroslav il Saggio (uno dei più alti riconoscimenti a chi si è distinto per i servizi allo Stato e al popolo ucraino) consegnatale oggi dallo stesso leader di Kiev: “La prendo a nome dei milioni di europei che sostengono l’Ucraina, credo che sia un bellissimo simbolo del legame tra l’Ucraina e l’Unione Europea“.
    A proposito del legame tra Kiev e Bruxelles, la presidente von der Leyen ha ricordato la presenza di ieri della first lady ucraina, Olena Zelenska, a Strasburgo durante il suo discorso sullo Stato dell’Unione alla plenaria del Parlamento Ue: “La standing ovation con cui è stata accolta è stata commovente ed era palpabile il calore e l’amicizia” nell’emiciclo. E, come anticipato proprio nell’intervento a Strasburgo, la numero uno dell’esecutivo Ue ha reso noto che con Kiev si è discusso di come “lavorare in modo da avere una profonda integrazione dell’economia ucraina nel Mercato Unico“, a partire dall’abolizione delle tariffe roaming reciproche per gli utenti ucraini e comunitari. Anche il presidente Zelensky ha sostenuto che per il Paese è “prioritario” entrare nel Mercato Unico, dove circolano liberamente beni, servizi e capitali, così come accedere alla zona ‘free roaming’.

    Dear Volodymyr @ZelenskyyUA, thank you so much for the award of the First Class of the Order of Yaroslav the Wise.
    This is a great honour.  I accept it in the name of all EU citizens. And as a symbol of our strong bond. pic.twitter.com/6W8JPLTao3
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) September 15, 2022

    Per quanto riguarda il capitolo sull’adesione all’Unione, “il processo è ben avviato, è impressionante vedere la velocità, la determinazione, la precisione con cui state procedendo“, ha confermato von der Leyen. Finto stupore tradito da una battuta ben studiata: “Non devo dire che accelereremo il processo, perché lo state già facendo voi e questo è molto positivo”. Parallelamente, è l’aspetto economico quello che si vuole invece far procedere in modo spedito. Dopo il lavoro fatto sulle corsie di solidarietà per il grano, sulla sospensione dei dazi sulle esportazioni ucraine e sul collegamento di Kiev alla rete elettrica europea – “che ricorderete avevamo già in piano entro il 2024 prima della guerra, e invece ci siamo riusciti in due settimane e da allora l’Ucraina sta fornendo elettricità all’Unione Europea” – si dovrà “proseguire con l’eliminazione delle barriere non tariffarie, su cui lavoreranno i nostri esperti”. L’obiettivo finale è l’accesso dell’Ucraina nel Mercato Unico e nell’Unione Europea, particolarmente ambizioso mentre il Paese ancora affronta una guerra lacerante. Ma le promesse di von der Leyen a Kiev godono – ancora di più da oggi – di enorme credito in Ucraina.

    Nel corso della sua terza visita nella capitale la leader dell’esecutivo comunitario ha ricevuto dal presidente Zelensky anche l’onorificenza dell’Ordine di Jaroslav il Saggio. Al centro delle discussioni l’integrazione del Paese nel Mercato Unico, a partire dalla zona ‘free roaming’

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    Von der Leyen torna a Kiev dopo il discorso sullo Stato dell’Unione: “Illustrerò a Zelensky benefici del Mercato Unico”

    Bruxelles – Il ritorno in Ucraina dopo cinque mesi. L’8 aprile la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, indicava la strada del Paese verso l’adesione all’Unione, oggi (mercoledì 14 settembre) la numero uno dell’esecutivo comunitario aprirà le porte di Kiev al Mercato Unico. “Questa è una delle più grandi storie di successo dell’Europa, ora è giunto il momento di farne una storia di successo anche per i nostri amici ucraini”, ha annunciato von der Leyen nel suo discorso sullo Stato dell’Unione 2022.
    Di fronte alla plenaria del Parlamento Europeo e parlando occhi negli occhi all’ospite d’onore, la first lady ucraina Olena Zelenska (arrivata ieri sera a Strasburgo per l’occasione), la presidente von der Leyen ha dato la notizia che si recherà a Kiev per “discutere in dettaglio con il presidente, Volodymyr Zelensky” del progetto, che prevederà la collaborazione tra la Commissione e l’Ucraina per “garantire un accesso senza soluzione di continuità al Mercato Unico e viceversa”. La base di tutto il lavoro sarà costituito dalla prosecuzione del lavoro fatto sulle corsie di solidarietà per il grano, sulla sospensione dei dazi sulle esportazioni ucraine e sul collegamento di Kiev alla rete elettrica europea “previsto inizialmente per il 2024, ma ci siamo riusciti in due settimane, e oggi l’Ucraina esporta elettricità verso di noi”. Ecco perché von der Leyen vuole “espandere in modo significativo questo commercio reciprocamente vantaggioso” e “mobilitare tutta la potenza del nostro Mercato Unico per contribuire ad accelerare la crescita e a creare opportunità”:  il punto di approdo non può essere altro che “far entrare l’Ucraina nella nostra area di libero scambio europea“, anche a fronte di un piccolo aumento dei costi per gli operatori di mercato dell’Unione.
    Da sinistra: la presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, la first lady ucraina, Olena Zelenska, e la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen (14 settembre 2022)
    Prima di recarsi a Kiev, von der Leyen ha voluto omaggiare “il coraggio dell’Ucraina, che ha il volto delle donne e degli uomini che si ergono contro l’aggressore russo“. Un esempio è arrivato proprio dalla moglie del presidente ucraino che “a poche settimane dall’inizio dell’invasione ha guidato silenziosamente una folla di genitori di bimbi uccisi dai russi, per appendere agli alberi piccole bandierine, uno per ciascun morto”. Il merito di Zelenska e del presidente Zelensky è stato quello di “essere rimasti e aver difeso Kiev, dando coraggio all’intera nazione“. Ecco perché per tutte le istituzioni comunitarie “è un onore avere la first lady qui con noi”, ha sottolineato la numero uno della Commissione, che proprio da lei ha saputo che “ogni giorno i genitori mettono nella cartella dei propri figli un pacchetto di emergenza con acqua, cibo, necessario medico e cambio intimo, senza sapere se li rivedranno all’uscita di scuola nel pomeriggio”. Di qui l’impegno dell’Unione a “ricostruire le 70 scuole distrutte dalle bombe russe” con uno stanziamento di “100 milioni di euro per far ripartire dai bambini il futuro del Paese”.
    Mai nella storia dello Stato dell’Unione (dal 2007) un presidente della Commissione ha rivolto il suo discorso alla plenaria dell’Eurocamera mentre una guerra andava in scena sul suolo europeo. “Quella mattina del 24 febbraio ci siamo svegliati scossi dal volto del male senza pietà e dalla brutalità della guerra”, ha ricordato la presidente von der Leyen. Da allora, “un continente intero si è levato in un moto di solidarietà”, dimostrando di essere “all’altezza della sfida”, ha sottolineato il successo la numero uno dell’esecutivo Ue: “Se 15 anni fa abbiamo impiegato anni per rispondere alla crisi finanziaria e due anni fa poche settimane con la pandemia, quest’anno non appena le truppe russe hanno attraversato frontiera ucraina, la nostra risposta è stata decisa e immediata”. I messaggi sono chiari e precisi: “Abbiamo riportato in superficie la forza dell’Unione“, “si sfidano autocrazia e democrazia”, “con la nostra solidarietà Putin fallirà e l’Ucraina e l’Europa vinceranno”.
    Non manca anche un mea culpa da parte della presidente von der Leyen – simile a quello fatto ieri in plenaria dalla premier finlandese, Sanna Marin – sull’atteggiamento dell’Unione nei confronti della Russia di Putin nel recente passato: “Dovevamo ascoltare chi lo conosceva, come Anna Politkovskaja e i giornalisti che hanno pagato la loro esposizione con la vita, o la Georgia, la Moldova, l’opposizione bielorussa, la Polonia e i Baltici, che da anni ci segnalavano che Putin non si sarebbe fermato”. Allo stesso tempo, il riscatto è misurabile nelle sanzioni “più pesanti mai viste” contro la Russia: “Abbiamo tagliato tre quarti del settore finanziario a livello internazionale, quasi mille aziende hanno abbandonato il Paese, la produzione delle auto è calata del 75 per cento rispetto al 2021, la flotta aerea è a terra perché non ha pezzi di ricambio e l’industria è a brandelli”. La colpa di tutto ciò è del Cremlino, che “ha messo l’economia russa sulla strada della distruzione totale”, ha ricordato von der Leyen, ribadendo senza mezzi termini che “le sanzioni rimarranno, dobbiamo essere risoluti, perché non è questo il momento di toglierle”.

    Nel suo intervento annuale alla sessione plenaria del Parlamento Ue, la presidente della Commissione ha annunciato che “faremo entrare l’Ucraina nella nostra area di libero scambio”. La promessa davanti alla first lady, Olena Zelenska: “Sarete parte di una storia di successo”

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    La first lady ucraina Olena Zelenska è a Strasburgo ospite di von der Leyen. Parteciperà al discorso sullo Stato dell’Unione

    Bruxelles – La seconda volta di un coniuge Zelensky alla sessione plenaria del Parlamento Europeo, la prima fisicamente di persona. La first lady ucraina, Olena Zelenska, è arrivata a Strasburgo, dove gli eurodeputati sono riuniti in sessione plenaria, e domani (mercoledì 14 settembre) parteciperà come “ospite d’onore” al discorso sullo Stato dell’Unione che sarà pronunciato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
    A darne notizia è stata la stessa numero uno dell’esecutivo comunitario in un tweet, confermando le indiscrezioni arrivate nel pomeriggio di Strasburgo: “Sono lieta di dare il benvenuto alla first lady ucraina Olena Zelenska”. Il messaggio della presidente von der Leyen è sempre di sostegno assoluto a Kiev – “L’Europa sarà al vostro fianco in ogni momento” – a partire dal “coraggio del popolo ucraino che ha commosso e ispirato il mondo intero”. Ecco perché l’Unione e l’Ucraina resteranno “forti insieme” di fronte all’aggressione armata russa.
    Non era mai successo prima che il presidente o la first lady dell’Ucraina prendessero parte di persona a una sessione di un’Assemblea parlamentare fuori dai confini del Paese. A una settimana dall’inizio dell’invasione russa era stato lo stesso leader ucraino, Volodymyr Zelensky, a prendere parola davanti all’emiciclo di Bruxelles (durante una sessione plenaria straordinaria), esortando per la prima volta gli eurodeputati a “sostenere la nostra adesione all’Unione”. Una prospettiva che sembrava allora quasi utopistica, ma che ha portato le istituzioni comunitarie a dare una risposta accelerata sulle prime fasi dell’allargamento e un sostegno praticamente incondizionato a Kiev dal punto di vista finanziario, umanitario e militare.
    Dopo tre mesi era stato il presidente della Verchovna Rada (il Parlamento ucraino), Ruslan Stefančuk, a recarsi invece di persona all’emiciclo dell’Eurocamera a Strasburgo, per “cogliere il senso di sostegno per tutta l’Ucraina” dell’Unione. Ora tocca a Olena Zelenska. Al momento non si sa ancora se pronuncerà un discorso davanti all’emiciclo, ma gli occhi – anche quando von der Leyen aprirà il suo intervento con il tema dell’Ucraina – saranno tutti su di lei.

    I am delighted to welcome First Lady Olena @ZelenskaUA, my guest of honour for tomorrow’s State of the Union address.
    The courage of Ukrainian people has touched and inspired the world. 
    Europe will stand with you every step of the way.
    We will #StandStrongTogether#SOTEU pic.twitter.com/Ig6lHqefK2
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) September 13, 2022

    Lo ha annunciato la stessa presidente della Commissione, che domani delineerà davanti all’emiciclo dell’Eurocamera lo stato di salute dell’Ue: “Sono lieta di darle il benvenuto come ospite d’onore, il coraggio del popolo ucraino ha commosso e ispirato il mondo intero”

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    L’Ue celebra il Giorno dell’Indipendenza dell’Ucraina e della “lotta per difendere i valori e principi europei”

    Bruxelles – Una bandiera di 30 metri giallo-blu, per unire Kiev all’Unione Europea nel Giorno dell’Indipendenza dell’Ucraina. A presenziare alla cerimonia alla Grand-Place di Bruxelles, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, vestita con la camicia blu e la giacca gialla – i colori nazionali ucraini – che già aveva indossato in occasione dell’annuncio sul parere favorevole per la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue. In occasione del 24 agosto, festività nazionale ucraina che commemora la dichiarazione di indipendenza dall’Unione Sovietica del 1991, le istituzioni comunitarie hanno fatto sentire la propria vicinanza a Kiev, impegnata in una nuova lotta per la sovranità contro la Russia – questa volta non sovietica, ma del regime di Putin.
    La sede della Commissione Europea a Bruxelles illuminata con i colori della bandiera dell’Ucraina
    “State combattendo per difendere la vostra sovranità e per proteggere la vostra libertà di fronte a un’aggressione, noi non potremo mai eguagliare i sacrifici che fate ogni giorno, ma possiamo e saremo al vostro fianco“, è stato il messaggio inviato dalla stessa presidente von der Leyen al popolo ucraino prima della sua partecipazione alla manifestazione. L’Ue ha dimostrato questo impegno “fin dall’inizio” attraverso sostegno economico, militare e umanitario: “Sosteniamo i vostri coraggiosi soldati in prima linea, i vostri funzionari e la società civile sul fronte interno”, ma anche attraverso l’accoglienza delle famiglie “che hanno cercato rifugio” nell’Unione e degli “oltre 3 milioni di bambini ucraini” nelle scuole europee. La promessa – che ricalca quella fatta a maggio al Parlamento Ue e all’impegno in sede G7 della Germania di Olaf Scholz annunciato ieri (martedì 23 agosto) al summit della Piattaforma per la Crimea – è di “ricostruire le vostre città, mattone dopo mattone, e ripiantare i vostri campi, seme per seme“, all’interno di una prospettiva che vede Ucraina e Unione Europea “insieme”.
    Tutte le istituzioni comunitarie si sono illuminate di giallo e blu per il Giorno dell’Indipendenza dell’Ucraina e un messaggio di sostegno è arrivato da ciascun presidente. “State combattendo per difendere la vostra patria e il futuro del vostro Paese, ma anche per difendere i nostri valori e i principi europei“, ha dichiarato il numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel. È per questo motivo che “il vostro futuro è il nostro futuro comune” e l’Unione è pronta a “sostenervi il più possibile per proteggere la vostra indipendenza, la vostra sovranità e la vostra integrità territoriale”. La presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, ha sottolineato che “il significato del Giorno dell’Indipendenza di quest’anno è più che mai convincente”, perché i cittadini dell’Ucraina “combattono per le loro vite, le loro famiglie, il loro Paese, i loro valori, le loro scelte e la loro libertà. Per la loro indipendenza”. Con l’hashtag #StandWithUkraine, lanciato dall’Eurocamera e dalla Verkhovna Rada (il Parlamento ucraino), la presidente Metsola ha assicurato che “il nostro sostegno non si fermerà qui” e andrà avanti “per tutto il tempo necessario”, come le ha fatto eco Michel.

    The significance of this year’s 🇺🇦 Independence Day is more compelling than ever before.
    Strong & brave Ukrainians fighting for their lives, families, country, values, choices & freedom.
    For their independence.
    🇪🇺 will always #StandWithUkraine. Our support will not stop here. pic.twitter.com/QLy2H44s1H
    — Roberta Metsola (@EP_President) August 24, 2022

    In occasione del 24 agosto le istituzioni comunitarie hanno inviato un messaggio di supporto alla difesa di Kiev dall’invasione russa. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, presente alla cerimonia alla Grand-Place di Bruxelles con una bandiera giallo-blu di 30 metri

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    Il premier croato Plenković indica all’UE la “cifra storica” del nuovo millennio: “Le nostre democrazie contro le autocrazie”

    Bruxelles – Democrazie contro autocrazie, “questa è la cifra storica del momento in cui viviamo”. Nel suo intervento alla mini-sessione plenaria del Parlamento UE a Bruxelles, il premier della Croazia, Andrej Plenković, è stato particolarmente chiaro nell’illustrare la posizione che l’Unione deve continuare a portare avanti nell’approccio alla guerra russa in Ucraina e sul piano della dimensione esterna: “Siamo all’apice degli standard globali di democrazia, dobbiamo prendere la leadership della difesa e della promozione dei valori fondamentali, soprattutto nei confronti dei nostri vicini”.
    Il primo ministro della Croazia, Andrej Plenković, alla plenaria del Parlamento UE a Bruxelles (22 giugno 2022)
    Considerando lo “stravolgimento dell’ordine internazionale” provocato dall’invasione russa dell’Ucraina, il premier croato ha iniziato la propria analisi dalle cause che l’hanno determinato. “Mosca ha rilevato e interpretato una serie di debolezze dell’Occidente nel contesto generale“, che vanno dall’abbandono dell’Afghanistan “nel modo non più decoroso possibile” alla Brexit, passando dalla svolta politica epocale in Germania e gli appuntamenti elettorali in Francia: “Su scala più grande, la Russia si è comportata nello stesso modo del 2008, quando dopo le Olimpiadi di Pechino ha invaso la Georgia”, in un parallelismo con l’aggressione militare dell’Ucraina iniziata dopo la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi invernali di febbraio, sempre a Pechino.
    Ma nel 2022 “abbiamo assistito a un’enorme mobilitazione internazionale” a favore dell’Ucraina, che come ultimo stadio sta portando i Ventisette – e la Croazia “senza ambiguità” – a sostenere la richiesta di adesione di Kiev all’UE: “C’è una posizione comune sul riconoscimento, che sarà confermata al Consiglio di domani“, ha confermato il premier Plenković. Ma Zagabria è tra gli avanguardisti dell’allargamento dell’Unione: “Sosteniamo anche il conferimento dello status a Moldova e Georgia, perché la scelta di offrire la prospettiva europea è un’evoluzione politica cruciale per l’architettura del nostro continente“, o, in altre parole “una svolta enorme nel dibattito sull’Europa e nei confronti di Paesi che ancora non appartengono all’Unione”.
    E proprio su questo punto il premier della Croazia non ha nascosto che l’UE deve lavorare di più sul piano dell’allargamento ai Balcani Occidentali, in particolare nei confronti della Bosnia ed Erzegovina: “Siamo a favore del riconoscimento dello status di Paese candidato all’adesione anche per Sarajevo, non può essere l’ultima ruota del carro, sarebbe ingiustizia storica“, ha attaccato Plenković. Il tema è delicato e coinvolge direttamente i principi-cardine del processo di adesione all’UE (a cui la Bosnia non si è ancora pienamente allineata). Per questo motivo non sono attesi particolari passi in avanti al vertice UE-Balcani Occidentali in programma a Bruxelles appena prima dell’inizio del Consiglio, anche se la Slovenia – sostenuta da Zagabria – dovrebbe presentare una proposta per allineare Sarajevo a Kiev e Chișinău.
    La spinta in avanti di Zagabria deriva anche dal suo “approccio moderno alla sovranità“, come l’ha definito Plenković, ovvero una politica che mira a “raggiungere i nostri obiettivi nazionali, ma lavorando strettamente insieme ai partner e agli amici europei, superando le difficoltà attraverso la solidarietà comune che ci contraddistingue“. Un approccio che ha permesso a “un Paese che è stato riconosciuto a livello internazionale solo 30 anni fa” di continuare a promuovere “la nostra scelta europea”. È così che la Croazia è riuscita non solo ad aderire all’UE nel 2013, ma anche a “rispettare gli obiettivi economici e finanziari per diventare il 20esimo membro dell’Eurozona“. Dal primo gennaio del 2004 Zagabria riuscirà a realizzare “l’obiettivo di più profonda integrazione”, cioè l’adozione della moneta unica. “Ora attendiamo anche l’ingresso nell’area Schengen”, ha esortato Parlamento e Consiglio il premier croato.
    Nell’ottica della sovranità strategica dell’Unione Europea – un’altra forma di “approccio moderno alla sovranità”, per usare le parole di Plenković – la Croazia può rappresentare “un hub energetico da rafforzare, grazie alla nostra posizione geostrategica”. Zagabria sta potenziando un terminale di gas naturale liquefatto (GNL) “portandolo da 2,9 milioni a 6 milioni di metri cubi, con investimenti che serviranno non solo per la nostra economia, ma potenzialmente anche per Bosnia, Slovenia e Ungheria”. Inoltre, “l’oleodotto nell’Adriatico del Nord potrebbe rifornire anche le raffinerie in Serbia e in Slovacchia”, ha sottolineato il primo ministro croato. Gli investimenti in gasdotti, oleodotti e terminali GNL si iscrivono nella strategia di “diventare indipendenti dalle fonti fossili della Russia, garantendo la sicurezza di approvvigionamento energetico ai nostri cittadini e imprese attraverso reti energetiche europee“, per riprendere a una crisi da cui “nessuno rimarrà immune”, ha concluso il suo intervento il premier Plenković.

    Nel suo intervento alla sessione plenaria del Parlamento Europeo, il primo ministro della Croazia ha esortato l’Unione a “promuovere la leadership anche nella sfera esterna” e a riconoscere lo status di Paese candidato all’adesione a Ucraina, Moldova, Georgia e Bosnia ed Erzegovina

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    Ucraina e Moldova “meritano lo status di Paesi candidati all’adesione UE”. Per la Georgia serve un’attenta valutazione

    Bruxelles – Giacca gialla e camicia azzurra, i colori della bandiera ucraina. Che il 17 giugno rappresenti una data decisiva per il processo di allargamento dell’Unione Europea lo si capisce già dall’abbigliamento scelto dalla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, per presentare i pareri formali dell’esecutivo comunitario sul conferimento dello status di Paese candidato di adesione all’UE: Ucraina e Repubblica di Moldova subito, Georgia dopo “un’attenta valutazione”. A soli cento giorni dal via libera degli ambasciatori dei Ventisette, il gabinetto von der Leyen ha affidato al Consiglio il compito di decidere (all’unanimità) come e secondo quali tappe dovrà procedere il processo che in prospettiva potrebbe portare nell’Unione tre nuovi membri. A Kiev e Chișinău dovrebbe essere garantito subito lo status di Paese candidato, mentre Tbilisi dovrà lavorare su una serie di priorità, ma con il riconoscimento della prospettiva europea.
    Il collegio dei commissari riunito il 17 giugno 2022 per deliberare i pareri formali sulle richieste di adesione UE di Ucraina, Moldova e Georgia
    “Abbiamo certificato in modo accurato i meriti di ciascun Paese che ha fatto richiesta, secondo i criteri politici, economici e di capacità di assumersi gli obblighi derivanti dall’adesione, come previsto dall’acquis comunitario”, ha esordito la presidente von der Leyen in conferenza stampa. Tutte le attenzioni sono per l’Ucraina, per cui la Commissione raccomanda la prospettiva di diventare membro dell’UE e di concedere lo status di candidato all’adesione, “a condizione che vengano compiute riforme importanti in una serie di settori”, tra cui quello giudiziario, sulla lotta alla corruzione, sulla legislazione anti-oligarchi e su quella per la tutela delle minoranze. In ogni caso, “il popolo ucraino ha dimostrato chiaramente l’aspirazione e la determinazione ad aderire ai valori e standard europei, anche prima della guerra“, ha sottolineato la leader dell’esecutivo comunitario, mettendo in risalto i punti di forza: stabilità delle istituzioni, Stato di diritto, funzionamento della pubblica amministrazione, decentralizzazione, stabilità macroeconomica e finanziaria, sistema elettorale libero ed equo. “Sì, gli ucraini meritano la prospettiva europea e di essere accolti come candidati, ora devono avere il futuro nelle proprie mani”, è stato il “chiaro messaggio” di von der Leyen.
    Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen (17 giugno 2022)
    Come per l’Ucraina, la Commissione raccomanda al Consiglio di riconoscere alla Moldova la prospettiva di diventare membro dell’Unione e lo status di candidato all’adesione UE, sempre secondo i “meriti che devono accompagnare questo processo” soprattutto sul piano delle riforme economiche fondamentali. Nonostante le difficoltà interne per il separatismo della Transnistria, Chișinău “dispone di solide basi” su democrazia e Stato di diritto e ha registrato “progressi nel rafforzamento del settore finanziario e del contesto imprenditoriale”, che garantiscono un “sostanziale avvicinamento” alle condizioni richieste dall’ingresso nel Mercato Unico.
    Leggermente diversa è la situazione della Georgia, che ha sì “le stesse aspirazioni” di Ucraina e Moldova e “buone basi per la stabilità”, ma “sono necessarie ulteriori riforme su una lista di priorità che abbiamo evidenziato“, ha spiegato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi: “Fine della polarizzazione politica, riforme giudiziarie, progressi sulla lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, indipendenza dei media e sicurezza dei giornalisti”. Come ha sottolineato la presidente von der Leyen, “la porta è totalmente aperta e le tempistiche dipendono dalla Georgia“, ma per il momento la Commissione raccomanda al Consiglio di garantire solo la prospettiva di diventare membro dell’UE, fino a quando non saranno soddisfatte tutte le priorità.
    Le tappe del processo di adesione UE
    Le tre richieste per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione UE erano arrivate tutte nel corso della prima settimana di guerra della Russia in Ucraina, tra lunedì (28 febbraio) e giovedì (3 marzo): la prima era stata l’Ucraina, seguita a ruota da Georgia e Moldova. Gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) avevano concordato quattro giorni più tardi di invitare la Commissione Europea a presentare un parere su ciascuna delle domande di adesione, da inviare poi ai leader UE. L’8 aprile a Kiev von der Leyen aveva consegnato al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, il questionario per il processo di elaborazione del parere dell’esecutivo comunitario sulla richiesta di adesione, così come aveva fatto tre giorni più tardi il commissario Várhelyi per Georgia e Moldova. “Tutti i questionari sono stati compilati autonomamente, noi abbiamo dato supporto tecnico per non perdere tempo“, ha spiegato lo stesso commissario europeo, ricordando che “abbiamo usato anche i nostri dati, senza chiedere cose che già sapevamo”.
    Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione, per diventare un Paese membro dell’UE (Ucraina, Georgia e Moldova, in questo caso), è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen, ovvero le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno). Ottenuto il parere positivo della Commissione, si può arrivare o alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione – un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente, utilizzato in particolare per i Balcani Occidentali, a cui viene offerta la prospettiva di adesione – o direttamente il conferimento dello status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.
    Oltre alle candidature di Moldova, Georgia e Ucraina, il processo di allargamento UE coinvolge già i sei Paesi dei Balcani Occidentali – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – e la Turchia, i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente dal 2014 e dal 2012, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord è bloccato dal 2018 prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello attuale della Bulgaria contro Skopje (dalla fine del 2020). La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016, mentre il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione.
    La situazione dello stallo del processo di allargamento nella regione sarà al centro delle discussioni del prossimo vertice UE-Balcani Occidentali, in programma a Bruxelles giovedì prossimo (23 giugno), ma nella sede della Commissione non si respira un clima positivo: “Non sono a conoscenza di quadri negoziali tra Macedonia del Nord e Bulgaria, ma solo di un blocco di cui non sono per niente soddisfatto”, ha commentato seccamente il commissario Várhelyi. Per quanto riguarda il processo della Bosnia ed Erzegovina – che sarebbe sorpassata da destra da Ucraina e Moldova – “stiamo aspettando che il Paese soddisfi le 14 priorità già presentate nella nostra opinione al Consiglio“, perché “se le rinegoziassimo, mineremmo la credibilità del processo di allargamento“, ha puntualizzato il titolare della Politica di allargamento dell’esecutivo comunitario.

    È quanto emerge dai pareri formali della Commissione UE sulle richieste di Kiev e Chișinău, che passeranno al tavolo del Consiglio Europeo. A Tbilisi dovrebbe essere garantita la prospettiva di diventare Paese membri, ma serviranno forti riforme politiche, economiche e sociali