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    Marta Cartabia, la prima donna a ‘rompere il vetro di cristallo’ alla guida della Consulta

    E’ consapevole di aver “rotto un vetro di cristallo” quando è diventata la prima donna alla guida della Corte Suprema nel 2019 e ora c’è chi non esclude che Marta Cartabia possa conquistare anche il Colle più alto, diventando la prima presidente della Repubblica. Ministro della Giustizia del governo Draghi, è stata protagonista a pochi mesi dal suo insediamento di una difficile e lunga mediazione con le forze di maggioranza per poter incassare la riforma del processo penale e civile, considerati tra i pilastri del Piano di ripresa e resilienza italiano.
    Originaria della provincia di Milano, sposata con tre figli, l’attuale Guardasigilli appartiene alla schiera dei tecnici dell’esecutivo: giurista cattolica, allieva di Valerio Onida e professoressa ordinaria di Diritto costituzionale, è arrivata alla Corte Costituzionale, di cui è appunto diventata nel dicembre 2019 la prima donna presidente, nel 2011 (a solo 48 anni) chiamata da Giorgio Napolitano. Può contare sulla stima del presidente Mattarella, maturata nel comune lavoro come giudici delle leggi. I due sono stati anche vicini di casa alla foresteria della Consulta. A volte cenavano al ristorante, “un po’ come studenti fuorisede”, ha raccontato lei stessa in un’intervista. Alla Consulta è stata relatrice di importanti sentenze su questioni delicate e divisive: prima di tutte quella sui vaccini, con la quale la Corte ha stabilito che l’obbligo non è irragionevole. Altro impegno, quello per migliorare la vita dei detenuti: dagli incontri con i detenuti ha imparato che “ogni storia e ogni uomo ha alle spalle qualcosa di unico, per questo la pena non deve dimenticare l’unicità di ciascuno”.
    Cartabia era da poco tornata alla vecchia passione dell’insegnamento e della ricerca, quando le è stato chiesto di guidare il ministero di Via Arenula con l’obiettivo di accelerare la modernizzazione del sistema giudiziario del Paese, da molti considerato uno degli ostacoli principali negli investimenti.

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    Draghi il civil servant e il destino del Colle

    Si svolge nel segno di Mario Draghi l’elezione del tredicesimo presidente della Repubblica. Una carriera da civil servant al ministero del Tesoro, la guida di Banca d’Italia in anni complicati, poi lo storico ‘Whatever it takes’ pronunciato da presidente della Banca centrale europea, per salvare l’euro dalla crisi del debito sovrano.
    Già nel 2015 si fa il suo nome per la successione a Giorgio Napolitano. Lui, da Francoforte, si sfila: “Non voglio essere un politico”.
    Quando lascia la Bce, nel 2019, glielo domandano di nuovo: andrà al Quirinale? “Chiedete a mia moglie”, sorride. E sembra quasi un’apertura. Arriva prima però la chiamata di Sergio Mattarella alla presidenza del Consiglio. La pandemia e l’instabilità politica complicano tutto, ma Draghi a inizio 2022 è ancora in cima ai papabili.
    Chi nel passato cerca indizi o premonizioni, ricorda che il 13 maggio 1999 c’è Draghi al fianco di Carlo Azeglio Ciampi ad assistere in tv allo spoglio per il Quirinale: Ciampi viene eletto al primo scrutinio, il futuro di Draghi è di là da venire.
    Romano, romanista, classe 1947, perde entrambi i genitori quando è ancora adolescente. Va a scuola dai gesuiti, si laurea alla Sapienza nel 1970 con il keynesiano Federico Caffè, poi il Mit di Boston.
    Le sue idee sono ispirate al “liberalismo sociale”. La carriera di “Super Mario”, con una sola parentesi nel privato ai vertici di Goldman Sachs, annovera la direzione esecutiva della Banca Mondiale, la direzione generale del Tesoro negli anni ’90, la nomina a governatore di Bankitalia dopo le dimissioni di Antonio Fazio, la presidenza Bce negli anni della crisi finanziaria. A febbraio 2021 Draghi accetta di guidare un governo di unità nazionale: vaccini e ripresa economica, al centro del programma. Scrive il Recovery plan, presiede un G20 all’insegna del multilateralismo, insiste sul sovranismo europeo, a Greta assicura impegno per il clima. “Non è importante ciò che vuoi diventare ma quel che sei”, risponde ai ragazzi che lo interrogano sul futuro. Nel suo potrebbe esserci il Quirinale, Draghi non lo nega: “Io sono un nonno al servizio delle istituzioni”.

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    Casini, il democristiano da 38 anni in Parlamento capace di dialogare con tutti

    Tra i tanti possibili candidati al Quirinale, Pier Ferdinando Casini, classe 1955, bolognese e democristiano doc, è certamente quello ad avere il profilo più “politico”.
    Eletto nel Parlamento italiano nel lontano 1983 vi rimarrà nei 38 anni successivi sino a oggi. Con due legislature europee e l’elezione a Presidente della Camera, tra il 2001 e il 2006, di fatto è il solo a poter vantare questo invidiabile record di longevità politica. Due matrimoni e due separazioni alle spalle, quattro, figli, gentile e sempre elegante, ha sostenuto tantissimi governi, praticamente tutti dagli anni ’80 a oggi, eccezion fatta per il governo Dini e quelli della stagione dell’Ulivo.
    Negli ultimi sei mesi si è limitato a pochissimi comunicati stampa: uno per felicitarsi della liberazione di Patrick Zaky, un altro per rendere omaggio a Desmond Tutu, infine un messaggio di cordoglio per la morte del fratello di Ignazio La Russa. Su tutto il resto silenzio assoluto, in piena coerenza con la sua vecchia scuola politica.
    Dirigente del movimento giovanile Dc, consigliere comunale della sua città, Bologna, quindi, ad appena 28 anni, con 30mila preferenze, entra a Montecitorio. E’ il più stretto collaboratore di Arnaldo Forlani, che, da segretario del partito, lo inserirà nel 1989 nella Direzione Nazionale. Ma anche dopo il crollo del muro è protagonista anche della cosiddetta Seconda Repubblica. Di fronte alla diaspora democristiana, sceglie di guidare il centro che guarda a destra, a Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, creando il Ccd. Nel 2002 fonda l’Udc. Solo le settimane prossime diranno se questo affascinante Highlander della politica italiana ce la farà a salire sul Colle più alto. A suo favore la profezia di Umberto Bossi dopo Natale: “Volete sapere come andrà a finire? Dovrebbe farcela Casini”, parola dell’ex Braveheart lumbard.

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    Berlusconi, il Quirinale un antico sogno dopo una vita di successi e cadute

    Silvio Berlusconi in cuor suo lo sogna da sempre. Una volta, era il 2014, l’ha anche ammesso pubblicamente: “Ho la profonda convinzione che sarei il migliore presidente della Repubblica”.
    Altre volte, il Cavaliere ha usato uno dei suoi cavalli di battaglia, il presidenzialismo, per provare a coronare il progetto: siccome in Parlamento una maggioranza per diventare Capo dello Stato non c’è – è il ragionamento – meglio cercarla nel Paese. Negli anni, il pensiero per il Quirinale non è mai venuto meno.
    Quando nel 2013 attacca Monti, Fini, Casini e il loro “centrino”, lo fa per recriminare: senza di loro avremmo Gianni Letta al Colle. A lungo, infatti, ha usato il suo braccio destro come schermo dei suoi sogni. Lo spartiacque è appunto il 2013, quando subisce la condanna in via definitiva. Da allora l’ex premier cova la riscossa. In questi ultimi mesi punta sulla disgregazione della galassia grillina e sul gruppo Misto per raccogliere i voti che gli mancano. Comunque vada, si chiuderà un cerchio. Aperto con la discesa in campo nel 1994. Il Cavaliere, patron del Milan che proviene delle imprese, rivoluziona lo stile e il linguaggio della politica, ridisegna i poli e apre la stagione della Seconda Repubblica.
    Una traiettoria non certo lineare: la vittoria del giugno ’94, la caduta, la “traversata nel deserto”, la nuova vittoria nel 2001, la sconfitta nel 2006, la rivincita del 2008, l’apice del consenso, il predellino, la sfida finale con Fini, il collasso dei titoli di Stato nel 2011, la smacco della risata di Merkel e Sarkozy, la resa a Mario Monti, la condanna nel processo Mediaset, i servizi sociali, l’ennesimo ritorno nel 2018, il limbo durante il governo giallorosso e il Covid che lo costringe in ospedale.
    E adesso che Berlusconi ha raggiunto la soglia degli 85 anni accarezza l’idea del Quirinale. Sembra crederci davvero l’ex premier. Difficile prevedere cosa potrebbe accadere nel caso non dovesse riuscirci: c’è chi pensa che possa scagliarsi sul governo. Oppure, fedele a una strategia limata durante 28 anni in politica, tirare la corda fino a un attimo prima che si spezzi, infine sfilarsi e indicare lui il successore Mattarella.

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    Amato, il Dottor Sottile dal curriculum record

    L’uomo è garbato nei toni ma inflessibile nelle scelte: fu lui, da primo ministro, a volere ed ottenere la fine della scala mobile. Sempre Amato – nel 1992 – ebbe il coraggio di varare una Finanziaria da 93 mila miliardi di lire (un record a quei tempi) che non esitò a definire “di lacrime e sangue” e a cui affiancò un prelievo forzoso del 6 per mille su tutti i depositi bancari (effettuato nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1992).
    Un socialista da sempre piaciuto a Silvio Berlusconi (“mi può capitare di guardarmi allo specchio e di vederci Giuliano Amato”, disse una volta il Cavaliere), il “dottor Sottile” presenta oggi un curriculum sterminato. Nato a Torino il 13 maggio del 1938, muove i primi passi in politica con il Psi nel 1958 e per il garofano è stato deputato dall’83 al ’93. Due volte presidente del Consiglio (dal 1992 al 1993 e dal 2000 al 2001), due volte Ministro del Tesoro (1987-1989 e 1999-2000) e ministro per le riforme istituzionali (1998-1999).
    Dal 2013 – con un precedente passaggio alla guida dell’Antitrust e un ritorno all’antico amore per l’insegnamento – è giudice costituzionale e dal settembre 2020 ricopre la delicata vicepresidenza della Consulta. Un “azzeccagarbugli” che non chiede incarichi e ne ottiene più di quanti ne possa accettare, è anche professore di diritto costituzionale, saggista, uomo di cultura enciclopedica, non privo di gocce di alterigia che non si cura di trattenere.
    Negli anni ottanta Eugenio Scalfari coniò per lui il soprannome di Dottor Sottile, con doppio riferimento al suo acume politico e alla gracilità fisica che però non ha mai mostrato sui rettangoli dei campi da tennis, sua grande passione. Giorgio Forattini giocò con la matita raffigurandolo come Topolino in risposta all’allarme da lui lanciato – nel 1992 – di un’Italia pericolosamente percepita come la Disneyland d’Europa.

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    Quirinale: Guzzetta, i positivi devono poter votare

    Gli uffici della Camera dovrebbero pensare a “misure tecno-sanitarie” che consentano ai parlamentari positivi al Covid o in quarantena di poter prendere parte all’elezione del Presidente della Repubblica, visto che il loro numero è tutto sommato limitato. Lo dice all’Ansa il costituzionalista Giovanni Guzzetta, commentando le affermazioni del presidente Fico che ha annunciato che i positivi non voteranno, così come in precedenti elezioni del Capo dello Stato non hanno votato alcuni grandi elettori malati.    Guzzetta solleva delle obiezioni sul paragone fatto ieri dal presidente Fico nell’intervista a “In mezz’ora”: “La differenza tra l’attuale situazione e le precedenti, consiste nel fatto che nelle precedenti volte la scelta se partecipare o meno al voto era dell’interessato; in questo caso l’interessato non ha possibilita di scelta, ancor più per i positivi asintomatici, per i quarantenati che non sono nemmeno malati”.    “La soluzione che si ventila in queste ore – prosegue il costituzionalista – di rifiuto di altre soluzioni, mi sembra in contraddizione con il principio di proporzionalità: da una parte le preoccupazioni dell’emergenza sanitaria, dall’altra un numero relativamente circoscritto di persone per le quali si chiederebbe una deroga per poter esercitare una funzione di interesse pubblico”. “Girando la domanda potremmo chiedere: ci sono delle misure tecniche, anche per un numero limitato di persone che consentano di farle partecipare al voto in sicurezza? La domanda richiede una riposta tecnico sanitaria a fronte di un interesse pubblico di grande rilievo. I parlamentari stanno svolgendo un incarico pubblico a nome degli elettori”.    Voto a distanza o voto nelle prefetture? “Con queste ipotesi aggiungiamo complicazioni. Io vedo meglio la predisposizione di percorsi specifici, di luoghi dove i parlamentari positivi o in quarantena possono sostare e dormire. Naturalmente occorre una norma urgente che le Camere dovrebbero chiedere al Governo di emanare. In fin dei conti anche i cittadini escono per andare a fare il tampone pur non essendo guariti. Il confinamento è ragionevole ma non esclude deroghe”.    “Regole innovative sono possibili – conclude Guzzetta – si tratta di vedere se sono proporzionate rispetto all’interesse pubblico”.    

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    Il Progetto di Ventotene sarà intitolato a Sassoli

       Sarà intitolato a David Sassoli il Progetto Ventotene per il recupero del carcere di Santo Stefano. La proposta, lanciata nelle scorse ore dalla Commissaria straordinaria del Governo Silvia Costa d’intesa con il Ministro della Cultura Dario Franceschini, è stata accolta con favore dal Premier Mario Draghi che ha sottolineato come “la morte di David Sassoli rappresenti una grande perdita per l’Italia e per l’Europa intera. I tributi che gli sono stati rivolti riflettono la profondità del suo impegno a favore di una Europa più unita e più libera, come nelle intenzioni dei padri fondatori”. 
       Per queste ragioni, il Premier condivide “pienamente la proposta di intitolargli il Progetto Ventotene-Santo Stefano, per una Scuola di Alti pensieri in un luogo a lui molto caro. Sarà – conclude Draghi – un modo per tracciare una linea ideale con il passato, tra due momenti di rinascita del progetto europeo, di cui David Sassoli è stato appassionato protagonista”. Il Progetto per il recupero dell’ex carcere di Santo Stefano, ha dichiarato Dario Franceschini, “è un’ iniziativa ambiziosa a cui guarda tutta Europa. Il valore di quei luoghi deve essere considerato per l’alto significato simbolico, è lì che è nata l’idea più rivoluzionaria dei nostri tempi: l’Europa federale. Ed è giusto oggi intitolare questo progetto a David che con il suo impegno politico e civico è stato in tutto il suo percorso di vita un interprete profondo dello spirito del Manifesto di Ventotene”.
       “David Sassoli – ha evidenziato la Commissaria Costa – ha saputo interpretare con garbo e determinazione quella sintesi che Lei ha molto bene espresso in Parlamento di idealità e mediazione alla luce dei suoi saldi valori cattolico democratici e delle sue forti istanze di solidarietà, giustizia sociale, partecipazione civica e dialogo. Sono certa che la testimonianza e l’esempio di Sassoli resteranno anche nel cuore di tanti giovani che ci stanno inviando toccanti messaggi e che in questi anni lo hanno sentito vicino e attento alle loro richieste. Considero significativo e pertinente quindi che il Governo gli intitoli il Progetto Ventotene-Santo Stefano per una ‘Scuola di Alti pensieri’ che accolga tutte le migliori esperienze formative sui diritti umani, la dignità della persona, la giustizia, la solidarietà, il ruolo della cultura e della sostenibilità per la costruzione della libertà, della democrazia e della solidarietà in Europa e nel Mediterraneo”.    Silvia Costa ha ricordato in particolare le parole che David Sassoli ha rivolto da Bruxelles il 17 settembre 2020 durante l’iniziativa da lei promossa proprio a Ventotene con le istituzioni locali e le amministrazioni sottoscrittrici del Progetto: “Il carcere di Santo Stefano e l’isola di Ventotene costituiscono dei capisaldi della nostra storia, punti di riferimento. il passaggio di tanti protagonisti della vita della Repubblica italiana: Sandro Pertini, Umberto Terracini, Rocco Pugliese, uomini coraggiosi considerati scomodi, dissidenti politici, persone che hanno fatto della resistenza al fascismo una delle loro battaglie, sono stati costretti a trascorrere parte delle loro vite in questo carcere, molti addirittura le loro ultime ore. Il valore del carcere di Santo Stefano deve essere quindi considerato per il suo alto significato simbolico.  Il patrimonio culturale è una parte importante della nostra identità comune. Il vostro progetto va proprio in questa direzione, ha il nostro sostegno e contribuisce a rafforzare quel senso di cittadinanza europea che proprio sugli scogli di Ventotene ha posto le sue fondamenta. E’ lì che abbiamo avuto uomini e donne che hanno immaginato, per noi, un futuro diverso. Non dobbiamo dimenticare che questa è stata una terra di ispirazione per tutti coloro che consideriamo i nostri padri fondatori e le loro parole sono ora, più che mai, attuali”.   

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    Progetto Ventotene sarà intitolato a Sassoli

    (ANSA) – ROMA, 17 GEN – Sarà intitolato a David Sassoli
    il Progetto Ventotene per il recupero del carcere di Santo
    Stefano. La proposta, lanciata nelle scorse ore dalla
    Commissaria straordinaria del Governo Silvia Costa d’intesa con
    il Ministro della Cultura Dario Franceschini, è stata accolta
    con favore dal Premier Mario Draghi che ha sottolineato come “la
    morte di David Sassoli rappresenti una grande perdita per
    l’Italia e per l’Europa intera. I tributi che gli sono stati
    rivolti riflettono la profondità del suo impegno a favore di una
    Europa più unita e più libera, come nelle intenzioni dei padri
    fondatori”.   
    Per queste ragioni il Premier condivide “pienamente la proposta
    di intitolargli il Progetto Ventotene-Santo Stefano, per una
    Scuola di Alti pensieri in un luogo a lui molto caro. Sarà –
    conclude Draghi – un modo per tracciare una linea ideale con il
    passato, tra due momenti di rinascita del progetto europeo, di
    cui David Sassoli è stato appassionato protagonista”. Il
    Progetto per il recupero dell’ex carcere di Santo Stefano, ha
    dichiarato Dario Franceschini, “è un’ iniziativa ambiziosa a cui
    guarda tutta Europa. Il valore di quei luoghi deve essere
    considerato per l’alto significato simbolico, è lì che è nata
    l’idea più rivoluzionaria dei nostri tempi: l’Europa federale.   
    Ed è giusto oggi intitolare questo progetto a David che con il
    suo impegno politico e civico è stato in tutto il suo percorso
    di vita un interprete profondo dello spirito del Manifesto di
    Ventotene”. “Sono certa – ha evidenziato la Commissaria Costa –
    che la testimonianza e l’esempio di Sassoli resteranno anche nel
    cuore di tanti giovani che ci stanno inviando toccanti messaggi
    e che in questi anni lo hanno sentito vicino e attento alle loro
    richieste. Considero significativo e pertinente quindi che il
    Governo gli intitoli il Progetto Ventotene-Santo Stefano per una
    ‘Scuola di Alti pensieri’ che accolga tutte le migliori
    esperienze formative sui diritti umani, la dignità della
    persona, la giustizia, la solidarietà, il ruolo della cultura e
    della sostenibilità per la costruzione della libertà, della
    democrazia e della solidarietà in Europa e nel Mediterraneo”.   
    (ANSA).