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    Un progetto geopolitico minato dall’interno. Perché l’Ue deve cambiare passo sull’allargamento

    Bruxelles – Il futuro è un passo, ma in mezzo c’è l’ostacolo di un Consiglio Europeo a oggi ostaggio delle decisioni di un solo leader, il premier ungherese Viktor Orbán. La situazione evidenzia non solo l’importanza dell’allargamento Ue sul piano geostrategico – in particolare dopo lo scoppio della guerra russa in Ucraina – ma soprattutto le difficoltà attuali dell’Unione di portare a compimento le promesse decennali ai Paesi candidati realizzando contemporaneamente una riforma interna per non snaturare l’Unione con il potenziale ingresso di 10 nuovi Stati membri nel futuro a medio/lungo termine.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (8 novembre 2023)La necessità di focalizzarsi con più serietà sulla questione dell’allargamento Ue è emersa con urgenza dopo i fatti del 24 febbraio 2022 e con le richieste di Ucraina, Moldova e Georgia di aderire all’Unione. L’offensiva russa ha dimostrato i rischi di un continente in balia di un progetto imperialista da parte del Cremlino, che sarebbe interessato sia all’annessione degli ex-Paesi sovietici, sia alla destabilizzazione con una guerra ibrida a quello che rappresenta da sempre il buco nero dell’integrazione europea: i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), che in varie forme e a diversi stadi si sono tutti già incamminati da anni sulla strada dell’adesione all’Ue. In altre parole, il progetto di “pace, democrazia e stabilità sul continente” rappresentato dall’Unione Europea – come continuano a ripetere tutti i leader delle istituzioni comunitarie – non può concretizzarsi se i Paesi che hanno fatto richiesta di aderire continueranno a essere ignorati, dal momento in cui la frustrazione di politici e cittadini (a stragrande maggioranza europeisti) li spingerà a cercare supporto in regimi autocratici come quello russo. Il mancato allineamento della Serbia alle misure restrittive contro Mosca e il secessionismo serbo-bosniaco contro Sarajevo sono stati un chiaro campanello d’allarme.C’è da riconoscere che la spinta all’allargamento Ue non è solo una questione di rispetto delle promesse o anti-Russia, ma è diventata anche una vera e propria priorità dell’Unione sul piano politico ed economico. Lo dimostra in primis la serie di pacchetti da miliardi di euro in investimenti diretti e indiretti a sostegno di tutti i partner più stretti – da quelli per la sopravvivenza finanziaria dell’Ucraina a quello di crescita economica per i Balcani Occidentali, oltre al supporto contro la crisi energetica. E poi non va dimenticato il nuovo obiettivo al 2030 annunciato a fine agosto dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che ha fornito (anche in modo controverso) una data entro cui tutti siano pronti per l’allargamento Ue, dentro e fuori l’Unione. Seppur contestando implicitamente la definizione di un obiettivo temporale in un processo “basato sul merito”, anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha fatto un passo in avanti nel suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione a settembre, collegando in modo esplicito il processo di allargamento Ue alla riforma dei Trattati su cui si fonda l’Ue.Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel (28 agosto 2023)È qui che si entra nel ventre molle dell’Unione, quello di un processo che rigeneri l’Unione rendendola all’altezza delle sfide future. Sulla base di una proposta franco-tedesca particolarmente articolata, i 27 leader Ue hanno iniziato al Consiglio informale di Granada a discutere di un’agenda strategica in tre punti – priorità future, sistema decisionale e modalità di finanziamento comune – che inevitabilmente tiene insieme allargamento Ue e riforma del Trattati. Oltre alle discussioni servirebbe ora un’azione urgente, perché le richieste di adesione sono già sul tavolo e richiedono una risposta immediata. Tra le altre cose, la riforma interna non potrebbe prescindere dall’abbandono dell’unanimità e del diritto di veto in Consiglio, perché non è immaginabile un’Unione a 32 (con i candidati che hanno già avviato i negoziati di adesione), a 35 (con anche quelli che hanno ricevuto lo status di Paese candidato) o 37 (con tutti dentro, compresi Kosovo e Georgia), in cui un solo Paese può tenere in stallo tutto il sistema decisionale comune.La riforma dovrà però essere concordata da tutti gli attuali membri dell’Unione ed è questo il punto in cui al momento tutto il palco rischia di cadere. Per questioni di fondi da redistribuire tra più Paesi (soprattutto quelli di coesione e dell’agricoltura) e consapevolezza che senza il diritto di veto il peso di ogni singola capitale vale meno (in altri termini, verrebbe meno la possibilità di ‘ricattare’ Bruxelles per ottenere qualcosa in cambio dell’unanimità), alcuni tra i Ventisette non mostrano alcun interesse ad allinearsi a questa ambizione comunitaria, da cui dipende lo stesso processo di allargamento Ue. In particolare l’Ungheria di Orbán ha scelto una posizione apertamente ostruzionista nei confronti dell’avvio dei negoziati di adesione all’Ucraina e al proseguo del finanziamento a Kiev, come una sorta di vendetta per il congelamento di quasi 30 miliardi di euro in fondi Ue per il mancato rispetto dello Stato di diritto. Il rischio concreto ora è che non solo non arrivi il via libera del Consiglio Europeo in programma domani e dopodomani (14-15 dicembre) ai negoziati con l’Ucraina, ma che tutto il processo di allargamento Ue si incagli nella settimana più decisiva degli ultimi anni.A che punto è l’allargamento UeSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Nel Pacchetto Allargamento Ue 2023 la Commissione ha raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova – anche con la Bosnia ed Erzegovina quando sarà raggiunta la conformità ai criteri di adesione – e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una relazione strategica apposita a Bruxelles.Come si aderisce all’Unione EuropeaIl processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.Per i Balcani Occidentali è previsto un processo parallelo – e separato – ai negoziati di adesione all’Unione, che ha comunque un impatto sull’allargamento Ue. Il processo di stabilizzazione e associazione è finalizzato ad aiutare i partner balcanici per un’eventuale adesione, attraverso obiettivi politici ed economici che stabilizzino la regione e creino un’area di libero scambio. Dopo la definizione di un quadro generale delle relazioni bilaterali tra l’Unione Europea e il Paese partner, la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione offre la prospettiva futura di adesione.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    È stato pubblicato il nuovo report Ue-Turchia per un riavvicinamento “progressivo, proporzionato e reversibile”

    Bruxelles – È arrivata la nuova relazione strategica sui rapporti Ue-Turchia e ora i Ventisette avranno una base più aggiornata su cui impostare il confronto sulle prospettive di cooperazione con uno dei vicini più complessi di gestire, perché stretto partner ma spesso anche elemento di instabilità sulla scena internazionale. Il report richiesto dai 27 leader Ue al Consiglio Europeo di fine giugno è stato presentato oggi (29 novembre) dalla Commissione e dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, dopo il via libera al Collegio dei commissari: “La Turchia è un partner importante, siamo partiti dalla valutazione già fornita nella primavera del 2021 e abbiamo considerato lo sviluppo delle relazioni” politiche, economiche e commerciali “negli ultimi due turbolenti anni”.Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenL’ultima volta che il Consiglio Affari Esteri si era riunito per discutere della questione dei rapporti con Ankara era il 20 luglio e da allora è stato serrato il lavoro dell’esecutivo comunitario per valutare lo stato dell’arte e le direttrici di una possibile maggiore cooperazione con il padre-padrone della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan. “Vediamo uno spirito costruttivo, ma ora dobbiamo affrontare insieme i problemi a partire dalla questione cipriota”, ha subito messo in chiaro l’alto rappresentante Borrell, facendo riferimento alla controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso. Ma nel confronto ci deve essere anche la questione della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, dal momento in cui Ankara dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci (e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione) a sud dell’isola di Creta: “Abbiamo chiare le nostre priorità” – con le condizioni tracciate già nel 2021 dai Ventisette – “dobbiamo rafforzare la nostra sicurezza, e questo ha un impatto sui rapporti con la Turchia”.L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (29 novembre 2023)È per questo che si sta iniziando a pensare ai “prossimi passi” per una serie di opzioni di un processo “progressivo, proporzionato e reversibile” di riavvicinamento tra Unione Europea e Turchia, ha spiegato il capo della diplomazia Ue. E in questo senso non si può prescindere dal passare “da una dinamica conflittuale a una più cooperativa”. Da Ankara l’Unione si aspetta che “affronti i contrasti commerciali, cooperi contro l’aggiramento delle sanzioni contro la Russia e crei un clima che favorisca la ripresa dei negoziati per risolvere la questione cipriota”, ha precisato Borrell, ponendo forte attenzione alla cooperazione per isolare la Russia fino a quando non metterà fine all’invasione dell’Ucraina. Parallelamente si punta a stringere i rapporti anche sull’altro fronte caldo di conflitto, ovvero quello della guerra tra Israele e Hamas: “La Turchia può svolgere un ruolo attivo e positivo nel processo di pace, entrambi sostentiamo la necessità di arrivare a un negoziato politico per la soluzione a due Stati” (Israele e Palestina).La relazione, che ora sarà presentata al Consiglio Europeo (verosimilmente a quello in programma il 14-15 dicembre) per l’esame e la definizione degli orientamenti, punta anche alla ripresa del dialogo di alto livello del Consiglio di associazione Ue-Turchia sospeso nel 2019 e al lancio dei negoziati per modernizzare l’Unione doganale, anche se vanno considerate le difficoltà nella poca preparazione sul “corretto funzionamento dell’economia di mercato turca”, l’inflazione alle stelle e le “ampie deviazioni dagli obblighi assunti” che “ostacolano gli scambi bilaterali”. Infine si vuole sviluppare un “partenariato di mutuo beneficio” con un vicino che è anche candidato all’adesione all’Unione Europea dal 1999 (i negoziati sono stati avviati nel 2005). Nella relazione apposita all’interno del Pacchetto Allargamento Ue 2023 pubblicato lo scorso 8 novembre è però emerso chiaramente che “il Paese non ha invertito la tendenza negativa ad allontanarsi dall’Unione Europea e ha portato avanti le riforme legate all’adesione in misura limitata”. Anche questo dovrà essere tenuto in considerazione dai Ventisette nel definire i prossimi passi del rapporto con il vicino più ingombrante.
    La Commissione Ue ha fornito al Consiglio la relazione strategica sullo stato sui rapporti tra Bruxelles e Ankara. Si punta alla ripresa del Consiglio di associazione (fermo dal 2019), negoziati sull’Unione doganale e cooperazione su Mediterraneo orientale, Russia e Gaza

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    Negoziati di adesione per Ucraina, Moldova e Bosnia, stato di candidato a Georgia. All-in nel Pacchetto Allargamento 2023

    Bruxelles – La strada dell’allargamento Ue sta diventando particolarmente trafficata. E la Commissione Europea sta facendo di tutto per spingere gli aspiranti nuovi membri dell’Unione a tagliare il traguardo alla fine di un cammino pieno di ostacoli, ritardi, arretramenti e speranze. Dopo un 2022 in cui i Ventisette hanno finalmente rotto gli indugi su questo processo, è arrivato il Pacchetto Allargamento Ue 2023 a movimentare di nuovo le acque e stabilire nuovi obiettivi per avvicinare sempre più i Paesi in corsa per diventare parte integrante dell’Unione Europea. E lo ha fatto mettendo tutte le ambizioni più alte sul tavolo dei Ventisette.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (8 novembre 2023)“Oggi è un giorno storico, dobbiamo sfruttare il momento per affrontare il duro lavoro che abbiamo davanti”, ha aperto così oggi (8 novembre) la conferenza stampa di presentazione del nuovo Pacchetto Allargamento Ue la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, elencando le novità principali: “Abbiamo raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina, Moldova e Bosnia ed Erzegovina e di concedere lo status di Paese candidato all’adesione alla Georgia“. Nel giorno più importante dopo il suo tour nell’ultimo mese nelle capitali dei partner per ribadire l’impegno della Commissione al loro percorso di adesione, la leader dell’esecutivo comunitario ha voluto sottolineare con forza che “tutti questi Paesi hanno sentito la chiamata della storia” e, non meno importante, “sono parte della nostra famiglia europea, è chiaro qual è il nostro obiettivo”. Fonti interne alla Commissione precisano che “non è la nostra idea” quella di far aspettare i Paesi più avanzati fino a quando non sarà pronto “quello più lento”. Insomma, l’allargamento Ue è “un percorso basato sul merito” e, quando i primi della classe saranno pronti, Bruxelles non dovrà mettere in campo strategie del passato (come quella del 2004 con 10 nuovi membri nello stesso momento).Ora sarà però il Consiglio Europeo del 14-15 dicembre a dover prendere le singole decisioni definitive in merito. Ed è qui che bisogna considerare la situazione di ognuno dei Paesi interessati dal processo di allargamento Ue. In primis l’Ucraina, che secondo la Commissione Ue merita di vedere avviati i negoziati di adesione e adottati i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave”. Più nello specifico si tratta di 3 delle 7 priorità indicate dall’esecutivo comunitario non ancora pienamente soddisfatte: lotta alla corruzione, riduzione dell’influenza degli oligarchi e protezione delle minoranze nazionali (ma l’uso della lingua russa “non sarà qualcosa che valuteremo”, precisano le fonti). Dopo i progressi dell’ultimo anno – e le 2 priorità completate da fine giugno – la Commissione pubblicherà un nuovo rapporto in merito “a marzo 2024”, ha reso noto von der Leyen. “In Ucraina la decisione di concedere lo status di candidato all’Ue ha creato una potente dinamica di riforma, nonostante la guerra in corso, con un forte sostegno da parte del popolo ucraino”, si legge nel report specifico su Kiev.Discorso simile può essere fatto sulla Moldova, considerata “frontrunner” dai funzionari Ue dopo aver completato 6 priorità su 9 (+3 da fine giugno). Anche per Chișinău la raccomandazione della Commissione al Consiglio è quella di avviare i negoziati di adesione immediatamente e adottare i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave” nelle tre aree ancora da ultimare: rafforzamento del sistema giudiziario, degli organi anti-corruzione e attuazione del piano d’azione per la de-oligarchizzazione. A marzo del prossimo anno arriverà un nuovo rapporto dell’esecutivo comunitario, in cui si capirà se il Paese ha tratto nuova linfa per il suo cammino di adesione all’Ue.E poi c’è la Bosnia ed Erzegovina, il Paese più discusso dopo la concessione dello status di candidato all’adesione nel dicembre dello scorso anno. La raccomandazione dell’avvio dei negoziati dopo un solo anno – considerata la polarizzazione politica e i progetti secessionisti nell’entità della Republika Sprksa – è stata particolarmente contestata da molti ambasciatori dei Ventisette e per questo motivo per Sarajevo il gabinetto von der Leyen ha deciso di procedere in modo diverso: questo potrà accadere “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione“. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma la risposta del Consiglio certamente aspetterà. Quanto non è dato sapere, ma è un fatto che su 14 priorità indicate dalla Commissione, solo 2 sono state completate. La speranza della Commissione deriva dal fatto che la concessione dello status di candidato “ha portato una dinamica positiva di cui si sentiva il bisogno” e il governo “ha iniziato a realizzare le riforme”, mentre destano enormi preoccupazioni le “misure secessioniste e autoritarie” introdotte nell’entità serbo-bosniaca “non  in linea con il percorso verso l’Ue”. Anche in questo caso si attende marzo 2024 per il nuovo rapporto.Il Pacchetto Allargamento Ue 2023 porta anche la grande novità della concessione dello status di candidato per la Georgia, ma “a condizione che vengano prese alcune misure“. Rispetto alla presentazione orale di fine giugno non sono state implementate altre riforme, e ne sono state completate solo 3 su 12. “C’è ancora molto lavoro da fare, ma è un giorno da celebrare per la Georgia, riconosciamo le aspirazioni della stragrande maggioranza dei georgiani“, ha voluto sottolineare von der Leyen in conferenza stampa. Negli ultimi mesi comunque Tbilisi “ha preso provvedimenti per rafforzare l’impegno con l’Ue e ha aumentato il ritmo delle riforme”, ma le indicazioni sugli impegni da implementare non sono poche: allineamento alla politica estera dell’Unione, contrasto alla polarizzazione politica, attuazione delle riforme giudiziarie, lotta alla corruzione e alla de-oligarchizzazione e attuazione della strategia per i diritti umani, la libertà dei media e l’impegno della società civile.Gli altri 6 capitoli del Pacchetto Allargamento UeA fronte di queste quattro sostanziali novità del Pacchetto Allargamento Ue 2023, va ricordato anche lo stato di avanzamento degli altri sei Paesi che si sono incamminati sulla strada verso l’Unione Europea. “C’è grande entusiasmo a Podgorica per progredire sul percorso già molto avanzato“, ha ricordato von der Leyen a proposito del Montenegro, il Paese più avanti sul cammino tra tutti i 10 in corsa. Dopo anni di “profonda polarizzazione politica e instabilità” che hanno determinato “l’arenarsi dei progressi”, ora con il nuovo governo c’è la possibilità concreta di mettere a terra i “parametri provvisori sullo Stato di diritto stabiliti nei capitoli 23 e 24” (‘giudiziario e diritti fondamentali’ e ‘giustizia, libertà e sicurezza’), si legge nel report.La Serbia sconta il fatto di non essere allineata alla politica estera dell’Unione in particolare a proposito delle sanzioni contro la Russia, e di essere coinvolta da vicino dall’escalation di tensione nel nord del Kosovo, su cui è necessario “normalizzare le relazioni” con Pristina prima di sperare di accelerare sulla strada verso l’adesione Ue. A questo proposito, precisando le parole della presidente von der Leyen a Belgrado, le fonti europee spiegano che il riconoscimento de facto del Kosovo “è un modo per tagliare corto” su tutta una serie di azioni concrete (targhe, bandiera, seggio nelle istituzioni internazionali), ma “non stiamo parlando di riconoscimento formale in Costituzione”. Parallelamente l’esecutivo Ue ha evidenziato che la Serbia “ha tecnicamente soddisfatto i parametri di riferimento per l’apertura del cluster 3“, ovvero quello relativo a ‘competitività e crescita inclusiva’.A proposito di Kosovo, questo potrebbe diventare l’unico Paese a cui non è riconosciuto nemmeno lo status di candidato. È comunque vero che al momento la questione è ancora ferma in Consiglio, che “non ha chiesto alla Commissione un’opinione a riguardo”, ha voluto ricordare in conferenza stampa il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. Non basta il fatto che il Kosovo “ha continuato ad allinearsi volontariamente e completamente alla politica estera dell’Unione”, come riconosce il rapporto, né il passo decisivo della liberalizzazione dei visti a partire dal primo gennaio 2024. Perché, come ha ribadito von der Leyen a Pristina, la strada verso l’Ue passa dalla “attuazione degli obblighi vincolanti” del dialogo con la Serbia, che per il Kosovo nello specifico è la creazione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba.Vanno sempre a braccetto Albania e Macedonia del Nord dopo l’avvio del negoziati di adesione nel luglio dello scorso anno: sia per Tirana sia per Skopje “è necessario dare seguito alla relazione di screening sul ‘Cluster fondamenti’, per aprire il primo Cluster entro la fine dell’anno“. Nel frattempo l’Albania dovrà aumentare il lavoro su “libertà di espressione, le questioni relative alle minoranze e i diritti di proprietà, la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata”, mentre la Macedonia del Nord deve attuare “riforme nel settore giudiziario, nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, nella riforma della pubblica amministrazione, nella gestione delle finanze pubbliche e negli appalti pubblici”, ma anche gli emendamenti alla Costituzione a proposito delle minoranze nel Paese.E infine c’è la Turchia, che rimane sempre un caso a se stante, dal momento in cui i negoziati sono congelati dal 2018 e nessuno si aspetta più nulla dal regime di Recep Tayyip Erdoğan. Sebbene Ankara rimanga “un partner chiave” per Bruxelles, “il Paese non ha invertito la tendenza negativa ad allontanarsi dall’Unione Europea e ha portato avanti le riforme legate all’adesione in misura limitata”, si legge nel report. Tuttavia, dopo la richiesta di luglio del Consiglio, l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, presenterà “più tardi a novembre” una relazione sullo stato delle relazioni Ue-Turchia, “al fine di procedere in modo strategico e lungimirante”.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    La Commissione ha presentato le sue raccomandazioni al Consiglio, che dovrà decidere se seguirle al vertice dei leader Ue di dicembre. La presidente Ursula von der Leyen: “È un giorno storico, dobbiamo sfruttare il momento per affrontare il duro lavoro che abbiamo davanti”

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    La vigilia dell’allargamento Ue. Dall’Ucraina alla Moldova fino ai Balcani, von der Leyen punta tutto sullo sprint decisivo

    Bruxelles – È la settimana più importante per le prospettive di allargamento Ue, quella in cui si capirà se le promesse degli ultimi mesi corrispondono effettivamente a dei progressi reali che permettano ai Paesi candidati (e a quelli in attesa di risposta) di proseguire sulla strada verso l’adesione all’Unione Europea, ciascuno secondo la propria situazione specifica nel processo. La Commissione Europea svelerà mercoledì (8 novembre) il contenuto del Pacchetto Allargamento Ue, il report annuale sullo stato di avanzamento dei Paesi che hanno fatto richiesta di aderire all’Unione. E per ribadire l’impegno di Bruxelles a sostegno del processo, la sua presidente, Ursula von der Leyen, nell’ultimo mese ha visitato tutti i partner impegnati attivamente in questo processo. Dalla Moldova all’Ucraina, passando per i sei dei Balcani Occidentali. Ma non la Georgia.Con l’imminente pacchetto Allargamento Ue 2023 l’esecutivo comunitario è chiamato a rispondere presente agli stravolgimenti accaduti lo scorso anno in questo settore delle relazioni esterne di Bruxelles: la concessione dello status di Paese candidato a Ucraina, Moldova e Bosnia ed Erzegovina e la ‘prospettiva europea’ alla Georgia, l’avvio dei negoziati di adesione con Albania e Macedonia del Nord, la richiesta arrivata dal Kosovo, il braccio di ferro con la Serbia per l’allineamento alla politica estera e di sicurezza (in particolare sulle sanzioni alla Russia) e la crisi politico-istituzionale in Montenegro. La Turchia rimane sempre un caso a se stante, dal momento in cui i negoziati sono congelati da anni e nessuno si aspetta più nulla dal regime di Erdoğan. Tutte questioni affrontate solo parzialmente nella relazione 2022, dal momento in cui si è trattato di punti di svolta troppo vicini alla pubblicazione (di giugno il Consiglio Europeo sui tre nuovi candidati, a luglio l’avvio dei negoziati con Tirana e Skopje, solo a metà dicembre la richiesta di Pristina). È così che questo Pacchetto Allargamento Ue è atteso come uno dei più decisivi da diversi anni: non solo perché finalmente aumenterà il numero di capitoli per Paese – oggi 10 – ma soprattutto perché dovrà indicare se ci sono le condizioni per un nuovo sprint per allargare questa Unione.In questo scenario di potenziale svolta, nell’ultimo mese la presidente von der Leyen è stata impegnata in un tour de force per mettere in chiaro che la Commissione Ue sostiene pienamente gli sforzi dei nove Paesi impegnati in modo attivo per fare ingresso nell’Unione. Un impegno diplomatico sul campo iniziato lo scorso 12 ottobre a Chișinău, quando la leader dell’esecutivo comunitario ha messo in chiaro che “la posta in gioco è molto alta” per la Moldova e che per l’implementazione delle riforme necessarie “potete farcela”. Il riferimento è all’apertura dei negoziati di adesione, che dovrà essere decisa in ultima istanza dal Consiglio Europeo in programma il prossimo 14-15 dicembre. Lo stesso aspetta con impazienza l’Ucraina dopo la visita di sabato scorso (4 novembre) a Kiev da parte di von der Leyen: “L’obiettivo è davvero a portata di mano, avete già completato oltre il 90 per cento” delle misure richieste dalla presentazione orale dello stato di avanzamento delle riforme.Nel mezzo di questi due viaggi von der Leyen ha rinnovato anche il suo tradizionale tour nei Balcani Occidentali, con un doppio obiettivo: ribadire l’impegno per l’adesione Ue “il prima possibile” e per presentare il nuovo Piano di crescita che servirà ad allineare le economie balcaniche con quelle dell’Ue. Dopo l’inizio in Albania il 16 ottobre – per participare al vertice dei leader del Processo di Berlino a Tirana – due settimane più tardi ha completato il tour nelle altre cinque capitali. A Skopje ha assicurato che “vogliamo aprire il cluster sui fondamentali” della Macedonia del Nord, a Pristina e Belgrado è arrivato l’avvertimento che senza normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo non ci saranno né progressi sull’adesione Ue né nuovi investimenti da Bruxelles, a Podgorica si è complimentata per la formazione del nuovo governo del Montenegro che porterà “nuova determinazione” al Paese “più avanzato” sulla strada dell’allargamento Ue, e a Sarajevo ha ricordato quanto sia necessario per la Bosnia ed Erzegovina “parlare con una sola voce” e implementare le “riforme cruciali”.Nel mese di viaggi di von der Leyen per anticipare il contenuto del Pacchetto Allargamento Ue ai rispettivi partner spicca però la mancata visita a uno dei Paesi che per la prima volta sarà incluso in questa relazione annuale: nemmeno in questa occasione la presidente della Commissione Ue si è recata a Tbilisi (al momento non è mai accaduto nei suoi quattro anni di mandato), nonostante la popolazione della Georgia nutra grandi speranze di fare ingresso nell’Unione. Non si possono nascondere le difficoltà sul piano delle contraddizioni del governo tra europeismo e rapporti con la Russia, ma il silenzio di von der Leyen potrebbe essere un’indicazione implicita che Tbilisi non otterrà nemmeno quest’anno lo status di candidato e sarà rimandata ancora una volta per una nuova valutazione dei progressi per il cammino di adesione Ue nel 2024.A che punto è l’allargamento UeSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.Il vertice Ue-Balcani Occidentali a Tirana, 6 dicembre 2022I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.Come si aderisce all’Unione EuropeaIl processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.Per i Balcani Occidentali è previsto un processo parallelo – e separato – ai negoziati di adesione all’Unione, che ha comunque un impatto sull’allargamento Ue. Il processo di stabilizzazione e associazione è finalizzato ad aiutare i partner balcanici per un’eventuale adesione, attraverso obiettivi politici ed economici che stabilizzino la regione e creino un’area di libero scambio. Dopo la definizione di un quadro generale delle relazioni bilaterali tra l’Unione Europea e il Paese partner, la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione offre la prospettiva futura di adesione.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    Prima della presentazione del Pacchetto Allargamento 2023 l’8 novembre, la leader della Commissione Ue ha visitato tutti i Paesi impegnati attivamente nel cammino verso l’adesione all’Unione per ribadire il sostegno di Bruxelles ai loro sforzi. Ma dimenticandosi della Georgia

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    Il Consiglio dell’Ue spera in un nuovo Erdoğan per ridare vigore alle relazioni con la Turchia

    Bruxelles – Se il vicino di casa ingombrante rinnova l’affitto, tanto vale provare a distendere i rapporti. Con la rielezione di Recep Tayyip Erdoğan alla guida della Turchia, all’ultimo Consiglio Europeo Bruxelles ha reinserito nelle priorità le relazioni con Ankara. A maggior ragione dopo il – seppur timido – segnale lanciato dal presidente turco, che ritirando il veto sull’adesione della Svezia alla Nato ha aperto uno spiraglio su un riavvicinamento con Bruxelles.
    Se non si tratta ancora di riprendere le redini di un processo di adesione all’Unione Europea congelato da ormai cinque anni, i ministri degli Esteri dei Paesi membri Ue hanno comunque indicato i primi passi da compiere per rendere quell’orizzonte credibile. “Non si tratta solo di quello che l’Ue si aspetta dalla Turchia, ma anche di quello che la Turchia si aspetta dall’Ue”, ha dichiarato l’alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a margine del Consiglio Affari Esteri tenutosi oggi (20 luglio) a Bruxelles. Da un lato Erdogan mette sul tavolo la finalizzazione dell’accordo sull’Unione doganale e la liberalizzazione dei visti, dall’altro l’Ue chiede garanzie su “due aspetti fondamentali di questo tentativo di stabilire nuovamente una relazione costruttiva con la Turchia”: una de-escalation nel Mediterraneo orientale e un serio impegno a riprendere le negoziazioni per risolvere la questione della sovranità di Cipro, in linea con le risoluzioni delle Nazioni Unite sul tema.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (20 luglio 2023)
    Perché dal 2019 Ankara continua a mettere in discussione i confini greci – e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione – a sud dell’isola di Creta. L’ultimo episodio di tensione risale all’ottobre dello scorso anno, quando la Turchia ha siglato un nuovo accordo preliminare sull’esplorazione energetica con la Libia e “le navi da guerra turche hanno ostacolato illegalmente le attività di rilevamento nella zona economica esclusiva cipriota”. Ma soprattutto perché dal 2017 sono fermi i tentativi di risolvere la controversia sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord. Come ricordato dal ministro degli Esteri cipriota, Constantinos Kombos, proprio oggi cade il 49esimo anniversario dell’invasione turca dell’isola. “Le aspirazione turche passano da Cipro, ci aspettiamo la ripresa rapida di negoziati sostanziali”, ha avvisato il ministro.
    Da riscrivere non c’è solo il capitolo sulle relazioni esterne e l’aggressiva politica estera portata avanti dalla Turchia nel Mediterraneo. Per rilanciare i negoziati per l’adesione all’Ue sarà essenziale anche il rispetto delle libertà e dei valori fondamentali definiti dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo, di cui tra l’altro – ha ricordato Borrell – Ankara fa parte. Sulle violazioni dei diritti umani e dello stato di diritto si è espresso con toni durissimi il Parlamento europeo che, proprio in vista della riunione dei ministri di oggi, aveva messo in chiaro che “il processo di adesione non può riprendere, a meno che non ci sia un drastico cambio di rotta da parte del governo turco”, mentre si può ragionare su formule diverse come “partenariato più stretto” o “quadro parallelo e realistico per le relazioni Ue-Turchia”.
    Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan
    Il quadro più pragmatico è quello fornito dalla ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, secondo cui “dopo le elezioni turche, è importante riflettere ancora una volta su come continueremo a lavorare insieme non a un semplice vicino ma a un attore globale strategicamente importante”. Senza essere “ingenui”, ma tenendo a mente che “in questi tempi geopoliticamente difficili vogliamo lavorare insieme a un partner chiave nella nostra regione, anche se non è sempre facile”. Approccio condiviso dal vicepremier italiano, Antonio Tajani, che sottolineando “i tanti interessi economici” di Roma nel Paese ha suggerito di “discutere con spirito positivo per costruire”.

    I 27 ministri degli Esteri convinti “dell’interesse reciproco” su rapporti costruttivi con Ankara. Sul piatto la revisione dell’accordo sull’Unione doganale e la liberalizzazione dei visti, a patto che il presidente avvii una de-escalation nel Mediterraneo orientale e riprenda i negoziati con Cipro

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    Il dossier Turchia torna sul tavolo dei ministri Ue degli Esteri dopo il vertice dei 27 leader e le minacce di Erdoğan

    Bruxelles – Dopo le sbandate a margine del summit Nato a Vilnius, è tempo di fare ordine a Bruxelles. Il dossier Turchia torna sul tavolo del Consiglio Affari Esteri, per fare un punto della situazione dei rapporti tra l’Unione e Ankara, alla luce non solo delle conclusioni dell’ultimo vertice dei leader Ue, ma soprattutto delle piccole crepe emerse tra Consiglio e Commissione di fronte alle minacce – poi ritirate – del presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, di vincolare l’adesione della Svezia alla Nato solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea.
    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    Nell’agenda delle discussioni in programma domani (20 luglio) tra i 27 ministri Ue degli Esteri è previsto verso ora di pranzo uno scambio di vedute sulle relazioni Ue-Turchia, considerata la necessità di muoversi in modo “strategico e lungimirante”. Il punto di partenza saranno le conclusioni dell’ultimo Consiglio Europeo del 29-30 giugno che – nel paragrafo dedicato al Mediterraneo orientale – invitavano l’alto rappresentante Ue e la Commissione a “presentare al Consiglio Europeo una relazione sulla situazione delle relazioni Ue-Turchia” in linea con le direttrici tracciate già nel 2021 dai Ventisette. L’Ue rimane impegnata a cercare di compiere progressi “nei settori in cui è possibile”, precisano funzionari europei, e le discussioni di domani andranno alla ricerca degli interessi comuni (anche alla luce delle recenti elezioni vinte di nuovo da Erdoğan) per provare a “colmare le lacune” esistenti.
    È proprio qui che si inserisce il punto più delicato: lo stallo ormai quinquennale del processo di adesione di Ankara all’Ue. Una questione che ha creato non pochi imbarazzi tra i leader delle istituzioni comunitarie, quando la scorsa settimana al summit Nato di Vilnius è tornata di strettissima attualità per il quasi ricatto (inaspettato) da parte dell’autocrate turco. Nonostante nella serata del 10 luglio alla fine sia stata trovata un’intesa all’ultimo minuto tra Ankara e Stoccolma per l’ingresso del Paese scandinavo nell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, la minaccia di Erdoğan di voler legare i due processi l’uno all’altro – e dunque di ricattare Bruxelles per un’accelerazione dei negoziati di adesione Ue – ha aperto qualche divisione tra Consiglio e Commissione. Da una parte il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, dopo il bilaterale con l’uomo forte di Ankara ha fatto sapere che l’intenzione è quella di “rivitalizzare le nostre relazioni“, dall’altra l’esecutivo comunitario ha risposto seccamente che “non si possono collegare i due processi“.
    Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, a Vilnius (10 luglio 2023)
    Anche se il dossier Turchia era da tempo nell’agenda del Consiglio Affari Esteri del 20 luglio, è inevitabile che questi sviluppi avranno un impatto sulle discussioni dei 27 ministri. Perché se è vero che la Turchia “è un partner fondamentale” per l’Unione Europea (in particolare per la politica migratoria di esternalizzazione delle persone migranti in arrivo), allo stesso tempo a Bruxelles non si può negare che “nelle attuali circostanze” i negoziati di adesione di Ankara all’Unione “si sono arenati”, ribadiscono le fonti. Durissimo è invece il Parlamento Europeo che, in vista della riunione dei ministri degli Affari Esteri di domani, ha messo in chiaro che “il processo di adesione non può riprendere, a meno che non ci sia un drastico cambio di rotta da parte del governo turco”, mentre si può ragionare su formule diverse come “partenariato più stretto” o “quadro parallelo e realistico per le relazioni Ue-Turchia”.
    La Turchia nel Pacchetto Allargamento Ue 2022
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei “continui gravi passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura”, come ripete dal 2020 il commissario responsabile per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. Lo stato dei rapporti tra Bruxelles e Ankara – per quanto riguarda il percorso di avvicinamento del Paese del Vicino Oriente all’Unione – è definito nel Pacchetto annuale sull’allargamento (pubblicato ogni autunno dalla Commissione Ue), come tutti i Paesi terzi candidati o che hanno fatto richiesta di adesione. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultima relazione presentata nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”.
    Le questioni riguardano sia gli affari interni, sia le relazioni con l’Unione. “Il funzionamento delle istituzioni democratiche turche presenta gravi carenze”, si legge nel rapporto dell’esecutivo comunitario, con un chiaro riferimento alle politiche di Erdoǧan: “L’architettura costituzionale ha continuato ad accentrare i poteri a livello della Presidenza senza garantire una solida ed efficace separazione dei poteri tra esecutivo, legislativo e giudiziario” e in assenza di un meccanismo di pesi e contrappesi “la responsabilità democratica del ramo esecutivo continua a essere limitata alle elezioni” (appena vinte dal leader al potere da 20 anni). La magistratura continua a prendere “sistematicamente” di mira i membri dei partiti di opposizione, mentre la democrazia locale nel Sud-est (dove vive una consistente minoranza curda) è “gravemente” ostacolata. La supervisione civile delle forze di sicurezza “non è stata consolidata” e non sono stati registrati progressi nel campo della riforma della pubblica amministrazione e della lotta anti-corruzione.
    Critico il rispetto dei diritti umani, con molte delle misure introdotte durante lo stato di emergenza del 2018 che rimangono in vigore: “La procedura d’infrazione avviata dal Consiglio d’Europa nel febbraio 2022 ha segnato l’ennesimo punto di riferimento dell’allontanamento della Turchia dagli standard per i diritti umani e le libertà fondamentali“. Un “grave arretramento” è stato registrato anche per la libertà d’espressione, considerate le cause penali e le condanne di “giornalisti, difensori dei diritti umani, avvocati, scrittori, politici dell’opposizione, studenti, artisti e utenti dei social media”, così come per la libertà di riunione e associazione. Fonte di “grave preoccupazione” è anche la violenza di genere, la discriminazione e i discorsi di odio contro le minoranze, in particolare quella Lgbtq+.
    Considerata la volontà di Ankara di modernizzare l’Unione doganale con l’Ue, spicca la poca preparazione sul “corretto funzionamento dell’economia di mercato turca” e l’inflazione ormai alle stelle, ma soprattutto le “ampie deviazioni dagli obblighi assunti” che “ostacolano gli scambi bilaterali”. Sono in “fase iniziale” i preparativi nei settori della libera circolazione dei lavoratori, del diritto di stabilimento e della libera prestazione di servizi, mentre “è proseguito l’arretramento della politica economica e monetaria, che riflette una politica inefficiente nel garantire la stabilità dei prezzi e nell’ancorare le aspettative di inflazione”. Al tema economico si connette anche la questione della guerra russa in Ucraina, nonostante il ruolo importante giocato da Ankara nello sblocco del grano ucraino e nella condanna dell’invasione: “Il mancato allineamento della Turchia alle misure restrittive dell’Ue” contro il Cremlino pone gravi problemi alla libera circolazione dei prodotti all’interno dell’Unione doganale, dal momento in cui “comporta il rischio di compromettere” le sanzioni Ue per i beni a duplice uso.
    Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan
    Durissimo il capitolo sulle relazioni esterne. “La politica estera unilaterale della Turchia ha continuato a essere in contrasto con le priorità dell’Ue”, in particolare per le azioni militari in Siria e Iraq e per il dispiegamento di soldati in Libia. A questo si somma la questione della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, con Ankara che dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci – e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione – a sud dell’isola di Creta. L’ultimo episodio di tensione risale all’ottobre dello scorso anno, quando Ankara ha siglato un nuovo accordo preliminare sull’esplorazione energetica con la Libia e “le navi da guerra turche hanno ostacolato illegalmente le attività di rilevamento nella zona economica esclusiva cipriota”. Nel contesto mediterraneo si inserisce anche la controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso.
    Ultimo, ma non per importanza, il file sulla politica migratoria e l’asilo. Nonostante il quadro di rapporti tesi tra Bruxelles e Ankara, nel marzo 2016 il leader turco è riuscito a far pesare il proprio potere negoziale nell’accordo stretto tra l’Ue e la Turchia per bloccare e accogliere sul suo territorio i rifugiati siriani in fuga dalla guerra in cambio di finanziamenti comunitari: “Del bilancio operativo completo di 6 miliardi di euro nell’ambito dello strumento per i rifugiati, oltre 4,7 miliardi di euro sono stati erogati entro giugno 2022“, ha reso noto la Commissione. Tuttavia per Bruxelles rimangono criticità sia sull’attuazione delle disposizioni sui cittadini di Paesi terzi contenute nell’accordo di riammissione Ue-Turchia, sia il rispetto dei parametri per la liberalizzazione dei visti ancora lontano.

    Nell’agenda del Consiglio Affari Esteri del 20 luglio è previsto anche uno scambio di vedute sul rapporto tra l’Unione e Ankara, in particolare sul processo di allargamento e sul modo di procedere “strategico e lungimirante”. Pesano gli sviluppi al margine del summit Nato a Vilnius

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    Le minacce di Erdoğan sull’adesione Ue della Turchia dividono Bruxelles. La Commissione frena, il Consiglio apre

    Bruxelles – Le minacce del presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, di sbloccare lo stallo sull’adesione della Svezia alla Nato solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea alla fine hanno avuto qualche effetto. Nonostante nella serata di ieri (10 luglio) sia stata trovata un’intesa all’ultimo minuto tra Ankara e Stoccolma prima del vertice Nato in programma tra oggi e domani a Vilnius per l’ingresso del Paese scandinavo nell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, il quasi ricatto di Erdoğan ha messo in luce qualche crepa tra le istituzioni comunitarie nell’approccio al percorso di avvicinamento della Turchia all’Unione. In particolare tra Consiglio e Commissione.
    Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, a Vilnius (10 luglio 2023)
    A mostrare che non c’è totale allineamento tra l’istituzione presieduta dal belga Charles Michel e quella guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen sono state le dichiarazioni a sorpresa del primo, al termine di un incontro a Vilnius con il presidente turco a poche ore dalle minacce su un possibile legame tra il percorso di adesione della Svezia nella Nato e quello della Turchia nell’Ue. “Abbiamo esplorato le opportunità per riportare la cooperazione Ue-Turchia in primo piano”, ha reso noto il numero uno del Consiglio al termine del bilaterale, utilizzando l’espressione controversa “rivitalizzare le nostre relazioni” per riferirsi al rilancio del dialogo tra le due parti. Che non si tratti solo di parole di circostanza lo dimostrerebbe la precisazione fatta dallo stesso Michel che coinvolge anche la Commissione: “Il Consiglio Europeo ha invitato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza [Josep Borrell, ndr] e la Commissione Europea a presentare un rapporto per procedere in modo strategico e lungimirante“. La prossima settimana i ministri degli Esteri Ue si riuniranno per discutere anche delle relazioni tra Ue e Turchia (già in programma da tempo nell’agenda del Consiglio Affari Esteri).
    Non è chiaro al momento se il presidente Michel si sia consultato con i Ventisette e con von der Leyen prima dell’incontro con Erdoğan, né il valore concreto delle sue promesse in relazione allo sblocco dell’adesione della Svezia alla Nato. Sta di fatto che solo poche ore prima era arrivata dalla Commissione una risposta gelida all’indirizzo di Ankara: “I due processi che avvengono in parallelo – l’adesione di nuovi membri alla Nato e il processo di allargamento dell’Unione Europea – sono separati“, ha messo in chiaro la portavoce dell’esecutivo comunitario, Dana Spinant. L’Unione ha un processo di allargamento “molto strutturato” e misure “molto chiare”, che sono richieste a “tutti i Paesi candidati e anche quelli che desiderano diventarlo”, è stata la netta precisazione sul fatto che “non si possono collegare i due processi“.
    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, a Vilnius (10 luglio 2023)
    Alcuni interrogativi su cosa abbia promesso Michel a Erdoğan si sono però sollevati a Bruxelles, dal momento in cui la decisione della Turchia di togliere il veto all’adesione della Svezia alla Nato è arrivata a stretto giro dal bilaterale con il numero uno del Consiglio Ue. Da tenere in considerazione c’è anche una condizione stabilita dall’accordo tra Turchia e Svezia proprio nel trilaterale con il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, in cui è stato sbloccato l’ingresso del nuovo membro nell’Alleanza Atlatica. Considerate le minacce di Erdoǧan, la risposta piccata della Commissione e il tweet di Michel, non è di poco conto il passaggio sul sostegno “attivo” che la Svezia si è impegnata ad assumere per “rinvigorire il processo di adesione della Turchia all’Unione Europea, compresa la modernizzazione dell’Unione doganale Ue-Turchia e la liberalizzazione dei visti“.
    La Turchia nel Pacchetto Allargamento Ue 2022
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei “continui gravi passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura”, come ripete dal 2020 il commissario responsabile per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. Lo stato dei rapporti tra Bruxelles e Ankara – per quanto riguarda il percorso di avvicinamento del Paese del Vicino Oriente all’Unione – è definito nel Pacchetto annuale sull’allargamento (pubblicato ogni autunno dalla Commissione Ue), come tutti i Paesi terzi candidati o che hanno fatto richiesta di adesione. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultima relazione presentata nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”.
    Le questioni riguardano sia gli affari interni, sia le relazioni con l’Unione. “Il funzionamento delle istituzioni democratiche turche presenta gravi carenze”, si legge nel rapporto dell’esecutivo comunitario, con un chiaro riferimento alle politiche di Erdoǧan: “L’architettura costituzionale ha continuato ad accentrare i poteri a livello della Presidenza senza garantire una solida ed efficace separazione dei poteri tra esecutivo, legislativo e giudiziario” e in assenza di un meccanismo di pesi e contrappesi “la responsabilità democratica del ramo esecutivo continua a essere limitata alle elezioni” (appena vinte dal leader al potere da 20 anni). La magistratura continua a prendere “sistematicamente” di mira i membri dei partiti di opposizione, mentre la democrazia locale nel Sud-est (dove vive una consistente minoranza curda) è “gravemente” ostacolata. La supervisione civile delle forze di sicurezza “non è stata consolidata” e non sono stati registrati progressi nel campo della riforma della pubblica amministrazione e della lotta anti-corruzione.
    Critico il rispetto dei diritti umani, con molte delle misure introdotte durante lo stato di emergenza del 2018 che rimangono in vigore: “La procedura d’infrazione avviata dal Consiglio d’Europa nel febbraio 2022 ha segnato l’ennesimo punto di riferimento dell’allontanamento della Turchia dagli standard per i diritti umani e le libertà fondamentali“. Un “grave arretramento” è stato registrato anche per la libertà d’espressione, considerate le cause penali e le condanne di “giornalisti, difensori dei diritti umani, avvocati, scrittori, politici dell’opposizione, studenti, artisti e utenti dei social media”, così come per la libertà di riunione e associazione. Fonte di “grave preoccupazione” è anche la violenza di genere, la discriminazione e i discorsi di odio contro le minoranze, in particolare quella Lgbtq+.
    Al centro: l’autocrate russo, Vladimir Putin, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, all’inaugurazione del gasdotto TurkStream nel 2020
    Considerata la volontà di Ankara di modernizzare l’Unione doganale con l’Ue, spicca la poca preparazione sul “corretto funzionamento dell’economia di mercato turca” e l’inflazione ormai alle stelle, ma soprattutto le “ampie deviazioni dagli obblighi assunti” che “ostacolano gli scambi bilaterali”. Sono in “fase iniziale” i preparativi nei settori della libera circolazione dei lavoratori, del diritto di stabilimento e della libera prestazione di servizi, mentre “è proseguito l’arretramento della politica economica e monetaria, che riflette una politica inefficiente nel garantire la stabilità dei prezzi e nell’ancorare le aspettative di inflazione”. Al tema economico si connette anche la questione della guerra russa in Ucraina, nonostante il ruolo importante giocato da Ankara nello sblocco del grano ucraino e nella condanna dell’invasione: “Il mancato allineamento della Turchia alle misure restrittive dell’Ue” contro il Cremlino pone gravi problemi alla libera circolazione dei prodotti all’interno dell’Unione doganale, dal momento in cui “comporta il rischio di compromettere” le sanzioni Ue per i beni a duplice uso.
    Durissimo il capitolo sulle relazioni esterne. “La politica estera unilaterale della Turchia ha continuato a essere in contrasto con le priorità dell’Ue”, in particolare per le azioni militari in Siria e Iraq e per il dispiegamento di soldati in Libia. A questo si somma la questione della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, con Ankara che dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci – e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione – a sud dell’isola di Creta. L’ultimo episodio di tensione risale all’ottobre dello scorso anno, quando Ankara ha siglato un nuovo accordo preliminare sull’esplorazione energetica con la Libia e “le navi da guerra turche hanno ostacolato illegalmente le attività di rilevamento nella zona economica esclusiva cipriota”. Nel contesto mediterraneo si inserisce anche la controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso.
    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    Ultimo, ma non per importanza, il file sulla politica migratoria e l’asilo. Nonostante il quadro di rapporti tesi tra Bruxelles e Ankara, nel marzo 2016 il leader turco è riuscito a far pesare il proprio potere negoziale nell’accordo stretto tra l’Ue e la Turchia per bloccare e accogliere sul suo territorio i rifugiati siriani in fuga dalla guerra in cambio di finanziamenti comunitari: “Del bilancio operativo completo di 6 miliardi di euro nell’ambito dello strumento per i rifugiati, oltre 4,7 miliardi di euro sono stati erogati entro giugno 2022“, ha reso noto la Commissione. Tuttavia per Bruxelles rimangono criticità sia sull’attuazione delle disposizioni sui cittadini di Paesi terzi contenute nell’accordo di riammissione Ue-Turchia, sia il rispetto dei parametri per la liberalizzazione dei visti ancora lontano.

    Prima di sbloccare l’ingresso Nato della Svezia, il presidente turco aveva annunciato di volerlo legare al processo di allargamento dell’Unione ad Ankara. Gelida la risposta dal Berlaymont, ma il leader del Consiglio Ue, Charles Michel, ha chiesto un piano per “rivitalizzare le nostre relazioni”

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    L’intesa sul suono della sirena. Erdoğan dà il via libera alla Svezia nella Nato prima del vertice di Vilnius

    Bruxelles – Quando ormai sembrava tutto destinato a slittare dopo il vertice Nato di Vilnius, lo stallo sull’adesione della Svezia all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord si è sbloccato sul suono della sirena, la notte prima dell’inizio del summit nella capitale lituana. Dopo aver minacciato (solo 24 ore fa) di voler legare il percorso di allargamento della Nato a quello di adesione della Turchia all’Unione Europea, il presidente turco Recep Tayyip Erdoǧan, ha dato il via libera all’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza Atlantica nel corso di un trilaterale risolutorio voluto dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, insieme al primo ministro svedese, Ulf Kristersson.
    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoǧan, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, a Vilnius (10 luglio 2023)
    “Sono lieto di annunciare che dopo l’incontro che ho ospitato, il presidente Erdoǧan ha accettato di trasmettere il protocollo di adesione della Svezia alla Grande Assemblea Nazionale il prima possibile e di assicurarne la ratifica“, ha reso noto con un tweet il segretario generale Stoltenberg nella serata di ieri (10 luglio), parlando di “un passo storico che rende tutti gli alleati della Nato più forti e sicuri”. Con l’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza, i Paesi membri saliranno a 32 (la Finlandia è già entrata lo scorso 4 aprile). La base di partenza delle discussioni sono stati i progressi svedesi proprio secondo la lista di condizioni definite il 29 giugno dello scorso anno nel memorandum tra Stoccolma, Ankara e Helsinki: emendamenti alla Costituzione, rafforzamento delle leggi anti-terrorismo, ripresa delle esportazioni di armi verso la Turchia, ampliamento della cooperazione con Ankara sulla lotta antiterrorismo contro il movimento politico-militare curdo del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan). Considerato tutto questo lavoro, “Svezia e Turchia hanno concordato di stabilire un nuovo Patto di sicurezza bilaterale“.
    L’ennesimo sgarbo di Erdoǧan all’autocrate russo Vladimir Putin sul piano militare (il primo è stato un’apertura netta all’adesione dell’Ucraina alla Nato alla vigilia del vertice di Vilnius) si basa su un accordo di cooperazione “sia nell’ambito del Meccanismo congiunto trilaterale permanente” con la Finlandia istituito a Madrid, “sia nell’ambito di un nuovo Patto di sicurezza bilaterale che si riunirà annualmente a livello ministeriale e creerà gruppi di lavoro a seconda delle necessità“. Secondo quanto messo nero su bianco dalle due parti, nel corso della prima riunione Stoccolma presenterà una tabella di marcia “come base della sua lotta continua contro il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni verso la piena attuazione di tutti gli elementi” del memorandum: “La Svezia ribadisce che non fornirà sostegno alle Unità di Protezione Popolare (Ypg) e al Partito dell’Unione Democratica (Pyd) curdi e all’organizzazione movimento di Gülen (Fetö)”. Sempre sul piano della lotta anti-terrorismo – “che continuerà anche dopo l’adesione della Svezia alla Nato” – il segretario generale Stoltenberg ha promesso di istituire all’interno dell’Alleanza la nuova carica di Coordinatore speciale per la lotta al terrorismo.
    Tra le condizioni stabilite nel corso della riunione-fiume di ieri, è di non poca importanza – considerate le minacce di ieri di Erdoǧan e la risposta piccata della Commissione Europea – il passaggio sul sostegno “attivo” della Svezia a “rinvigorire il processo di adesione della Turchia all’Unione Europea, compresa la modernizzazione dell’Unione doganale Ue-Turchia e la liberalizzazione dei visti”. Stoccolma e Ankara si sono poi impegnate a “eliminare restrizioni, barriere o sanzioni al commercio e agli investimenti nel settore della difesa” tra gli alleati e hanno concordato di “intensificare la cooperazione economica” attraverso il Comitato economico e commerciale misto turco-svedese (Jetco): “Sia la Turchia sia la Svezia cercheranno di massimizzare le opportunità per aumentare gli scambi e gli investimenti bilaterali”. Messo infine sulla carta – come annunciato da Stoltenberg – il passaggio del Protocollo di adesione Nato della Svezia alla Grande Assemblea Nazionale turca, con l’impegno dell’uomo forte di Ankara di “lavorare a stretto contatto” per garantirne la ratifica. “Un passo storico a Vilnius, accolgo con favore l’importante passo che la Turchia ha promesso di compiere, ratificando l’adesione della Svezia alla Nato”, ha commentato su Twitter la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
    Il veto di Erdoğan alla Svezia nella Nato
    La Svezia – insieme alla Finlandia – ha presentato domanda di adesione alla Nato nel maggio dello scorso anno, dando seguito alla più grande svolta strategica storica nella propria politica di sicurezza nazionale in risposta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. A sbarrare la strada a un percorso che sembrava essere destinato a procedere in modo spedito è stato proprio Erdoğan, a causa dei rapporti tesi sulla repressione della minoranza curda in Turchia. Le tensioni con Stoccolma e Helsinki sembravano essere diminuite con la firma del memorandum d’intesa alla vigilia del vertice di Madrid del 29 giugno 2022, in cui sono state definite le condizioni per lo sblocco dell’allargamento della Nato ai due Paesi scandinavi: tra queste in particolare le richieste di estradare i membri del movimento politico-militare curdo del Pkk.
    Da sinistra: il primo ministro della Svezia, Ulf Kristersson, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan (credits: Adem Altan / Afp)
    La posizione irremovibile del leader turco non ha però portato a sostanziali progressi nella seconda metà dell’anno, in particolare per quanto riguarda la Svezia. Il punto più basso dei rapporti con gli altri alleati è stato raggiunto in occasione del via libera alla richiesta della Finlandia, quando è stato ribadito lo stop a Stoccolma: in questo modo è sfumato l’ingresso congiunto dei due Paesi scandinavi nell’Alleanza Atlantica nello stesso giorno. Il leader turco – fresco vincitore delle elezioni presidenziali di maggio – ha continuato a sostenere che il governo svedese non stesse facendo abbastanza contro quelli che Ankara definisce terroristi. Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan è considerato un’organizzazione terroristica anche dall’Unione Europea – di cui Finlandia e Svezia fanno parte – ma l’attribuzione è controversa proprio per le persecuzioni messe in atto dal regime turco. Le minacce di ieri di Erdoğan sembravano far presagire il peggio, fino all’incontro risolutorio in serata che ha definitivamente spalancato le porte a Stoccolma per l’ingresso nell’Alleanza.
    Come si entra nella Nato
    Per diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.
    La procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.
    Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

    In un trilaterale con il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, e il premier svedese, Ulf Kristersson, il leader turco ha sbloccato lo stallo sull’adesione di Stoccolma, promettendo che trasmetterà il protocollo alla Grande Assemblea Nazionale per la ratifica