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    La vigilia dell’allargamento Ue. Dall’Ucraina alla Moldova fino ai Balcani, von der Leyen punta tutto sullo sprint decisivo

    Bruxelles – È la settimana più importante per le prospettive di allargamento Ue, quella in cui si capirà se le promesse degli ultimi mesi corrispondono effettivamente a dei progressi reali che permettano ai Paesi candidati (e a quelli in attesa di risposta) di proseguire sulla strada verso l’adesione all’Unione Europea, ciascuno secondo la propria situazione specifica nel processo. La Commissione Europea svelerà mercoledì (8 novembre) il contenuto del Pacchetto Allargamento Ue, il report annuale sullo stato di avanzamento dei Paesi che hanno fatto richiesta di aderire all’Unione. E per ribadire l’impegno di Bruxelles a sostegno del processo, la sua presidente, Ursula von der Leyen, nell’ultimo mese ha visitato tutti i partner impegnati attivamente in questo processo. Dalla Moldova all’Ucraina, passando per i sei dei Balcani Occidentali. Ma non la Georgia.Con l’imminente pacchetto Allargamento Ue 2023 l’esecutivo comunitario è chiamato a rispondere presente agli stravolgimenti accaduti lo scorso anno in questo settore delle relazioni esterne di Bruxelles: la concessione dello status di Paese candidato a Ucraina, Moldova e Bosnia ed Erzegovina e la ‘prospettiva europea’ alla Georgia, l’avvio dei negoziati di adesione con Albania e Macedonia del Nord, la richiesta arrivata dal Kosovo, il braccio di ferro con la Serbia per l’allineamento alla politica estera e di sicurezza (in particolare sulle sanzioni alla Russia) e la crisi politico-istituzionale in Montenegro. La Turchia rimane sempre un caso a se stante, dal momento in cui i negoziati sono congelati da anni e nessuno si aspetta più nulla dal regime di Erdoğan. Tutte questioni affrontate solo parzialmente nella relazione 2022, dal momento in cui si è trattato di punti di svolta troppo vicini alla pubblicazione (di giugno il Consiglio Europeo sui tre nuovi candidati, a luglio l’avvio dei negoziati con Tirana e Skopje, solo a metà dicembre la richiesta di Pristina). È così che questo Pacchetto Allargamento Ue è atteso come uno dei più decisivi da diversi anni: non solo perché finalmente aumenterà il numero di capitoli per Paese – oggi 10 – ma soprattutto perché dovrà indicare se ci sono le condizioni per un nuovo sprint per allargare questa Unione.In questo scenario di potenziale svolta, nell’ultimo mese la presidente von der Leyen è stata impegnata in un tour de force per mettere in chiaro che la Commissione Ue sostiene pienamente gli sforzi dei nove Paesi impegnati in modo attivo per fare ingresso nell’Unione. Un impegno diplomatico sul campo iniziato lo scorso 12 ottobre a Chișinău, quando la leader dell’esecutivo comunitario ha messo in chiaro che “la posta in gioco è molto alta” per la Moldova e che per l’implementazione delle riforme necessarie “potete farcela”. Il riferimento è all’apertura dei negoziati di adesione, che dovrà essere decisa in ultima istanza dal Consiglio Europeo in programma il prossimo 14-15 dicembre. Lo stesso aspetta con impazienza l’Ucraina dopo la visita di sabato scorso (4 novembre) a Kiev da parte di von der Leyen: “L’obiettivo è davvero a portata di mano, avete già completato oltre il 90 per cento” delle misure richieste dalla presentazione orale dello stato di avanzamento delle riforme.Nel mezzo di questi due viaggi von der Leyen ha rinnovato anche il suo tradizionale tour nei Balcani Occidentali, con un doppio obiettivo: ribadire l’impegno per l’adesione Ue “il prima possibile” e per presentare il nuovo Piano di crescita che servirà ad allineare le economie balcaniche con quelle dell’Ue. Dopo l’inizio in Albania il 16 ottobre – per participare al vertice dei leader del Processo di Berlino a Tirana – due settimane più tardi ha completato il tour nelle altre cinque capitali. A Skopje ha assicurato che “vogliamo aprire il cluster sui fondamentali” della Macedonia del Nord, a Pristina e Belgrado è arrivato l’avvertimento che senza normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo non ci saranno né progressi sull’adesione Ue né nuovi investimenti da Bruxelles, a Podgorica si è complimentata per la formazione del nuovo governo del Montenegro che porterà “nuova determinazione” al Paese “più avanzato” sulla strada dell’allargamento Ue, e a Sarajevo ha ricordato quanto sia necessario per la Bosnia ed Erzegovina “parlare con una sola voce” e implementare le “riforme cruciali”.Nel mese di viaggi di von der Leyen per anticipare il contenuto del Pacchetto Allargamento Ue ai rispettivi partner spicca però la mancata visita a uno dei Paesi che per la prima volta sarà incluso in questa relazione annuale: nemmeno in questa occasione la presidente della Commissione Ue si è recata a Tbilisi (al momento non è mai accaduto nei suoi quattro anni di mandato), nonostante la popolazione della Georgia nutra grandi speranze di fare ingresso nell’Unione. Non si possono nascondere le difficoltà sul piano delle contraddizioni del governo tra europeismo e rapporti con la Russia, ma il silenzio di von der Leyen potrebbe essere un’indicazione implicita che Tbilisi non otterrà nemmeno quest’anno lo status di candidato e sarà rimandata ancora una volta per una nuova valutazione dei progressi per il cammino di adesione Ue nel 2024.A che punto è l’allargamento UeSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.Il vertice Ue-Balcani Occidentali a Tirana, 6 dicembre 2022I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.Come si aderisce all’Unione EuropeaIl processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.Per i Balcani Occidentali è previsto un processo parallelo – e separato – ai negoziati di adesione all’Unione, che ha comunque un impatto sull’allargamento Ue. Il processo di stabilizzazione e associazione è finalizzato ad aiutare i partner balcanici per un’eventuale adesione, attraverso obiettivi politici ed economici che stabilizzino la regione e creino un’area di libero scambio. Dopo la definizione di un quadro generale delle relazioni bilaterali tra l’Unione Europea e il Paese partner, la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione offre la prospettiva futura di adesione.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    Prima della presentazione del Pacchetto Allargamento 2023 l’8 novembre, la leader della Commissione Ue ha visitato tutti i Paesi impegnati attivamente nel cammino verso l’adesione all’Unione per ribadire il sostegno di Bruxelles ai loro sforzi. Ma dimenticandosi della Georgia

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    Il Montenegro elegge il nuovo governo europeista nel giorno della visita di von der Leyen a Podgorica

    Bruxelles – Dopo cinque mesi dalle elezioni e dopo settimane di durissime trattative tra una lunga lista di partiti e coalizioni, il Montenegro ha un nuovo governo. E il giorno in cui l’Assemblea nazionale ha dato il via libera al gabinetto di Milojko Spajić, leader di una forza il cui programma sta tutto nel nome – Europe Now – coincide con un appuntamento cruciale: la visita della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, a Podgorica, terza tappa del suo tour nella regione. Perché nel taccuino della numero uno dell’esecutivo Ue c’erano due temi fondamentali di cui discutere oggi (31 ottobre) con i leader montenegrini: la ripresa del cammino di adesione Ue e la spinta per il nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Montenegro, Jakov Milatović, a Podgorica (31 ottobre 2023)“Sono soddisfatta che ora siate pienamente focalizzati sulla strada verso l’Unione Europea, da tempo il Montenegro è il Paese più avanzato e tutti i capitoli negoziali sono aperti, ma serviva nuova determinazione“, ha ricordato von der Leyen. Il riferimento è agli ultimi tre anni politicamente tormentati per Podgorica, che hanno non poco rallentato i progressi di un percorso di adesione iniziato quasi 15 anni fa. “È importante che il Paese vada in un’unica direzione e parli con una sola voce” – anche considerato l’allineamento al 100 per cento alla Politica estera e di sicurezza dell’Ue – “siete dei front-runner e ora serve fare l’ultimo miglio“. La leader della Commissione ha discusso di riforme, allineamento allo Stato di diritto e investimenti non solo con il presidente del Montenegro, Jakov Milatović, ma anche con il neo-premier Spajić, fresco fresco di nomina al Parlamento unicamerale: “Il processo di adesione è basato sul merito, non serve aspettare una data [il 2030 ormai inflazionato nel dibattito pubblico europeo, ndr] e se lo fate il prima possibile, si apriranno subito le porte dell’Ue”, ha ricordato von der Leyen a entrambi gli esponenti di Europe Now.Da oggi il Montenegro sarà guidato da una coalizione europeista di partiti filo-Ue, filo-serbi e della minoranza albanese, con a capo il più giovane primo ministro di tutta Europa (Spajić ha 36 anni appena compiuti). Nel voto di investitura di questa mattina l’esecutivo si è assicurato 46 voti su 81 totali – 19 contrari, 1 astenuto e 15 assenti – assicurandosi l’appoggio non solo della coalizione di quattro partiti che fa capo a Europe Now, ma anche da quella colazione filo-serba ‘Per il futuro del Montenegro’, dai liberali di Montenegro Democratico, dal Partito Popolare Socialista e dai tre partiti della minoranza albanese. “La nostra visione è diventare la Svizzera dei Balcani e la Singapore d’Europa“, ha dichiarato Spajić al Parlamento appena prima del voto. Ma la vera missione del governo sarà quella di portare il Paese all’interno (o quasi) nell’Unione Europea: il Montenegro ha fatto richiesta di adesione il 15 dicembre 2008, ottenendo due anni più tardi lo status di Paese candidato (il 17 dicembre 2010) e dopo altri due anni l’avvio dei negoziati (29 dicembre 2012). Da 11 anni Podgorica si trova a questo stadio nel lungo processo di adesione Ue.Una delle preoccupazioni maggiori per Bruxelles riguarda però la presenza all’interno del governo del partito nazionalista filo-serbo Fronte Democratico e dell’elezione del suo leader, Andrija Mandić, a presidente dell’Assemblea nazionale. Spajić ha assicurato che il suo gabinetto sarà “pro-europeo” nonostante l’elezione di Mandić e ha respinto le insinuazioni per cui il governo di Podgorica sarà influenzato dalla Serbia, da cui il Montenegro si è separato nel 2006 dopo un referendum sull’indipendenza. “Il Montenegro è un Paese sovrano e indipendente ed è suo diritto scegliere i suoi leader e formare le sue istituzioni”, ha risposto a una domanda in conferenza stampa a Podgorica von der Leyen: “Credo fortemente nella capacità del Montenegro di andare sulla strada giusta“. Anche perché in ballo ci sono i futuri fondi del nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali che la leader dell’esecutivo Ue sta presentando nel suo tour in tutte le capitali balcaniche. “Abbiamo usato il principio ‘riforme e investimenti’ per la ripresa post-Covid nei nostri Stati membri e ha funzionato in modo eccezionale, per questo vogliamo applicare gli stessi principi” per la messa a terra di 6 miliardi di euro complessivi (2 miliardi in sovvenzioni e 4 in prestiti). “Spero che abbiamo capito la lezione, dopo anni di stallo ci sono le condizioni per accelerare”, ha assicurato il presidente Milatović.Tre anni di turbolenza politica in MontenegroIl 2023 è stato un trionfo per il nuovo movimento europeista Europe Now, fondato e guidato da quelli che ora sono il primo ministro e il presidente del Montenegro, vincitori dalla doppia tornata elettorale in poco più di due mesi: il ballottaggio delle presidenziali del 2 aprile e le elezioni per il rinnovo del Parlamento dell’11 giugno. Il neo-premier Spajić e il neo-presidente Milatović erano rispettivamente ministro delle Finanze e dell’Economia e dello Sviluppo economico nella grande coalizione anti-Đukanović (padre-padrone del Paese balcanico per 32 anni) guidata dal 4 dicembre 2020 al 28 aprile 2022 da Krivokapić. Durante l’anno e mezzo di governo i due hanno presentato un programma di riforme economiche intitolato proprio ‘Europe Now’, che comprendeva misure come il taglio dei contributi sanitari e l’aumento del salario minimo a 450 euro. I due tecnocrati hanno annunciato la volontà di fondare un nuovo partito di centro-destra liberale, anti-corruzione ed europeista dopo la caduta del governo Krivokapić nel febbraio 2022 – poi effettivamente fondato il 26 giugno – anticipando l’intenzione di collaborare con altre formazioni civiche e di centro in vista delle elezioni del 2023.L’ex-presidente del Montenegro, Milo Đukanović (credits: Savo Prelevic / Afp)La nomina di Spajić e Milatović (i più giovani mai eletti alle due cariche istituzionali del Paese, entrambi all’età di 36 anni) chiude una fase di turbolenza per il Montenegro iniziata con le elezioni del 30 agosto 2020. In quell’occasione sono cambiati gli equilibri politici dopo 30 anni ininterrotti al potere per il Dps di Đukanović (sempre al governo o alla presidenza del Paese dal 1991). A guidare l’esecutivo per poco più di un anno è stata una colazione formata dai filo-serbi di ‘Per il futuro del Montenegro’ (dell’allora premier Krivokapić), dai moderati di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e dalla piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) di Abazović. Il 4 febbraio 2022 era stata proprio ‘Nero su bianco’ a sfiduciare il governo Krivokapić, appoggiando una mozione dell’opposizione e dando il via all’esecutivo di minoranza di Abazović.Lo stesso governo Abazović è però crollato il 19 agosto (il più breve della storia del Paese) con la mozione di sfiducia dei nuovi alleati del Dps di Đukanović, a causa del cosiddetto ‘accordo fondamentale’ con la Chiesa ortodossa serba. L’intesa per regolare i rapporti reciproci – con il riconoscimento della presenza e della continuità della Chiesa ortodossa serba in Montenegro dal 1219 – è stata appoggiata dai partiti filo-serbi, mentre tutti gli altri l’hanno rigettata, perché considerata un’ingerenza di Belgrado nel Paese e un ostacolo per la strada verso l’adesione all’Ue. Mentre Abazović è rimasto premier ad interim, nel settembre 2022 si è aggravata anche la crisi istituzionale. A determinarla è stato il via libera alla contestata legge sugli obblighi del presidente nella nomina dell’esecutivo, che permetterebbe ai parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato. In caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrebbe l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato. Al contrario, secondo la Costituzione del Montenegro il presidente ha solo il dovere di organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro un massimo di 30 giorni. Dopo il primo via libera di inizio novembre la tensione è aumentata esponenzialmente fino al voto decisivo di un mese più tardi.Il presidente del Montenegro, Jakov Milatović (credits: Savo Prelevic / Afp)Il vero problema si è però innestato con la parallela vacanza di quattro membri (su sette) della Corte Costituzionale, l’unico organismo istituzionale che può valutare nel merito la legge contestata. Senza la sua piena funzionalità non è stato possibile considerare il voto dell’Assemblea nazionale in linea con la raccomandazione della Commissione di Venezia, l’organo consultivo del Consiglio d’Europa che ha un ruolo-chiave nell’adozione di Costituzioni conformi agli standard europei. Dopo mesi di vacanza e di richiami internazionali, lo scorso 27 febbraio l’Assemblea del Montenegro è riuscita a eleggere tre giudici della Corte Costituzionale vacanti (si rimane ancora in attesa del quarto), condizione di base per ripristinare la piena funzionalità dell’istituzione montenegrina e per continuare il percorso europeo del Paese. Dopo il rifiuto a nominare un nuovo primo ministro e a poche settimane dalle presidenziali, lo scorso 16 marzo l’ex-presidente Đukanović ha sciolto il Parlamento e ha indetto nuove elezioni anticipate per l’11 giugno.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    Il Parlamento montenegrino ha dato il via libera all’esecutivo guidato dal leader di Europe Now, Milojko Spajić: “La nostra visione è diventare la Svizzera dei Balcani e la Singapore d’Europa”. La presidente della Commissione Ue esorta il Paese a fare “l’ultimo miglio” verso l’adesione

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    Anche i leader dei Balcani Occidentali dicono di poter essere pronti all’allargamento Ue entro – “ma non oltre” – il 2030

    Bruxelles – Alla vaghezza del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, i sei leader balcanici rispondono con il massimo della chiarezza possibile, senza abbandonare quel filo di ambiguità che permette di mantenere buoni rapporti con Bruxelles: “Sia l’Ue sia i Balcani Occidentali dovrebbero essere pronti all’allargamento, il prima possibile, ma non oltre il 2030“. Anche nella dichiarazione finale dell’ultima riunione del Processo di Brdo rimane quel non meglio precisato “essere pronti” all’allargamento Ue – così come era stato nelle parole del leader dell’istituzione comunitaria al Bled Strategic Forum di fine agosto – ma la data temporale non ammette eccezioni per l’obiettivo di fine decennio.
    Riunitisi ieri (11 settembre) a Skopje, in Macedonia del Nord, per l’incontro di alto livello dell’iniziativa nata nel 2010 per la collaborazione tra i Paesi dei Balcani Occidentali – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – nel percorso di avvicinamento all’Unione Europea, i sei presidenti hanno dato priorità a tre macro-tematiche: accelerazione del processo di adesione Ue, lotta ai cambiamenti climatici e cercare un freno all’emigrazione giovanile dalla regione. La parte del leone la fa senz’ombra di dubbio il processo “più diretto al mantenimento della pace e della stabilità e più che mai questione geopolitica”. Ecco perché il punto di partenza è quella data – il 2030 – menzionata dal presidente del Consiglio Ue, ma che già aveva creato notevoli controversie al vertice Ue-Balcani Occidentali del 2021 (proprio a Brdo, in Slovenia). Agli occhi dei leader balcanici non può essere superata come termine ultimo, anche alla luce delle “ricadute” della “continua aggressione russa contro l’Ucraina”. Da parte delle sei capitali viene riconosciuto il fatto che “riforme politiche, economiche e sociali di ampio respiro sono fondamentali per l’adesione all’Ue” e la promessa è quella di un impegno per “intensificare gli sforzi per l’attuazione” nel campo dello Stato di diritto, del funzionamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione.
    Non passa inosservato il riferimento alla “cooperazione regionale e le relazioni di buon vicinato”, definite “essenziali” perché i singoli Paesi possano avanzare nei rispettivi percorsi verso l’Unione. Un dettaglio da tenere a mente in vista del nuovo round di colloqui di alto livello del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’Ue, annunciato oggi (12 settembre) dal Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), e che vedrà la presenza del presidente serbo, Aleksandar Vučić, e del premier kosovaro, Albin Kurti, a quasi tre mesi dall’ultima riunione molto delicata. “Ci impegniamo a collaborare per promuovere un’atmosfera di fiducia reciproca, di comprensione, di risoluzione pacifica e duratura delle restanti questioni bilaterali e di solidarietà reciproca”, si legge nel testo della dichiarazione del Processo di Brdo. Altro aspetto di particolare interesse è il richiamo alle suggestioni di Michel su una possibile “apertura di percorsi che consentano ai Balcani Occidentali di esplorare le opportunità di accesso a politiche, iniziative e fondi specifici dell’Ue e di portare alcuni dei benefici ai cittadini” anche “prima dell’adesione formale”.
    La riunione di alto livello del Processo di Brdo a Skopje, Macedonia del Nord (11 settembre 2023)
    Trova spazio nella dichiarazione la questione della lotta agli effetti del cambiamento climatico, considerata una “responsabilità condivisa, che richiede sforzi collaborativi” tra governi, privati e partner internazionali, “coordinati con l’Ue e i suoi programmi correlati”. In questo capitolo rientrano la transizione verde, la protezione della biodiversità, il “rafforzamento della diversificazione energetica” e la “transizione verso la produzione di energia rinnovabile e l’efficienza”, anche attraverso “investimenti ecocompatibili in fonti idroelettriche, solari, eoliche e geotermiche“. Di nuovo ritorna il rapporto con Bruxelles, in particolare per quanto riguarda il pacchetto di sostegno energetico di un miliardo di euro “con cui l’Ue ha esteso le stesse misure di solidarietà adottate all’interno” dell’Unione dopo l’aggressione russa all’Ucraina.
    E infine uno dei temi più urgenti e drammatici per i Balcani Occidentali: l’emigrazione diventata ormai quasi di massa tra le fasce più giovani della popolazione. “Ha implicazioni significative per la vitalità a lungo termine delle nostre società, per la crescita economica sostenibile e per il progresso sociale”, è l’allarme lanciato dai sei presidenti, che cercano un modo per “trattenere i giovani” all’interno della regione e “sfruttare il potenziale per far progredire le nostre società”. Con l’Ue è “fondamentale” un partenariato “per garantire il successo dell’attuazione delle strategie” che si basano sulla promozione di “società inclusive e aperte”. Tutto parte da una “istruzione di qualità”, motivo per cui dovrà essere impostato un lavoro per “migliorare i sistemi educativi”, ma anche per “creare un ambiente commerciale attraente e competitivo che incoraggi l’innovazione, l’imprenditorialità e la creazione di posti di lavoro” per i giovani con idee che possano trasformare i Balcani Occidentali. Che – proprio come in Italia e in altri Paesi membri Ue più in difficoltà su questo fronte – vogliono “fermare la fuga dei cervelli” e fornire “migliori prospettive” a lungo termine.
    A che punto è l’allargamento Ue nei Balcani Occidentali
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e uno ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo.
    Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.

    È quanto emerge dalla dichiarazione dell’ultima riunione a Skopje del Processo di Brdo, l’iniziativa per la collaborazione dei sei Paesi della regione. Tra gli obiettivi l’accelerazione del processo di adesione Ue, la lotta ai cambiamenti climatici e il freno all’emigrazione giovanile

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    Una data per l’allargamento Ue ai Balcani Occidentali. Michel: “Entrambe le parti devono essere pronte entro il 2030”

    Bruxelles – Ora la data è fissata, anche se la questione davvero complessa sarà convincere gli attuali 27 Paesi membri Ue a navigare tutti nella stessa direzione. “Se vogliamo essere credibili mentre prepariamo la nostra agenda strategica, dobbiamo parlare di tempistiche: credo che dobbiamo essere pronti, da entrambe le parti, ad allargarci entro il 2030“. Parola del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Al Bled Strategic Forum (in Slovenia), la conferenza internazionale annuale che ospita i leader dell’Europa centrale e sudorientale, il numero uno dell’istituzione comunitaria ha messo sul tavolo ciò che fino a due anni fa – prima dello stravolgimento della guerra russa in Ucraina e delle conseguenze geopolitiche che ha scatenato – non si poteva nemmeno nominare, ovvero una data-limite entro cui aver compiuto tutti i passi necessari per l’allargamento Ue ai Balcani Occidentali.
    Al vertice Ue-Balcani Occidentali del 2021 – svoltosi allora per pura coincidenza proprio in Slovenia – non era passata la richiesta di Lubiana di inserire nel testo della dichiarazione il 2030 come “data ultima su cui basare il calendario dei negoziati”, mentre oggi (28 agosto) a Bled proprio il presidente del Consiglio Ue ha fornito un’indicazione temporale precisa che coincide con la fine del decennio. “L’Europa deve mantenere le sue promesse“, iniziate ufficialmente al vertice di Salonicco del 2003. Come ricordato la scorsa settimana alla cena informale di Atene, “la lentezza di questo cammino ha deluso molti, sia nella regione sia nell’Ue” e per Michel “è tempo di sbarazzarsi delle ambiguità e affrontare le sfide con chiarezza e onestà”. Perché i Balcani Occidentali – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – sono una regione “nel cuore dell’Europa, circondata dall’Ue” e per i Ventisette è arrivato il momento di un cambio di paradigma: “Ci accontentiamo di un’Unione che si limita a gestire le crisi o vogliamo essere un attore globale che plasma il futuro? Vogliamo essere più influenti per dare forma a un mondo migliore”. E questo riguarda anche la sfida dell’allargamento Ue: “Lo dobbiamo fare sia per noi sia per i futuri Stati membri, sì, è così che dovremmo chiamare così i Paesi che hanno confermato la prospettiva europea“.
    Mantenere le promesse significa spingere un processo di allargamento Ue che “non è più un sogno”, considerato quanto accaduto al Consiglio Europeo di giugno 2022: “Abbiamo conferito lo status di candidati all’Ucraina e alla Moldova, lo stesso attende la Georgia quando avrà completato i passi necessari”. Anche se “c’è ancora molto lavoro da fare” per i Sei balcanici la strada è più tracciata, con obiettivi che possono essere fissati a rialzo: “Il prossimo budget pluriennale Ue dovrà includere obiettivi comuni, servirà per spingere le riforme e generare interesse negli investimenti”. Sarà un tema di confronto tra i Ventisette ai prossimi Consigli di ottobre e dicembre, ma anche in occasione del nuovo vertice Ue-Balcani Occidentali che “si terrà a dicembre a Bruxelles e servirà per affiancare il Consiglio Europeo”. A questo punto però si attendono soprattutto proposte concrete su quello che più di un anno fa lo stesso Michel aveva presentato come “un processo più rapido, graduale e reversibile” all’allargamento Ue e che oggi è stato riproposto: “Un’integrazione dei Paesi candidati all’adesione in campi specifici, con vantaggi tangibili una volta che sono rispettate le condizioni di base“. Per esempio, “partecipare allo specifico Consiglio una volta che sono conclusi i negoziati in quel capitolo negoziale”.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, al Bled Strategic Forum (28 agosto 2023)
    A fare i “compiti a casa” per raggiungere l’obiettivo 2030 sull’allargamento Ue dovranno essere sia i Paesi dei Balcani Occidentali sia l’Unione Europea. Per i primi sarà necessario continuare sulla strada delle riforme e dello Stato di diritto, ma anche ricordando che “non c’è cooperazione senza riconciliazione, non c’è spazio per i conflitti del passato all’interno dell’Ue“. Un avvertimento colto soprattutto da Serbia e Kosovo, anche considerato come Michel ha continuato il suo discorso: “L’ideale sarebbe un ingresso contemporaneo, ma i futuri Stati membri si trovano in fasi diverse” e per evitare stalli da parte dei primi privati “una soluzione potrebbe essere aggiungere la cosiddetta clausola di fiducia nei Trattati di adesione, per garantire che i Paesi che hanno appena aderito non possano bloccare quelli futuri”. Parallelamente anche i Ventisette devono prepararsi all’allargamento Ue e “non riformarci prima sarebbe uno sbaglio enorme”. Perché non sarà indifferente l’impatto su “politiche, programmi e fondi, il budget dovrà aiutare tutti”, ma anche il processo decisionale “ha mostrato alcune falle”. Ed è qui che rientra superamento del voto all’unanimità, su cui Michel si è tolto qualche sassolino dalla scarpa: “Abolirla completamente significherebbe gettare il bambino con l’acqua sporca, perché l’unità è al centro della forza dell’Ue”. E perciò bisognerà piuttosto ragionare su “come e quando utilizzare” sia la maggioranza qualificata sia “l’astensione costruttiva”.
    Il panel dei leader dei Balcani Occidentali al Bled Strategic Forum (28 agosto 2023)
    Fiduciosi ma cauti i sei leader dei Paesi balcanici, intervenuti in un panel dedicato al Bled Strategic Forum. “Non credo che saremo dentro l’Ue nel 2030, ma se ci saranno passi in avanti sarà ottimo“, è l’augurio del primo ministro dell’Albania, Edi Rama. Per l’omologo montenegrino, Dritan Abazović, “il 2030 è troppo distante, noi sappiamo bene cosa vogliamo”. Il premier macedone, Dimitar Kovačevski, ha invece fatto notare che “c’è frustrazione per i blocchi che arrivano uno dopo l’altro per questioni domestiche” degli Stati membri. La presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, ha voluto mettere in chiaro che “nonostante siamo uno Stato complesso a livello di eticità ed entità, speriamo di iniziare quanto prima i negoziati” per l’adesione. Duro scambio di battute tra i premier di Kosovo, Albin Kurti, e Serbia, Ana Brnabić, sulla normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado, anche se il focus singolarmente rimane sull’accesso all’Unione. “Ci sono piccoli passi concreti perché si uniscano alla maggioranza dei Paesi membri”, è il commento del primo sul non-riconoscimento dell’indipendenza di Pristina da parte di Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia. “C’è molto euroscetticismo in Serbia, perché ormai sono passati 10 anni dall’avvio dei negoziati”, ha commentato la premier Brnabić, sottolineando un elemento spesso poco considerato quando si parla dei Balcani Occidentali: “Noi siamo Paesi europei e siamo al centro del continente, questo non è un allargamento ma un’inclusione“.
    A che punto è l’allargamento Ue
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada, su iniziativa rispettivamente del primo ministro georgiano, Irakli Garibashvili, e della presidente moldava Sandu. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.

    Al Bled Economic Forum il presidente del Consiglio Europeo ha anticipato i temi di confronto sull’assorbimento dei “futuri Paesi membri” al prossimo vertice con i Sei balcanici in programma a Bruxelles a dicembre: date-limite, ‘clausola di fiducia’ e riforme dell’Unione (unanimità inclusa)

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    Una cena ad Atene con i leader dei Paesi candidati, a 20 anni da Salonicco. La Grecia torna al centro dell’allargamento Ue

    Bruxelles – Vent’anni dopo, la Grecia vuole tornare protagonista della politica di allargamento Ue. La tavola è apparecchiata per l’appuntamento che questa sera (21 agosto) porterà ad Atene i vertici delle istituzioni comunitarie e i leader dei Paesi candidati all’adesione all’Unione Europea, con un assente eccellente e una strategia ancora tutta da definire, dopo gli ultimi tre vertici Ue-Balcani Occidentali in meno di due anni e tre richieste di ingresso arrivate a seguito dello scoppio della guerra russa in Ucraina. L’ospite della cena informale – il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis – ha ricordato che quest’anno cade il ventesimo anniversario di quel cruciale vertice di Salonicco, quando per la prima volta volta i leader degli allora 15 Paesi membri riuniti in Grecia sancivano ufficialmente la rotta per la futura adesione dei Balcani Occidentali.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos Mitsotakis
    Alla cena di questa sera saranno presenti i presidenti della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e del Consiglio Europeo, Charles Michel, insieme con i leader di Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia, Moldova e Ucraina, oltre a quelli di quattro Paesi membri interessati da vicino dall’allargamento Ue nei Balcani Occidentali e nell’Europa orientale: Bulgaria, Croazia, Romania e Slovenia. Mentre ad Atene dovrebbe recarsi anche il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, a pesare sulla cena è però un assente eccellente tra i Paesi candidati all’adesione Ue: il premier albanese, Edi Rama, non invitato all’evento a causa delle recenti tensioni tra Atene e Tirana per la detenzione dallo scorso 14 maggio del sindaco di etnia greca della città albanese Himarë, Fredi Beleri. Il primo cittadino della cittadina costiera è stato arrestato per una presunta compravendita di voti, ma da tre mesi è in atto un braccio di ferro diplomatico con il governo Mitsotakis, accusato di voler influenzare un’indagine indipendente. Atene rietine che l’arresto sia motivato politicamente e potrebbe utilizzare la leva dell’adesione all’Ue come strumento di ricatto verso Tirana per mettere fine a quella che il governo greco considera una “violazione dei diritti umani”. Al posto di Rama – il politico più influente in Albania, padrone di casa dell’ultimo vertice Ue-Balcani Occidentali – alla cena di questa sera era stato invitato il presidente albanese, Bajram Begaj (il cui ruolo è principalmente cerimoniale). Invito comunque declinato per “impegni precedentemente presi”.
    La foto di famiglia del vertice Ue-Balcani Occidentali del 6 dicembre 2022 a Tirana, Albania
    Attraverso il braccio di ferro con l’Albania e con la decisione di convocare tutti i leader – delle istituzioni comunitarie e dei Paesi partner – ad Atene per una cena informale, la Grecia di Mitsotakis sta cercando di rimettersi al centro del progetto di allargamento Ue e soprattutto della stabilità, pace e sicurezza energetica nella penisola balcanica. Era il 21 giugno 2003 quando i leader Ue dichiaravano a Salonicco che “il futuro dei Balcani è all’interno dell’Unione Europea” e decidevano di tenere vertici periodici sui Balcani Occidentali per accelerare questo processo. Vent’anni più tardi i progressi si registrano a singhiozzo e il rischio di perdere la fiducia di popolazioni europeiste accompagna puntualmente ogni appuntamento politico sulla questione.
    La cena di questa sera sarà un’altra occasione per un confronto informale sul percorso di adesione dei Paesi partner, che precede la pubblicazione dell’annuale Pacchetto di allargamento Ue (atteso per ottobre) e arrivato a due mesi dalla presentazione orale dello stato di avanzamento delle riforme in Ucraina, Moldova e Georgia. Al Consiglio Europeo di dicembre dovrà essere deciso se avviare i negoziati di adesione con le prime due (più la Bosnia ed Erzegovina) e se concedere lo status di Paese candidato alla terza. “Dobbiamo avvicinare i nostri amici, gli aspiranti membri dell’Ue, molto più rapidamente“, ha commentato su X la presidente von der Leyen al suo arrivo ad Atene, promettendo che “continueremo ad abbattere le barriere tra le nostre regioni”.
    A che punto è l’allargamento Ue nei Balcani Occidentali
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
    Il processo di allargamento Ue in cui sono impegnati i sei Paesi dei Balcani Occidentali inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).
    Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.

    Il premier greco, Kyriakos Mitsotakis, ha invitato anche i vertici delle istituzioni comunitarie alla discussioni informale con i partner sulle prospettive di adesione dei Balcani Occidentali, Ucraina e Moldova. Giallo sull’assenza del premier albanese, Edi Rama, per le recenti tensioni bilaterali

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    L’all-in degli europeisti di Europe Now in Montenegro. Dopo il presidente della Repubblica, il primo posto in Parlamento

    Bruxelles – Il Montenegro è entrato definitivamente in una nuova era politica. Dopo la presidenza della Repubblica, il partito europeista Europe Now ha conquistato anche il primo posto all’Assemblea nazionale alle elezioni anticipate di ieri (11 giugno). “Questa è una grande vittoria, ora parleremo con tutti coloro che condividono i nostri valori”, è stato il commento a caldo del leader del partito, Milojko Spajić, dopo lo storico risultato nel Paese balcanico.
    (credits: Savo Prelevic / Afp)
    Europe Now non ha solo conquistato il 25,6 per cento delle preferenze degli elettori, ma per la prima volta nella storia del Montenegro ha relegato al secondo posto il Partito Democratico dei Socialisti (Dps), la maggiore forza politica dal 1991 ma ieri fermatosi al 23,2 (12 punti percentuali in meno rispetto alle elezioni del 2020). In attesa dei risultati definitivi, l’istituto Centre for Monitoring and Research ha fornito una proiezione della distribuzione dei seggi con il 98,7 per cento delle schede elettorali scrutinate, in cui emerge il trionfo di Europe Now con 24 deputati (su 81), seguito dal Dps con 21. Ma decisive saranno le alleanze che cercherà di mettere in campo la forza politica nata nel febbraio dello scorso anno: la coalizione guidata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) del premier uscente Dritan Abazović ha conquistato il 12,5 per cento dei voti e 11 seggi, mentre i filo-serbi e pro-Ue di ‘Per il futuro del Montenegro’ (guidati da un altro ex-premier, Zdravko Krivokapić) il 14,7 per cento e 13 seggi. Insieme le tre forze possono contare su 48 seggi, con la possibilità di una convergenza di altri piccoli partiti che rappresentano le minoranze etniche nel Paese (bosniaca, albanese e croata).
    Lo scorso 2 aprile il Montenegro aveva già assisto al primo tempo della transizione politica, con la fine del potere del padre-padrone del Paese, Milo Đukanović. Alle elezioni presidenziali il candidato di Europe Now, Jakov Milatović, è stato eletto con il 60 per cento delle preferenze al secondo turno di voto ed è entrato in carica il 23 maggio. “Entro i prossimi cinque anni porteremo il Montenegro nell’Unione Europea”, è stata la promessa del neo-presidente, a dimostrazione che le tendenze filo-serbe nel Paese non necessariamente sono contrarie alla visione europeista delle relazioni internazionali. Dopo il risultato delle elezioni presidenziali di ieri, il processo di adesione all’Ue del Paese balcanico iniziato nel 2012 potrebbe uscirne rafforzato con un governo più stabile. Non è un caso se dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia il 24 febbraio dello scorso anno, il Montenegro ha aderito immediatamente alle sanzioni Ue contro Mosca, ha inviato aiuti a Kiev e ha aderito a una nuova iniziativa balcanica per il rafforzamento dell’allineamento alla politica estera dell’Unione. “Il Montenegro è un partner importante per l’Ue e il più avanzato sulla strada verso l’adesione“, ha commentato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano.
    La situazione politica in Montenegro
    L’ex-presidente del Montenegro, Milo Đukanović, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    La crisi per il Dps e Đukanović è iniziata con le elezioni del 30 agosto 2020, quando in Montenegro sono cambiati gli equilibri politici dopo 30 anni di governo ininterrotto. Al potere era andata per poco più di un anno una colazione formata dai filo-serbi di ‘Per il futuro del Montenegro’ (dell’allora premier Krivokapić), dai moderati di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e dalla piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) di Abazović. Il 4 febbraio dello scorso anno era stata proprio ‘Nero su bianco’ a sfiduciare il governo Krivokapić, appoggiando una mozione dell’opposizione e dando il via a un governo di minoranza guidato da Abazović. Lo stesso governo Abazović è però crollato il 19 agosto (il più breve della storia del Paese) con la mozione di sfiducia dei nuovi alleati del Dps di Đukanović, a causa del cosiddetto ‘accordo fondamentale’ con la Chiesa ortodossa serba. L’intesa per regolare i rapporti reciproci – con il riconoscimento della presenza e della continuità della Chiesa ortodossa serba in Montenegro dal 1219 – è stata appoggiata dai partiti filo-serbi, mentre tutti gli altri l’hanno rigettata, perché considerata un’ingerenza di Belgrado nel Paese e un ostacolo per la strada verso l’adesione all’Ue.
    Mentre Abazović è rimasto premier ad interim, a partire dal settembre dello scorso anno si è aggravata anche la crisi istituzionale. A sparigliare le carte è stato il via libera a una contestatissima legge sugli obblighi del presidente nella nomina dell’esecutivo, che permetterebbe ai parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato. In caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrebbe l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato. Al contrario, secondo la Costituzione del Montenegro il presidente ha solo il dovere di organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro un massimo di 30 giorni. Dopo il primo via libera di inizio novembre la tensione è aumentata esponenzialmente fino al voto decisivo di un mese più tardi.
    Il presidente del Montenegro, Jakov Milatović (credits: Savo Prelevic / Afp)
    Il vero problema si è però innestato con la parallela vacanza di quattro membri (su sette) della Corte Costituzionale, l’unico organismo istituzionale che può valutare nel merito la legge contestata. Senza la sua piena funzionalità non è stato possibile considerare il voto dell’Assemblea nazionale in linea con la raccomandazione della Commissione di Venezia, l’organo consultivo del Consiglio d’Europa che ha un ruolo-chiave nell’adozione di Costituzioni conformi agli standard europei. Dopo mesi di vacanza e di richiami internazionali, lo scorso 27 febbraio l’Assemblea del Montenegro è riuscita a eleggere tre giudici della Corte Costituzionale vacanti (si rimane ancora in attesa del quarto), condizione di base per ripristinare la piena funzionalità dell’istituzione montenegrina e per continuare il percorso europeo del Paese. Dopo il rifiuto a nominare un nuovo primo ministro, lo scorso 16 marzo Đukanović ha sciolto il Parlamento e ha indetto nuove elezioni anticipate per l’11 giugno, prima di perdere la carica di presidente il 3 aprile.
    Chi guida Europe Now
    La doppia tornata elettorale in poco più di due mesi è stato il primo vero banco di prova nazionale per il nuovo movimento europeista Europe Now, dopo essersi piazzato al secondo posto alle amministrative dell’ottobre dello scorso anno nella capitale Podgorica. A guidare il partito sono Spajić e il neo-presidente Milatović, rispettivamente ministro delle Finanze e dell’Economia e dello Sviluppo economico nella grande coalizione anti-Đukanović guidata dal 4 dicembre 2020 al 28 aprile 2022 da Krivokapić. Durante l’anno e mezzo di governo i due hanno presentato un programma di riforme economiche intitolato proprio ‘Europe Now’, che comprendeva misure come il taglio dei contributi sanitari e l’aumento del salario minimo a 450 euro.
    I due tecnocrati hanno annunciato la volontà di fondare un nuovo partito di centro-destra liberale, anti-corruzione ed europeista dopo la caduta del governo Krivokapić nel febbraio 2022 – poi effettivamente fondato il 26 giugno – anticipando l’intenzione di collaborare con altre formazioni civiche e di centro in vista delle elezioni parlamentari del 2023. Una delle missioni di Europe Now sarà proprio quella di accompagnare il Paese balcanico nell’Unione Europea: il Montenegro ha fatto richiesta di adesione il 15 dicembre 2008, ottenendo due anni più tardi lo status di Paese candidato (il 17 dicembre 2010) e dopo altri due anni l’avvio dei negoziati (29 dicembre 2012). Da 11 anni Podgorica si trova a questo stadio nel lungo processo di adesione all’Unione.

    Alle elezioni anticipate il partito del neo-presidente Jakov Milatović ha conquistato un quarto delle preferenze, relegando al secondo posto il Partito Democratico dei Socialisti per la prima volta nella storia del Paese. Ora si cerca un accordo per una larga maggioranza pro-Ue

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    L’Ue ha siglato un nuovo accordo con il Montenegro per dispiegare Frontex lungo tutte le frontiere del Paese

    Bruxelles – Il secondo Paese dei Balcani Occidentali, il terzo partner dell’Ue candidato all’adesione che a partire dal primo luglio garantirà il dispiegamento provvisorio degli agenti Frontex anche lungo le frontiere non comuni con l’Unione. Il Montenegro ha siglato oggi (16 maggio) un accordo con la Commissione Europea sul nuovo mandato dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, che consentirà di organizzare operazioni congiunte e di dispiegare squadre di gestione delle frontiere nel Paese balcanico candidato all’adesione.
    La commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, e il ministro degli interni del Montenegro, Filip Adžić
    L’accordo tra Bruxelles e Podgorica è stato firmato al Palazzo del Berlaymont (sede dell’esecutivo comunitario) tra la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, il ministro degli interni montenegrino, Filip Adžić, e il ministro svedese per la Giustizia e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Gunnar Strömmer, a uno solo giorno dal via libera dei 27 titolari Ue per la Giustizia e gli Affari interni. “L’intero processo è stato estremamente efficiente e ha definito uno standard su cui future negoziati saranno misurate, sono passati solo sei mesi dall’inizio dei negoziati e dalla presentazione del Piano sulla rotta balcanica”, ha commentato la commissaria Johansson nel corso della cerimonia di firma dell’intesa. Dal primo luglio l’intesa sarà applicata in maniera provvisoria, in attesa del via libera definitivo dal Parlamento Ue. “La migrazione è una sfida che possiamo affrontare solo se siamo uniti”, ha aggiunto Johansson, sottolineando che “dobbiamo implementare un modello di gestione delle frontiere sicuro, dignitoso e che assicuri che chi ha diritto alla protezione possa averne accesso”.
    L’accordo con Podgorica si inserisce nell’ambito del nuovo regolamento di Frontex del 2019, che prevede l’assistenza dell’Agenzia Ue ai Paesi partner in tutto il territorio nazionale e non solo nelle regioni confinanti con l’Unione: il Montenegro è il caso più esemplificativo, dal momento in cui è l’unico Paese balcanico a non avere alcun tratto di confine in comune con l’Ue (si potrebbe dire lo stesso del Kosovo, ma rimane ancora un buco nero per l’assenza di unanimità tra i Ventisette sul riconoscimento della sua sovranità e di conseguenza di un accordo in vigore con Frontex). L’accordo così negoziato consentirà all’Agenzia di assistere le autorità di Podgorica nella gestione delle persone migranti in arrivo, nel contrastare l’immigrazione irregolare e nell’affrontare la criminalità trans-frontaliera e – a differenza del precedente mandato – con poteri esecutivi, come i controlli di frontiera e la registrazione delle persone. In altre parole, i corpi permanenti dell’Agenzia Ue saranno dispiegati con pieni poteri esecutivi lungo i confini del Paese balcanico con Albania, Serbia, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo.
    Gli accordi Frontex con i Balcani Occidentali
    Il dispiegamento degli agenti Frontex su tutte le frontiere del Montenegro si basa sulla decisione dello scorso 18 novembre da parte del Consiglio dell’Ue di autorizzare la Commissione ad avviare negoziati con tutti i Paesi dei Balcani Occidentali e con la Repubblica di Moldova per ampliare gli accordi sulla cooperazione dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, su raccomandazione dello stesso esecutivo comunitario il 26 ottobre.
    Gli accordi sullo status di Frontex nell’ambito del precedente mandato dell’Agenzia europea erano stati conclusi con l’Albania nell’ottobre 2018, con il Montenegro nell’ottobre 2019 e con la Serbia un mese più tardi, mentre dal 2017 è in stallo quello con la Bosnia ed Erzegovina, mai firmato dal momento dell’entrata in vigore del regolamento rivisto.
    Al momento sono tre i Paesi con cui è entrato in vigore il nuovo mandato Frontex: Moldova, Macedonia del Nord e Montenegro (rimangono ancora Albania, Bosnia ed Erzegovina e Serbia). L’accordo con Chișinău è arrivato nel marzo dello scorso anno, seguito a sette mesi di distanza da quello con Skopje, nel corso della tappa nella capitale macedone della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen (nel contesto del suo viaggio nei Balcani Occidentali). Il 26 ottobre la numero uno dell’esecutivo comunitario ha dato il benestare al dispiegamento dei corpi Frontex sia alle frontiere con l’Unione (Grecia e Bulgaria) sia con gli altri Paesi balcanici extra-Ue (Serbia, Kosovo e Albania). Si è trattato del primo documento ufficiale firmato dal momento dell’avvio dei negoziati di adesione all’Ue della Macedonia del Nord, in cui ha rivestito un ruolo significativo la traduzione anche in lingua macedone.

    Con l’intesa firmata dalla commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, i corpi permanenti dell’Agenzia potranno operare anche alle frontiere interne del partner balcanico. Lo stesso è stato fatto con Macedonia del Nord e Moldova (in attesa di Albania, Bosnia ed Erzegovina e Serbia)

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    Inizia una nuova era per il Montenegro. Bruxelles indica al nuovo presidente Milatović il lavoro sulle riforme verso l’Ue

    Bruxelles – Il Paese più avanzato sul cammino verso l’adesione all’Unione Europea è entrato in una nuova era politica. Per la prima volta in 32 anni il Montenegro non è né governato né presieduto da Milo Đukanović, padre-padrone dello Stato balcanico prima e dopo l’indipendenza nazionale nel 2006. Dopo il primo turno di due settimane fa, che già aveva indicato l’alta probabilità di un cambio di guardia a Podgorica, il ballottaggio di ieri (2 aprile) ha sancito la vittoria di Jakov Milatović, che diventerà il nuovo presidente del Montenegro a partire dal prossimo 23 maggio.
    Il nuovo presidente del Montenegro, Jakov Milatović (credits: Savo Prelevic / Afp)
    “Entro i prossimi cinque anni porteremo il Montenegro nell’Unione Europea“, ha esultato il neo-presidente dopo la pubblicazione dei risultati del secondo turno di voto, che lo ha visto trionfare con il 60 per cento delle preferenze sullo sfidante ed ex-presidente Đukanović e il 70 per cento di affluenza al voto. Filtra ottimismo anche a Bruxelles, dove il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, ha subito commentato la vittoria di Milatović: “Congratulazioni al nuovo presidente, non vedo l’ora di iniziare il lavoro per accelerare le riforme necessarie sul percorso del Montenegro verso l’Ue”.
    Parlando alla stampa europea, il portavoce della Commissione Ue responsabile per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Peter Stano, ha sottolineato che l’esecutivo comunitario è pronto a lavorare con Milatović e “tutti gli attori politici per aiutare il Paese a rimanere saldo nel percorso di adesione Ue e costruire il consenso sull’implementazione delle riforme sullo Stato di diritto e sulla giustizia“. Il supporto di Bruxelles è motivato dal fatto che l’adesione all’Unione è sostenuta dalla “maggioranza schiacciante della popolazione montenegrina” e in questo contesto “la stabilità politica nel Paese è chiave per continuare il percorso” per diventare il 28esimo Stato membro Ue.
    Chi è il nuovo presidente del Montenegro
    L’economista 36enne, che aveva solo cinque anni quando Đukanović salì al potere nel 1991 come primo ministro della Repubblica di Montenegro (allora parte della Repubblica Federale di Jugoslavia), è un personaggio relativamente noto a livello nazionale. Dopo aver lavorato per il gruppo bancario e finanziario sloveno Nlb Group a Podgorica e per Deutsche Bank a Francoforte, nel 2014 è entrato nel team di analisi economica e politica della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Bers) e dal 4 dicembre 2020 al 28 aprile 2022 è stato ministro dell’Economia e dello Sviluppo economico nella grande coalizione anti-Đukanović guidata da Zdravko Krivokapić. Durante l’anno e mezzo di governo Milatović ha presentato insieme al ministro delle Finanze, Milojko Spajić, un programma di riforme economiche intitolato proprio ‘Europe Now’, che comprendeva misure come il taglio dei contributi sanitari e l’aumento del salario minimo a 450 euro.
    I due tecnocrati hanno annunciato la volontà di fondare un nuovo partito di centro-destra liberale, anti-corruzione ed europeista dopo la caduta del governo Krivokapić nel febbraio 2022 – poi effettivamente fondato il 26 giugno – anticipando l’intenzione di collaborare con altre formazioni civiche e di centro, come la coalizione moderata di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e la piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) del premier dimissionario, Dritan Abazović. Alle amministrative di ottobre nella capitale Podgorica Milatović ha corso come candidato sindaco per Europe Now, piazzandosi al secondo posto. Dopo la squalifica di Spajić da parte della commissione elettorale centrale per il possesso di cittadinanza serba – vietata dalla legge montenegrina per chi vuole correre per la presidenza della Repubblica – si è candidato come sfidante di Đukanović alla prima carica del Paese.
    Festeggiamenti di elettrici filo-serbe in Montenegro dopo la vittoria di Jakov Milatović alle presidenziali del 2 aprile 2023 (credits: Savo Prelevic / Afp)
    “Sarò il presidente di tutti i cittadini, guiderò il Paese verso l’integrazione europea e promuoverò il recupero morale e sociale del Montenegro, depoliticizzando e rafforzando le istituzioni”, ha promesso Milatović. Il nuovo presidente è anche favorevole a relazioni più strette con la vicina Serbia (nonostante nel 2006 abbia votato a favore dell’indipendenza da Belgrado) e non a caso è stato sostenuto esplicitamente dai candidati dei partiti più rappresentati in Parlamento sconfitti al primo turno, sia il leader del partito nazionalista filo-serbo Fronte Democratico, Andrija Mandić, sia quello del partito populista conservatore Montenegro Democratico, Aleksa Bečić. Anche se si tratta della questione più delicata sulla scena politica montenegrina – il co-fondatore di Europe Now Spajić ha svolto attività di lobbying negli Stati Uniti a favore degli interessi della Chiesa serbo-ortodossa nel Paese – le tendenze filo-serbe non necessariamente sono contrarie alla visione europeista delle relazioni internazionali e il processo di adesione all’Ue del Paese balcanico iniziato nel 2012 e ribadito con una nuova iniziativa balcanica non dovrebbe subire contraccolpi.
    La situazione politica in Montenegro
    Per la prima volta in 32 anni sulla scena politica nazionale Đukanović non rivestirà alcun ruolo. Il leader del Partito Democratico dei Socialisti (Dps) è stato premier dal 1991 al 1998 e poi di nuovo dal 2003 al 2006, dal 2008 al 2010 e dal 2012 al 2016, portando anche all’adesione del Montenegro alla Nato (formalmente dal 5 giugno 2017). Tra il 1998 e il 2003 e dal 2018 a oggi ha rivestito il ruolo presidente, in un periodo cruciale per il passaggio della Repubblica da federata con la Serbia a indipendente. I rivali di Đukanović accusano il quasi ex-presidente e il suo partito di corruzione e di legami con la criminalità organizzata, ma anche di aver politicizzato le istituzioni nazionali, con particolare riferimento alla crisi istituzionale aggravatasi negli ultimi mesi dello scorso anno.
    L’ex-presidente del Montenegro, Milo Đukanović, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    Tutto è legato alla legge sugli obblighi del presidente nella nomina dell’esecutivo, che permetterebbe ai parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato. In caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrebbe l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato. Al contrario, secondo la Costituzione del Montenegro il presidente ha solo il dovere di organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro un massimo di 30 giorni. Dopo il primo via libera di inizio novembre la tensione è aumentata esponenzialmente fino al voto decisivo di un mese più tardi. Il problema è stata la parallela vacanza di quattro membri (su sette) della Corte Costituzionale, l’unico organismo istituzionale che può valutare nel merito la legge contestata. Dopo mesi di vacanza e di richiami internazionali, lo scorso 27 febbraio l’Assemblea del Montenegro è riuscita a eleggere tre giudici della Corte Costituzionale vacanti (manca ancora il quarto), condizione di base per ripristinare la piena funzionalità dell’istituzione montenegrina.
    Dopo il rifiuto a nominare un nuovo primo ministro, lo scorso 16 marzo Đukanović ha sciolto il Parlamento e ha indetto nuove elezioni anticipate per l’11 giugno. Il risultato delle presidenziali potrebbe ora mettere ancora più in crisi il Partito Democratico dei Socialisti, che ha perso ieri l’ultima leva di potere che ancora deteneva. Dopo il risultato fallimentare delle elezioni politiche dell’agosto 2020 i socialisti hanno perso anche il controllo delle due città più grandi del Paese, Podgorica e Nikšić, alle amministrative dello scorso autunno e dal prossimo 23 maggio non esprimeranno più nemmeno la presidenza della Repubblica. La nuova era per il Montenegro è già iniziata, e il ritorno al voto anticipato per il rinnovo del Parlamento potrebbe essere l’ultima occasione per il padre-padrone della nazione di mantenere ancora la presa sul Paese.

    Il 36enne fondatore di Europe Now è stato eletto leader del Paese balcanico, mettendo fine al potere trentennale del socialista Milo Đukanović. Il sostegno dei partiti filo-serbi non sembra preoccupare la Commissione Ue, considerato il posizionamento europeista del partito