More stories

  • in

    Quirinale: neodeputata Sessa, debutto fra emozione e tristezza

    Avrebbe decisamente preferito debuttare nel 2018, quando invece alle politiche risultò la prima dei non eletti del listino plurinominale Campania 2 di Forza Italia. Il destino ha voluto che Rossella Sessa approdasse alla Camera quasi quattro anni più tardi, subentrando a Enzo Fasano, amico e collega di partito morto domenica, alla vigilia dell’elezione del presidente della Repubblica. Così la neodeputata ha esordito alla Camera nel momento più importante della politica italiana, con uno stato d’animo combattuto.
    “Sento un turbinio di emozioni ma con un po’ di tristezza”, ha raccontato all’ANSA la commercialista salernitana classe 1973, proclamata a mezzogiorno dal presidente di turno Andrea Mandelli: “Enzo era un amico e una guida: ci conoscevamo da tanto, ho iniziato con lui come riferimento sul territorio e con Mara Carfagna come riferimento nazionale”.
    Avvisata ieri dal capigruppo di FI alla Camera, Paolo Barelli, la neo deputata stamattina presto è partita per Roma assieme al marito, lasciando le figlie a Salerno. “Sono abituata a viaggiare per lavoro e loro sono abituate alla mia presenza a intermittenza. Mi sarebbe piaciuto entrare in Parlamento in un altro modo, ma non ero lì ad attendere con ansia di riuscirci. Faccio politca come valore aggiunto alla mia vita privata e professionale”, ha spiegato la deputata azzurra, funzionario di FormezPA, con il ruolo di coordinatore delle attività con la Regione Calabria, in particolare per le attività riconducibili al dl Brunetta (dal Pnrr alla semplificazione amministrativa). Proprio il ministro della Pubblica amministrazione è stato tra i primi ad accoglierla in Transatlantico prima della votazione, in cui proprio per l’ingresso di Sessa il numero dei grandi elettori è tornato a 1.009 e il quorum per i primi tre scrutini a 673. Salvo nuove crisi, ha davanti poco più di un’anno di legislatura.
    “Con il mio gruppo – ha detto Sessa – mi confronterò per fare scelte adeguate per il territorio campano e per la nazione”. Intanto la prima è l’elezione del capo dello Stato. “Speriamo – si è augurata – che vada nel migliore dei modi per il bene di tutti gli italiani”.

  • in

    Mattarella lascia Palermo, bimba lo accoglie in strada

    Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha lasciato la sua abitazione di Palermo. Prima di salire in macchina, un piccolo fuori programma: ad attenderlo, davanti alla sua abitazione di via Libertà, una bimba, Emilia, 8 anni, sua fan, accompagnata dalla mamma. Ieri Emilia aveva consegnato una lettera alla scorta, indirizzata al Capo dello Stato.
    Mattarella, prima di salire in macchina per raggiungere l’aeroporto, si è fermato a parlare con la piccola che frequenta la quarta elementare, stringendole la mano.   

  • in

    TEMPO REALE – La cronaca del voto

    Oggi è il giorno delle rose per il Quirinale. Quella a tre petali del centrodestra (Moratti, Pera, Nordio) e quella che il centrosinistra valuta a lungo di contrapporre nel vertice pomeridiano di Letta, Conte e Speranza per poi decidere di no, bocciando la terna degli avversari che non porta alla “condivisione” anche se è “un passo avanti” nel dialogo, che dovrà proseguire domani. Nella terna di Salvini, Meloni e Tajani – partorita nel giorno della ormai certa seconda fumata nera – c’è un petalo coperto, il più prezioso: la presidente del Senato Elisabetta Casellati, che lo stesso Salvini evoca: “ha già in sè la dignità di essere una possibile scelta” in quanto seconda carica dello Stato, chiamata il 3 febbraio al ruolo di supplenza di Sergio Mattarella nel caso di mancata fumata bianca. Questo petalo coperto, di fatto, indebolisce già la corsa degli altri tre che comunque Enrico Letta si premura di definire “nomi di qualità”, prima di bocciarli. Coperto forse ancora anche il nome di Frattini, che per Salvini “è follia definire filorusso”. Ma nella rosa ci sono forse più spine che petali per il centrosinistra, perchè il leader della Lega – dopo il no secco a Berlusconi – già avverte: “non possono solo dire no no no”. Giorgia Meloni chiede “rispetto” al centrosinistra, che peraltro “ha espresso almeno 4 degli ultimi Capo dello Stato”. Dalla terna si scarta Tajani, reggente di Fi, e si invoca dialogo e assenza di pregiudizi, giacchè “nessuno dei nomi fatti ha in tasca la tessera di partito”. Letta, Conte, Speranza valutano a lungo se contrapporre loro nomi o no, mentre scorre lo spoglio della seconda votazione con centinaia di schede bianche. Ma oggi è anche il giorno dei 468 morti di Covid, della grave crisi russo-ucraina, delle emergenze (bollette, pnrr, patto stabilità). Per questo Salvini rimarca più volte “da Draghi non vado a chiedere poltrone ma a parlare della vita reale, perchè si schierano soldati e carriarmati e se si chiudono i rubinetti del gas l’Italia resta al buio”. Conte a sua volta cerca di tenere a bada i 5s chiedendo “al timoniere, a cui abbiamo affidato la nave in difficoltà, di restare al comando”. “Il mio ruolo non è difendere il destino dei singoli ma l’interesse del paese”, si contrappone esplicitamente a Letta, che si era dato il compito di “proteggere Draghi”. Chissà se la bocciatura dei nomi del centrodestra porterà di nuovo al centro delle manovre Draghi – ieri attivissimo e oggi assai meno esposto – e magari di nuovo ancora Mattarella, di rientro da Palermo. Un altro ‘papabile’, Casini , oggi sul web mette una foto di sè ventiduenne e con chioma nerissima, con la chiosa “la passione politica è la mia vita”. E intanto Renzi mette fretta: “si voti due volte al giorno, manca una regia come nel 2013, non è il momento delle rose ma del coraggio di votare un nome”.

  • in

    Quirinale, i nomi del centrodestra: Moratti, Nordio e Pera

    La manager, il magistrato e il filosofo. È la terna che il centrodestra schiera per il Colle. Ecco, in sintesi, i profili dei candidati.
    LETIZIA MORATTI – Prima presidente donna della Rai negli anni ’90, prima sindaca di Milano dal 2006 al 2011, oggi è la vicepresidente della Regione Lombardia, guidata da Attilio Fontana, con delega al Welfare. Milanese, classe 1949, figlia di un partigiano, a 25 anni inizia la sua carriera di manager, nel campo assicurativo. Ma la passione politica non si fa attendere. Nel 2006 vince la corsa per Palazzo Marino, da cui guida la città per 5 anni, dopo altrettanti da ministra dell’Istruzione nel governo Berlusconi. È, invece, dell’allora premier Romano Prodi la nomina nel 2007 a commissario per la candidatura di Milano a Expo 2015. L’amico Indro Montanelli, nel descrivere il suo temperamento, ne sottolineava il “soave pugno di ferro”. Nel 2019 va presiedere per circa un anno il Cda di Ubi Banca. Letizia Brichetto Arnaboldi è la vedova del petroliere Gian Marco Moratti, presidente della Saras, da cui ha avuto due figli. Insieme a suo marito è stata sempre vicina ai ragazzi della comunità di recupero di San Patrignano. In epoca Covid viene chiamata dalla Regione Lombardia come assessore a vice del leghista Fontana.
    CARLO NORDIO – Magistrato per 40 anni, ha ricevuto nelle scorse settimane l’ultimo incarico: consulente della commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di David Rossi, l’allora capo comunicazione di banca Mps. Trevigiano, 74 anni, è tuttora tra i protagonisti del dibattito sulla giustizia: da ultimo si è schierato per il sorteggio per la composizione del Csm e ha firmato i referendum di Radicali e Lega. Negli anni ’80 conduce le indagini sulle Brigate Rosse venete e sui sequestri di persona. Poi, si sposta sul fronte di Tangentopoli e mette sotto inchiesta, con il sistema politico e amministrativo veneto, anche le coop rosse. Questa l’indagine che gli regala la celebrità. Vent’anni dopo, da procuratore aggiunto, coordina l’inchiesta sul Mose, che nel 2014 porta a 35 arresti e a un vero terremoto politico e amministrativo. Nordio è anche presidente della Commissione per la riforma del Codice penale, con l’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli (Lega) e in seguito consulente di diverse Commissioni parlamentari. Nel commentare la proposta di Giorgia Meloni di mandarlo al Colle, l’ex magistrato ha fatto sue le parole del centurione di Cafarnao: “Domine non sum dignus. Signore, non sono degno”.
    MARCELLO PERA – Già presidente del Senato dal 2001 al 2006, viene eletto a Palazzo Madama con il Popolo delle Libertà e con la Casa delle Libertà dal 1996 al 2013. Tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del 2000 è vicepresidente del gruppo di Forza Italia e responsabile del dipartimento Giustizia di Fi. Lucchese, 79 anni, nel novembre 2018 viene nominato presidente del Comitato storico-scientifico per gli anniversari di interesse nazionale istituito presso la presidenza del Consiglio. Accademico di filosofia, inizia il suo percorso universitario e di ricerca negli anni Settanta: prima borsista, poi assistente ordinario, infine professore ordinario, coordinatore del dottorato in Filosofia della scienza a Pisa e membro del Comitato scientifico dell’Associazione “Fondazione Karl Popper”, di cui è grande studioso. Tra i numerosi volumi pubblicati c’è il libro ‘Perché dobbiamo dirci cristiani’ introdotto dal Papa emerito Joseph Ratzinger. Nel 2000, quando morì Bettino Craxi, nel definirlo “un grande statista e un grande socialista”, Pera puntò il dito contro “l’ingratitudine di molti”, la “pavidità” di altri e “l’ipocrisia e il cinismo di altri ancora’ che lo avevano “condannato”.

  • in

    Quirinale: Casini su Instagram, la passione politica è mia vita

    Dopo un periodo di deciso riserbo Pier Ferdinando Casini rompe il silenzio con un post su Instagram in cui dichiara il suo amore per la politica. “La passione per la politica è la mia vita!!”, sottolinea allegando una sua foto in bianco e nero. Un giovane Casini, diciannovenne, che parla dal palco di un convegno del movimento giovanile della Dc. Quasi cinquant’anni di impegno per la democrazia e le istituzioni, dunque, sembra rivendicare con orgoglio proprio mentre in molti appaiono pronti, invece, a celebrare il funerale della politica. A più di qualcuno appare come un segnale in questi giorni concitati, quando il suo nome è entrato a più riprese nel toto Quirinale.
    Anche oggi molti lo citano come possibile inquilino del Colle più alto. Lo fa un altro democristiano doc come Clemente Mastella che in una intervista alla Stampa racconta: ‘Diversi Cinque Stelle sono venuti da me a dire: meglio Casini che Draghi’. ‘Se dovessi dare un consiglio – aggiunge il sindaco di Benevento – Draghi è bravissimo, continui a fare il premier. Non vedo perché Casini non possa essere un buon nome’. Il diretto interessato si schermisce con i cronisti che, dopo il secondo scrutinio, gli chiedono se debbano già chiamarlo presidente: ‘Mi dovete chiamare Casini, come mi avete sempre chiamato da quarant’anni’, replica con il consueto piglio bolognese.
    E ancora, a chi gli chiede come viva questo momento che lo vede nella rosa dei papabili per l’incarico di capo dello Stato, risponde semplicemente: ‘L’importante è la salute’.
    Insomma, il silenzio è rotto, ma non troppo. Anche perché – come ricorda un altro politico di lungo corso, il capogruppo di Italia Viva alla Camera Ettore Rosato – è proprio questa la regola aurea per chi aspira alla presidenza della Repubblica: ‘Chi è meno nominato ha più chances’. Il silenzio è d’oro, dunque. E fino ad oggi è proprio questa la strategia osservata dall’ex presidente della Camera. 

  • in

    Processo fondi Santa Sede: nuovo rinvio a giudizio per 4 imputati

    Il Tribunale vaticano, su richiesta del promotore di giustizia, ha oggi nuovamente rinviato a giudizio i quattro imputati del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, nato dall’acquisto del palazzo di Londra, per i quali gli atti erano stati rinviati allo stesso ufficio dell’accusa: sono mons. Mauro Carlino, ex segretario del card. Angelo Becciu, il finanziere Raffaele Mincione, l’avv. Nicola Squillace e il funzionario vaticano Fabrizio Tirabassi, per tutti i reati contestati. Il troncone di processo con questi quattro imputati sarà riunito a quello con gli altri sei, intanto proseguito, il prossimo 18 febbraio.
    Le nuove citazioni firmate oggi dal presidente Giuseppe Pignatone riguardano anche il cardinale Angelo Becciu limitatamente all’accusa di subornazione dell’imputato mons. Alberto Perlasca, che così rientra anch’essa nel processo. Per l’altro imputato Tommaso Di Ruzza, ex direttore dell’Authority anti-riciclaggio vaticana, invece, è stata decisa l’archiviazione per un’ipotesi di peculato, mentre restano in piedi le altre accuse agli atti.
        Parlando con i giornalisti, il promotore di giustizia aggiunto Alessandro Diddi ha spiegato che “in questi mesi, in cui le difese degli imputati avevano chiesto maggiori approfondimenti e gli interrogatori di chi non vi era stato sottoposto nella fase istruttoria, nessuno degli imputati si è presentato per essere interrogato”. “Noi però gli approfondimenti li abbiamo condotti ugualmente – ha aggiunto -, depositando sette faldoni di nuovi accertamenti”.    All’inizio dell’udienza di oggi nella Sala polivalente dei Musei vaticani – la sesta -, chiedendo scusa per le quasi due ore e un quarto di ritardo, il presidente Pignatone ha attribuito il contrattempo al fatto che proprio stamane sono state depositate dall’Ufficio del promotore di giustizia le nuove richieste di citazione a giudizio riguardanti il troncone di processo precedentemente stralciato.    Pignatone ha riferito di aver firmato il decreto di citazione, non avendo il potere di opporsi, fissando l’udienza alla data del 18 febbraio prossimo, quando il troncone con i quattro nuovi rinviati a giudizio sarà riunito a quello con gli altri sei che nel frattempo è continuato. Oggi l’atto viene notificato alle parti, insieme a diverse decine di pagine di motivazione.
    Nella sesta udienza del processo al Tribunale vaticano per la gestione dei fondi della Segreteria di Stato, durata oggi poco più di 40 minuti, le difese degli imputati hanno nuovamente avanzato eccezioni di nullità “assoluta e radicale” del procedimento per l’ancora omesso o incompleto deposito degli atti da parte dell’Ufficio del promotore di giustizia.
        In particolare, l’avv. Fabio Viglione, difensore del card.Angelo Becciu, ha eccepito che c’è “un’amplissima parte dei documenti informatici” che non è stata consegnata nelle copie richieste. In particolare, di una totalità di 255 supporti informatici sequestrati, 239 non sono stati rilasciati in copia, mentre nessuna delle copie consegnate “può essere qualificata come copia forense” e “la totalità delle copie è costituita da dati più che parziali”.    L’avvocato Maria Concetta Marzo, sempre della difesa di Becciu, ha spiegato che proprio la discussione odierna su questo mancante deposito di atti “ha motivato l’assenza del cardinale, per non ascoltare contenuti di dialoghi”, in particolare con riferimento alle dichiarazione del testimone-chiave mons. Alberto Perlasca. Secondo la legale, infatti, “ci sono punti di prova trattati negli interrogatori di cui negli atti consegnati non viene riportata neanche una parola, e neanche un omissis”.    Il riferimento è a quando, nell’interrogatorio di Perlasca del 23 novembre 2020 “viene esplorato un sospettato rapporto intimo tra il card. Becciu e Cecilia Marogna”. Si sente il promotore di giustizia chiedere a Perlasca dei rapporti tra il cardinale e la donna e la risposta dell’interrogato è di non saperne nulla, “neanche una parola”. Ma il magistrato insiste: “ma come non sa nulla? L’ha mai sentito Crozza che cosa ipotizza nelle sue trasmissioni? Il cardinale ha querelato l’Espresso e non fa niente a Crozza? Io l’avrei massacrato, gli avrei fatto male, cosa fai, non lo sfidi?”. Ma Perlasca si limita a osservare che magari col settimanale procedere per vie legali “era più facile”. “Di questo tema di prova nel verbale non c’è neanche una parola”, ha sottolineato l’avv. Marzo, secondo cui comunque sia i riferimenti alle “voci correnti” come nel caso di Crozza, sia i riferimenti alla “moralità” del cardinale eccepiscono la nullità del processo di trascrizione “perché viziato”.    “L’imputato ha diritto a che non si facciano domande sulla moralità o su fatti mai accaduti – ha sottolineato, associandosi, l’avvocato Luigi Panella, difensore di Enrico Crasso -, pena la nullità radicale e assoluta”.    Il promotore di giustizia aggiunto, Alessandro Diddi, ha spiegato di non sapere quali parti di atti mancano nei supporti consegnati in copie, materialmente fatte dalla Polizia giudiziaria, e il presidente Pignatone gli ha dato un termine fino al 31 gennaio per verificare. Per quanto riguarda le mancate trascrizioni citate, ha aggiunto, “si è cercato di rappresentare tutto quello che è stato dichiarato, ma anche di non lasciare tracce che avrebbero potuto ledere la reputazione.    Si è cercato di tutelare la moralità dell’assistito”. Le eccezioni, quindi, per l’accusa “sono destituite di ogni fondamento”. Il Tribunale deciderà nell’udienza fissata per il 18 febbraio prossimo.    

  • in

    Quirinale: Case e palazzi istituzionali, i nuovi centri di potere

    di Michela Suglia (ANSA) – ROMA, 24 GEN – Tra i palazzi del potere, gli uffici dei parlamentari e le case dei leader, la politica torna al chiuso, per trattare e decidere. La partita del Quirinale riapre i luoghi clou e ne popola altri. Fra le new entry spicca Villa Grande, la dimora sull’Appia antica che è diventata la nuova Arcore di Silvio Berlusconi al sud. Fu a lungo la residenza di Franco Zeffirelli, è tornata in possesso del Cavaliere che ne ha fatto il set degli ultimi vertici del centrodestra incontrando lì gli alleati, per lo più a pranzo. Nel centrosinistra invece spunta la casa di Giuseppe Conte, a due passi da Montecitorio, che negli ultimi giorni ha ospitato Enrico Letta e il ministro Roberto Speranza, soprattutto la mattina presto.
    Con il rebus del Colle i luoghi storici e non della politica riaprono le porte. Fra quattro mura si consumano trattative e confronti più o meno segreti. Fino a poco tempo fa è stato il Nazareno, la sede del Pd il luogo di assemblee prese d’assalto all’esterno dal ‘circo mediatico’.
    Da marzo la ‘dialettica’ si è spostata all’Arel, l’Agenzia di ricerche e legislazione creatura di Nino Andreatta, nome storico della sinistra democristiana e ora diventata l’ufficio del suo ‘figlioccio’, Letta appunto. Il segretario Dem ne ha ripreso la guida, una volta rientrato da Parigi. Così nel palazzo di impronta fascista a pochi metri dal Senato, a lungo punto di riferimento di Romano Prodi quando era presidente del Consiglio, Letta ha incontrato Matteo Salvini per la prima volta ad aprile. E lì si vocifera che lo abbia rivisto la settimana scorsa. Del resto a pochissima distanza c’è l’ufficio di Salvini-senatore con affaccio sulla chiesa di San Luigi de Francesi, meta di turisti per il ciclo di Caravaggio. A metà strada tra Letta e Salvini si posiziona Palazzo Giustiniani che ospita vari uffici dei senatori (oltre alla presidente Casellati e ai senatori a vita) e in particolare quello di Matteo Renzi. E faccia a faccia tra l’ex premier e altri leader non sono mancati neanche qui. Teatro di altri confronti è stata negli ultimi giorni la Camera: negli uffici dei vari gruppi hanno accolto dirigenti, presidenti e pure i delegati regionali. Con grande affollamento nelle ultime ore: ieri ad esempio quasi in contemporanea e a un paio di distanza, c’erano Salvini e Letta. In serata sempre a Montecitorio si è riunita la cabina di regia’ del Movimento 5 stelle, con Conte, mentre oggi è toccato a un confronto tra Salvini e Giorgia Meloni quando era appena cominciata la prima votazione.
    Infine, tra i luoghi più insoliti e inaspettati spicca Zoom: sdoganata dalla pandemia insieme alla dad, sulla piattaforma on line è andato in scena l’ultimo vertice del centrodestra. Quello più atteso, per il passo indietro di Berlusconi. Ma anche quello in cui il protagonista è stato il grande assente. Mai visto né collegato on line, tra l’irritazione e lo sconcerto di parecchi presenti.