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    Ddl, braccialetto elettronico a chi maltratta le donne

    Sicurezza, protezione, prevenzione e sostegno economico alle vittime: sono i principali pilastri su cui si basa il pacchetto di misure sulla violenza contro le donne che, nella forma del disegno di legge, andrà domani in Consiglio dei ministri. Un articolato non ancora definito nei dettagli e oggetto di discussione anche in queste ore, almeno in alcuni suoi aspetti.    Tra le misure al vaglio, in particolare, vi sarebbe anche la possibilità di procedere d’ufficio per determinate fattispecie che oggi prevedono la denuncia della vittima: si tratta dunque di avviare un’inchiesta senza querela, ma al momento questa norma – di cui pure si è parlato anche in occasione delle varie iniziative della giornata internazionale contro la violenza sulle donne – non compare nella bozza.    Una delle misure che invece viene data per certa è l’applicazione del braccialetto elettronico agli uomini che maltrattano, molestano o perseguitano e, più in generale, un rafforzamento degli interventi cautelari nei loro confronti.    Specularmente, sono previsti interventi volti a rafforzare la tutela delle donne che denunciano. Al provvedimento hanno lavorato in particolare le ministre dell’Interno e della Giustizia, Luciana Lamorgese e Marta Cartabia, insieme alle colleghe Gelmini, Carfagna, Bonetti e Stefani, ciascuna per il proprio ambito di competenza. “La gravità dei fatti chiamano le istituzioni a ripensare norme e procedure più adeguate, consapevoli che serve un approccio globale”, aveva detto la Guardasigilli nei giorni scorsi.    Più nello specifico, il pacchetto di norme dovrebbe proporre interventi sul codice penale e di procedura penale per rafforzare gli strumenti di prevenzione, come l’ammonimento, sulla falsariga di quello che avviene per lo stalking. Si punta ad aumentare la pena e prevedere la procedibilità d’ufficio per le percosse e le lesioni quando il fatto è commesso nell’ambito della violenza domestica, in questo modo sarebbe possibile l’arresto obbligatorio in flagranza per i violenti. Si dovrebbe poi intervenire per rendere più effettivi l’obbligo di allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, accompagnandolo con il braccialetto elettronico e, nel caso in cui sia negato il consenso, disporre anche misure cautelari più afflittive. La delega penale ha previsto l’arresto in flagranza per chi viola il divieto di avvicinamento, ora si dovrebbe intervenire con misure cautelari per evitare che la persona arrestata sia rimessa in libertà in attesa di giudizio.     

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    Manovra: domani decreto fiscale in Cdm, ai redditi bassi il 47% degli sgravi

    Domani il decreto fiscale sarà sul tavolo del Consiglio dei ministri. Lo annuncia il segretario confederale della Cgil al termini dell’incntro governo-sindacati sulla Manovra. “Ci hanno detto che domani intendono andare al Consiglio dei ministri” sul tema del taglio delle tasse in manovra “e domattina prima di andare al Consiglio dei ministri il presidente farà un nuovo passaggio con i sindacati confederali” precisa Landini. A Palazzo Chigi all’incontro sulla manovra hanno partecipato il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ed i sindacati. Con il premier, il ministro dell’Economia, Daniele Franco, il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli. Per i sindacati, i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri.
    I circa 2 miliardi di avanzo sul 2022 derivanti dal minor costo del taglio di Irpef e Irap saranno destinati in parte al taglio delle bollette, in parte a una decontribuzione una tantum. E’ quanto si apprende da fonti sindacali e di governo, a margine del tavolo a Palazzo Chigi sulla manovra. E sulla decontribuzione Sbarra leader della Cisl spieha: “Abbiamo apprezzato che il governo abbia messo un miliardo e mezzo per la decontribuzione per fasce di reddito al di sotto dei 47mila euro, per i lavoratori dipendenti. Una misura temporanea che abbiamo chiesto diventi strutturale”. E ancora: “Un confronto importante. Il governo ci ha presentato l’impianto di ripartizione dei 7 miliardi sull’Irpef: l’85% viene destinato nelle fasce di reddito al di sotto dei 50 mila euro per lavoratori dipendenti e pensionati. Abbiamo chiesto di rafforzare ulteriormente gli sgravi fiscali per le persone collocate nelle fasce medio basse, basse”. Così il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, al termine dell’incontro a Palazzo Chigi.
    In particolare, ha fatto sapere il governo, il 47% delle risorse destinate al taglio delle tasse in manovra andranno ai redditi più bassi. Ai redditi fino a 15mila euro andrà 1,1 miliardi e a quelli da 15mila a 28mila euro 2,2 miliardi. Dunque alle fasce più basse andranno in totale 3,3 miliardi, quasi la metà dei 7 miliardi disponibili in manovra per il taglio dell’Irpef.
    E il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, a margine di un incontro a Milano sulla storia economica italiana, ha detto: “Sono deluso dall’approccio dei partiti alla manovra”. “Ho sempre dichiarato – ha aggiunto – che sosteniamo l’azione di questo governo perché riteniamo che vada nella direzione delle riforme, di cui questo Paese ha bisogno da 25 anni. È un momento storico, così come ho dichiarato in diverse occasioni, ma certo quando vedo i partiti che presentano più di 6mila emendamenti per la gestione del fondo di otto miliardi, su cui dicevano di aver trovato un accordo politico, francamente rimango colpito”.

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    Il Consiglio di Stato respinge un ricorso: i medici non possono rifiutare il vaccino Covid

    Il personale sanitario “per legge e ancor prima per il “giuramento di Ippocrate” è “tenuto in ogni modo ad adoperarsi per curare i malati, e giammai per creare o aggravare il pericolo di contagio del paziente con cui nell’esercizio della attività professionale entri in diretto contatto”. E’ uno dei passaggi del decreto con il quale il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di un medico abruzzese contro la sospensione per il suo rifiuto di vaccinarsi, rifiuto motivato “sulla base di dubbi scientifici certo non dimostrati”. 

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    Consulta: inammissibile conflitto su green pass in scuole e universita'

    E’ inammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dall’avvocato Daniele Granara – in proprio e in qualità di difensore di 27.252 cittadini italiani tutti facenti parte del corpo docente, studentesco e del personale scolastico e universitario – per l’omesso esame della petizione presentata alle Camere e in cui si chiedeva di non convertire in legge il decreto-legge 6 agosto 2021 n. 111, che ha introdotto l’obbligo del cosiddetto green pass nella scuola e nell’Università. Lo ha stabilito la Corte costituzionale.
     In attesa del deposito dell’ordinanza, l’Ufficio Stampa della Corte costituzionale fa sapere che il conflitto è stato dichiarato inammissibile, sia sotto il profilo soggettivo sia sotto quello oggettivo. I firmatari di una petizione non sono titolari di una funzione attribuita dalla Costituzione, bensì di un diritto, che mai potrebbe trovare tutela in sede di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.    

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    Green pass: commissione Contenziosa boccia sospensiva senatori

    La commissione Contenziosa di Palazzo Madama ha respinto l’istanza di sospensiva proposta dai quattro senatori che hanno impugnato la delibera dei senatori questori che introduce l’obbligo di esibire il green pass per l’accesso al Senato e rinvia l’esame di merito alla decisione della Corte costituzionale, che si riunirà in camera di consiglio il 15 dicembre sul ricorso simile presentato da Gianluigi Paragone. Oltre a lui, gli altri tre parlamentari che hanno fatto ricorso sono Bianca Laura Granato, Carlo Martelli e Mario Giarrusso tutti del gruppo Misto. 
    La Contenziosa, che rappresenta il primo grado di giudizio del Senato sui ricorsi presentati contro i provvedimenti adottati all’interno, ha ascoltato oggi l’avvocato Andrea Perillo che rappresenta tre dei 4 senatori. “La commissione non è entrata nel merito del ritardo con cui sono stati presentati i ricorsi – ha spiegato l’avvocato – ma ha deciso di attendere il pronunciamento della Consulta sull’altro ricorso presentato dal senatore Paragone per conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato. Noi riteniamo che la procedura adottata con la delibera dei senatori questori sia illegittima perché avrebbe dovuto passare dal vaglio dell’assemblea”. Al momento, quindi e in attesa di ulteriori decisioni, resta in vigore l’obbligo di mostrare il green pass (da certificazione vaccinale o da tampone) per entrare nei vari palazzi del Senato.

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    Manovra: Camera, testo in Aula dal 21 dicembre

    L’Aula della Camera esaminerà dal 21 dicembre la legge di Bilancio. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo di Montecitorio. Ovviamente, questo termine è subordinato alla trasmissione della Manovra dal Senato.
    L’Aula della Camera terrà la discussione generale sul dl fiscale dal 13 dicembre. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo di Montecitorio.    

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    Quirinale 2015: Mattarella al Colle, il capolavoro di Renzi

    L’elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica nel 2015 è stato unanimemente definita il “capolavoro” politico di Matteo Renzi. L’allora segretario del Pd tirò fuori il nome del giudice della Corte costituzionale a ridosso dell’elezione superando anche le resistenze della minoranza interna che, secondo indiscrezioni mai smentite, avrebbe preferito un accordo con Silvio Berlusconi sul nome di Giuliano Amato. Dopo aver dato indicazioni di votare scheda bianca nelle prime tre votazioni, quelle dove è necessaria la maggioranza dei due terzi del Grandi elettori, Renzi tirò dritto su Mattarella che venne eletto alla quarta “chiama”, cioè la prima nella quale era sufficiente la maggioranza assoluta. E Sergio Mattarella passò agevolmente anche se non con una maggioranza ampia: ricevette 665 sì, 160 in più rispetto alla maggioranza assoluta del plenum, allora pari a 505.
    Dai primi calcoli sarebbero stati almeno una cinquantina i “franchi sostenitori” azzurri, ovvero tutti quelli che hanno ignorato le direttive di Berlusconi e si sono schierati a sostegno di Mattarella. Le schede bianche nella votazione decisiva sono state 105.
    Comprensibile l’ira del Cavaliere che in quel periodo era uno dei protagonisti del patto del Nazareno. Pur nella difficoltà di analizzare un voto segreto, i resoconti dell’epoca indicarono come “traditori” interni i fedelissimi di Denis Verdini ed i “fittiani”. Mattarella passò anche senza l’appoggio del Movimento 5 stelle che rimase bloccato sul nome dell’ex giudice Ferdinando Imposimato che si fermò a quota 127.
    L’elezione di Sergio Mattarella avvenne dopo le dimissioni di Giorgio Napolitano che rinunciò a concludere il suo secondo mandato dopo solo due anni a causa dell’età. Quando lo lanciò, Matteo Renzi lo presentò con queste parole: “Mattarella è un uomo della legalità dal grande profilo istituzionale, con lui possiamo cancellare lo smacco del 2013”, disse parlando ai grandi elettori del Pd riuniti prima dell’inizio delle operazioni di voto.
    La sua elezioni provocò grande interesse all’estero dove la figura politica di Mattarella era stata dimenticata ed era perlopiù descritto come un autorevole giurista. I grandi quotidiani si soffermarono infatti molto di più sulle mosse di Renzi: “Mattarella presidente della Repubblica, trionfo di Matteo Renzi”, titolò ad esempio Le Monde sottolineando che “Berlusconi e Beppe Grillo sono i grandi perdenti” delle elezioni presidenziali italiane.

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    Quirinale 2013: 101 ragioni per votare ancora re Giorgio

    Esattamente come sette anni prima. Anzi peggio. Nel 2013 le urne tradiscono le speranze del centrosinistra: ma se almeno Prodi nel 2006 era riuscito a strappare una risicata vittoria che gli aveva consentito di andare a Palazzo Chigi e di far eleggere Napolitano al Quirinale con i soli voti della maggioranza, nelle elezioni del febbraio 2013, Bersani fa peggio e non ha i numeri per poter dare le carte.
    Nessuno ha previsto il boom dei 5Stelle che portano in Parlamento 163 eletti che non vogliono scendere a patti con nessuno. Ma l’elezione del nuovo capo dello Stato è una grana da risolvere in fretta. Il primo tentativo fatto da Bersani, è di trovare un accordo con Forza Italia. Bersani e Berlusconi, accompagnati dai vice Enrico Letta e Angelino Alfano, si incontrano a Montecitorio il pomeriggio del 9 aprile. Il segretario del Pd presenta al Cavaliere una rosa di nomi, tutti ad alto coefficiente di digeribilità per il centrodestra: Massimo D’Alema, Giuliano Amato e Franco Marini. Nel frattempo i cinque stelle indicono le loro “quirinarie”: il loro candidato sarà Stefano Rodotà, giurista di sinistra ed ex parlamentare del Pds. Ma i vertici del Pd non si fanno tentare. Sommando i voti Pd e M5s si riuscirebbe anche a far eleggere Rodotà, ma poi che succederebbe? Si chiedono a via del Nazareno. Bersani e Berlusconi si incontrano nuovamente, questa volta a casa di Enrico Letta a Testaccio: decidono che l’uomo giusto da votare è Franco Marini. Tra i parlamentari Pd c’è nervosismo e nella riunione dei grandi elettori quasi un terzo si dissocia. Ma l’anziano politico abruzzese (ha 80 anni) è convinto di farcela lo stesso: sulla carta i voti ci sono (i partiti che lo sostengono ne hanno 739, ne bastano 672), e lui, accompagnato dalla moglie, va a ordinare tre vestiti blu da Cenci, il negozio di abbigliamento nei pressi della Camera dove si servono parlamentari e ministri.
    Si arriva così al 18 aprile, data in cui ricorre la strepitosa vittoria della Dc nelle elezioni del 1948. Ma il vecchio democristiano convinto di essere già presidente prende uno schiaffo che nessuno immaginava: gli mancano 218 voti, si ferma a quota 521. Altro che elezione con i due terzi. Meglio soprassedere. Nella seconda votazione, per evitare figuracce, il Pd sceglie la scheda bianca. Il giorno dopo, la mattina del 19 aprile, Bersani, compie un’inversione a U e propone di votare Romano Prodi dal quarto scrutinio. E’ un azzardo sul filo dei numeri, ma l’assemblea esulta, tutti applaudono, e nemmeno si fa la votazione per ratificare la sua candidatura. Il professore, che si trova nel Mali, in missione per conto delle Nazioni Unite, ringrazia. Tra le telefonate ricevute anche quella di D’Alema, che però gli fa uno strano discorso: “La tua candidatura va benissimo ma forse decisioni del genere andrebbero prese coinvolgendo i massimi dirigenti del partito”. Prodi mangia la foglia e telefona alla moglie: “Flavia, non ti preoccupare, presidente della Repubblica non ci divento”. Prodi scende in pista al quarto scrutinio: sulla carta ci sono 496 voti, ne servono altri otto per raggiungere il quorum. Bersani è convinto di ottenerli da qualche grillino dissidente e da qualche seguace di Monti (che ha dato indicazione di non votare Prodi). Ma è un bagno di sangue: Prodi prende solo 395 voti. In 101 hanno tradito. Il Pd è nel caos più totale. Bersani annuncia che si dimetterà subito dopo l’elezione del nuovo capo dello Stato. A questo punto tutti gli sguardi si voltano verso il Quirinale. Sabato 20 Bersani sale al Colle per chiedere al presidente in carica, che aveva già preparato il trasloco, di ripensarci. La stessa richiesta viene fatta a Napolitano da Berlusconi, da Monti, persino dai leghisti di Maroni. Nel Pd miracolosamente scompaiono i franchi tiratori. Il 20 pomeriggio Napolitano viene rieletto: 738 voti. E può cominciare il secondo mandato di “re Giorgio”.