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    Quirinale: Papi, re, presidenti: da 5 secoli palazzo del potere

    Il palazzo simbolo della Repubblica e’ stato per secoli una residenza dei Papi e per oltre settant’anni la casa dei Re. Il Quirinale ha cambiato piu’ volte pelle, ma e’ sempre restato il cuore del potere romano: guardie svizzere o corazzieri, cardinali o ministri repubblicani, da piu’ di cinquecento anni i suoi frequentatori sono gli attori e i comprimari dello stesso grande gioco, che ha come posta la salute dello Stato.
    Nella seconda meta’ del ‘500 era un ameno luogo di campagna, dove sorgevano ville e giardini di nobili e prelati. Ai nostri giorni è una piccola citta’ con le sue 1200 stanze e i quasi mille dipendenti che oltre a lavorare per le attivita’ del presidente della Repubblica devono gestire un patrimonio inestimabile composto da arazzi di grande pregio (ben 261 pezzi), mobili e dipinti, sculture e carrozza storiche. Un tesoro racchiuso in un gigantesco palazzo della fine del ‘500 che ha ospitato una trentina di papi (l’ultimo fu Pio IX) rimanendo per secoli la sede dei pontefici che li’ svolgevano le loro attivita’ piu’ “politiche”.
    Il primo papa a mettere gli occhi sulla proprieta’ fu Gregorio XIII: a sue spese fece trasformare la palazzina che sorgeva nella tenuta in una grande villa il cui pezzo forte era la spettacolare scala elicoidale progettata dall’architetto Ottaviano Mascarino. Nel 1587 il successore di papa Gregorio, Sisto V, decise di comprare villa e giardino e ne fece la residenza estiva della corte pontificia.Di ampliamento in ampliamento (il Quirinale cosi’ come lo conosciamo e’ frutto dell’intervento di famosi architetti come Domenico Fontana e Carlo Maderno) il palazzo divenne il cuore del potere della Chiesa, una vera e propria cittadella del Papa e della corte. Nell’800, la rivoluzione.
    Per tre volte i Papi furono sfrattati dal palazzo: da Napoleone nel 1809, da Mazzini nel 1848, da Vittorio Emanuele II nel 1870, quando Pio IX dovette lasciare la sua residenza e riparare in Vaticano. Non prima, secondo la leggenda, di aver lanciato una terribile maledizione sul re usurpatore. Dopo l’addio del “Papa re”, il consiglio dei ministri del regno d’Italia stabili’ che il Quirinale dovesse “appartenere allo Stato ed essere destinato alla residenza del Re”. Ma fu solo con l’arrivo al trono di Umberto, figlio di Vittorio Emanuele, che il Quirinale divento’ una vera reggia. Durante la prima guerra mondiale, conobbe una temporanea mutazione: da suntuosa reggia si trasformo’ in ospedale militare. Con l’avvento al potere di Mussolini, perse parte della sua centralita’ politica.
    Dopo l’armistizio dell’8 settembre conobbe nuove tribolazioni. Lasciato in fretta e furia da Vittorio Emanuele III e famiglia, in fuga verso Brindisi, il palazzo accolse nuovamente i Savoia due giorni dopo l’ingresso degli alleati a Roma.Nei due anni che seguirono, il Quirinale torno’ a essere parte del gioco politico, ma il potere si stava trasferendo altrove. Diventato re il 9 maggio del 1946, Umberto II abbandono’ il Quirinale e l’Italia poche settimane piu’ tardi, il 13 giugno, dopo la vittoria della repubblica nel referendum. Ma per fare del palazzo sul colle piu’ alto di Roma il simbolo della Repubblica, fu necessario aspettare ancora due anni,perche’ dal 1946 al 1948 il capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, non volle salire al Quirinale per esercitare il suo mandato: a lui monarchico convinto, sarebbe sembrato di profanare un simbolo. Fu Luigi Einaudi, nel 1948, il primo presidente ad insediarsi al nel Palazzo.

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    Quirinale: si lavora per la garantire sicurezza delle votazioni

    La prossima elezione del prossimo Capo dello Stato, la prima (e si spera unica) in tempo di pandemia, avrà non pochi risvolti dal punto di vista sanitario. Per questo momento cruciale della vita politico-istituzionale del Paese la Camera dei deputati svolge il ruolo di “padrone di casa”: sia le votazioni sia il giuramento del presidente della Repubblica si tengono nella sua Aula legislativa.
    Per questo sarà chiamata a far fronte a tutta una serie di problematiche legate all’afflusso contemporaneo a Montecitorio non solo di poco più di mille grandi elettori (i deputati, i senatori ed i rappresentanti delle Regioni), ma anche di centinaia di giornalisti che dovranno raccontare passo passo l’evento al Paese.
    L’orientamento è di assumere le decisioni valutando la situazione epidemiololgica a ridosso dell’inizio delle votazioni, in modo da poter optare per soluzioni più o meno restrittive. L’unica cosa già decisa è lo stop a convegni ed iniziative con la presenza di pubblico esterno disposto dai Questori da metà gennaio a metà febbraio, in modo da ridurre al minimo le presenze nel Palazzo. Resta, quindi fermo, l’obbligo del green pass e di indossare sempre la mascherina. Chiare, invece, sono tutte le altre problematiche, per le quali la Camera sentirà i consulenti sanitari che la assistono per tutte le decisioni relative al contenimento del Covid nei suoi palazzi.
    DISTANZIAMENTO SOCIALE, DENTRO E FUORI AULA. Per l’elezione del Capo dello Stato il Parlamento in seduta comune integrato dai delegati regionali, che si riunisce a Montecitorio ed è presieduto dal presidente della Camera con il proprio ufficio di presidenza, funziona come seggio elettorale. A Montecitorio si pensa di proporre ai gruppi parlamentari di esercitare una moral suasion sui grandi elettori per lasciare solo un minimo di elettori nell’Emiciclo per seguire lo spoglio. Tutti gli altri sarebbero invitati a stare nel Transatlantico, nel corridoio della Corea e nel cortile, che anche questa volta dovrebbe essere parzialmente utilizzato per ospitare le dirette televisive.

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    Quirinale: Il voto dei Grandi Elettori, segreto ma non troppo

    Il voto per eleggere il presidente della Repubblica è segreto ed avviene “per schede”. Ma chi garantisce che il voto del “grande elettore” rimanga effettivamente segreto? Nel passato la politica ha studiato tanti stratagemmi tanto “artigianali” quando efficaci per rendere in qualche maniera riconoscibile durante lo spoglio, che è pubblico ed avviene in Aula a cura del presidente della Camera, il proprio voto, in modo da far capire che gli accordi presi tra i partiti siano stati effettivamente rispettati.
    Tra questi, c’è la scelta di scrivere, ad esempio, il nome ed il cognome del candidato, in diverso ordine, o di limitarsi al solo cognome, eventualmente preceduto o seguito dall’iniziale del nome: uno stratagemma che consente di distinguere, e contare, almeno cinque “megagruppi” di elettori.
    Ma nell’era dei social e dei cellulari equipaggiati con fotocamera chi garantisce che il “grande elettore”, dopo aver scritto sulla scheda il nome del proprio candidato nella corsa al Quirinale non la fotografi con il proprio smartphone, eventualmente per esibirla come “prova di fedeltà”? La domanda non trova risposta.
    Anche perchè nessuno impedisce al parlamentare o al delegato regionale di portarsi il cellulare nel “catafalco”, una delle cabine per la votazione allestite tra il banco della presidenza e quelli del governo dove in teoria egli dovrebbe poter avere a disposizione soltanto la scheda e la matita messi a disposizione dall’amministrazione della Camera. Peraltro, in linea generale, deputati e senatori (e i grandi elettori per l’elezione del Capo dello Stato) possono avere addosso nelle sedi del Parlamento qualsiasi cosa tranne che le armi, unici oggetti assolutamente proibiti a tutti negli ‘Onorevoli Palazzi’. Per tutte le elezioni “normali”, al cittadino elettore è esplicitamente proibito dalla legge portare in cabina qualsiasi strumento atto a riprendere la scheda votata, compreso il cellulare che deve essere lasciato in consegna agli scrutatori del seggio prima di ricevere la scheda ed infilare la porta della cabina. Ma un divieto del genere non è attualmente previsto per le votazioni segrete per schede che si tengono nell’Aula di Montecitorio; a partire, appunto, da quella del presidente della Repubblica. Il tema non è stato segnalato ancora da nessuno: al fattore ‘hi-tech’ ancora nessuno ha ancora pensato.

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    Manovra: Bonomi, col Reddito si cerca consenso elettorale

    Per il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, si registra “purtroppo” un ritorno alla battaglia per il consenso effimero elettorale”, e “la dimostrazione viene da questa legge di Bilancio” di cui, nel corso dell’assemblea degli industriali a Brindisi, Bonomi cita il rifinanziamento con un miliardo del Reddito di cittadinanza che, “così come è strutturato oggi, ha dimostrato che non riesce a intercettare gli incapienti del nord ed è diventato un disincentivo ad andare a lavorare nel Mezzogiorno”. 

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    Quirinale:sondaggio Izi,Draghi primo,poi Berlusconi e Mattarella

    La stragrande maggioranza degli italiani (59,8%) preferirebbe poter eleggere direttamente il nuovo Capo dello Stato auspicando di fatto un passaggio da una Repubblica Parlamentare ad una Repubblica Presidenziale. Questo è il dato che emerge da un sondaggio svolto dalla società IZI Spa di Roma somministrato ad un campione rappresentativo della popolazione italiana tra il 19 ed il 21 novembre. Il 28,3 per cento degli italiani preferirebbe l’attuale sistema con il presidente eletto dal Parlamento. L’11,8 per cento degli italiani dice di non sapere.
    Nel toto nomi al primo posto si attestata l’attuale premier Mario Draghi con il 23,4% delle preferenze seguito da Silvio Berlusconi (20,6%) e dal Presidente in carica Sergio Mattarella con il 19,3% delle preferenze. Segue Pier Luigi Bersani con il 12%. Il primo nome femminile è quello di Emma Bonino che con il 10,1% delle preferenze si attesta al quinto posto di questa classifica. Marta Cartabia si ferma al 5,2%. Seguono Paolo Gentiloni (4,1%), Pierderdinando Casini (2,4%), Paola Severino (1,9%). Chiude Giuliano Amato all’1,1%.
    *Nota metodologica: Popolazione di riferimento: popolazione residente in Italia avente diritto al voto. Campionamento casuale stratificato per sesso e classi d’età. Ponderazione vincolata per sesso, classi d’età, voto espresso alle ultime elezioni europee (maggio 2019). Metodo CAWI/CATI. Totale interviste: 1017. Interviste effettuate tra il 19/11/2021 e il 21/11/2021. 

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    Manovra: Meloni, FdI presenta 785 emendamenti, maggioranza 5505

     “Dal numero degli emendamenti presentati dalla maggioranza si vede che non sono d’accordo nemmeno loro su questa manovra: loro ne hanno presentati 5505, noi, all’opposizione, un settimo, 785”. Così la leader di FdI, Giorgia Meloni nel corso di una conferenza stampa. 
    “Proponiamo un fondo di un miliardo di euro per gli indennizzi a chi può soffrire eventuali reazioni avverse ai vaccini: è la cosa più seria da fare sul fronte della campagna vaccinale”.
    “Il limite all’uso del contante è una misura tafazziana, visto che non esiste in Europa. In più si tratta di una misura che non serve nella lotta all’evasione. Noi proponiamo l’eliminazione di questo limite”.
    “Il reddito di cittadinanza va abolito perchè mette sullo stesso piano chi può lavorare e chi non può farlo. Ora bisogna raccogliere quelle risorse su incentivi all’assunzione per chi può lavorare e per gli altri l’assegno di solidarietà, a sostegno delle famiglie che non hanno reddito e hanno un disabile o minore o un ultrasessantenne con criteri precisi per quanto riguarda il reddito e Isee, e italiano da almeno 10 anni”.

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    Quirinale: Trame, veleni e franchi tiratori

    L’elezione dei 12 Presidenti dell’Italia Repubblicana è la storia di una liturgia sempre uguale. Trame, regie, complotti, veleni, veline, delegittimazioni, dossier, franchi tiratori, disegni politici, compromessi.
    Come quello che porta nel ’46 con l’80% dei voti ENRICO DE NICOLA al Quirinale, primo Capo provvisorio dello Stato. Re Umberto II lascia il Colle per l’esilio portoghese tra le proteste dei monarchici, dopo la vittoria della repubblica per 2 milioni di voti e il sospetto di brogli nel referendum del 2 giugno ’46. De Gasperi, vuole Orlando, Nenni Croce, Togliatti la spunta con il brillante avvocato napoletano di fede monarchica.
    Anche il liberale LUIGI EINAUDI, eletto nel ’48, è un ripiego compromissorio. Prima scelta di De Gasperi, regista a pieno titolo dopo il trionfo della Dc nelle elezioni di aprile, era il repubblicano Carlo Sforza. Ma i democristiani spesso hanno regolato i loro conti interni nelle urne quirinalizie.
    Come nel ’55, quando irrompono sulla scena politica i franchi tiratori, che impallinano il favorito del neosegretario Fanfani Cesare Merzagora e impalmano GIOVANNI GRONCHI, presidente della Camera della sinistra Dc, a cui tocca per 658 volte leggere il suo nome sulle schede. Presto le sue aspirazioni gaulliste naufragano e a pugnalarlo è il suo stesso partito, per aver trascinato quasi alla guerra civile il paese con il governo Tambroni. Ancora trame, veleni, complotti, tensioni politiche.
    Nel ’62 l’elezione dell’atlantista e moderato ANTONIO SEGNI, con il favore di Moro che voleva bilanciare la sua controversa apertura alla sinistra. Lo azzoppa l’accusa di aver favorito il presunto golpe del comandante dei Carabinieri De Lorenzo.
    Lascia per l’ictus che nel ’64 si racconta lo abbia colto proprio mentre GIUSEPPE SARAGAT – socialdemocratico suo successore, eletto dopo 21 scrutini – lo redarguiva sui discussi rapporti con De Lorenzo. “Pugnale, veleno, franchi tiratori”: sono i tre ‘mezzi tecnici’ che il mite Aldo Moro indicava come strumenti per azzoppare l’avversario nella corsa quirinalizia.
    Nella drammatica partita che porta alla vigilia di Natale del ’71 all’elezione di GIOVANNI LEONE, 23 scrutini andati a vuoto, le ambizioni di Fanfani vengono bruciate appunto dai franchi tiratori e dalla scheda che lui stesso si trova davanti nello spoglio: “Nano maledetto, non sarai mai eletto”. Si dimetterà per lo scandalo delle tangenti Loockheed.
    Secondo la regola non scritta dell’alternanza, al Colle dopo Leone va un uomo della sinistra: SANDRO PERTINI, primo presidente ‘mediatico’ e vicino alla gente, eletto a 82 anni dopo16 scrutini nel ’78, con il Paese ancora scosso dall’omicidio Moro per mano delle BR: 832 voti su 995 votanti.
    Poi tocca a FRANCESCO COSSIGA, il ‘Picconatore’, eletto nell”85 alla prima seduta con il voto dell’intero arco costituzionale, dopo l’abile tessitura di Ciriaco de Mita. Si dimette a sorpresa nel ’92, dopo aver iniziato a togliersi “sassolini dalle scarpe” in ruvide invettive contro i partiti.
    E’ la volta di OSCAR LUIGI SCALFARO. Andreotti e Fanfani si elidono a vicenda, arriva la Lega e scoppiano le bombe di Capaci, che silenziano l’inconcludenza dei partiti, prima del tonfo della Prima Repubblica con Mani Pulite.
    Alla prima seduta con il 70% dei voti e 185 franchi tiratori nel ’99 tocca a CARLO AZEGLIO CIAMPI. Veltroni a casa sua convince Fini e Casini, D’Alema sigla con Berlusconi la scelta bipartisan di un servitore dello Stato.
    Passa alla storia del Palazzo il numero dei 101 franchi tiratori che impallinano Prodi prima della seconda elezione di GIORGIO NAPOLITANO , eletto senza i voti del c.destra nel 2006 primo presidente ex PCI, e poi nel 2013. Quando tutti i partiti vanno in processione ad implorarlo di restare al Quirinale, fallite in giorni drammatici le aspirazioni quirinalizie di Prodi, Marini e D’Alema.
    E’ Matteo Renzi che molla Amato e lancia SERGIO MATTARELLA, eletto nel 2015 con 665 voti e 4 minuti di applausi. Il Presidente chiamato alla dura prova della pandemia.

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    Uno scranno a Claudio Lotito, la decisione arriva al Senato

    Claudio Lotito è a un passo dall’ingresso in Parlamento. Ma nulla è scontato. Giovedì, l’Aula del Senato discuterà la relazione della giunta per le elezioni e le immunità, che nel settembre scorso ha accolto un ricorso presentato dal patron della Lazio, riconoscendogli il diritto di sedere a Palazzo Madama. La storia va avanti ormai da più di tre anni, esattamente dalla primavera del 2018, quando Lotito si candidò per Forza Italia in un collegio campano. Quel seggio venne assegnato al parlamentare Vincenzo Carbone, anche lui in corsa per gli azzurri, ma Lotito presentò reclamo, ritenendo che ci fosse stato un errore di calcolo. In prima battuta, la giunta di Palazzo Madama ha dato ragione al patron biancazzurro, ma l’ultima, definitiva, parola la dirà l’Aula.
    La vicenda di Lotito è speculare a quella dell’imprenditore Michele Boccardi, già parlamentare azzurro, che ritiene di essere il legittimo ‘intestatario’ del seggio occupato da Carmela Minuto, sempre di FI, eletta in Puglia. Anche Boccardi ha vinto il primo round e attende la decisione finale di Palazzo Madama. L’Aula discuterà anche sull’elezione contestata di Adriano Cario, per la circoscrizione America Meridionale, ora iscritto al gruppo Misto. Da tre anni a questa parte, Lotito si avvicina allo scranno parlamentare alla stessa velocità con cui poi si allontana. Perché il suo approdo al Senato dipende non solo dalle norme, ma anche dagli umori della politica: sia in giunta che in Aula contano le maggioranze. Che dal 2018 sono mutate spesso e volentieri. Per dire: quando Lotito si è candidato, l’esito dalle elezioni ha portato alla nascita di un governo gialloverde, con Forza Italia all’opposizione. Quando Lotito ha vinto il ricorso in giunta, il governo era cambiato, ed era giallorosso.
    Forza Italia era sempre all’opposizione, ma intanto il competitor di Lotito, cioè il senatore Carbone, era passato da Forza Italia a Italia viva, entrando così in maggioranza. Ora lo scenario è un altro ancora. C’è la grande coalizione, la (quasi) unità nazionale: Forza Italia e Italia viva sono alleate nel governo di Mario Draghi. Ecco che fare previsioni su come andrà a finire in Aula non è semplice. Che la partita sarà combattuta si è visto già al momento di decidere quando giocarla. Il calendario prevedeva che la discussione cominciasse domani. Ma Lega e Italia Viva hanno chiesto uno slittamento, un po’ perché sono in corso i lavori sul dl fisco e un po’ perché domani i renziani hanno in agenda l’incontro con Draghi sulla manovra. Il voto d’Aula ha bocciato la richiesta di rinvio, che però c’è stato lo stesso su decisione dei capigruppo. Ma di un solo giorno.