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    La Commissione ha raccomandato la concessione dello status di candidato all’adesione Ue alla Bosnia ed Erzegovina

    Bruxelles – Il nuovo Pacchetto Allargamento della Commissione Europea presenta una novità particolarmente attesa in Bosnia ed Erzegovina, in particolare dopo le delusioni del vertice Ue-Balcani Occidentali di giugno. A sei anni dalla richiesta di adesione all’Unione Europea da parte di Sarajevo, la Commissione Ue ha raccomandato al Consiglio di concedere alla Bosnia lo status di Paese candidato all’adesione all’Unione. Lo ha reso noto il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, in audizione alla commissione Affari esteri (Afet) del Parlamento Ue, presentando il Pacchetto Allargamento 2022: “Rispetto all’anno scorso il nostro compito è cambiato, c’è stata un’enorme evoluzione nella politica di allargamento dopo l’aggressione russa all’Ucraina”.
    L’allargamento dell’Unione nella regione balcanica è “più importante che mai per motivi geopolitici, per garantire la pace e la stabilità sul continente“, come ha dimostrato la “reazione immediata” delle richieste di adesione di Ucraina, Moldova e Georgia a pochi giorni dall’inizio dell’invasione russa. Al vertice dei leader Ue di giugno “c’è stato un chiaro impegno”, con la concessione dello status di candidati a Kiev e Chişinău e la prospettiva europea per Tbilisi: “Dal prossimo nel Pacchetto Allargamento avremo 10 relazioni, ma già entro la fine dell’anno intendiamo presentare una valutazione sulle capacità dei tre nuovi partner di colmare le lacune evidenziate nelle nostre valutazioni”, ha aggiunto il commissario Várhelyi.
    Pensando al presente, però, “tutti i sei Paesi dei Balcani Occidentali devono aderire il prima possibile all’Unione”, ha avvertito il titolare per l’Allargamento nel gabinetto von der Leyen, parlando della raccomandazione del Collegio dei commissari di oggi (mercoledì 12 ottobre) ai Ventisette di concedere lo status di Paese candidato all’adesione Ue anche alla Bosnia ed Erzegovina. La decisione – che “spetterà al Consiglio Europeo, probabilmente al vertice di dicembre” – sarà comunque condizionata sia dal rispetto delle 14 priorità-chiave sia dall’adozione di diverse misure da parte di Sarajevo, elencate in un report tutt’altro che incoraggiante sui progressi fatti nel campo giudiziario, politico e dello Stato di diritto (anche considerate le tensioni nella Republika Srpska).
    Facendo appello alla “responsabilità di tutte le forze politiche” dopo le elezioni dello scorso 2 ottobre, il commissario ha spiegato che in Bosnia dovranno essere approvate “in via prioritaria” la legge sul Consiglio superiore della magistratura, quella sulla prevenzione del conflitto di interessi e misure per rafforzare la prevenzione e la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata. Fondamentale anche il coordinamento “a tutti i livelli” della gestione delle frontiere e del funzionamento del sistema di asilo, l’istituzione di un meccanismo nazionale di prevenzione contro la tortura, ma anche l’adozione di un programma nazionale per l’acquis Ue e la libertà di espressione e la protezione dei giornalisti. “Quella che stiamo offrendo è una grande opportunità per la Bosnia, che arriva una volta nella vita e che i cittadini meritano“, ha sottolineato con forza il commissario Várhelyi. Tutto questo comunque “dovrà essere soddisfatto prima di poter pensare di aprire i negoziati di adesione” all’Unione.

    ❗ BREAK: European Commission to recommend candidate status for Bosnia and Herzegovina 🇧🇦 in the European Parliament this afternoon. An absolute necessity for a geopolitical EU. Member States must now make the right call and support the people of BiH on their European path. pic.twitter.com/Q7V8D0R7WM
    — Thijs Reuten 🇪🇺🌹 (@thijsreuten) October 12, 2022

    Gli altri dossier del Pacchetto Allargamento 2022
    Non c’è solo la Bosnia al centro dell’attenzione di Bruxelles sui progressi dei Paesi candidati (o quasi) all’adesione Ue. Presentando le altre sei relazioni – compresa la Turchia, che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale – è soprattutto la Serbia a destare le maggiori preoccupazioni: “Deve essere un partner e alleato sincero, per promuovere la sicurezza sul continente, e deve rivedere le sue posizioni per allinearsi all’Ue e distanziarsi di più dalla Russia“, è l’ennesima esortazione del commissario Várhelyi. In ogni caso, Belgrado è “un importante partner economico, che va aiutato ad affrontare le sfide energetiche” e che allo stesso tempo sta proseguendo sul cammino di avvicinamento agli standard Ue, “come dimostra il referendum sulle riforme costituzionali di gennaio“.
    Tutti gli altri quattro partner balcanici sono “completamenti allineati alla politica estera e di difesa” dell’Unione Europea, in particolare dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina. Macedonia del Nord e Albania presentano “importanti progressi con risultati concreti” sul piano dell’attuazione delle riforme richieste, spinte anche dallo sblocco dello stallo sull’avvio dei negoziati di adesione lo scorso 19 luglio. Tirana deve però accelerare l’iter sulla libertà di espressione e il diritto di proprietà intellettuale (mentre la riforma della giustizia è “un esempio di serietà nel rafforzamento dello Stato di diritto”), Skopje deve fare passi in avanti sulla riforma dell’amministrazione pubblica ed entrambi i governi devono impegnarsi sulla lotta alla corruzione.
    In una posizione più complessa – anche se sulla carta più avanzata – è il Montenegro, ancora fermo sui capitoli negoziali 23 (potere giudiziario e diritti fondamentali) e 24 (giustizia e affari interni): “La valutazione del 2021 era identica, rimangono una seria preoccupazione“, ha confessato il commissario per l’Allargamento agli eurodeputati. Di fronte a una situazione instabile sul piano politico (che ha recentemente visto in crisi anche il governo di scopo guidato da Dritan Abazović), è necessario “un serio sforzo da parte di tutte le forze partitiche nel settore giudiziario”, così come nella libertà di espressione e dei media, e nella lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata. Oltre alla Bosnia, anche il Kosovo è l’unico Paese dei Balcani Occidentali a cui non è ancora stato riconosciuto lo status di Paese candidato (Pristina ha annunciato che entro la fine dell’anno farà richiesta di adesione). “Vorremmo vedere un cammino più rapido sul programma di riforme, ma c’è un rafforzamento dello Stato democratico”, ha confermato Várhelyi. Rinnovata la raccomandazione al Consiglio di liberalizzare il regime dei visti per i cittadini kosovari e chiesto infine un “approccio costruttivo da parte di tutti gli attori” per quanto riguarda il dialogo Pristina-Belgrado.

    A sei anni dalla richiesta di adesione all’Unione Europea, nel Pacchetto Allargamento 2022 l’esecutivo comunitario ha incluso per la prima volta l’esortazione al Consiglio di riconoscere lo status a Sarajevo. La decisione finale spetterà ora ai 27 leader Ue (probabilmente a dicembre)

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    Una nuova manifestazione di massa in Georgia ha chiesto le dimissioni del governo per aver fallito sulla candidatura UE

    Bruxelles – Una nuova manifestazione di decine di migliaia di persone è andata in scena ieri sera (domenica 3 luglio) nella capitale della Georgia, Tbilisi, per chiedere le dimissioni del governo guidato dal partito Sogno Georgiano, dopo il mancato ottenimento dello status di Paese candidato all’adesione all’Unione Europea. A convocare le proteste pro-UE sono stati gli stessi organizzatori della ‘marcia per l’Europa’ del 20 giugno scorso, quando oltre 100 mila persone avevano cercato di spingere i leader dell’Unione a concedere al Paese caucasico la candidatura formale nel corso del Consiglio Europeo del 23-24 giugno.
    Proprio il vertice dei leader UE ha riconosciuto a Tbilisi la possibilità di concedere lo status di Paese candidato “una volta affrontate le priorità” rilevate dal parere della Commissione Europea, riconoscendo per il momento solo la prospettiva europea dell’ex-Repubblica sovietica del Caucaso (indipendente dal 9 aprile 1991). A fronte di questo insuccesso agli occhi dei gruppi pro-democrazia e dei partiti di opposizione, migliaia di cittadini si sono radunati davanti alla sede del Parlamento della Georgia per partecipare alla manifestazione: sono state esposte due enormi bandiere – una bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e una con le dodici stelle su campo blu (dell’UE) – su molti cartelli è comparsa la scritta We are Europe, e oltre all’inno georgiano si è sentito a più riprese l’Inno alla Gioia, quello ufficiale dell’Unione Europea.
    Gli organizzatori della manifestazione hanno chiesto al premier Irakli Garibashvili di “cedere il potere esecutivo e trasferirlo, in modo costituzionale, a un governo di accordo nazionale” in Georgia. Al centro delle polemiche c’è il ruolo e l’influenza politica dell’oligarca Bidzina Ivanishvili, leader del partito al governo Sogno Georgiano, che non a caso compare nella risoluzione non vincolante approvata il 7 giugno dal Parlamento Europeo, con la richiesta di imporre nei suoi confronti sanzioni personali. Nel parere della Commissione UE sulla candidatura della Georgia è stata rilevata non solo la necessità di risolvere la polarizzazione politica e di implementare le riforme giudiziarie, ma anche una serie di preoccupazioni sulla lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, l’indipendenza e la sicurezza dei giornalisti e sul potere degli oligarchi. Secondo i manifestanti il nuovo esecutivo “realizzerà le riforme richieste dall’UE, che ci porteranno automaticamente allo status di candidato” all’adesione all’Unione. I leader di Sogno Georgiano hanno accusato l’opposizione di aver messo in moto un “piano per rovesciare le autorità organizzando manifestazioni antigovernative”.

    People unfolding the second big EU flag outside the parliament in Tbilisi. pic.twitter.com/gQGcBvxchD
    — Mariam Nikuradze (@mari_nikuradze) July 3, 2022

    La Georgia confina a nord con la Russia e ha chiesto di aderire all’Unione Europea a pochi giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. La candidatura della Georgia all’adesione UE e NATO – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino, che nell’agosto del 2008 aveva portato all’invasione (per cinque giorni) della Georgia da parte dell’esercito russo. Da allora Mosca riconosce i territori separatisi dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia come Stati indipendenti e ha dislocato migliaia di soldati nell’area, per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia.
    In un percorso di avvicinamento verso l’Unione Europea, nel 2016 è entrato pienamente in vigore (dopo due anni di provvisorietà) l’Accordo di associazione politica ed economica tra Bruxelles e Tbilisi. La Georgia è anche inclusa dal 2009 nel Partenariato orientale, il programma di integrazione tra l’Unione i Paesi di quest’area geopolitica, insieme a Ucraina, Repubblica di Moldova, Armenia, Azerbaijan e Bielorussia (anche se nel giugno del 2021 quest’ultima ha sospeso l’adesione). Tuttavia, nessuna delle due intese ha come obiettivo o come clausola l’adesione della Georgia all’UE e solo il via libera del Consiglio Europeo può aprire la strada verso la candidatura all’adesione.

    Per gli organizzatori e i partiti di opposizione, il partito Sogno Georgiano dell’oligarca Bidzina Ivanishvili deve “cedere il potere esecutivo e trasferirlo, in modo costituzionale, a un governo di accordo nazionale”, che “realizzerà le riforme richieste” da Bruxelles

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    Il premier croato Plenković indica all’UE la “cifra storica” del nuovo millennio: “Le nostre democrazie contro le autocrazie”

    Bruxelles – Democrazie contro autocrazie, “questa è la cifra storica del momento in cui viviamo”. Nel suo intervento alla mini-sessione plenaria del Parlamento UE a Bruxelles, il premier della Croazia, Andrej Plenković, è stato particolarmente chiaro nell’illustrare la posizione che l’Unione deve continuare a portare avanti nell’approccio alla guerra russa in Ucraina e sul piano della dimensione esterna: “Siamo all’apice degli standard globali di democrazia, dobbiamo prendere la leadership della difesa e della promozione dei valori fondamentali, soprattutto nei confronti dei nostri vicini”.
    Il primo ministro della Croazia, Andrej Plenković, alla plenaria del Parlamento UE a Bruxelles (22 giugno 2022)
    Considerando lo “stravolgimento dell’ordine internazionale” provocato dall’invasione russa dell’Ucraina, il premier croato ha iniziato la propria analisi dalle cause che l’hanno determinato. “Mosca ha rilevato e interpretato una serie di debolezze dell’Occidente nel contesto generale“, che vanno dall’abbandono dell’Afghanistan “nel modo non più decoroso possibile” alla Brexit, passando dalla svolta politica epocale in Germania e gli appuntamenti elettorali in Francia: “Su scala più grande, la Russia si è comportata nello stesso modo del 2008, quando dopo le Olimpiadi di Pechino ha invaso la Georgia”, in un parallelismo con l’aggressione militare dell’Ucraina iniziata dopo la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi invernali di febbraio, sempre a Pechino.
    Ma nel 2022 “abbiamo assistito a un’enorme mobilitazione internazionale” a favore dell’Ucraina, che come ultimo stadio sta portando i Ventisette – e la Croazia “senza ambiguità” – a sostenere la richiesta di adesione di Kiev all’UE: “C’è una posizione comune sul riconoscimento, che sarà confermata al Consiglio di domani“, ha confermato il premier Plenković. Ma Zagabria è tra gli avanguardisti dell’allargamento dell’Unione: “Sosteniamo anche il conferimento dello status a Moldova e Georgia, perché la scelta di offrire la prospettiva europea è un’evoluzione politica cruciale per l’architettura del nostro continente“, o, in altre parole “una svolta enorme nel dibattito sull’Europa e nei confronti di Paesi che ancora non appartengono all’Unione”.
    E proprio su questo punto il premier della Croazia non ha nascosto che l’UE deve lavorare di più sul piano dell’allargamento ai Balcani Occidentali, in particolare nei confronti della Bosnia ed Erzegovina: “Siamo a favore del riconoscimento dello status di Paese candidato all’adesione anche per Sarajevo, non può essere l’ultima ruota del carro, sarebbe ingiustizia storica“, ha attaccato Plenković. Il tema è delicato e coinvolge direttamente i principi-cardine del processo di adesione all’UE (a cui la Bosnia non si è ancora pienamente allineata). Per questo motivo non sono attesi particolari passi in avanti al vertice UE-Balcani Occidentali in programma a Bruxelles appena prima dell’inizio del Consiglio, anche se la Slovenia – sostenuta da Zagabria – dovrebbe presentare una proposta per allineare Sarajevo a Kiev e Chișinău.
    La spinta in avanti di Zagabria deriva anche dal suo “approccio moderno alla sovranità“, come l’ha definito Plenković, ovvero una politica che mira a “raggiungere i nostri obiettivi nazionali, ma lavorando strettamente insieme ai partner e agli amici europei, superando le difficoltà attraverso la solidarietà comune che ci contraddistingue“. Un approccio che ha permesso a “un Paese che è stato riconosciuto a livello internazionale solo 30 anni fa” di continuare a promuovere “la nostra scelta europea”. È così che la Croazia è riuscita non solo ad aderire all’UE nel 2013, ma anche a “rispettare gli obiettivi economici e finanziari per diventare il 20esimo membro dell’Eurozona“. Dal primo gennaio del 2004 Zagabria riuscirà a realizzare “l’obiettivo di più profonda integrazione”, cioè l’adozione della moneta unica. “Ora attendiamo anche l’ingresso nell’area Schengen”, ha esortato Parlamento e Consiglio il premier croato.
    Nell’ottica della sovranità strategica dell’Unione Europea – un’altra forma di “approccio moderno alla sovranità”, per usare le parole di Plenković – la Croazia può rappresentare “un hub energetico da rafforzare, grazie alla nostra posizione geostrategica”. Zagabria sta potenziando un terminale di gas naturale liquefatto (GNL) “portandolo da 2,9 milioni a 6 milioni di metri cubi, con investimenti che serviranno non solo per la nostra economia, ma potenzialmente anche per Bosnia, Slovenia e Ungheria”. Inoltre, “l’oleodotto nell’Adriatico del Nord potrebbe rifornire anche le raffinerie in Serbia e in Slovacchia”, ha sottolineato il primo ministro croato. Gli investimenti in gasdotti, oleodotti e terminali GNL si iscrivono nella strategia di “diventare indipendenti dalle fonti fossili della Russia, garantendo la sicurezza di approvvigionamento energetico ai nostri cittadini e imprese attraverso reti energetiche europee“, per riprendere a una crisi da cui “nessuno rimarrà immune”, ha concluso il suo intervento il premier Plenković.

    Nel suo intervento alla sessione plenaria del Parlamento Europeo, il primo ministro della Croazia ha esortato l’Unione a “promuovere la leadership anche nella sfera esterna” e a riconoscere lo status di Paese candidato all’adesione a Ucraina, Moldova, Georgia e Bosnia ed Erzegovina

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    Decine di migliaia di persone hanno manifestato in Georgia a favore dell’adesione all’Unione Europea

    Bruxelles – Un movimento dal basso per spingere i leader dell’Unione Europea a riconoscere anche alla Georgia i “meriti” per il conferimento dello status di Paese candidato all’adesione UE. Ieri sera (lunedì 20 giugno) nella capitale Tbilisi è andata in scena una grande manifestazione di decine di migliaia di persone – oltre 60 mila secondo i gruppi organizzatori – che ha esortato Bruxelles a garantire all’ex-Repubblica sovietica del Caucaso qualcosa di più della sola “prospettiva europea”.
    La ‘marcia per l’Europa’ è stata organizzata a pochi giorni dal parere formale della Commissione UE sulla richiesta di adesione  arrivata dalla Georgia il 3 marzo scorso. Il gabinetto guidato da Ursula von der Leyen ha riconosciuto le stesse aspirazioni di Ucraina e Moldova – a cui secondo la Commissione dovrebbe essere garantito lo status di candidate all’adesione – e “buone basi per la stabilità”, ma allo stesso tempo ha rilevato la necessità di “ulteriori riforme su una lista di priorità”, aveva spiegato venerdì (17 giugno) il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi.
    Le preoccupazioni di Bruxelles riguardano la polarizzazione politica, lo stato delle riforme giudiziarie, dei progressi sulla lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, l’indipendenza dei media e la sicurezza dei giornalisti, ma soprattutto sul potere degli oligarchi. Tra questi, in particolare, quello di Bidzina Ivanishvili, leader del partito al governo Sogno Georgiano (di cui fa parte anche l’ex-calciatore del Milan, K’akhaber K’aladze, oggi sindaco di Tbilisi), che per il suo controllo capillare dei media e della politica nazionale è sotto l’occhio delle istituzioni comunitarie: il 7 giugno il Parlamento UE ha approvato una risoluzione non vincolante che chiede l’imposizione di sanzioni personali proprio contro Ivanishvili. Secondo la presidente della Commissione von der Leyen, “la porta dell’Unione è totalmente aperta e le tempistiche dell’adesione dipendono solo dalla Georgia“, anche se per il momento la raccomandazione ai leader UE (che si riuniranno in Consiglio il 23-24 giugno) è quella di garantire solo la prospettiva di diventare membro dell’Unione, fino a quando non saranno soddisfatte tutte le priorità.
    Sulle note dell’Inno alla Gioia – l’inno ufficiale dell’UE – e con in mano cartelli con la scritta We are Europe, i manifestanti si sono radunati davanti alla sede del Parlamento georgiano, sventolando bandiere bianche e rosse delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu (dell’Unione Europea). “L’Europa è una scelta e un’aspirazione storica per i georgiani, per la quale tutte le generazioni hanno fatto sacrifici“, hanno dichiarato gli organizzatori, ribadendo che “libertà, pace, sviluppo economico sostenibile, protezione dei diritti umani e giustizia sono i valori che ci uniscono e che sarebbero garantiti dall’integrazione nell’Unione Europea”. Prima della manifestazione, la presidente georgiana, Salomé Zourabichvili, ha chiamato a raccolta i cittadini in un discorso alla televisione nazionale: “Dobbiamo mobilitarci in questa giornata storica per il Paese, il nostro messaggio è che vogliamo una Georgia europea“.

    One of the largest demonstrations in Tbilisi of last 30 years, in support of EU aspirations and against the government at home. pic.twitter.com/MgyVhnMK0Z
    — Ani Chkhikvadze (@achkhikvadze) June 20, 2022

    È stata la stessa presidente Zourabichvili a inviare oggi (martedì 21 giugno) un invito all’omologo polacco, Andrzej Duda, per esortare la nazione “sorella” membro dell’UE a spingere sulla concessione alla Georgia dello status di Paese candidato all’adesione UE al prossimo Consiglio. “Condividiamo un tragico passato comune, di occupazione, di allontanamento dalla famiglia europea“, ha ricordato la leader georgiana, facendo riferimento ai tempi in cui i due Paesi erano Repubbliche sovietiche. Allo stesso modo, “in questo momento contiamo, come sempre, sulla solidarietà e la fratellanza della Polonia per sostenere il nostro cammino verso l’Europa“.
    La Georgia confina a nord con la Russia e ha chiesto di aderire all’Unione Europea a pochi giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, temendo che il disegno del “nuovo mondo” di Putin possa cancellare anche la propria indipendenza (datata 9 aprile 1991, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica). La candidatura della Georgia all’adesione UE e NATO – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino, che nell’agosto del 2008 aveva portato all’invasione (per cinque giorni) della Georgia da parte dell’esercito russo. Da allora Mosca riconosce i territori separatisi dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia come Stati indipendenti e ha dislocato migliaia di soldati nell’area, per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia.
    In un percorso di avvicinamento verso l’Unione Europea, nel 2016 è entrato pienamente in vigore (dopo due anni di provvisorietà) l’Accordo di associazione politica ed economica tra Bruxelles e Tbilisi. La Georgia è anche inclusa dal 2009 nel Partenariato orientale, il programma di integrazione tra l’Unione i Paesi di quest’area geopolitica, insieme a Ucraina, Repubblica di Moldova, Armenia, Azerbaijan e Bielorussia (anche se nel giugno del 2021 quest’ultima ha sospeso l’adesione). Tuttavia, nessuna delle due intese ha come obiettivo o come clausola l’adesione della Georgia all’UE e solo il via libera del Consiglio Europeo potrà aprire la strada verso la candidatura all’adesione.

    My address to President @AndrzejDuda.
    Georgia and Poland share a tragic common past, a past of occupation, of being torn away from the European family. At this time, we count, as always, on the support, solidarity, brotherhood of Poland to support our path toward Europe. pic.twitter.com/06qYbtzPij
    — Salome Zourabichvili (@Zourabichvili_S) June 20, 2022

    La ‘marcia per l’Europa’ a Tbilisi ha esortato i Ventisette a concedere lo status di Paese candidato, dopo che la Commissione ha indicato la necessità di “un’attenta valutazione”. Ma i gruppi europeisti spingono sulla “scelta storica e aspirazione del popolo georgiano”

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    Ucraina e Moldova “meritano lo status di Paesi candidati all’adesione UE”. Per la Georgia serve un’attenta valutazione

    Bruxelles – Giacca gialla e camicia azzurra, i colori della bandiera ucraina. Che il 17 giugno rappresenti una data decisiva per il processo di allargamento dell’Unione Europea lo si capisce già dall’abbigliamento scelto dalla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, per presentare i pareri formali dell’esecutivo comunitario sul conferimento dello status di Paese candidato di adesione all’UE: Ucraina e Repubblica di Moldova subito, Georgia dopo “un’attenta valutazione”. A soli cento giorni dal via libera degli ambasciatori dei Ventisette, il gabinetto von der Leyen ha affidato al Consiglio il compito di decidere (all’unanimità) come e secondo quali tappe dovrà procedere il processo che in prospettiva potrebbe portare nell’Unione tre nuovi membri. A Kiev e Chișinău dovrebbe essere garantito subito lo status di Paese candidato, mentre Tbilisi dovrà lavorare su una serie di priorità, ma con il riconoscimento della prospettiva europea.
    Il collegio dei commissari riunito il 17 giugno 2022 per deliberare i pareri formali sulle richieste di adesione UE di Ucraina, Moldova e Georgia
    “Abbiamo certificato in modo accurato i meriti di ciascun Paese che ha fatto richiesta, secondo i criteri politici, economici e di capacità di assumersi gli obblighi derivanti dall’adesione, come previsto dall’acquis comunitario”, ha esordito la presidente von der Leyen in conferenza stampa. Tutte le attenzioni sono per l’Ucraina, per cui la Commissione raccomanda la prospettiva di diventare membro dell’UE e di concedere lo status di candidato all’adesione, “a condizione che vengano compiute riforme importanti in una serie di settori”, tra cui quello giudiziario, sulla lotta alla corruzione, sulla legislazione anti-oligarchi e su quella per la tutela delle minoranze. In ogni caso, “il popolo ucraino ha dimostrato chiaramente l’aspirazione e la determinazione ad aderire ai valori e standard europei, anche prima della guerra“, ha sottolineato la leader dell’esecutivo comunitario, mettendo in risalto i punti di forza: stabilità delle istituzioni, Stato di diritto, funzionamento della pubblica amministrazione, decentralizzazione, stabilità macroeconomica e finanziaria, sistema elettorale libero ed equo. “Sì, gli ucraini meritano la prospettiva europea e di essere accolti come candidati, ora devono avere il futuro nelle proprie mani”, è stato il “chiaro messaggio” di von der Leyen.
    Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen (17 giugno 2022)
    Come per l’Ucraina, la Commissione raccomanda al Consiglio di riconoscere alla Moldova la prospettiva di diventare membro dell’Unione e lo status di candidato all’adesione UE, sempre secondo i “meriti che devono accompagnare questo processo” soprattutto sul piano delle riforme economiche fondamentali. Nonostante le difficoltà interne per il separatismo della Transnistria, Chișinău “dispone di solide basi” su democrazia e Stato di diritto e ha registrato “progressi nel rafforzamento del settore finanziario e del contesto imprenditoriale”, che garantiscono un “sostanziale avvicinamento” alle condizioni richieste dall’ingresso nel Mercato Unico.
    Leggermente diversa è la situazione della Georgia, che ha sì “le stesse aspirazioni” di Ucraina e Moldova e “buone basi per la stabilità”, ma “sono necessarie ulteriori riforme su una lista di priorità che abbiamo evidenziato“, ha spiegato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi: “Fine della polarizzazione politica, riforme giudiziarie, progressi sulla lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, indipendenza dei media e sicurezza dei giornalisti”. Come ha sottolineato la presidente von der Leyen, “la porta è totalmente aperta e le tempistiche dipendono dalla Georgia“, ma per il momento la Commissione raccomanda al Consiglio di garantire solo la prospettiva di diventare membro dell’UE, fino a quando non saranno soddisfatte tutte le priorità.
    Le tappe del processo di adesione UE
    Le tre richieste per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione UE erano arrivate tutte nel corso della prima settimana di guerra della Russia in Ucraina, tra lunedì (28 febbraio) e giovedì (3 marzo): la prima era stata l’Ucraina, seguita a ruota da Georgia e Moldova. Gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) avevano concordato quattro giorni più tardi di invitare la Commissione Europea a presentare un parere su ciascuna delle domande di adesione, da inviare poi ai leader UE. L’8 aprile a Kiev von der Leyen aveva consegnato al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, il questionario per il processo di elaborazione del parere dell’esecutivo comunitario sulla richiesta di adesione, così come aveva fatto tre giorni più tardi il commissario Várhelyi per Georgia e Moldova. “Tutti i questionari sono stati compilati autonomamente, noi abbiamo dato supporto tecnico per non perdere tempo“, ha spiegato lo stesso commissario europeo, ricordando che “abbiamo usato anche i nostri dati, senza chiedere cose che già sapevamo”.
    Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione, per diventare un Paese membro dell’UE (Ucraina, Georgia e Moldova, in questo caso), è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen, ovvero le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno). Ottenuto il parere positivo della Commissione, si può arrivare o alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione – un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente, utilizzato in particolare per i Balcani Occidentali, a cui viene offerta la prospettiva di adesione – o direttamente il conferimento dello status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.
    Oltre alle candidature di Moldova, Georgia e Ucraina, il processo di allargamento UE coinvolge già i sei Paesi dei Balcani Occidentali – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – e la Turchia, i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente dal 2014 e dal 2012, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord è bloccato dal 2018 prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello attuale della Bulgaria contro Skopje (dalla fine del 2020). La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016, mentre il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione.
    La situazione dello stallo del processo di allargamento nella regione sarà al centro delle discussioni del prossimo vertice UE-Balcani Occidentali, in programma a Bruxelles giovedì prossimo (23 giugno), ma nella sede della Commissione non si respira un clima positivo: “Non sono a conoscenza di quadri negoziali tra Macedonia del Nord e Bulgaria, ma solo di un blocco di cui non sono per niente soddisfatto”, ha commentato seccamente il commissario Várhelyi. Per quanto riguarda il processo della Bosnia ed Erzegovina – che sarebbe sorpassata da destra da Ucraina e Moldova – “stiamo aspettando che il Paese soddisfi le 14 priorità già presentate nella nostra opinione al Consiglio“, perché “se le rinegoziassimo, mineremmo la credibilità del processo di allargamento“, ha puntualizzato il titolare della Politica di allargamento dell’esecutivo comunitario.

    È quanto emerge dai pareri formali della Commissione UE sulle richieste di Kiev e Chișinău, che passeranno al tavolo del Consiglio Europeo. A Tbilisi dovrebbe essere garantita la prospettiva di diventare Paese membri, ma serviranno forti riforme politiche, economiche e sociali

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    Macron tenta il colpaccio in extremis. Proverà la mediazione Skopje-Sofia per l’adesione UE della Macedonia del Nord

    Bruxelles – Tre settimane per riuscire dove tre presidenze di turno del Consiglio dell’UE (tedesca, portoghese e slovena) hanno fallito prima di lui. Il presidente francese, Emmanuel Macron, vuole mettere la ciliegina sulla torta di un semestre in cui l’Eliseo ha dovuto affrontare – insieme a Consiglio, Commissione e Parlamento – prove inaspettate per l’Unione Europea, come la guerra in Ucraina e le conseguenze globali sul piano energetico, umanitario, alimentare e militare. Ma c’è un’altra sfida che si protrae ormai da decenni e che negli ultimi mesi sta dimostrando tutta la sua urgenza: il processo di adesione dei Paesi dei Balcani Occidentali all’UE e, in particolare, l’avvio dei negoziati con Macedonia del Nord e Albania.
    È per questo motivo che, a 23 giorni dalla fine della presidenza di turno francese del Consiglio dell’UE, l’inquilino dell’Eliseo vuole entrare nella storia dell’Unione anche per aver sbloccato lo stallo causato dal veto della Bulgaria all’accesso della Macedonia del Nord all’UE (che porta con sé anche quello dell’Albania, all’interno dello stesso pacchetto). Come si legge in una nota, Macron si è detto “pronto” ad accogliere a Parigi le autorità bulgare e macedoni “al momento opportuno” per concludere l’accordo bilaterale. L’annuncio è arrivato al termine dell’incontro di ieri sera (lunedì 6 giugno) con il presidente della Bulgaria, Rumen Radev, e il premier della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski, nel contesto degli sforzi condotti nelle ultime settimane per trovare una soluzione alla controversia tra i due Paesi e “concretizzare la prospettiva europea” di Skopje. L’accordo “contribuirebbe alle relazioni di buon vicinato e al rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini che dichiarano di appartenere ad altre comunità o minoranze”, specifica l’Eliseo.
    Lo stop bulgaro all’avvio dei negoziati di adesione UE della Macedonia del Nord risale al dicembre del 2020, anche se negli ultimi mesi i due nuovi governi nazionali hanno mostrato un rinnovato impegno per il dialogo su temi comuni come la storia, la cultura, i diritti umani e l’integrazione europea, vale a dire su tutte le questioni alla base delle frizioni nazionalistiche tra i due Paesi. In realtà, già due anni prima il dossier macedone-albanese si era bloccato in Consiglio per l’opposizione proprio della Francia – oltre a Danimarca e Paesi Bassi – nei confronti dell’Albania, con la richiesta di un’implementazione delle riforme. Nel 2018 e nel 2020 c’era sempre Macron all’Eliseo, ma da presidente anche del Consiglio dell’UE oggi sta cercando di dare uno scossone a una politica di allargamento che, tra mille stenti, sta rischiando di creare disillusioni pericolose in una penisola delicata quale è quella balcanica. A maggior ragione se si considera l’opera di destabilizzazione della Russia e gli interessi economici della Cina nel ‘buco nero’ del continente europeo.
    Se il tempismo è tutto, l’ultimo annuncio di Macron arriva a due settimane da un Consiglio Europeo (l’ultimo sotto presidenza francese) che metterà al centro la questione dell’allargamento dell’UE e la dimensione geopolitica dell’Europa oltre l’Unione. Non solo a margine del Consiglio si terrà un nuovo vertice UE-Balcani Occidentali (dopo quello inconcludente dell’ottobre dello scorso anno), per un confronto diretto tra i Ventisette e tutti i leader della regione, ma i capi di Stato e di governo dell’Unione dovranno anche discutere della proposta del presidente Macron di una comunità geopolitica europea e del possibile processo “graduale e reversibile” per l’adesione all’UE avanzato dal numero uno del Consiglio, Charles Michel. Il tutto con le richieste di ingresso nell’Unione da parte di Ucraina, Georgia e Moldova sul tavolo, se la Commissione fornirà in tempo i pareri formali. Macron è pronto a mettere la ciliegina dell’intesa tra Bulgaria e Macedonia del Nord sul proprio semestre di presidenza, ma per l’Unione Europea sono ancora molti gli strati da completare prima di considerare la torta dell’allargamento UE pronta da servire.

    L’inquilino dell’Eliseo si è detto “pronto” a concludere l’accordo bilaterale tra Bulgaria e Macedonia del Nord, per sbloccare uno stallo sull’avvio dei negoziati (anche con l’Albania) che si protrae da un anno e mezzo. Data ultima: 30 giugno, fine della presidenza di turno francese del Consiglio

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    Non solo l’Ucraina. La Commissione ha consegnato i questionari per l’adesione UE anche a Georgia e Moldova

    Bruxelles – Seguendo lo stesso ritmo trainante dell’Ucraina, continua senza sosta anche per altri due Paesi il processo di adesione all’UE: Georgia e Repubblica di Moldova hanno ricevuto oggi (lunedì 11 aprile) i rispettivi questionari di adesione che serviranno alla Commissione Europea per formulare il proprio parere formale sulle rispettive domande. Nessuna bandiera stampata sopra le buste – come era successo venerdì (8 aprile) durante l’incontro a Kiev tra la presidente Ursula von der Leyen e l’omologo ucraino, Volodymyr Zelensky – ma la sostanza non cambia: il questionario fa parte della procedura avviata lo scorso 7 marzo, quando gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) avevano concordato di invitare l’esecutivo comunitario a trasmettere la propria posizione ai leader UE.
    “Questo è il primo passo del vostro cammino europeo, siamo pronti a lavorare con voi molto velocemente per consegnare il parere al Consiglio Europeo come richiesto”, ha precisato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, consegnando le due buste ai ministri degli Esteri moldavo, Nicu Popescu, e georgiano, Ilia Darchiashvili, a margine del Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo. “Eccolo: una serie di 369 domande a cui la Moldova deve rispondere sulla sua disponibilità a entrare nell’UE”, ha commentato su Twitter il ministro moldavo, ribadendo la volontà del Paese di “lavorare più velocemente e più duramente” sulla strada verso l’adesione all’UE. Un impegno condiviso anche dal titolare degli Esteri georgiano, che ha confermato che “non risparmieremo sforzi per compilare tempestivamente il documento e procedere alle fasi successive”.

    By receiving the questionnaire, we have made another major step forward on the path of our people’s national choice – 🇪🇺 integration! Many thanks, Commissioner @OliverVarhelyi.🇬🇪 will spare no efforts to timely fill in the document and proceed to the next stages! pic.twitter.com/XL7Kpy4YEL
    — Ilia Darchiashvili (@iliadarch) April 11, 2022

    Le richieste di adesione all’UE da parte di Georgia e Moldova erano arrivate entrambe il 3 marzo, a una settimana dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo. La decisione è stata una netta reazione di Tbilisi e Chișinău contro il disegno dei nuovi equilibri geopolitici che il presidente russo, Vladimir Putin, vorrebbe mettere in atto ai danni non solo della sovranità di Kiev, ma anche dei due Paesi vicini: Ucraina, Georgia e Moldova si vedono ormai proiettati in un’ottica UE, contro la minaccia russa e per l’integrazione in un’Unione che si sta dimostrando aperta almeno a iniziare con decisione un nuovo processo di allargamento.
    Dopo aver inviato la proposta formale di candidatura all’adesione e una volta che arriverà il parere positivo della Commissione (questionario incluso), per diventare Paesi membri dell’UE Ucraina, Moldova e Georgia dovranno superare l’esame dei criteri di Copenaghen, ovvero le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno). Si arriva così alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente, e a questo punto si può presentare la vera e propria domanda di adesione all’Unione: se accettata, viene conferito lo status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.
    Oltre alle candidature di Moldova, Georgia e Ucraina per l’adesione all’UE, bisogna ricordare che il processo di allargamento coinvolge già i sei Paesi dei Balcani Occidentali, Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, più la Turchia, i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente da otto e dieci anni, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord è bloccato dal 2018 prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello attuale della Bulgaria contro Skopje. La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016, mentre il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione.

    Come successo durante la visita della presidente von der Leyen a Kiev, è stato intrapreso un nuovo passo nel processo di elaborazione del parere formale della Commissione UE sulla domanda dei due Paesi. Il commissario Várhelyi: “Siamo pronti a lavorare molto velocemente”

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    I leader UE pronti a nuove sanzioni contro la Russia di Putin. L’Ucraina sempre più vicina “politicamente”

    Bruxelles – Via libera a nuove sanzioni, ma nella sostanza ancora non si scende. Per il leader UE riuniti al Consiglio informale di Versailles “aumentare ulteriormente la nostra pressione sulla Russia e sulla Bielorussia” è una prima intesa sufficiente, che verrà approfondito nella seconda giornata di riunioni di oggi (venerdì 11 marzo) e nei prossimi giorni dai ministri competenti: “Restiamo pronti a muoverci rapidamente con ulteriori sanzioni”, recitano le prime righe delle conclusioni del Consiglio.
    Come scrivevamo ieri, tutte le decisioni senza precedenti sono state prese e ora ogni capitale inizia a fare i propri calcoli in termini di ricadute economiche. Tuttavia, il primo round di discussioni tra i leader UE sull’aggressione militare dell’Ucraina da parte della Russia di Putin è stata un’occasione per tirare le fila, due settimane dopo il Consiglio straordinario che aveva portato a quell’unità mai vista prima nell’Unione. “I responsabili di questa guerra di aggressione saranno chiamati a rispondere dei loro crimini, anche per aver colpito indiscriminatamente i civili”, si legge nel testo che condanna “la Russia e la sua complice Bielorussia”, con un endorsement all’apertura dell’indagine della Corte penale internazionale dell’Aja. In particolare, preoccupa la questione nucleare: “Chiediamo che la sicurezza degli impianti nucleari dell’Ucraina sia garantita immediatamente con l’assistenza dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica”.
    Ma è il capitolo strettamente legato al rapporto con l’Ucraina a offrire maggiori spunti di riflessione sull’approccio che sarà sviluppato nelle prossime settimane e nei prossimi mesi con Kiev. Sul breve periodo, “continueremo a fornire un sostegno politico, finanziario, materiale, medico e umanitario coordinato”, si legge nelle conclusioni. Riprendendo le iniziative degli ultimi giorni della Commissione UE, i 27 leader dell’Unione hanno sottolineato l’impegno per offrire protezione temporanea a tutti i rifugiati di guerra in fuga dall’Ucraina e hanno chiesto che “i fondi siano resi disponibili senza indugio”, attraverso una “rapida” adozione della proposta sull’azione di coesione per i rifugiati in Europa (CARE).
    Sul lungo periodo l’UE e gli Stati membri si impegnano a “fornire sostegno per la ricostruzione di un’Ucraina democratica, una volta che l’assalto russo sarà cessato“. Di che tipo e di quale entità ancora non è dato sapere, ma saranno discussioni che verranno portate avanti direttamente con la controparte ucraina. Uscendo dalla prima riunione sul conflitto Russia-Ucraina a Versailles, il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, ha annunciato che “lavoreremo per rafforzare politicamente i legami con l’Ucraina, per esempio invitando regolarmente il presidente, Volodymyr Zelensky, a partecipare ai Consigli europei“. Nonostante il non perfetto allineamento dei Ventisette sulle modalità con cui il processo dovrà essere portato avanti, il Consiglio “ha riconosciuto le aspirazioni e la scelta europea dell’Ucraina” e, in attesa del parere della Commissione UE sulla richiesta presentata da Kiev, saranno “rafforzati ulteriormente i nostri legami e approfondito il nostro partenariato per sostenere l’Ucraina nel perseguire il suo cammino”. Significative le ultime righe delle conclusioni: “L’Ucraina appartiene alla nostra famiglia europea“, mentre è stato invitato l’esecutivo UE a “presentare i pareri sulle domande della Repubblica di Moldova e della Georgia“. Il nuovo processo di allargamento UE si è messo in moto a Versailles.

    Le conclusioni del Consiglio informale di Versailles sottolineano che gli Stati membri sono pronti ad “aumentare ulteriormente la pressione” su Mosca e Kiev. Il presidente ucraino Zelensky sarà invitato a “regolarmente” alle prossime riunioni