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    La settimana dell’allargamento è ostaggio di Orbán. Pressing a Bruxelles per sbloccarla

    Bruxelles – È iniziato il conto alla rovescia di una settimana cruciale per le prospettive di allargamento Ue, ma anche per una delle prove più delicate di unità dei Ventisette. Il premier ungherese, Viktor Orbán, da settimane sta aumentando la pressione su due appuntamenti di estrema importanza per il futuro dell’Unione, che in diverse modalità si intersecano e dipendono dalla volontà dell’uomo forte di Budapest sull’Ucraina: il vertice Ue-Balcani Occidentali di mercoledì (13 dicembre) e il Consiglio Europeo di giovedì e venerdì (14-15 dicembre).Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, a Budapest (27 novembre 2023)“Sicuramente il veto di Orbán sarà in cima all’agenda delle discussioni all’ordine del giorno, spero che l’unità europea non verrà spezzata, perché non è il momento di indebolire il nostro supporto all’Ucraina”, è stato il commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, facendo ingresso al Consiglio Affari Esteri di oggi (11 dicembre) a Bruxelles. A nulla sembra essere servito il viaggio del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, a Budapest lo scorso 27 novembre per tentare una difficilissima mediazione con Orbán: solo una settimana fa lo stesso premier ungherese ha inviato a Michel una lettera per esortarlo a cancellare dall’agenda del vertice tutti i punti sulle decisioni inerenti a Kiev – dall’avvio dei negoziati di adesione al sostegno finanziario – “fino a quando non si trova un consenso sulla nostra futura strategia nei confronti dell’Ucraina”. E niente si è mosso negli ultimi giorni, nemmeno nel corso dei confronti bilaterali con il presidente francese, Emmanuel Macron, e con il premier spagnolo, Pedro Sánchez.È così che, a due giorni dall’avvio della tre-giorni di vertici a Bruxelles, l’allargamento Ue è ancora ostaggio del potere di veto di Budapest. Perché – come ricordato puntualmente dal ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, oggi a Bruxelles – “l’allargamento è un processo vasto che non copre solo l’Ucraina, non voglio neanche pensare allo scenario di un fallimento generale su questo tema“. In altre parole, per quanto potrà essere di successo il vertice Ue-Balcani Occidentali (in programma dalle ore 17 di mercoledì), non si potrà esultare fino a quando non saranno messe nero su bianco le conclusioni “gradite” del Consiglio Europeo sull’avvio dei negoziati di adesione per l’Ucraina, così come raccomandato dalla Commissione Ue lo scorso 8 novembre. La motivazione ha trovato una sintesi nelle parole del ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis: “Se non ci sarà una soluzione positiva, arriveranno tempi bui, l’unico modo in cui leggo la posizione dell’Ungheria è che si posiziona contro l’Unione e tutto ciò che fa”. Percorso di allargamento Ue e di riforma interna inclusi.Il tempo scarseggia per cercare di sbloccare l’impasse, ma a Bruxelles è intensa la pressione diplomatica da parte di quasi tutti i governi per scongiurare un fallimento su tutta la linea questa settimana. “Mi auguro che da parte ungherese si possa compiere un passo in avanti, anche dopo la decisione di garantire la libertà di insegnamento della lingua ungherese per la minoranza che vive in Ucraina”, ha spiegato alla stampa europea il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani: “Spero che si possa procedere con una posizione favorevole da parte di Budapest verso la nostra posizione”. Più dura la collega finlandese, Elina Valtonen: “La posizione dell’Ungheria è stata davvero deplorevole nel corso degli ultimi mesi”. Rispondendo alle domande su come superare lo stallo, il ministro lettone Arturs Kariņš ha ricordato che “la Commissione sta valutando tutte le opzioni per superare l’impasse, la nostra missione di politici è trovare soluzioni”. Il riferimento è all’atteso sblocco “fino a un tetto massimo” di 10 miliardi di euro “prima del 15 dicembre” dai fondi della politica di coesione (su un totale di 28,6 miliardi congelati) – come hanno reso noto alti funzionari europei – dopo aver dato il via libera al capitolo RePowerEu da 4,6 miliardi di euro, con i suoi 900 milioni di euro di pre-finanziamento automatico e non vincolato.L’allargamento Ue ai vertici di BruxellesIl tema dell’allargamento sarà per evidenti motivi prioritario al vertice Ue-Balcani Occidentali che, come riferiscono fonti Ue, si soffermerà sui progressi dell’ultimo anno (dal summit di Tirana del 6 dicembre 2022). Saranno valutate le notizie positive in arrivo dal Montenegro – che “nel giro dei prossimi sei mesi” ci si aspetta possa “chiudere i capitoli 23 e 24” dei negoziati di adesione Ue – si dovrà considerare la possibilità di disaccoppiare il percorso di adesione di Albania e Macedonia del Nord – anche se “non è l’opzione che vogliamo” – e si farà il punto sull’anno complicatissimo per i rapporti tra Serbia e Kosovo e i riflessi sul dialogo Pristina-Belgrado. Ma soprattutto si dovrà considerare come posizionarsi nei confronti della Bosnia ed Erzegovina, in questo momento in un bivio tra il percorso europeo e le sirene secessioniste nella Republika Srpska di Milorad Dodik.È qui che va considerato quanto sarà inserito all’ordine del giorno del Consiglio Europeo al via il giorno successivo al vertice Ue-Balcani Occidentali. “Il Consiglio è pronto ad avviare i negoziati di adesione all’Ue con la Bosnia ed Erzegovina, una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione“, si legge nella bozza delle conclusioni del vertice dei leader Ue visionata da Eunews. Niente di nuovo rispetto alla raccomandazione della Commissione Europea, ma non va dimenticato che l’ombra lunga di Orbán incombe anche nel caso dell’allargamento Ue alla Bosnia ed Erzegovina. Di fronte alle politiche secessioniste di Dodik e alla vicinanza sempre più esplicita all’autocrate Vladimir Putin dopo l’invasione russa dell’Ucraina (non dissimulate nemmeno dal premier ungherese), l’Unione Europea ha già un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato. Tuttavia, come rivelato da fonti Ue a Eunews, è proprio l’Ungheria a non permettere il via libera per la vicinanza politica tra Orbán e il leader serbo-bosniaco che vuole la secessione da Sarajevo.Rispetto a quanto raccomandato dal gabinetto di Ursula von der Leyen nel Pacchetto Allargamento Ue 2023, la partita si giocherà in particolare su quello che nella bozza delle conclusioni compare al punto 14 e 15: “Il Consiglio Europeo decide di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina e la Repubblica di Moldova” e invita i 27 ministri competenti ad “adottare i rispettivi quadri negoziali una volta adottate le misure indicate” dal Consiglio Affari Generali. In attesa anche la Georgia, per cui si dovrebbe decidere di “concedere lo status di Paese candidato“, ma con l’allargamento Ue in ostaggio di Budapest niente è certo al momento. Perché, come spiegano senza troppi giri di parole le fonti Ue, se il percorso dell’Ucraina sarà bloccato da Orbán “non sappiamo ancora se altri Paesi faranno dei collegamenti sul processo basato sul merito anche per gli altri candidati“.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Charles Michel è in Ucraina per i 10 anni da Euromaidan. In 3 settimane la decisione sui negoziati di adesione Ue

    Bruxelles – Sono passati 10 anni da quella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013, da quella che è passata alla storia come Euromaidan, la prima vera scelta di campo del popolo ucraino ed espressione delle ambizioni europee del Paese ex-sovietico. Ma non si tratta solo di un anniversario. Perché oggi, 10 anni più tardi, le aspirazioni di Euromaidan si stanno concretizzando nel processo di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, con una tappa decisiva attesa fra poco più di tre settimane. È per questo che il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha deciso oggi (21 novembre) di recarsi nuovamente in visita a Kiev per ribadire il supporto di Bruxelles al cammino del Paese verso l’integrazione nell’Unione.A destra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, a Kiev (21 novembre 2023)“È bello essere di nuovo a Kiev, tra amici”, ha reso noto così il suo arrivo nella capitale ucraina. Parlando con la stampa al seguito, Michel ha messo in chiaro che lo scopo del suo viaggio è quello di riaffermare il “grande sostegno” dell’Ue all’Ucraina “in un giorno importante, 10 anni fa gli ucraini hanno scelto l’Europa e alcuni sono morti“. L’argomento centrale dei confronto a Kiev con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, è proprio quello del percorso di avvicinamento all’Unione: “Incontrarsi di persona è molto importante per capire cosa è realistico e per far capire qual è la situazione da parte dell’Ue”. In altre parole, sostegno sì, ma bisogna anche gestire le aspettative sul Consiglio Europeo del 14-15 dicembre, quando i 27 capi di Stato e di governo dovranno decidere se seguire la raccomandazione della Commissione Ue di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina. “Il prossimo Consiglio Europeo sarà difficile, il rapporto della Commissione sull’allargamento non è bianco o nero, ha delle sfumature, e io stesso sono rimasto sorpreso per il rapporto ulteriore di marzo”, ha confessato Michel, parlando del seguito che l’esecutivo Ue ha promesso di fornire fra quattro mesi: “Lavoro per un Consiglio di successo, ma a volte il fallimento è parte del processo dell’Ue, non è un mistero che alcuni Paesi sono cauti sull’allargamento”La verità è che, dopo i relativamente pochi successi della controffensiva ucraina dall’inizio di quest’anno, la guerra ha raggiunto una situazione di stallo e i partner europei e statunitensi di Kiev sono preoccupati che l’esercito non sia in grado di portare a termine la riconquista di porzioni significative di territorio a sud e sud-est. Nel frattempo si è innestata anche la questione della guerra tra Israele e Hamas, che rischia di far deviare l’attenzione occidentale dall’invasione russa dell’Ucraina. “Sono molto attivo nel mantenere i rapporti con il Sud globale e questo è un lavoro molto utile anche per l’Ucraina”, ha assicurato Michel l’impegno di Bruxelles per non disperdere le forze con tutti i partner internazionali: “Dobbiamo confrontarci sulle sfide e le difficoltà del momento, per essere in sintonia“. Ecco perché nelle discussioni di oggi con Zelensky rientrano anche i temi “delle sanzioni, della situazione militare sul campo, del sostegno allo sforzo bellico e del possibile uso degli asset russi per la ricostruzione dell’Ucraina”, ha precisato il numero uno del Consiglio Ue.Dieci anni da EuromaidanLe proteste in piazza Maidan nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2023, Kiev (credits: Genya Savilov / Afp)Prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio 2022, uno dei fattori che ha scatenato la crisi tra Mosca e Kiev dieci anni fa è stata proprio la prospettiva europea dell’Ucraina. Nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013 si verificarono nella capitale ucraina una serie di dure proteste a causa della decisione del governo di sospendere il processo di ratifica dell’Accordo di Associazione con l’Unione Europea. Quelle proteste – conosciute appunto come Euromaidan – portarono alla sollevazione popolare della stessa piazza l’anno seguente, con la messa in stato di accusa e la destituzione dell’allora presidente, Viktor Janukovyč (finito nell’agosto dello scorso anno nella lista Ue dei sanzionati per aver sostenuto i separatisti filo-russi nel minare la sovranità del Paese). A seguito di quegli eventi scoppiò la crisi in Crimea, con il primo intervento armato di Mosca su territorio ucraino a sostegno dei separatisti filo-russi. Era il febbraio 2014 e di lì a pochi mesi sarebbe scoppiata anche la guerra civile in Donbass che continua interrotta da allora. Ora è tutta l’Ucraina sotto l’attacco della potenza vicina, mentre la strada dell’adesione all’Ue sta continuando senza sosta.“Dieci anni di dignità, di orgoglio, di lotta per la libertà”, ricorda su X la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen: “Le fredde notti invernali di Euromaidan hanno cambiato l’Europa per sempre” e oggi è “più chiaro che mai” che “il futuro dell’Ucraina è nell’Unione Europea, il futuro per cui Maidan ha lottato è finalmente iniziato“. Anche la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, assicura che “la rivoluzione di Maidan ha cambiato per sempre il futuro dell’Ucraina”. Dieci anni più tardi “in questo giorno di dignità e libertà, siamo orgogliosamente al fianco dell’Ucraina prossima ai negoziati di adesione all’Ue” e “per ogni missile lanciato dalla Russia, il nostro sostegno si rafforza”.Lo stravolgimento nel percorso dell’Ucraina verso l’Ue – pur sempre in salita – è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa. Nel pieno della guerra, il 28 febbraio 2022 il presidente Zelensky ha firmato la richiesta di adesione “immediata” all’Unione. Il 7 marzo gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno concordato di invitare la Commissione a presentare un parere sulla domanda di adesione, da trasmettere poi al Consiglio per la decisione finale sul primo step del processo di allargamento Ue. Prima di dare il via libera formale, l’8 aprile a Kiev la numero uno della Commissione ha consegnato al presidente Zelensky il questionario necessario per il processo di elaborazione del parere dell’esecutivo comunitario. Il 17 giugno il gabinetto von der Leyen ha dato la luce verde alla concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, prima della decisione ufficiale arrivata al Consiglio Europeo del 23 giugno, che ha approvato la linea tracciata dalla Commissione.Un anno e mezzo più tardi, secondo quanto emerge dal report specifico sull’Ucraina all’interno del Pacchetto Allargamento Ue 2023, Kiev merita di vedere avviati i negoziati di adesione e adottati i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave”. Più nello specifico si tratta di 3 delle 7 priorità indicate dall’esecutivo comunitario non ancora pienamente soddisfatte: lotta alla corruzione, riduzione dell’influenza degli oligarchi e protezione delle minoranze nazionali (ma l’uso della lingua russa “non sarà qualcosa che valuteremo”, precisano fonti Ue). Dopo i progressi dell’ultimo anno – e le 2 priorità completate da fine giugno – la Commissione pubblicherà un nuovo rapporto in merito “a marzo 2024”, ha reso noto von der Leyen. “In Ucraina la decisione di concedere lo status di candidato all’Ue ha creato una potente dinamica di riforma, nonostante la guerra in corso, con un forte sostegno da parte del popolo ucraino”, si legge nel report. Ora tutto dipende dall’esito delle discussioni tra i 27 capi di Stato e di governo Ue, con la decisione ufficiale che arriverà fra poco più di tre settimane.
    Il ritorno del presidente del Consiglio Ue a Kiev coincide con l’anniversario della scelta di campo del popolo ucraino nel 2013. Che al prossimo vertice dei Ventisette di dicembre potrebbe arrivare a compimento con l’avvio delle discussioni formali per diventare Paese membro dell’Unione

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    Negoziati di adesione per Ucraina, Moldova e Bosnia, stato di candidato a Georgia. All-in nel Pacchetto Allargamento 2023

    Bruxelles – La strada dell’allargamento Ue sta diventando particolarmente trafficata. E la Commissione Europea sta facendo di tutto per spingere gli aspiranti nuovi membri dell’Unione a tagliare il traguardo alla fine di un cammino pieno di ostacoli, ritardi, arretramenti e speranze. Dopo un 2022 in cui i Ventisette hanno finalmente rotto gli indugi su questo processo, è arrivato il Pacchetto Allargamento Ue 2023 a movimentare di nuovo le acque e stabilire nuovi obiettivi per avvicinare sempre più i Paesi in corsa per diventare parte integrante dell’Unione Europea. E lo ha fatto mettendo tutte le ambizioni più alte sul tavolo dei Ventisette.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (8 novembre 2023)“Oggi è un giorno storico, dobbiamo sfruttare il momento per affrontare il duro lavoro che abbiamo davanti”, ha aperto così oggi (8 novembre) la conferenza stampa di presentazione del nuovo Pacchetto Allargamento Ue la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, elencando le novità principali: “Abbiamo raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina, Moldova e Bosnia ed Erzegovina e di concedere lo status di Paese candidato all’adesione alla Georgia“. Nel giorno più importante dopo il suo tour nell’ultimo mese nelle capitali dei partner per ribadire l’impegno della Commissione al loro percorso di adesione, la leader dell’esecutivo comunitario ha voluto sottolineare con forza che “tutti questi Paesi hanno sentito la chiamata della storia” e, non meno importante, “sono parte della nostra famiglia europea, è chiaro qual è il nostro obiettivo”. Fonti interne alla Commissione precisano che “non è la nostra idea” quella di far aspettare i Paesi più avanzati fino a quando non sarà pronto “quello più lento”. Insomma, l’allargamento Ue è “un percorso basato sul merito” e, quando i primi della classe saranno pronti, Bruxelles non dovrà mettere in campo strategie del passato (come quella del 2004 con 10 nuovi membri nello stesso momento).Ora sarà però il Consiglio Europeo del 14-15 dicembre a dover prendere le singole decisioni definitive in merito. Ed è qui che bisogna considerare la situazione di ognuno dei Paesi interessati dal processo di allargamento Ue. In primis l’Ucraina, che secondo la Commissione Ue merita di vedere avviati i negoziati di adesione e adottati i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave”. Più nello specifico si tratta di 3 delle 7 priorità indicate dall’esecutivo comunitario non ancora pienamente soddisfatte: lotta alla corruzione, riduzione dell’influenza degli oligarchi e protezione delle minoranze nazionali (ma l’uso della lingua russa “non sarà qualcosa che valuteremo”, precisano le fonti). Dopo i progressi dell’ultimo anno – e le 2 priorità completate da fine giugno – la Commissione pubblicherà un nuovo rapporto in merito “a marzo 2024”, ha reso noto von der Leyen. “In Ucraina la decisione di concedere lo status di candidato all’Ue ha creato una potente dinamica di riforma, nonostante la guerra in corso, con un forte sostegno da parte del popolo ucraino”, si legge nel report specifico su Kiev.Discorso simile può essere fatto sulla Moldova, considerata “frontrunner” dai funzionari Ue dopo aver completato 6 priorità su 9 (+3 da fine giugno). Anche per Chișinău la raccomandazione della Commissione al Consiglio è quella di avviare i negoziati di adesione immediatamente e adottare i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave” nelle tre aree ancora da ultimare: rafforzamento del sistema giudiziario, degli organi anti-corruzione e attuazione del piano d’azione per la de-oligarchizzazione. A marzo del prossimo anno arriverà un nuovo rapporto dell’esecutivo comunitario, in cui si capirà se il Paese ha tratto nuova linfa per il suo cammino di adesione all’Ue.E poi c’è la Bosnia ed Erzegovina, il Paese più discusso dopo la concessione dello status di candidato all’adesione nel dicembre dello scorso anno. La raccomandazione dell’avvio dei negoziati dopo un solo anno – considerata la polarizzazione politica e i progetti secessionisti nell’entità della Republika Sprksa – è stata particolarmente contestata da molti ambasciatori dei Ventisette e per questo motivo per Sarajevo il gabinetto von der Leyen ha deciso di procedere in modo diverso: questo potrà accadere “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione“. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma la risposta del Consiglio certamente aspetterà. Quanto non è dato sapere, ma è un fatto che su 14 priorità indicate dalla Commissione, solo 2 sono state completate. La speranza della Commissione deriva dal fatto che la concessione dello status di candidato “ha portato una dinamica positiva di cui si sentiva il bisogno” e il governo “ha iniziato a realizzare le riforme”, mentre destano enormi preoccupazioni le “misure secessioniste e autoritarie” introdotte nell’entità serbo-bosniaca “non  in linea con il percorso verso l’Ue”. Anche in questo caso si attende marzo 2024 per il nuovo rapporto.Il Pacchetto Allargamento Ue 2023 porta anche la grande novità della concessione dello status di candidato per la Georgia, ma “a condizione che vengano prese alcune misure“. Rispetto alla presentazione orale di fine giugno non sono state implementate altre riforme, e ne sono state completate solo 3 su 12. “C’è ancora molto lavoro da fare, ma è un giorno da celebrare per la Georgia, riconosciamo le aspirazioni della stragrande maggioranza dei georgiani“, ha voluto sottolineare von der Leyen in conferenza stampa. Negli ultimi mesi comunque Tbilisi “ha preso provvedimenti per rafforzare l’impegno con l’Ue e ha aumentato il ritmo delle riforme”, ma le indicazioni sugli impegni da implementare non sono poche: allineamento alla politica estera dell’Unione, contrasto alla polarizzazione politica, attuazione delle riforme giudiziarie, lotta alla corruzione e alla de-oligarchizzazione e attuazione della strategia per i diritti umani, la libertà dei media e l’impegno della società civile.Gli altri 6 capitoli del Pacchetto Allargamento UeA fronte di queste quattro sostanziali novità del Pacchetto Allargamento Ue 2023, va ricordato anche lo stato di avanzamento degli altri sei Paesi che si sono incamminati sulla strada verso l’Unione Europea. “C’è grande entusiasmo a Podgorica per progredire sul percorso già molto avanzato“, ha ricordato von der Leyen a proposito del Montenegro, il Paese più avanti sul cammino tra tutti i 10 in corsa. Dopo anni di “profonda polarizzazione politica e instabilità” che hanno determinato “l’arenarsi dei progressi”, ora con il nuovo governo c’è la possibilità concreta di mettere a terra i “parametri provvisori sullo Stato di diritto stabiliti nei capitoli 23 e 24” (‘giudiziario e diritti fondamentali’ e ‘giustizia, libertà e sicurezza’), si legge nel report.La Serbia sconta il fatto di non essere allineata alla politica estera dell’Unione in particolare a proposito delle sanzioni contro la Russia, e di essere coinvolta da vicino dall’escalation di tensione nel nord del Kosovo, su cui è necessario “normalizzare le relazioni” con Pristina prima di sperare di accelerare sulla strada verso l’adesione Ue. A questo proposito, precisando le parole della presidente von der Leyen a Belgrado, le fonti europee spiegano che il riconoscimento de facto del Kosovo “è un modo per tagliare corto” su tutta una serie di azioni concrete (targhe, bandiera, seggio nelle istituzioni internazionali), ma “non stiamo parlando di riconoscimento formale in Costituzione”. Parallelamente l’esecutivo Ue ha evidenziato che la Serbia “ha tecnicamente soddisfatto i parametri di riferimento per l’apertura del cluster 3“, ovvero quello relativo a ‘competitività e crescita inclusiva’.A proposito di Kosovo, questo potrebbe diventare l’unico Paese a cui non è riconosciuto nemmeno lo status di candidato. È comunque vero che al momento la questione è ancora ferma in Consiglio, che “non ha chiesto alla Commissione un’opinione a riguardo”, ha voluto ricordare in conferenza stampa il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. Non basta il fatto che il Kosovo “ha continuato ad allinearsi volontariamente e completamente alla politica estera dell’Unione”, come riconosce il rapporto, né il passo decisivo della liberalizzazione dei visti a partire dal primo gennaio 2024. Perché, come ha ribadito von der Leyen a Pristina, la strada verso l’Ue passa dalla “attuazione degli obblighi vincolanti” del dialogo con la Serbia, che per il Kosovo nello specifico è la creazione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba.Vanno sempre a braccetto Albania e Macedonia del Nord dopo l’avvio del negoziati di adesione nel luglio dello scorso anno: sia per Tirana sia per Skopje “è necessario dare seguito alla relazione di screening sul ‘Cluster fondamenti’, per aprire il primo Cluster entro la fine dell’anno“. Nel frattempo l’Albania dovrà aumentare il lavoro su “libertà di espressione, le questioni relative alle minoranze e i diritti di proprietà, la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata”, mentre la Macedonia del Nord deve attuare “riforme nel settore giudiziario, nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, nella riforma della pubblica amministrazione, nella gestione delle finanze pubbliche e negli appalti pubblici”, ma anche gli emendamenti alla Costituzione a proposito delle minoranze nel Paese.E infine c’è la Turchia, che rimane sempre un caso a se stante, dal momento in cui i negoziati sono congelati dal 2018 e nessuno si aspetta più nulla dal regime di Recep Tayyip Erdoğan. Sebbene Ankara rimanga “un partner chiave” per Bruxelles, “il Paese non ha invertito la tendenza negativa ad allontanarsi dall’Unione Europea e ha portato avanti le riforme legate all’adesione in misura limitata”, si legge nel report. Tuttavia, dopo la richiesta di luglio del Consiglio, l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, presenterà “più tardi a novembre” una relazione sullo stato delle relazioni Ue-Turchia, “al fine di procedere in modo strategico e lungimirante”.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    La Commissione ha presentato le sue raccomandazioni al Consiglio, che dovrà decidere se seguirle al vertice dei leader Ue di dicembre. La presidente Ursula von der Leyen: “È un giorno storico, dobbiamo sfruttare il momento per affrontare il duro lavoro che abbiamo davanti”

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    La vigilia dell’allargamento Ue. Dall’Ucraina alla Moldova fino ai Balcani, von der Leyen punta tutto sullo sprint decisivo

    Bruxelles – È la settimana più importante per le prospettive di allargamento Ue, quella in cui si capirà se le promesse degli ultimi mesi corrispondono effettivamente a dei progressi reali che permettano ai Paesi candidati (e a quelli in attesa di risposta) di proseguire sulla strada verso l’adesione all’Unione Europea, ciascuno secondo la propria situazione specifica nel processo. La Commissione Europea svelerà mercoledì (8 novembre) il contenuto del Pacchetto Allargamento Ue, il report annuale sullo stato di avanzamento dei Paesi che hanno fatto richiesta di aderire all’Unione. E per ribadire l’impegno di Bruxelles a sostegno del processo, la sua presidente, Ursula von der Leyen, nell’ultimo mese ha visitato tutti i partner impegnati attivamente in questo processo. Dalla Moldova all’Ucraina, passando per i sei dei Balcani Occidentali. Ma non la Georgia.Con l’imminente pacchetto Allargamento Ue 2023 l’esecutivo comunitario è chiamato a rispondere presente agli stravolgimenti accaduti lo scorso anno in questo settore delle relazioni esterne di Bruxelles: la concessione dello status di Paese candidato a Ucraina, Moldova e Bosnia ed Erzegovina e la ‘prospettiva europea’ alla Georgia, l’avvio dei negoziati di adesione con Albania e Macedonia del Nord, la richiesta arrivata dal Kosovo, il braccio di ferro con la Serbia per l’allineamento alla politica estera e di sicurezza (in particolare sulle sanzioni alla Russia) e la crisi politico-istituzionale in Montenegro. La Turchia rimane sempre un caso a se stante, dal momento in cui i negoziati sono congelati da anni e nessuno si aspetta più nulla dal regime di Erdoğan. Tutte questioni affrontate solo parzialmente nella relazione 2022, dal momento in cui si è trattato di punti di svolta troppo vicini alla pubblicazione (di giugno il Consiglio Europeo sui tre nuovi candidati, a luglio l’avvio dei negoziati con Tirana e Skopje, solo a metà dicembre la richiesta di Pristina). È così che questo Pacchetto Allargamento Ue è atteso come uno dei più decisivi da diversi anni: non solo perché finalmente aumenterà il numero di capitoli per Paese – oggi 10 – ma soprattutto perché dovrà indicare se ci sono le condizioni per un nuovo sprint per allargare questa Unione.In questo scenario di potenziale svolta, nell’ultimo mese la presidente von der Leyen è stata impegnata in un tour de force per mettere in chiaro che la Commissione Ue sostiene pienamente gli sforzi dei nove Paesi impegnati in modo attivo per fare ingresso nell’Unione. Un impegno diplomatico sul campo iniziato lo scorso 12 ottobre a Chișinău, quando la leader dell’esecutivo comunitario ha messo in chiaro che “la posta in gioco è molto alta” per la Moldova e che per l’implementazione delle riforme necessarie “potete farcela”. Il riferimento è all’apertura dei negoziati di adesione, che dovrà essere decisa in ultima istanza dal Consiglio Europeo in programma il prossimo 14-15 dicembre. Lo stesso aspetta con impazienza l’Ucraina dopo la visita di sabato scorso (4 novembre) a Kiev da parte di von der Leyen: “L’obiettivo è davvero a portata di mano, avete già completato oltre il 90 per cento” delle misure richieste dalla presentazione orale dello stato di avanzamento delle riforme.Nel mezzo di questi due viaggi von der Leyen ha rinnovato anche il suo tradizionale tour nei Balcani Occidentali, con un doppio obiettivo: ribadire l’impegno per l’adesione Ue “il prima possibile” e per presentare il nuovo Piano di crescita che servirà ad allineare le economie balcaniche con quelle dell’Ue. Dopo l’inizio in Albania il 16 ottobre – per participare al vertice dei leader del Processo di Berlino a Tirana – due settimane più tardi ha completato il tour nelle altre cinque capitali. A Skopje ha assicurato che “vogliamo aprire il cluster sui fondamentali” della Macedonia del Nord, a Pristina e Belgrado è arrivato l’avvertimento che senza normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo non ci saranno né progressi sull’adesione Ue né nuovi investimenti da Bruxelles, a Podgorica si è complimentata per la formazione del nuovo governo del Montenegro che porterà “nuova determinazione” al Paese “più avanzato” sulla strada dell’allargamento Ue, e a Sarajevo ha ricordato quanto sia necessario per la Bosnia ed Erzegovina “parlare con una sola voce” e implementare le “riforme cruciali”.Nel mese di viaggi di von der Leyen per anticipare il contenuto del Pacchetto Allargamento Ue ai rispettivi partner spicca però la mancata visita a uno dei Paesi che per la prima volta sarà incluso in questa relazione annuale: nemmeno in questa occasione la presidente della Commissione Ue si è recata a Tbilisi (al momento non è mai accaduto nei suoi quattro anni di mandato), nonostante la popolazione della Georgia nutra grandi speranze di fare ingresso nell’Unione. Non si possono nascondere le difficoltà sul piano delle contraddizioni del governo tra europeismo e rapporti con la Russia, ma il silenzio di von der Leyen potrebbe essere un’indicazione implicita che Tbilisi non otterrà nemmeno quest’anno lo status di candidato e sarà rimandata ancora una volta per una nuova valutazione dei progressi per il cammino di adesione Ue nel 2024.A che punto è l’allargamento UeSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.Il vertice Ue-Balcani Occidentali a Tirana, 6 dicembre 2022I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.Come si aderisce all’Unione EuropeaIl processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.Per i Balcani Occidentali è previsto un processo parallelo – e separato – ai negoziati di adesione all’Unione, che ha comunque un impatto sull’allargamento Ue. Il processo di stabilizzazione e associazione è finalizzato ad aiutare i partner balcanici per un’eventuale adesione, attraverso obiettivi politici ed economici che stabilizzino la regione e creino un’area di libero scambio. Dopo la definizione di un quadro generale delle relazioni bilaterali tra l’Unione Europea e il Paese partner, la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione offre la prospettiva futura di adesione.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    Prima della presentazione del Pacchetto Allargamento 2023 l’8 novembre, la leader della Commissione Ue ha visitato tutti i Paesi impegnati attivamente nel cammino verso l’adesione all’Unione per ribadire il sostegno di Bruxelles ai loro sforzi. Ma dimenticandosi della Georgia

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    A Granada i leader Ue hanno iniziato a discutere dell’agenda strategica per l’allargamento e le riforme interne

    Bruxelles – È un punto di partenza, almeno per i leader dei 27 Paesi membri Ue. Tra i corposi contorni della crisi energetica, della politica di migrazione e asilo e della competitività economica, il piatto forte del Consiglio Europeo informale andato in scena oggi (6 ottobre) a Granada è stato il confronto sul futuro allargamento Ue e sulle riforme interne all’Unione per preparsi ad accogliere nuovi membri (fino a 10, quanti sono i Paesi che almeno hanno fatto richiesta di aderire). “Quello di oggi è il punto di inizio di un’agenda strategica basata su tre punti“, ha rivendicato con orgoglio il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel: “Le nostre priorità future, come decideremo insieme e come pagheremo per le iniziative”.I capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue e i leader delle istituzioni comunitarie al Consiglio Europeo informale di Granada (6 ottobre 2023)In altre parole, dopo aver salutato i partner arrivati a Granada ieri (5 ottobre) per il terzo vertice della Comunità Politica Europea, i Ventisette si sono ritrovati da soli a discutere in modo coerente “per la prima volta a così alto livello” di cosa sarà l’Unione Europea del futuro: prospettive dell’allargamento Ue, graduale abbandono dell’unanimità in Consiglio e distribuzione dei fondi del budget comunitario nello scenario di un’Unione a 32 (con i candidati che hanno già avviato i negoziati di adesione), a 35 (con anche quelli che hanno ricevuto lo status di Paese candidato) o 37 (con tutti dentro, compresi Kosovo e Georgia). “Allargamento significa che i candidati hanno riforme da fare e dal nostro lato che dobbiamo prepararci”, ha puntualizzato Michel. Come si legge nella dichiarazione di Granada, l’allargamento Ue “è un motore per migliorare le condizioni economiche e sociali dei cittadini europei, ridurre le disparità tra i Paesi e promuovere i valori su cui si fonda l’Unione” e, in vista di una nuova fase, “gli aspiranti membri devono intensificare i loro sforzi di riforma, in particolare nel settore dello Stato di diritto”, e “parallelamente l’Unione deve porre le basi e le riforme interne necessarie“.Rieccheggia nella Dichiarazione di Granada l’eco della recente proposta franco-tedesca per adeguare l’Unione Europea a un suo futuro allargamento, che costituisce al momento la base di partenza più dettagliata e approfondita per le discussioni tra i leader. Il viaggio è cominciato oggi in Spagna e come tappa decisiva per un aggiornamento si può già segnare in calendario l’estate 2024, quando “sotto presidenza belga” del Consiglio dell’Ue (prima del primo luglio, dunque) saranno presentati “degli orientamenti” per “identificare e convergere” su obiettivi e progressi di breve e medio termine, ha precisato ancora Michel. A proposito di date, nonostante lo scetticismo della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, il numero uno del Consiglio ha rivendicato l’utilità di fornire una scadenza per “essere pronti” all’allargamento Ue: “Il 2030 è condiviso da molti Stati membri perché è un incoraggiamento, abbiamo visto troppe procrastinazioni negli ultimi 20 anni”.A proposito di ciò che la Commissione Europea sta facendo a riguardo, la presidente von der Leyen ha messo in chiaro a Granada che “lavoreremo a diverse revisioni delle politiche in diversi campi all’interno dei Trattati“, sia per quanto riguarda “i compiti che devono fare i Paesi candidati, sia quelli che dobbiamo fare noi come Unione “Europea”. È centrale il fatto che “l’esperienza dell’allargamento Ue è stata sempre estremamente vantaggiosa per entrambe le parti”, fermo restando che “coloro che vogliono aderire devono essere pronti per entrare nel Mercato unico”. Anche dalla presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, è arrivato un appello a “non lasciare indietro nessuno”, ovvero che “una volta soddisfatte tutte le condizioni con report positivi, dovremmo essere in grado di avviare i negoziati di adesione“. In attesa del Pacchetto Allargamento Ue 2023 – che sarà pubblicato l’8 novembre dalla Commissione – anche l’Unione stessa deve “avviare un dialogo per chiederci cosa dobbiamo fare per riformarci”, ha esortato Metsola: “Ciò che funziona attualmente per i Ventisette, non funzionerà per i 32, 33 o 35” futuri Paesi membri. Sulla stessa linea il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che ha puntato il dito soprattutto contro il processo decisionale interno: “Abbiamo cercato di chiarire che in politica estera o in politica fiscale non può sempre esserci unanimità, dobbiamo anche essere in grado di prendere decisioni a maggioranza qualificata”.Il vertice di Granada oltre l’allargamento UeIn un vertice in cui Polonia e Ungheria hanno posto il veto sull’inserire nel testo congiunto il capitolo sulla migrazione – pubblicato separatamente come una striminzita ‘dichiarazione del presidente del Consiglio Europeo’, esattamente come successo al vertice di giugno – i 27 leader hanno dato il via libera a un documento molto generico, a partire dalla questione Ucraina: “Abbiamo confermato che il futuro dei nostri aspiranti membri e dei loro cittadini è all’interno dell’Unione Europea“, anche se il premier ungherese, Viktor Orbán, ha sollevato alcuni dubbi (“non è mai successo un allargamento con un Paese in guerra, non sappiamo quali sono i confini veri”). Allo stesso modo i Ventisette promettono che “rafforzeremo la nostra preparazione alla difesa e investiremo nelle capacità sviluppando la nostra base tecnologica e industriale” a partire da “mobilità militare, resilienza nello spazio e contrasto alle minacce cibernetiche e ibride e alla manipolazione delle informazioni straniere”.Da sinistra: il primo ministro spagnolo e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Pedro Sánchez, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (6 ottobre 2023)Non più incisivo il capitolo sulla competitività. “Lavoreremo sulla nostra resilienza e sulla nostra competitività globale a lungo termine, assicurandoci che l’Ue abbia tutti gli strumenti necessari per garantire una crescita sostenibile e inclusiva e una leadership globale in questo decennio cruciale“, si legge nel testo, che parla di “affrontare le vulnerabilità e rafforzare la nostra preparazione alle crisi” in particolare “nel contesto dei crescenti rischi climatici e ambientali e delle tensioni geopolitiche”. Con l’obiettivo di “garantire la sostenibilità del nostro modello economico, senza lasciare indietro nessuno“, il lavoro si concentrerà su “efficienza energetica e delle risorse, circolarità, decarbonizzazione, resilienza alle catastrofi naturali e adattamento ai cambiamenti climatici”. La questione riguarda anche il tema dell’energia: “Garantiremo l’accesso a prezzi accessibili, aumenteremo la nostra sovranità e ridurremo le dipendenze esterne in altri settori chiave” in cui l’Unione “deve costruire un livello sufficiente di capacità per garantire il suo benessere economico e sociale”. Si tratta di “tecnologie digitali e a zero emissioni, farmaci, materie prime essenziali e agricoltura sostenibile“, specifica la dichiarazione, che ribadisce la necessità di “rafforzare la nostra posizione di potenza industriale, tecnologica e commerciale”.
    Al vertice informale i capi di Stato e di governo si sono confrontati su “priorità future, come decideremo insieme e come pagheremo”, ha spiegato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel. In arrivo nell’estate 2024 “orientamenti” su obiettivi e progressi di breve/medio termine

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    “Obiettivo allargamento e rafforzamento dell’Ue”. Bruxelles ribadisce la duplice linea nel confronto con i Paesi partner

    Bruxelles – Un incontro informale per ribadire che la strada dei Paesi che hanno fatto richiesta di adesione è tracciata verso l’ingresso, ma che l’allargamento Ue è legato in ogni caso al rafforzamento dell’Unione stessa. Le modalità per renderlo realtà sono tutte da tracciare – considerate anche le difficoltà nel ragionare sulla riforma dei Trattati – ma per il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, è fuori discussione che “l’obiettivo non è solo l’allargamento, ma anche il rafforzamento dell’Ue“. È il riassunto di una cena informale svoltasi ieri sera (21 agosto) ad Atene per iniziativa del premier greco, Kyriakos Mitsotakis, a 20 anni dal vertice di Salonicco in cui per la prima volta veniva messa nero su bianco l’inevitabilità della strada verso l’adesione Ue dei Balcani Occidentali. Con lo scoppio della guerra russa in Ucraina altri tre Paesi attendono lo stesso destino, ma gli ultimi due decenni e tre allargamenti hanno messo in luce la necessità per l’Unione di riorganizzarsi e rinnovarsi.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos Mitsotakis, ad Atene (21 agosto 2023)
    “Il dibattito sull’allargamento è molto vivo e dobbiamo sfruttare questo slancio“, ha messo in chiaro lo stesso Michel al termine dell’incontro con i leader di Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia, Moldova e Ucraina, oltre a quelli di quattro Paesi membri Ue interessati da vicino dal processo: Bulgaria, Croazia, Romania e Slovenia. Come spiegano fonti Ue, i punti principali emersi durante la cena hanno riguardato il sostegno “incrollabile” alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina, ma anche l’allargamento Ue stesso, considerato “una strada a doppio senso” in cui i Paesi candidati “devono riformarsi” ma anche l’Ue “deve prepararsi” a questi ingressi. Un riferimento implicito al difficilissimo tema della riforma dei Trattati e del superamento del voto all’unanimità in seno al Consiglio, per ampliare le aree in cui si vota a maggioranza qualificata anche su politica estera e fiscalità. Parallelamente “l’allargamento rimane una priorità assoluta per l’Ue, uno strumento forte per promuovere la pace, la sicurezza e la prosperità nel nostro continente”, ha ribadito Michel: “Dobbiamo trovare la strada da percorrere per trasformare questa visione dell’Europa in realtà“.
    Diversi i temi sul tavolo ad Atene. Le stesse fonti Ue fanno riferimento alle discussioni volte a risolvere le controversie bilaterali, “in particolare quelle relative ai diritti delle minoranze”. Anche se non esplicitata, la questione ha riguardato più di recente i rapporti tra Grecia e Albania, il cui premier Edi Rama non è stato invitato ieri per le tensioni causate dalla detenzione dallo scorso 14 maggio del sindaco di etnia greca della città albanese Himarë, Fredi Beleri. Il primo cittadino della cittadina costiera è stato arrestato per una presunta compravendita di voti e da tre mesi è in atto un braccio di ferro diplomatico tra il governo Rama e il governo Mitsotakis: il primo accusa Atene di voler influenzare un’indagine indipendente, il secondo punta il dito contro Tirana per quella che considera una detenzione motivata politicamente. A proposito di controversie bilaterali, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, si è congratulata con il premier macedone, Dimitar Kovačevski, per la presentazione degli emendamenti costituzionali in Parlamento sulle minoranze etniche nel Paese: “Spero che tutti i partiti lo sostengano per far progredire il percorso europeo della Macedonia del Nord“.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, ad Atene (21 agosto 2023)
    Un altro tema caldo ad Atene è stato quello delle tensioni tra Kosovo e Serbia e la ripresa del dialogo mediato da Bruxelles. La numero uno dell’esecutivo comunitario ha discusso con entrambi i leader – il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić – sulla necessità di “un impegno costruttivo per smorzare la situazione nel nord del Kosovo” dopo gli scontri violenti di fine maggio e i continui scontri diplomatici di giugno. La presidente von der Leyen ha chiesto in particolare al premier Kurti di “attuare gli accordi sulla normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia” come parte del piano per la de-escalation concordato con Bruxelles. Con il presidente Vučić si è invece concentrata sui “progressi della Serbia nel suo percorso verso l’Ue”, in particolare sull’integrazione e l’allineamento delle due parti “di fronte alla guerra russa contro l’Ucraina“. E proprio a proposito del sostegno a Kiev, von der Leyen ha discusso ad Atene con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, sia del “continuo sostegno” – che ha visto ad Atene nuovi confronti sugli F-16 – sia dell’assistenza economica e del lavoro per “portare il grano ucraino sui mercati mondiali”. Ultimo, ma non per importanza il percorso di adesione Ue di Kiev, a meno di due mesi dalla pubblicazione dell’annuale Pacchetto di allargamento Ue (sulla base della presentazione orale dello stato di avanzamento delle riforme in Ucraina, Moldova e Georgia).
    A che punto è l’allargamento Ue
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada, su iniziativa rispettivamente del primo ministro georgiano, Irakli Garibashvili, e della presidente moldava Sandu. In soli quattro giorni (7 marzo) gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno concordato di invitare la Commissione a presentare un parere su ciascuna delle domande di adesione presentate dai tre Paesi richiedenti, da trasmettere poi al Consiglio per la decisione finale sul primo step del processo di allargamento Ue.
    Prima di dare il via libera formale, un mese più tardi (8 aprile) a Kiev la presidente dell’esecutivo comunitario von der Leyen ha consegnato al presidente Zelensky il questionario necessario per il processo di elaborazione del parere della Commissione. Lo stesso ha fatto il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, a margine del Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo l’11 aprile. Meno di settanta giorni dopo, il 17 giugno il gabinetto von der Leyen ha dato la luce verde a tutti e tre i Paesi, specificando che Ucraina e Moldova meritavano subito lo status di Paesi candidati, mentre la Georgia avrebbe dovuto lavorare su una serie di priorità. La decisione ufficiale è arrivata al Consiglio Europeo del 23 giugno, che ha approvato la linea tracciata dalla Commissione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio di quest’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.

    Ad Atene è andata in scena la cena informale tra i vertici delle istituzioni comunitarie e i leader dei Balcani Occidentali, Ucraina e Moldova. Per il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, il dibattito sull’adesione di nuovi membri “è molto vivo e dobbiamo sfruttare questo slancio”

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    Una cena ad Atene con i leader dei Paesi candidati, a 20 anni da Salonicco. La Grecia torna al centro dell’allargamento Ue

    Bruxelles – Vent’anni dopo, la Grecia vuole tornare protagonista della politica di allargamento Ue. La tavola è apparecchiata per l’appuntamento che questa sera (21 agosto) porterà ad Atene i vertici delle istituzioni comunitarie e i leader dei Paesi candidati all’adesione all’Unione Europea, con un assente eccellente e una strategia ancora tutta da definire, dopo gli ultimi tre vertici Ue-Balcani Occidentali in meno di due anni e tre richieste di ingresso arrivate a seguito dello scoppio della guerra russa in Ucraina. L’ospite della cena informale – il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis – ha ricordato che quest’anno cade il ventesimo anniversario di quel cruciale vertice di Salonicco, quando per la prima volta volta i leader degli allora 15 Paesi membri riuniti in Grecia sancivano ufficialmente la rotta per la futura adesione dei Balcani Occidentali.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos Mitsotakis
    Alla cena di questa sera saranno presenti i presidenti della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e del Consiglio Europeo, Charles Michel, insieme con i leader di Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia, Moldova e Ucraina, oltre a quelli di quattro Paesi membri interessati da vicino dall’allargamento Ue nei Balcani Occidentali e nell’Europa orientale: Bulgaria, Croazia, Romania e Slovenia. Mentre ad Atene dovrebbe recarsi anche il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, a pesare sulla cena è però un assente eccellente tra i Paesi candidati all’adesione Ue: il premier albanese, Edi Rama, non invitato all’evento a causa delle recenti tensioni tra Atene e Tirana per la detenzione dallo scorso 14 maggio del sindaco di etnia greca della città albanese Himarë, Fredi Beleri. Il primo cittadino della cittadina costiera è stato arrestato per una presunta compravendita di voti, ma da tre mesi è in atto un braccio di ferro diplomatico con il governo Mitsotakis, accusato di voler influenzare un’indagine indipendente. Atene rietine che l’arresto sia motivato politicamente e potrebbe utilizzare la leva dell’adesione all’Ue come strumento di ricatto verso Tirana per mettere fine a quella che il governo greco considera una “violazione dei diritti umani”. Al posto di Rama – il politico più influente in Albania, padrone di casa dell’ultimo vertice Ue-Balcani Occidentali – alla cena di questa sera era stato invitato il presidente albanese, Bajram Begaj (il cui ruolo è principalmente cerimoniale). Invito comunque declinato per “impegni precedentemente presi”.
    La foto di famiglia del vertice Ue-Balcani Occidentali del 6 dicembre 2022 a Tirana, Albania
    Attraverso il braccio di ferro con l’Albania e con la decisione di convocare tutti i leader – delle istituzioni comunitarie e dei Paesi partner – ad Atene per una cena informale, la Grecia di Mitsotakis sta cercando di rimettersi al centro del progetto di allargamento Ue e soprattutto della stabilità, pace e sicurezza energetica nella penisola balcanica. Era il 21 giugno 2003 quando i leader Ue dichiaravano a Salonicco che “il futuro dei Balcani è all’interno dell’Unione Europea” e decidevano di tenere vertici periodici sui Balcani Occidentali per accelerare questo processo. Vent’anni più tardi i progressi si registrano a singhiozzo e il rischio di perdere la fiducia di popolazioni europeiste accompagna puntualmente ogni appuntamento politico sulla questione.
    La cena di questa sera sarà un’altra occasione per un confronto informale sul percorso di adesione dei Paesi partner, che precede la pubblicazione dell’annuale Pacchetto di allargamento Ue (atteso per ottobre) e arrivato a due mesi dalla presentazione orale dello stato di avanzamento delle riforme in Ucraina, Moldova e Georgia. Al Consiglio Europeo di dicembre dovrà essere deciso se avviare i negoziati di adesione con le prime due (più la Bosnia ed Erzegovina) e se concedere lo status di Paese candidato alla terza. “Dobbiamo avvicinare i nostri amici, gli aspiranti membri dell’Ue, molto più rapidamente“, ha commentato su X la presidente von der Leyen al suo arrivo ad Atene, promettendo che “continueremo ad abbattere le barriere tra le nostre regioni”.
    A che punto è l’allargamento Ue nei Balcani Occidentali
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
    Il processo di allargamento Ue in cui sono impegnati i sei Paesi dei Balcani Occidentali inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).
    Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.

    Il premier greco, Kyriakos Mitsotakis, ha invitato anche i vertici delle istituzioni comunitarie alla discussioni informale con i partner sulle prospettive di adesione dei Balcani Occidentali, Ucraina e Moldova. Giallo sull’assenza del premier albanese, Edi Rama, per le recenti tensioni bilaterali

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    I fondi di cooperazione Ue cambiano destinazione: 135 milioni di euro riorientati da Russia-Bielorussia a Ucraina e Moldova

    Bruxelles – Dagli aggressori agli aggrediti, per tagliare completamente ogni legame con i responsabili diretti e indiretti dell’invasione dell’Ucraina scatenata il 24 febbraio dello scorso anno. La Commissione Europea ha annunciato oggi (16 agosto) che 135 milioni di euro inizialmente previsti per i programmi di cooperazione regionale con Russia e Bielorussia hanno cambiato destinazione, passando al rafforzamento della collaborazione con Ucraina e Moldova.
    La commissaria per la Coesione e le riforme, Elisa Ferreira
    “La decisione di cancellare la cooperazione originariamente prevista con la Russia e la Bielorussia attraverso i nostri programmi Interreg è il risultato della brutale guerra della Russia contro l’Ucraina”, ha commentato la commissaria per la Coesione e le riforme, Elisa Ferreira: “Sono lieta che i fondi che avevamo inizialmente previsto per questa cooperazione andranno ora a beneficio dei programmi dell’Ue con l’Ucraina e la Moldova”. Per la commissaria europea questo “contribuirà a rafforzare la collaborazione tra le regioni dell’Ue e gli attori locali con i partner ucraini e moldavi“.
    I 135 milioni di euro ri-orientati facevano parte dei programmi Interreg Next 2021-2027 con Mosca e Minsk, all’interno dello Strumento di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale. Già con l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina la Commissione aveva deciso di sospendere la cooperazione con la Russia e l’alleato bielorusso nei programmi Interreg, determinando un’immediata ridistribuzione di 26 milioni di euro (sempre verso Ucraina e Moldova) e congelando i restanti. Con la decisione di oggi è stata completata la procedura finanziamenti rimanenti del periodo 2021-2027, compresa la possibilità per le regioni di Finlandia, Estonia, Lettonia e Polonia che avrebbero dovuto partecipare ai programmi Interreg con Russia e Bielorussia di cambiare in corsa la destinazione di cooperazione.
    Il Collegio dei commissari a Kiev (2 febbraio 2023)
    Mentre da Bruxelles è arrivata la proposta di modifica del regolamento per le reti transeuropee del trasporto (Ten-t) – per estendere quattro corridoi al territorio ucraino e moldavo ed escludere quello russo e bielorusso – nel concreto i finanziamenti Interreg ri-orientati potranno sostenere attività come corsie preferenziali e lo sviluppo di collegamenti di trasporto transfrontalieri. A queste si aggiungono anche quelle per i servizi sanitari, i progetti di istruzione e ricerca, i programmi di inclusione sociale e il rafforzamento della capacità istituzionale delle autorità pubbliche ucraine e moldave. “La partecipazione ai programmi Interreg apporta anche vantaggi in termini di capacità amministrativa ed esperienza a entrambi i Paesi nella gestione e nell’attuazione dei fondi Ue”, sottolinea l’esecutivo comunitario a proposito dei percorsi di integrazione europea dei due candidati all’adesione all’Unione.

    La Commissione ha deciso di trasferire i finanziamenti rimanenti dei programmi Interreg Next 2021-2027 con Mosca e Minsk (previsti dallo Strumento di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale) per rafforzare la collaborazione tra le regioni europee con Kiev e Chișinău