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    Difesa Palamara, stupisce impegno su vicenda chiara

    (ANSA) – PERUGIA, 29 NOV – “Stupisce come la giustizia debba
    ancora impegnarsi su una vicenda chiara nei suoi aspetti
    fattuali e giuridici”: a dirlo sono i difensori di Luca
    Palamara, Benedetto Buratti e Roberto Rampioni dopo la decisione
    della Procura generale di Perugia di impugnare la sentenza del
    gup del capoluogo umbro che ha dichiarato non luogo a procedere
    nei confronti dell’ex magistrato romano dalle accuse di
    rivelazione di segreto d’ufficio. “L’ex segretario del Csm –
    hanno aggiunto i legali – ha chiarito con precisione come non ci
    fosse alcun segreto e che, pertanto, alcuna rivelazione fosse
    perseguibile. Ben due giudici in distinti processi – hanno
    concluso gli avvocati Buratti e Rampioni – ne hanno preso atto
    dichiarando l’insussistenza dei fatti”. (ANSA).   

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    Salvini, Draghi continui a Palazzo Chigi, bene Berlusconi

     “Condivido quanto afferma Berlusconi. Draghi sta lavorando bene. Mi auguro che continui a lavorare a lungo e a fare il presidente del Consiglio”. Lo dice Matteo Salvini parlando durante una conferenza stampa sulla manovra e commentando il dibattito aperto sul Colle che ha visto ieri il Cavaliere in pressing sul premier perché resti fino al 2023.
    Un concetto ribadito da Berlusconi in una intervista al Corsera nella quale il suo appello è allo stop alle “piccole tattiche” sul Quirinale e sull’azione dell’Esecutivo.
    “Il Nucleare di quarta generazione utile e pulito. Non partecipare alla sperimentazione sarebbe un suicidio. L’Italia ha bisogno di autosufficienza energetica”, ha detto Salvini che ha annunciato che domani incontrerà il presidente del Consiglio Mario Draghi. “Il tempo che avremo a disposizione con Draghi – dice – lo useremo al massimo per la riduzione delle bollette”.
    “Sul nucleare – sostiene – il Parlamento si esprima al di la delle ideologie. Partecipare al nucleare è sopravvivenza, altrimenti dipenderemo dagli umori dei cinesi o dal gas algerino o russo”, sostiene Salvini. L’attuale manovra, sottolinea, “Rischia di essere una manovra molto utile in tempi normali, ma in tempi di covid gli otto miliardi rischiano di durare qualche mese o poco più. Ci sono altre risorse da potere usare meglio tagliando le bollette. L’ambizione è arrivare a cinque miliardi per tagliare le bollette e spero che ci sia l’unanimità”.
       

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    Quirinale: i 1007 Grandi Elettori, numeri e rapporti di forza

    Saranno 1007 i Grandi Elettori che si riuniranno a gennaio in seduta comune a Montecitorio per eleggere il tredicesimo presidente della Repubblica.
    Nelle prime 3 votazioni, a scrutinio segreto, serviranno i 2/3 dei voti dell’assemblea, pari a 672, dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta, pari a 504. Ai 629 deputati e 320 senatori della XVIII legislatura si aggiungono per comporre il plenum dell’assemblea 58 delegati locali: in ogni Regione saranno scelti due esponenti per la maggioranza e uno per la minoranza, tranne in Valle d’Aosta dove ne sarà scelto soltanto uno. I delegati regionali non sono ancora stati eletti ma, stando a chi ha vinto le elezioni regionali, dovrebbero essere 33 al centrodestra e 25 al centrosinistra.
    L’elezione del prossimo presidente della Repubblica non si annuncia per niente semplice visto che nessuno dei due schieramenti ha la maggioranza assoluta per eleggere al quarto scrutinio il proprio candidato. E anche perchè questo Parlamento è nato sull’onda della grande vittoria M5S che però negli anni si è sbriciolato: basti pensare che i parlamentari 5s a inizio legislatura erano 338 e ora sono rimasti, tra cambi di casacche e nuovi gruppi, 233. Un gran numero di eletti quindi non risponde ad alcuna indicazione di partito ed è difficile darli per certi in un calcolo di maggioranze.
    Ecco i rapporti di forza, sulla carta, delle varie forze politiche:
    CENTRODESTRA: può contare su 450 grandi elettori che fanno riferimento ai partiti dentro la coalizione: 196 sono della Lega (il senatore Paolo Saviane è deceduto e il suo seggio resta vacante), 127 di Fi, 58 di Fdi, 31 di Coraggio Italia-Cambiamo-Idea, 5 di Noi con l’Italia, ai quali si aggiungono i 33 delegati regionali.
    CENTROSINISTRA CON M5S : Può contare su 420 voti se si esclude Iv, su 463 se si conteggia anche il partito di Renzi (43). Il Pd conta 133 grandi elettori (Gualtieri neo sindaco di Roma dovrà optare e quindi forse il suo seggio sarà vacante al momento dell’elezione del Colle), M5s ne ha 233, Leu 18, Azione-+Europa 5, Centro democratico di Bruno Tabacci ha 6 deputati. A questo blocco si aggiungono i 25 delegati regionali, piu’ Gianclaudio Bressa, iscritto al gruppo per le Autonomie ma eletto con il Pd.
    SENATORI A VITA: Per questa elezione del presidente della Repubblica sono 6: Giorgio Napolitano, Mario Monti, Liliana Segre, Elena Cattaneo, Renzo Piano, Carlo Rubbia.
    AUTONOMIE: Il gruppo delle autonomie-minoranze linguistiche conta 4 deputati e 5 senatori, al cui gruppo a Palazzo Madama sono iscritti anche Gianclaudio Bressa (Pd), Pier Ferdinando Casini (Centristi per l’Europa) e i senatori a vita Cattaneo e Napolitano.
    GRUPPO MISTO: In questa legislatura il gruppo Misto di Camera e Senato e’ lievitato e mutato a secondo della nascita di nuove componenti: il gruppo piu’ nutrito e’ la pattuglia ex M5s di Alternativa C’e’ che per le votazioni del Quirinale ha 19 grandi elettori, Azione-+Europa-Radicali (5), Centro Democratico (6 deputati), Maie (3 deputati, 3 senatori), FacciamoEco (3 deputati), Nci (5 deputati). Nel Misto al Senato c’e’ poi LeU (6) e tanti fuoriusciti M5s (24 alla Camera che risultano non iscritti a nessuna componente insieme all’ex Leu Michela Rostan mentre a Palazzo Madama sono nel misto 15 ex M5s, i 3 ex 5s ora Italexit e 1 ex 5s ora Potere al Popolo)

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    Quirinale: dal quorum allo spoglio, come si elegge il Presidente

    Il presidente della Repubblica è eletto nell’Aula di Montecitorio dal Parlamento in seduta comune integrato da 58 rappresentanti delle Regioni: ogni regione ne elegge tre con l’eccezione della Valle d’Aosta che ne elegge uno. La seduta comune del Parlamento è convocata entro un massimo di 15 giorni dalle dimissioni del presidente ed è presieduta dal presidente della Camera. Il primo atto della seduta comune è la lettura dell’elenco dei delegati regionali. L’Aula di Montecitorio, dove si svolgono le riunioni congiunte del Parlamento, viene opportunamente risistemata per consentire a tutti i “grandi elettori” di prendere posto.
    QUANTI SONO GLI ELETTORI. Quest’anno i grandi elettori saranno 1007.
    I QUORUM. La Costituzione prevede che nelle prime tre votazioni la maggioranza richiesta per l’elezione sia quella dei due terzi dei componenti dell’Assemblea, che questa volta è di 671 voti. Dal quarto scrutinio il quorum si abbassa: per essere eletti basterà la maggioranza assoluta dei componenti dell’Assemblea, pari a 504 voti. Non c’è una prassi certa sulla cadenza delle votazioni; la seduta comune è considerata un’unica seduta anche se si sviluppa in più giorni.
    LA VOTAZIONE. Per consuetudine voteranno prima tutti i senatori, poi i deputati e quindi i delegati regionali. La “chiama” dei grandi elettori sarà ripetuta due volte. Ognuno, per assicurare la segretezza del voto, entrerà nelle cabine poste sotto il banco della presidenza e scriverà il nome del candidato che intende votare nella scheda che gli viene consegnata dal commesso e che e’ timbrata e firmata dal segretario generale di Montecitorio. Quindi, uscito dalla cabina, l’elettore depositerà la scheda, ripiegata in quattro, nell’urna di vimini e raso verde, ribattezzata “l’insalatiera”, davanti alla quale c’è un segretario di presidenza.
    LO SPOGLIO. È fatto dal presidente della Camera, che legge in Aula i nomi dei candidati uno ad uno ad alta voce. Il conto delle schede viene tenuto dai funzionari della Camera e dai componenti dell’ufficio di presidenza di Montecitorio, che si assumono il compito di scrutatori. Nel 1992 Oscar Luigi Scalfaro era presidente della Camera e lesse le schede della votazione che lo portò al Quirinale; ma, poco prima che il quorum fosse raggiunto, lasciò il posto al vicepresidente della Camera, Stefano Rodotà, e aspettò il risultato definitivo nel suo ufficio.
    I RISULTATI. Per ogni votazione vengono letti all’Assemblea al termine dello spoglio. Per essere messe a verbale, le preferenze ai candidati devono essere almeno due. Chi riceve un solo voto viene conteggiato genericamente tra i voti dispersi.

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    L'elezione del presidente della Repubblica, ecco il timing

    La procedura per eleggere il presidente della Repubblica è stabilita dalla Costituzione e da una serie di prassi che si sono stabilizzate nel tempo.
    Trenta giorni prima che scada il termine del mandato del Capo dello Stato, recita l’articolo 85 della Costituzione, “il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica”.
    Il mandato di Mattarella scade il 3 febbraio (giurò in quel giorno nel 2015), quindi il 3 gennaio Roberto Fico, convocherà il Parlamento in seduta comune. Per prassi consolidata tale seduta si svolge 15-20 giorni dopo, per permettere ai consigli regionali di eleggere i propri tre delegati.
    Quindi il presidente Fico potrebbe convocare la seduta per il 18-20 gennaio.
    Secondo alcuni osservatori la convocazione potrebbe avvenire per il 22 gennaio, cioè un sabato; questo per concedere un giorno di decantazione se si arrivasse al primo scrutinio senza un nome che abbia la maggioranza assoluta necessaria dal quarto scrutinio.
    Una volta che il Parlamento e i delegati regionali hanno eletto il Presidente della Repubblica (con i due terzi dei voti nei primi tre scrutini, e con la sola maggioranza assoluta dal quarto), viene redatto il verbale dell’elezioni che il Presidente della Camera, accompagnato dalla presidente del Senato, comunica al neo eletto.
    Sette anni fa Laura Boldrini comunicò a Mattarella la sua elezione presso la Corte Costituzionale, visto che il neo Presidente era giudice della Consulta.
    A quel punto, per prassi il presidente della Repubblica in carica si dimette, se non si è ancora concluso il suo mandato. Se quest’ultimo è passato, vale il principio generale della “prorogatio”, cioè il Presidente rimane in carica fino all’elezione del suo successore. La Costituzione non indica tempi certi tra l’ elezione e il giuramento davanti al Parlamento in seduta comune.
    Si va dai 12 giorni che passarono dall’elezione al giuramento per Giovanni Gronchi, al solo giorno che servì per Sandro Pertini o per Saragat. Matterella fu eletto il 31 gennaio 2015 e giurò il 3 febbraio.

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    Quirinale: dai catafalchi alle sciabole, una liturgia antica

    L’elezione del presidente della Repubblica segue una liturgia antica, fatta di regole e riti inossidabili dentro e fuori il Palazzo.
    Il giorno dell’elezione l’Aula di Montecitorio diventa un seggio elettorale, ogni altra attività è sospesa per accogliere i Grandi Elettori e per consentire le votazioni che per prassi sono due al giorno ma possono essere anche di più. Ecco per capitoli i principali simboli e le usanze prima e dopo la votazione.
    I ‘CATAFALCHI’. Sono le cabine elettorali montate tra il banco della presidenza e quelli del governo nell’Aula di Montecitorio che fecero la loro prima apparizione nel 1992, durante l’elezione che avrebbe portato al Quirinale Oscar Luigi Scalfaro, per garantire la segretezza del voto. I Grandi Elettori passano sotto il catafalco, scrivono il nome del candidato e poi depositano la scheda in un’urna che si chiama “insalatiera”.
    GLI APPLAUSI RIVELATORI. Lo spoglio avviene al termine di ogni votazione, il presidente della Camera legge ad una ad una le schede. In genere viene seguito nel silenzio più religioso, per consentire a chi in ogni gruppo parlamentare effettua la ‘conta’ di non commettere errori. Ma quando, secondo i calcoli, c’e’ la sicurezza dell’elezione nell’emiciclo si leva un applauso, che segna la ‘fumata bianca’ e blocca per qualche istante lo spoglio delle schede. Che poi prosegue fino all’ultima scheda.
    CAMPANE, TRICOLORI, LUCCICAR DI SCIABOLE E SALVE DI CANNONE. Sono i segni caratteristici del ‘big day’, quello del giuramento del nuovo presidente della Repubblica. La campana di Montecitorio suona per tutto il tragitto dell’eletto dalla sua residenza romana fino alla Camera dei deputati e, poi, nel momento in cui egli pronuncia il giuramento. In questo stesso momento il cannone del Gianicolo spara 21 salve, l’onore riservato ai capi di Stato. Al suo arrivo a Montecitorio, il presidente eletto riceve gli onori militari da un reparto di Carabinieri in alta uniforme. Da li’ si dirige in Aula, ornata con 21 bandiere e drappi rossi. Qui il capo dello Stato rivolge il suo messaggio alla Nazione. Quando esce, da presidente nella pienezza dei poteri, a rendere gli onori sono i Corazzieri Guardie del presidente della Repubblica. Il nuovo Capo dello Stato ascolta l’Inno di Mameli in Piazza Montecitorio, passa in rassegna il reparto d’onore schierato con bandiera e banda. Poi sale sulla Lancia Flaminia 355 decappottabile con il presidente del Consiglio ed il segretario generale del Quirinale per andare a rendere onore all’Altare della Patria e, da li’, per raggiungere il Colle, scortato dai Corazzieri a cavallo e dai motociclisti. Giunto al Quirinale riceve gli onori militari. Poi sale allo studio alla vetrata dove ha un colloquio con il presidente uscente che consegna al nuovo Capo dello Stato il collare di Gran Croce decorato di gran Cordone, la massima onorificenza della Repubblica. A quel punto, il presidente si trasferisce nel salone dei Corazzieri per un intervento alla presenza dei vertici delle istituzioni e dai leader politici.

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    Quirinale: Da De Nicola a Mattarella, le 13 votazioni, i record e i consensi

    Bastò un solo scrutinio per eleggere presidente della Repubblica Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi, mentre ben 23 votazioni servirono invece per Giovanni Leone, che resta il Presidente eletto con la percentuale più bassa, il 51% delle preferenze. Il recordman di voti è stato invece Sandro Pertini, eletto con 82% di consensi. La partita del Quirinale dall’inizio della storia della Repubblica è anche una “lotteria”, una battaglia tra partiti e correnti. Ecco, in sintesi, una scheda su come sono avvenute le elezioni dei 12 presidenti, la durata del mandato e i partiti di appartenenza:
    1) ENRICO DE NICOLA: capo provvisorio dello Stato, fu eletto il 28 giugno 1946 dall’assemblea Costituente con 396 voti su 501. De Gasperi dovette insistere molto per vincere la sua perplessità ad accettare la candidatura. Liberale fedele alla monarchia, originario di Torre del Greco, una volta eletto arrivò a Roma sulla sua automobile e rifiutò di insediarsi al Quirinale. Rinunciò anche allo stipendio da presidente. Fu presidente dal 1º luglio del 1946 al 31 dicembre 1947, la durata più breve nella storia della Repubblica Italiana.
    2) LUIGI EINAUDI – Luigi Numa Lorenzo Einaudi, originario di Carrù (Cuneo), fu eletto l’11 maggio 1948. Economista, accademico e giornalista italiano era un esponente del partito liberale, ministro del Tesoro e governatore della Banca d’Italia. Si votò due volte al giorno e al quarto scrutinio prese 518 voti su 871 votanti. Nelle prime votazioni naufragò la candidatura del candidato indicato da De Gasperi, il repubblicano Carlo Sforza, ministro degli Esteri, impallinato dalla sinistra Dc. Fu in carica dal 12 maggio 1948 all’11 maggio 1955.
    3) GIOVANNI GRONCHI – Democristiano, originario di Pontedera (Pisa), fu eletto il 28 aprile 1955. Anche per lui solo 4 scrutini (prese 658 voti su 833 votanti) e passaggio alla prima votazione a maggioranza assoluta. Gronchi fu imposto dai franchi tiratori della destra Dc che avevano bocciato nei primi scrutini il candidato ufficiale scelto da Fanfani, Cesare Merzagora. Rimase in carica fino all’11 maggio del 1962.
    4) ANTONIO SEGNI – Accademico e politico, due volte presidente del Consiglio, originario di Sassari, fu eletto il 6 maggio 1962 e rimase in carica fino al 6 dicembre del 1964, quando si dimise volontariamente. Con tre votazioni in un giorno, al nono scrutinio fu eletto con 443 voti su 842 votanti. Candidato ufficiale della Dc, fu eletto senza imboscate di franchi tiratori.
    5) GIUSEPPE SARAGAT – Giuseppe Efisio Giovanni Saragat, politico e diplomatico italiano, originario di Torino, fu eletto il 28 dicembre 1964. Era segretario del partito socialdemocratico e ministro degli Esteri. Si voto’, oltre che alla vigilia, anche il giorno di Natale. Furono necessari 21 scrutini (prese alla fine 646 voti su 927 votanti). Nelle votazioni andate a vuote non riuscì a imporsi il candidato ufficiale della democrazia cristiana Giovanni Leone, per l’ostilità del gruppo di Fanfani.
    6) GIOVANNI LEONE – Avvocato, giurista e accademico, democristiano originario di Napoli, fu eletto il 24 dicembre 1971. Con record di 23 scrutini (prese alla fine 518 voti su 996 votanti), supero’ il quorum con uno scarto di soli 13 voti. Leone fu scelto dopo che andò a vuoto il tentativo di Amintore Fanfani di farsi eleggere.
    7) SANDRO PERTINI – Alessandro Giuseppe Antonio Pertini, partigiano e giornalista, originario di San Giovanni (Savona), fu eletto l’8 luglio 1978. Ci vollero 16 scrutini per eleggerlo con 832 voti su 995 votanti, record di preferenze ancora imbattuto. Fu il primo socialista a essere eletto al Quirinale: ma il primo a indicarlo non fu il segretario del Psi Craxi, bensi’ il comunista Berlinguer.
    8) FRANCESCO COSSIGA – Originario di Sassari come Segni, democristiano, ministro dell’Interno in vari governi, già premier e presidente del Senato, fu eletto il 24 giugno 1985, il più giovane Capo di Stato della storia repubblicana a 57 anni. Elezione rapidissima: tre ore esatte e un solo scrutino (prese 752 voti su 979 votanti). La sua candidatura fu costruita dal segretario Dc Ciriaco De Mita, che riusci’ a convincere tutti i partiti.
    9) OSCAR LUIGI SCALFARO – Politico e magistrato, originario di Novara, democristiano, fu eletto il 25 maggio 1992. Si dovette aspettare il sedicesimo scrutinio (prese 672 voti su 1002 votanti). L’elezione fu accelerata dalla strage di Capaci: nei giorni precedenti il Parlamento aveva bocciato la candidatura del segretario della Dc Arnaldo Forlani, non votato dagli amici di Andreotti che si vendicarono per la mancata candidatura del loro leader.
    10) CARLO AZEGLIO CIAMPI – Economista originario di Livorno e governatore di Banca d’Italia prestato alla politica, già premier, fu eletto il 13 maggio 1999. Record assoluto di velocità: solo 2 ore e 40 minuti e un solo scrutinio Ciampi prese 707 voti su 990 votanti. Sulla sua candidatura accordo trasversale tra Veltroni, Fini e Berlusconi.
    11) GIORGIO NAPOLITANO – Dirigente del Pci, originario di Napoli, fu eletto il 10 maggio 2006. Elezione rapida, al quarto scrutinio, prese 543 voti su 990 votanti. Il primo ex comunista a salire al Colle, fu votato dalla maggioranza di centrosinistra, con l’astensione del centrodestra.
    12) GIORGIO NAPOLITANO BIS – Napolitano fu rieletto il 20 aprile 2013 al sesto scrutinio con 738 voti su 997 votanti. La sua rielezione avvenne dopo un disastro politico e istituzionale: al primo scrutinio fu “bruciato” Franco Marini che con 521 voti non passo’ il quorum dei due terzi richiesto. Ancora peggio ando’ a Romano Prodi che al quarto scrutinio prese solo 395 voti, tradito dagli ormai famosi 101 parlamentari del centrosinistra. Si dimise il 14 gennaio 2015. 1
    3) SERGIO MATTARELLA – Giurista, accademico e ministro, prima nella Dc poi nella Margherita e nel Pd, originario di Palermo, fu eletto al quarto scrutinio con 665 voti, poco meno dei due terzi dell’assemblea elettiva, in una votazione che avvenne tra il 29 e il 31 gennaio 2015. La sua candidatura fu avanzata da Matteo Renzi e ottenne subito l’appoggio di Sinistra Ecologia Libertà, Scelta Civica e di vari gruppi minori della maggioranza di governo.

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    Quirinale: i poteri del presidente della Repubblica

    “Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”, recita l’articolo 87 della Costituzione, indicando con queste parole un ruolo che travalica i poteri di garanzia e assegna quindi al presidente della Repubblica il compito di interpretare il “sentiment” della popolazione e portarlo nei “Palazzi”.
    La Carta assegna una serie di funzioni al Presidente della Repubblica rispetto agli altri poteri dello Stato. Innanzi tutto scioglie le Camere e indice nuove elezioni, o a fine legislatura o quando queste non sono in grado di esprimere una maggioranza di governo. Quando tale maggioranza si palesa, durante le consultazioni, il Presidente dà l’incarico al Presidente del Consiglio di formare il governo, di cui nomina i ministri; quindi ha voce in capitolo nella loro scelta. Può nominare fino a cinque personalità come senatori a vita, incidendo quindi sulla composizione del Parlamento.
    Inoltre può inviare messaggi alle Camere. L’inquilino del Quirinale autorizza la presentazione al Parlamento dei decreti del Governo, ed è capitato che facesse “moral suasion” sull’esecutivo per correggerli. E’ sempre lui che promulga le leggi, che può rinviare alle Camere, con un messaggio, perché siano modificate. Una prerogativa esercitata da vari presidenti che si sono succeduti. Rilevante è anche il potere di nomina di cinque dei 15 giudici della Corte costituzionale, a cui spetta il vaglio di tutte le leggi. Per quanto riguarda il potere giudiziario, il Capo dello Stato presiede il Consiglio superiore della magistratura (Csm), cioè l’organo di autogoverno dei magistrati, e può concedere la grazia ai condannati.
    Infine il Presidente della Repubblica “ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa, e dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere”.