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    L’Ue tenta di mantenere aperto il dialogo con l’Iran dopo l’attacco degli Usa. Ma la strada è strettissima

    Bruxelles – Dopo i bombardamenti statunitensi sui siti nucleari iraniani, che aveva sperato di poter scongiurare, l’Ue cerca di tenere aperta la porta dei negoziati con Teheran. Ma rimane appiattita sulla linea dettata da Washington, mentre la clamorosa fuga in avanti dell’inquilino della Casa Bianca rischia di far precipitare l’intero Medio Oriente nell’ennesima escalation incontrollabile.Con l’operazione “martello di mezzanotte” ordinata da Donald Trump nelle primissime ore di domenica (22 giugno), i B-2 Spirit del Pentagono hanno fatto piovere 14 bombe bunker buster sugli impianti nucleari di Fordo, Natanz e Isfahan. Non è ancora chiaro quale sia la reale entità dei danni alle strutture e al programma di arricchimento dell’uranio della Repubblica islamica, ma a sentire il tycoon si è trattato di un attacco mirato a cui non dovranno seguirne di nuovi, a patto che Teheran decida di abbandonare le sue velleità atomiche.È chiaro, invece, che quell’azione ha aumentato drammaticamente la tensione in un Medio Oriente già in fiamme e rischia di far saltare definitivamente i pochi argini rimasti ancora in piedi. “Non c’è una linea rossa che (gli Stati Uniti, ndr) non abbiano superato“, ha dichiarato il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi immediatamente dopo i bombardamenti.pic.twitter.com/wu9mMkxtUg— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) June 21, 2025“L’amministrazione fuorilegge e guerrafondaia di Washington è l’unica e completa responsabile per le pericolose conseguenze e le implicazioni di vasta portata del suo atto di aggressione”, ha aggiunto, sottolineando che la “porta della diplomazia” in questo momento non può che rimanere chiusa da parte iraniana e addossando sull’attacco degli Stati Uniti (denunciato come un affronto “imperdonabile” alla Carta delle Nazioni Unite) il deragliamento delle delicate trattative che erano in corso con gli europei.La principale vittima collaterale dei bombardamenti di ieri notte rischia così di essere la pista negoziale, quella faticosamente aperta dagli europei a Ginevra lo scorso venerdì (20 giugno) quando i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Regno Unito avevano incontrato Araghchi alla presenza dell’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas.Arrivando al Consiglio Affari esteri in corso oggi (23 giugno) a Bruxelles, l’ex premier estone ha riconosciuto che “l’Iran stava aprendo alle discussioni” sul suo programma nucleare. “Dobbiamo assolutamente continuare su questa strada“, ha avvertito, perché “dev’esserci una soluzione diplomatica per avere una prospettiva di lungo termine” e risolvere la crisi che continua ad avvitarsi.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)Secondo la responsabile della diplomazia a dodici stelle, “l’Europa ha un ruolo molto concreto” nel quadro degli accordi multilaterali sul programma atomico di Teheran, il Joint comprehensive plan of action del 2015: “L’Europa ha sempre avuto un ruolo – sostiene – e quando l’Iran è pronto a parlarci dobbiamo sfruttare questa opportunità“.Il Jcpoa, aggiunge Kallas, prevede “il meccanismo snapback per rimettere in piedi tutte le sanzioni se non ci sono progressi” da parte della Repubblica islamica, che dieci anni fa si è formalmente impegnata a limitare il proprio programma atomico a soli scopi civili. “Tutti sono d’accordo che l’Iran non deve possedere armi nucleari e stiamo lavorando verso quell’obiettivo”, ha ribadito ai giornalisti.Un messaggio condiviso anche dai ministri degli Esteri dei Ventisette. Antonio Tajani ha annunciato di aver contattato direttamente Araghchi “per cercare di riattivare un dialogo tra l’Iran e gli Stati Uniti“, proponendo di ospitare i negoziati a Roma come già avvenuto nel recente passato. Secondo il responsabile della Farnesina, Teheran “può procedere con la ricerca sul nucleare civile ma non col nucleare militare”: “Ho trovato orecchi attenti”, ha detto, garantendo tra l’altro che “le basi italiane non sono state utilizzate” per l’attacco condotto dallo zio Sam.Il ministro degli Esteri e vicepremier italiano Antonio Tajani (foto: Samuel Corum/Afp)Il vicepremier forzista ha inoltre dichiarato di aver chiesto all’Iran di non colpire le basi militari statunitensi come rappresaglia e di aver espresso “preoccupazione” per la minacciata chiusura dello stretto di Hormuz, il collo di bottiglia che separa il Golfo Persico dall’Oceano Indiano da cui passa circa un quinto del commercio globale di petrolio e gnl (eventualità definita dalla stessa Kallas “estremamente pericolosa”).A ritagliarsi una posizione relativamente più critica nei confronti della Casa Bianca è Parigi. Il titolare degli Esteri Jean-Noël Barrot ha tenuto il punto sul fatto che il “rischio esistenziale” di una Repubblica islamica dotata di un ordigno nucleare va scongiurato attraverso il dialogo e non coi bombardamenti: “Non esiste una soluzione duratura” alla questione “con mezzi militari, solo la negoziazione consentirà di inquadrare in modo rigoroso e duraturo il programma nucleare iraniano e di fornire risposte durature a queste questioni”, ha spiegato.Per Barrot, inoltre, vanno respinti senza indugio “tutti i tentativi di organizzare un cambio di regime con la forza”, come ripetutamente ventilato negli scorsi giorni tanto da Trump quanto dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. “Crediamo nel diritto dei popoli all’autodeterminazione e confidiamo nel popolo iraniano che ha eroicamente resistito al regime“, ha ragionato, ma “sarebbe illusorio e pericoloso pensare che con la forza e con le bombe possiamo realizzare un tale cambiamento“.Il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot (foto: Benedikt von Loebell via Imagoeconomica)D’accordo anche lo spagnolo José Manuel Albares: “L’Europa deve avere il coraggio di issare la bandiera della pace, di difendere il diritto internazionale, di dire no alla guerra e sì alla diplomazia e al negoziato”, ha dichiarato.Ma il diritto internazionale, per avere un senso, dev’essere rispettato da tutti: non solo da nemici ed avversari, ma anche da amici ed alleati. Una considerazione che non sembra condivisa tra i corridoi del potere di Bruxelles, almeno a giudicare dalle comunicazioni pubbliche dei vertici comunitari.Ursula von der Leyen, ad esempio, sottolinea che “il rispetto per il diritto internazionale è critico” e che “il tavolo negoziale è l’unico posto per porre fine a questa crisi”. Peccato che la presidente dell’esecutivo Ue chieda solo all’Iran di “impegnarsi in una soluzione diplomatica credibile”, senza menzionare l’attacco statunitense sulle strutture nucleari di un Paese sovrano. Per risolvere il problema, il presidente del Consiglio europeo António Costa evita direttamente di fare nomi, ed esorta “tutte le parti a dare prova di moderazione“.

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    A Ginevra la diplomazia europea cerca di salvare l’accordo sul nucleare iraniano

    Bruxelles – La diplomazia inizia a muoversi, seppur timidamente, per provare a ricomporre la crisi mediorientale. Ad una settimana esatta dall’avvio dell’aggressione israeliana contro l’Iran, i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino, Londra e Teheran si stanno incontrando a Ginevra insieme all’Alta rappresentante Ue per cercare di mantenere aperta la pista negoziale. Nel frattempo, gli Usa prendono tempo prima di scendere in campo a fianco dello Stato ebraico, mentre la Russia prova (almeno a parole) a fissare dei paletti all’escalation.Esattamente una settimana dopo l’inizio della guerra scatenata da Benjamin Netanyahu contro l’Iran, i titolari degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito e Iran – Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul, David Lammy e Abbas Araghchi – si sono dati appuntamento oggi (20 giugno) a Ginevra, alla presenza anche del capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas.L’incontro, che si sta svolgendo in queste ore presso la sede della rappresentanza tedesca alle Nazioni Unite, ha l’obiettivo di aprire un canale negoziale formale per cercare di fornire una risposta politica alla pericolosissima escalation che sta infiammando il Medio Oriente. Nessuno si aspetta svolte eclatanti dai colloqui, ma è sicuramente incoraggiante vedere che la diplomazia multilaterale prova a crearsi uno spazio e a mantenere attivo il dialogo mentre continuano a cadere le bombe da una parte e dall’altra.We, Europeans, are engaging in dialogue with Iran to de-escalate the situation.The only possible way forward is dialogue. pic.twitter.com/JjRA6E1ZV3— Jean-Noël Barrot (@jnbarrot) June 20, 2025Per ora, questo è il massimo che si può ottenere. È lo stesso Araghchi, del resto, a ribadire che Teheran non accetterà di negoziare con Washington finché lo Stato ebraico continua le sue operazioni, bollandole come un “tradimento” del processo diplomatico in corso tra Iran e Stati Uniti.Gli europei stanno cercando tra mille difficoltà di far ripartire le trattative sul binario, che sembrava morto, del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), lo storico accordo del 2015 stipulato da Usa e Iran con la mediazione di Francia, Germania e Regno Unito (il cosiddetto formato E3) più Unione europea, Russia e Cina. Nel 2018, fu Donald Trump a ritirare Washington dall’accordo: da quel momento le trattative entrarono in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Le cancellerie del Vecchio continente provano così a smarcarsi e a definire una propria posizione autonoma dalla Casa Bianca, dopo essersi appiattiti per anni sulla linea dello zio Sam. Ma l’Iran non è un cliente facile per nessuno e in ogni caso gli ayatollah percepiscono gli europei come troppo vicini allo Stato ebraico.Difficile contestare quest’ultimo punto, se si considera la fatica che stanno facendo i Ventisette a rimettere in discussione l’accordo di associazione con Tel Aviv, per non parlare delle sanzioni ai membri più estremisti del governo israeliano o, addirittura, dell’arresto di Netanyahu in ottemperanza al mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto via Imagoeconomica)Del resto, la posizione ufficiale di Bruxelles rimane sempre la stessa: lo Stato ebraico ha il diritto di difendersi – seppur entro i limiti del diritto internazionale, come è recentemente riuscita ad ammettere la stessa Kallas dopo sette mesi in carica – e l’Iran non può in alcun modo mettere le mani sull’arma atomica.Sull’altra sponda dell’Atlantico, intanto, Trump non ha ancora deciso se entrare in guerra al fianco del suo storico alleato e dice di voler rimandare la questione di un paio di settimane. Da un lato, il tycoon starebbe aspettando di vedere se quello di Ginevra è un bluff, sostenendo di voler lasciare spazio alla pista negoziale. Dall’altro, non vuole rischiare di perdersi per strada l’ala più oltranzista del popolo Maga, ferocemente contraria a qualunque intervento militare all’estero.Per il momento, il Pentagono ha iniziato a muovere i propri asset nell’Oceano Indiano, ottenendo da Londra l’autorizzazione ad utilizzare le basi militari di Sua Maestà nell’eventualità di dover impiegare i bombardieri B-2 Spirit, gli unici in grado di sganciare le bombe bunker buster per colpire gli impianti di arricchimento sotterranei di Fordo, protetti dalle montagne a sud di Teheran.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Il Cremlino nel frattempo indica la sua linea rossa. Se Israele procederà ad assassinare il leader supremo della Repubblica islamica Ali Khamenei (come suggerito dal ministro degli Esteri Israel Katz, per essere smentito nel giro di qualche ora dal capo dello Stato Isaac Herzog), ammonisce Vladimir Putin, verrà scoperchiato il “vaso di Pandora” e la situazione precipiterà in maniera incontrollabile. Lo zar, almeno stando alle ultime indiscrezioni mediatiche, avrebbe presentato alle dirigenze israeliana e iraniana delle proposte alternative a quelle in discussione a Ginevra per una soluzione negoziata della crisi.Sulla carta, la Russia è uno degli alleati più stretti dell’Iran, dal quale compra i famigerati droni suicidi Shahed con cui attacca quotidianamente l’Ucraina. Ma diversi osservatori mettono in dubbio la reale intenzione di Mosca – al netto delle sue concrete capacità – di scendere in campo in aiuto degli ayatollah se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente.Non è detto, ad esempio, che la difesa dell’alleato sciita valga più del mantenimento di rapporti tutto sommato buoni con Tel Aviv, così come sarebbe problematico per Putin inimicarsi il presidente statunitense in una fase in cui si sta dimostrando particolarmente indulgente nei confronti della Federazione.

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    A Ginevra la diplomazia europea cerca di salvare l’accordo sul nucleare iraniano

    Bruxelles – La diplomazia inizia a muoversi, seppur timidamente, per provare a ricomporre la crisi mediorientale. Ad una settimana esatta dall’avvio dell’aggressione israeliana contro l’Iran, i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino, Londra e Teheran si stanno incontrando a Ginevra insieme all’Alta rappresentante Ue per cercare di mantenere aperta la pista negoziale. Nel frattempo, gli Usa prendono tempo prima di scendere in campo a fianco dello Stato ebraico, mentre la Russia prova (almeno a parole) a fissare dei paletti all’escalation.Esattamente una settimana dopo l’inizio della guerra scatenata da Benjamin Netanyahu contro l’Iran, i titolari degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito e Iran – Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul, David Lammy e Abbas Araghchi – si sono dati appuntamento oggi (20 giugno) a Ginevra, alla presenza anche del capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas.L’incontro, che si sta svolgendo in queste ore presso la sede della rappresentanza tedesca alle Nazioni Unite, ha l’obiettivo di aprire un canale negoziale formale per cercare di fornire una risposta politica alla pericolosissima escalation che sta infiammando il Medio Oriente. Nessuno si aspetta svolte eclatanti dai colloqui, ma è sicuramente incoraggiante vedere che la diplomazia multilaterale prova a crearsi uno spazio e a mantenere attivo il dialogo mentre continuano a cadere le bombe da una parte e dall’altra.We, Europeans, are engaging in dialogue with Iran to de-escalate the situation.The only possible way forward is dialogue. pic.twitter.com/JjRA6E1ZV3— Jean-Noël Barrot (@jnbarrot) June 20, 2025Per ora, questo è il massimo che si può ottenere. È lo stesso Araghchi, del resto, a ribadire che Teheran non accetterà di negoziare con Washington finché lo Stato ebraico continua le sue operazioni, bollandole come un “tradimento” del processo diplomatico in corso tra Iran e Stati Uniti.Gli europei stanno cercando tra mille difficoltà di far ripartire le trattative sul binario, che sembrava morto, del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), lo storico accordo del 2015 stipulato da Usa e Iran con la mediazione di Francia, Germania e Regno Unito (il cosiddetto formato E3) più Unione europea, Russia e Cina. Nel 2018, fu Donald Trump a ritirare Washington dall’accordo: da quel momento le trattative entrarono in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Le cancellerie del Vecchio continente provano così a smarcarsi e a definire una propria posizione autonoma dalla Casa Bianca, dopo essersi appiattiti per anni sulla linea dello zio Sam. Ma l’Iran non è un cliente facile per nessuno e in ogni caso gli ayatollah percepiscono gli europei come troppo vicini allo Stato ebraico.Difficile contestare quest’ultimo punto, se si considera la fatica che stanno facendo i Ventisette a rimettere in discussione l’accordo di associazione con Tel Aviv, per non parlare delle sanzioni ai membri più estremisti del governo israeliano o, addirittura, dell’arresto di Netanyahu in ottemperanza al mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto via Imagoeconomica)Del resto, la posizione ufficiale di Bruxelles rimane sempre la stessa: lo Stato ebraico ha il diritto di difendersi – seppur entro i limiti del diritto internazionale, come è recentemente riuscita ad ammettere la stessa Kallas dopo sette mesi in carica – e l’Iran non può in alcun modo mettere le mani sull’arma atomica.Sull’altra sponda dell’Atlantico, intanto, Trump non ha ancora deciso se entrare in guerra al fianco del suo storico alleato e dice di voler rimandare la questione di un paio di settimane. Da un lato, il tycoon starebbe aspettando di vedere se quello di Ginevra è un bluff, sostenendo di voler lasciare spazio alla pista negoziale. Dall’altro, non vuole rischiare di perdersi per strada l’ala più oltranzista del popolo Maga, ferocemente contraria a qualunque intervento militare all’estero.Per il momento, il Pentagono ha iniziato a muovere i propri asset nell’Oceano Indiano, ottenendo da Londra l’autorizzazione ad utilizzare le basi militari di Sua Maestà nell’eventualità di dover impiegare i bombardieri B-2 Spirit, gli unici in grado di sganciare le bombe bunker buster per colpire gli impianti di arricchimento sotterranei di Fordo, protetti dalle montagne a sud di Teheran.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Il Cremlino nel frattempo indica la sua linea rossa. Se Israele procederà ad assassinare il leader supremo della Repubblica islamica Ali Khamenei (come suggerito dal ministro degli Esteri Israel Katz, per essere smentito nel giro di qualche ora dal capo dello Stato Isaac Herzog), ammonisce Vladimir Putin, verrà scoperchiato il “vaso di Pandora” e la situazione precipiterà in maniera incontrollabile. Lo zar, almeno stando alle ultime indiscrezioni mediatiche, avrebbe presentato alle dirigenze israeliana e iraniana delle proposte alternative a quelle in discussione a Ginevra per una soluzione negoziata della crisi.Sulla carta, la Russia è uno degli alleati più stretti dell’Iran, dal quale compra i famigerati droni suicidi Shahed con cui attacca quotidianamente l’Ucraina. Ma diversi osservatori mettono in dubbio la reale intenzione di Mosca – al netto delle sue concrete capacità – di scendere in campo in aiuto degli ayatollah se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente.Non è detto, ad esempio, che la difesa dell’alleato sciita valga più del mantenimento di rapporti tutto sommato buoni con Tel Aviv, così come sarebbe problematico per Putin inimicarsi il presidente statunitense in una fase in cui si sta dimostrando particolarmente indulgente nei confronti della Federazione.

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    A Ginevra la diplomazia europea cerca di salvare l’accordo sul nucleare iraniano

    Bruxelles – La diplomazia inizia a muoversi, seppur timidamente, per provare a ricomporre la crisi mediorientale. Ad una settimana esatta dall’avvio dell’aggressione israeliana contro l’Iran, i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino, Londra e Teheran si stanno incontrando a Ginevra insieme all’Alta rappresentante Ue per cercare di mantenere aperta la pista negoziale. Nel frattempo, gli Usa prendono tempo prima di scendere in campo a fianco dello Stato ebraico, mentre la Russia prova (almeno a parole) a fissare dei paletti all’escalation.Esattamente una settimana dopo l’inizio della guerra scatenata da Benjamin Netanyahu contro l’Iran, i titolari degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito e Iran – Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul, David Lammy e Abbas Araghchi – si sono dati appuntamento oggi (20 giugno) a Ginevra, alla presenza anche del capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas.L’incontro, che si sta svolgendo in queste ore presso la sede della rappresentanza tedesca alle Nazioni Unite, ha l’obiettivo di aprire un canale negoziale formale per cercare di fornire una risposta politica alla pericolosissima escalation che sta infiammando il Medio Oriente. Nessuno si aspetta svolte eclatanti dai colloqui, ma è sicuramente incoraggiante vedere che la diplomazia multilaterale prova a crearsi uno spazio e a mantenere attivo il dialogo mentre continuano a cadere le bombe da una parte e dall’altra.We, Europeans, are engaging in dialogue with Iran to de-escalate the situation.The only possible way forward is dialogue. pic.twitter.com/JjRA6E1ZV3— Jean-Noël Barrot (@jnbarrot) June 20, 2025Per ora, questo è il massimo che si può ottenere. È lo stesso Araghchi, del resto, a ribadire che Teheran non accetterà di negoziare con Washington finché lo Stato ebraico continua le sue operazioni, bollandole come un “tradimento” del processo diplomatico in corso tra Iran e Stati Uniti.Gli europei stanno cercando tra mille difficoltà di far ripartire le trattative sul binario, che sembrava morto, del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), lo storico accordo del 2015 stipulato da Usa e Iran con la mediazione di Francia, Germania e Regno Unito (il cosiddetto formato E3) più Unione europea, Russia e Cina. Nel 2018, fu Donald Trump a ritirare Washington dall’accordo: da quel momento le trattative entrarono in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Le cancellerie del Vecchio continente provano così a smarcarsi e a definire una propria posizione autonoma dalla Casa Bianca, dopo essersi appiattiti per anni sulla linea dello zio Sam. Ma l’Iran non è un cliente facile per nessuno e in ogni caso gli ayatollah percepiscono gli europei come troppo vicini allo Stato ebraico.Difficile contestare quest’ultimo punto, se si considera la fatica che stanno facendo i Ventisette a rimettere in discussione l’accordo di associazione con Tel Aviv, per non parlare delle sanzioni ai membri più estremisti del governo israeliano o, addirittura, dell’arresto di Netanyahu in ottemperanza al mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto via Imagoeconomica)Del resto, la posizione ufficiale di Bruxelles rimane sempre la stessa: lo Stato ebraico ha il diritto di difendersi – seppur entro i limiti del diritto internazionale, come è recentemente riuscita ad ammettere la stessa Kallas dopo sette mesi in carica – e l’Iran non può in alcun modo mettere le mani sull’arma atomica.Sull’altra sponda dell’Atlantico, intanto, Trump non ha ancora deciso se entrare in guerra al fianco del suo storico alleato e dice di voler rimandare la questione di un paio di settimane. Da un lato, il tycoon starebbe aspettando di vedere se quello di Ginevra è un bluff, sostenendo di voler lasciare spazio alla pista negoziale. Dall’altro, non vuole rischiare di perdersi per strada l’ala più oltranzista del popolo Maga, ferocemente contraria a qualunque intervento militare all’estero.Per il momento, il Pentagono ha iniziato a muovere i propri asset nell’Oceano Indiano, ottenendo da Londra l’autorizzazione ad utilizzare le basi militari di Sua Maestà nell’eventualità di dover impiegare i bombardieri B-2 Spirit, gli unici in grado di sganciare le bombe bunker buster per colpire gli impianti di arricchimento sotterranei di Fordo, protetti dalle montagne a sud di Teheran.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Il Cremlino nel frattempo indica la sua linea rossa. Se Israele procederà ad assassinare il leader supremo della Repubblica islamica Ali Khamenei (come suggerito dal ministro degli Esteri Israel Katz, per essere smentito nel giro di qualche ora dal capo dello Stato Isaac Herzog), ammonisce Vladimir Putin, verrà scoperchiato il “vaso di Pandora” e la situazione precipiterà in maniera incontrollabile. Lo zar, almeno stando alle ultime indiscrezioni mediatiche, avrebbe presentato alle dirigenze israeliana e iraniana delle proposte alternative a quelle in discussione a Ginevra per una soluzione negoziata della crisi.Sulla carta, la Russia è uno degli alleati più stretti dell’Iran, dal quale compra i famigerati droni suicidi Shahed con cui attacca quotidianamente l’Ucraina. Ma diversi osservatori mettono in dubbio la reale intenzione di Mosca – al netto delle sue concrete capacità – di scendere in campo in aiuto degli ayatollah se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente.Non è detto, ad esempio, che la difesa dell’alleato sciita valga più del mantenimento di rapporti tutto sommato buoni con Tel Aviv, così come sarebbe problematico per Putin inimicarsi il presidente statunitense in una fase in cui si sta dimostrando particolarmente indulgente nei confronti della Federazione.

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    Medio Oriente, l’Europa tenta la carta negoziale. Convocati a Ginevra colloqui diretti con l’Iran sul programma nucleare

    Bruxelles – La diplomazia prova a battere un colpo. A una settimana dall’inizio della guerra di Israele contro l’Iran, gli europei cercano di far ripartire le trattative sul nucleare di Teheran, convocando a Ginevra un round di negoziati con gli emissari della Repubblica islamica. È una corsa contro il tempo per scongiurare il rischio, sempre più reale, che l’intero Medio Oriente esploda nuovamente in un’escalation incontrollabile.La notizia è arrivata nel cuore della notte, nelle prime ore di oggi (19 giugno): i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino e Londra (rispettivamente Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul e David Lammy) hanno dato appuntamento al loro omologo iraniano Abbas Araghchi per domani a Ginevra, nel tentativo di riportare la Repubblica islamica al tavolo delle trattative e ridare vita al processo negoziale sul suo programma nucleare. Ai colloqui, confermati da Teheran in mattinata, prenderà parte anche Kaja Kallas, la responsabile dell’azione esterna dell’Ue.L’Europa cerca uno spazio diplomaticoSi tratta della prima iniziativa diplomatica dall’inizio della guerra, innescata dall’aggressione israeliana dello scorso 13 giugno. “La diplomazia europea è completamente mobilitata“, affermano i portavoce dell’esecutivo comunitario, i quali fanno sapere che l’Alta rappresentante è in contatto costante con tutti gli interlocutori regionali, inclusi i Paesi arabi del Golfo. “L’Ue contribuirà a tutti gli sforzi diplomatici volti a ridurre le tensioni e a trovare una soluzione duratura alla questione nucleare iraniana, che potrà essere raggiunta solo attraverso un accordo negoziato”, ripetono dal Berlaymont.Kallas, insieme ai suoi omologhi francese, tedesco e britannico, ha sentito al telefono Araghchi lunedì (16 giugno) per ribadirgli le “preoccupazioni di lunga data” riguardo al programma di arricchimento dell’uranio degli ayatollah, che “supera ampiamente qualsiasi scopo civile credibile, e al continuo mancato rispetto da parte dell’Iran dei suoi obblighi” nel quadro degli accordi multilaterali cui si è vincolato, nello specifico il Joint comprehensive plan of action (Jcpoa) e il trattato di non-proliferazione nucleare.Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi (foto: Anwar Amro/Afp)Il confronto è avvenuto il giorno prima del Consiglio Affari esteri straordinario dedicato specificamente all’escalation in Medio Oriente. Secondo l’ex premier estone una composizione politica della crisi è l’unica possibilità, poiché una continuazione delle operazioni militari – o peggio ancora un loro allargamento, nel caso di un coinvolgimento statunitense – diventerebbe incontrollabile e “non è nell’interesse di nessuno”. La posizione ufficiale di Bruxelles rimane dunque la stessa: no ad un Iran con la bomba atomica, sì alla de-escalation.Il dialogo sul programma atomico di Teheran procedeva con alti e bassi da un paio di decenni – dopo che la guida spirituale iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, vietò tramite fatwa lo sviluppo di ordigni nucleari – e sembrava essere giunto ad una svolta storica nel 2015, quando gli Stati Uniti di Barack Obama stipularono con la Repubblica islamica il Jcpoa, mediato dagli europei (Francia, Germania e Regno Unito, nel cosiddetto formato E3, più l’Ue) insieme a Russia e Cina. Fu proprio Donald Trump, nel 2018, a ritirare Washington dall’accordo. Le trattative con l’Iran entrarono a quel punto in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Il fattore TrumpIn questa fase, tuttavia, Trump non sembra particolarmente interessato a riprendere il dialogo con Teheran. Stando alle ricostruzioni mediatiche circolate nelle ultime ore, il presidente (trinceratosi nella situation room della Casa Bianca per una serie di incontri col suo Stato maggiore) starebbe valutando un potenziale intervento militare al fianco di Israele.Sarebbe dubbioso, pare, circa l’utilizzo degli ordigni cosiddetti bunker buster (nome tecnico GBU-57A/B MOP) per colpire gli impianti sotterranei di Fordo, ad una sessantina di metri di profondità in mezzo alle montagne a sud di Teheran. Gli Usa sono i soli al mondo a possederli e a poterli trasportare, tramite i bombardieri stealth B-2 Spirit, quelli già visti in azione in Iraq nel 2003.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)Per ora si tiene strette le sue carte, il tycoon, mantenendo l’ambiguità strategica attraverso una comunicazione volutamente contraddittoria. Del resto, lo stesso popolo Maga è spaccato sulla questione. Ma il tempo stringe e aumenta la pressione sull’uomo più potente del mondo perché prenda una decisione. “Potrei farlo, potrei non farlo. Nessuno sa cosa farò“, ha tagliato corto Trump rispondendo ai giornalisti che ieri gli chiedevano se intendesse unirsi ai bombardamenti dello Stato ebraico.D’altra parte, la dirigenza iraniana ha minacciato cruenti rappresaglie contro le basi Usa nella regione se Washington prenderà parte al conflitto: “Se gli Stati Uniti intendono entrare in campo al fianco del regime sionista”, ha ammonito il viceministro degli Esteri Kazem Gharibabadi, Teheran “insegnerà una lezione agli aggressori e difenderà la propria sicurezza nazionale”. Un’altra opzione sul tavolo della Repubblica islamica potrebbe essere la chiusura dello Stretto di Hormuz, attraverso il quale passa circa un quinto del commercio globale di petrolio e gnl, ma sarebbe probabilmente un’extrema ratio che finirebbe per danneggiare la stessa economia iraniana.Teheran verso la bomba?Per il sesto giorno di fila, intanto, i due belligeranti continuano a scambiarsi missili colpendo obiettivi militari, infrastrutture strategiche e strutture civili. La fine delle ostilità non appare in vista, mentre il ministro degli Esteri di Tel Aviv, Israel Katz, esce allo scoperto e conferma esplicitamente che l’eliminazione del leader supremo Khamenei “fa parte della campagna militare” dello Stato ebraico: “Quest’uomo, che intende attaccarci, non deve restare vivo“, ha detto.Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha giustificato l’attacco preventivo – una pratica estremamente controversa sotto il profilo del diritto internazionale – sostenendo che l’Iran, acerrimo nemico di Israele, fosse prossimo a costruire (almeno) un ordigno nucleare, senza fornire alcuna prova. Richiamando pertanto il parallelo con la fialetta di antrace agitata all’Onu 22 anni fa dall’allora segretario di Stato Usa Colin Powell, mentre accusava l’Iraq di Saddam Hussein di possedere armi chimiche di distruzione di massa. Che in realtà, come si scoprì in seguito, non erano mai esistite.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Menahem Kahana/Afp)Rafael Grossi, il capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), si sta sperticando da giorni precisando di non aver mai asserito che l’Iran stesse assemblando testate atomiche. “Non abbiamo prove di un programma sistematico per una bomba”, ha dichiarato. Gli ispettori Onu avevano rilevato che la percentuale di arricchimento dell’uranio stava superando il 60 per cento e si avvicinava al 90 per cento (la soglia fatidica per produrre le testate nucleari), ha concesso Grossi, “ma per l’arma servono altri passaggi”. “Non è questione di giorni, ma di anni, forse non pochi“, osserva.Peraltro, le dichiarazioni del premier israeliano erano state smentite mesi fa dagli stessi servizi a stelle e strisce. La direttrice dell’intelligence nazionale Tulsi Gabbard aveva riferito lo scorso marzo di non essere a conoscenza di piani operativi della Repubblica islamica per costruire la bomba, e che se anche ci fossero stati ci sarebbero voluti, appunto, diversi anni per realizzarli. Trump, che ha spalleggiato Netanyahu sulla questione, ha liquidato il rapporto di Gabbard in questi termini: “Non m’interessa cos’ha detto, io credo che (gli iraniani, ndr) fossero molto vicini” a confezionare l’ordigno.