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    L'ambasciata ucraina, non con i russi alla Via Crucis del Papa

    L’Ambasciata ucraina presso la Santa Sede contesta la decisione vaticana di far portare insieme la croce a una famiglia ucraina e una russa alla Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo, presieduta dal Papa. “L’Ambasciata ucraina presso la Santa Sede – twitta l’ambasciatore Andrii Yurash – capisce e condivide la preoccupazione generale in Ucraina e in molte altre comunità sull’idea di mettere insieme le donne ucraine e russe nel portare la Croce durante la Via Crucis di venerdì al Colosseo”. “Ora stiamo lavorando sulla questione cercando di spiegare le difficoltà della sua realizzazione e le possibili conseguenze”, aggiunge.

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    Sri Lanka: il governo annuncia default preventivo concordato

    Lo Sri Lanka ha dichiarato oggi la temporanea sospensione del pagamento dei debiti esteri. Lo ha annunciato il Ministero alle Finanze, spiegando che cercherà di ristrutturare i suoi obblighi attraverso un programma di aggiustamento sostenuto dal Fondo monetario internazionale (Fmi). Il ministero ha anche reso noto che il governo sta mettendo a punto misure di emergenza per prevenire un futuro deterioramento della posizione finanziaria del Paese e per assicurare un trattamento equo e corretto per tutti i creditori.
    L’agenzia di stampa Newsfirst.lk aggiunge che il Governatore della Banca Centrale, Nandalal Weerasinghe aveva annunciato poco prima che lo Sri Lanka sarebbe entrato in “un default preventivo concordato”, citando le ormai limitate riserve del Paese, necessarie per pagare l’importazione di beni di prima necessità. Il governatore ha spiegato che “questa è l’unica decisione possibile per ristrutturare il nostro debito”.
    Ieri sera, in un appello televisivo alla nazione, il premier Mahinda Rajapaksa si è rivolto ai cittadini che chiedono le sue dimissioni e li ha invitati a interrompere le proteste: “Ogni vostro minuto in strada aumenta il debito del Paese”: ha detto, aggiungendo che “il governo lavora senza tregua per la soluzione della crisi economica”. Rajapaksa ha perso la maggioranza, dopo che i partiti che lo sostenevano il suo governo gli hanno tolto l’appoggio; anche l’ex premier Ranil Wickremesinghe ha chiesto le dimissioni di Rajapaksa.    

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    Kiev chiede armi e teme attacchi chimici

    L’Ucraina torna a chiedere armi e avverte gli alleati: “Chi non ci aiuta, si assume la responsabilità dei morti ucraini”. Parola del presidente Volodymyr Zelensky, che non ha dubbi: “Presto sarà necessario un maggiore supporto militare. Le vite degli ucraini si stanno perdendo, vite che non possono più essere restituite. E questa è anche responsabilità di coloro che ancora conservano nel proprio arsenale le armi di cui l’Ucraina ha bisogno. Responsabilità che rimarrà per sempre nella storia. Se avessimo jet, veicoli corazzati pesanti, artiglieria – aggiunge – saremmo in grado di porre fine a questa guerra”.    Sullo sfondo resta la preoccupazione per il ricorso dei russi alle armi chimiche. Secondo quanto riferito dal battaglione Azov, a Mariupol un drone avrebbe lanciato delle sostanze tossiche sui difensori della città. Tre persone hanno evidenziato “chiari segni di avvelenamento chimico”, per nessuno di loro ci sono “gravi conseguenze” per la salute.
    Zelensky ha ribadito la “preoccupazione per un possibile attacco con armi chimiche nella nuova fase del terrore”, senza confermare il loro utilizzo a Mariupol da parte dei russi. Lo stesso ha detto il portavoce del Pentagono, John Kirby: “Non siamo in grado di confermare queste notizie ma il dipartimento della Difesa americano continua a monitorare la situazione da vicino. Sono notizie molto preoccupanti e riflettono i timori che abbiamo da tempo sul rischio che la Russia possa usare gas lacrimogeni mescolati ad agenti chimici”.    Secondo la procuratrice generale dell’Ucraina, Iryna Venediktova, al momento sono oltre “5.800 i casi” di crimini di guerra commessi dalla Russia in Ucraina. “Qui stiamo ancora riesumando cadaveri dalle fosse comuni” per quelli che “non sono solo crimini di guerra ma anche crimini contro l’umanità”. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price, ha dichiarato che “se le prove ci diranno che Putin è responsabile di crimini di guerra, sarà perseguito per questo”.    Zelensky sottolinea inoltre che “le truppe russe hanno lasciato mine ovunque, nelle case, nelle strade, nelle auto, nelle porte: hanno fatto di tutto per rendere il più pericoloso possibile il ritorno in queste aree, hanno fatto di tutto per uccidere o mutilare il maggior numero possibile della nostra gente quando sono stati costretti a ritirarsi dalla nostra terra”. A nord di Kiev sono “centinaia di migliaia gli oggetti pericolosi trovati, soprattutto, mine e proiettili inesplosi”.
    Oltre 10mila civili sono morti nella città portuale ucraina di Mariupol. Lo ha detto il sindaco della città Vadym Boychenko all’Associated Press, secondo quanto riportano i media internazionali. Secondo il primo cittadino il bilancio delle vittime potrebbe arrivare a superare i 20mila, in una città da settimane sotto attacco e dove lo scarseggiare di cibo e forniture ha lasciato molti corpi sulle strade. Boychenko ha anche accusato le forze russe di aver bloccato per settimane i convogli umanitari che cercavano di entrare in città.   

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    L'orrore russo e la chiesa, 'così ci torturavano' IL REPORTAGE

     “Il Signore ti risponda nel giorno dell’avversità e ti tragga in salvo. Quelli si piegano e cadono, ma noi restiamo in piedi e siamo saldi”. Davanti alla gente del villaggio di Lukashivka, il pastore legge sulla strada sterrata il salmo 20 della Bibbia, che suona a metà tra una preghiera e un inno di battaglia. Subito dopo i fedeli, per diversi minuti sotto la pioggia con le mani conserte e i piedi nel fango, si lanciano sulle buste di pane e alimenti che arrivano da un furgone. Alle loro spalle ci sono le macerie della chiesa dell’Ascensione, diventata per oltre un mese il quartier generale dei soldati russi. E’ una scena che si ripete tutti i giorni da poco più di una settimana, da quando le milizie di Putin si sono ritirate sotto i colpi dell’artiglieria ucraina. Per oltre un mese in quella chiesa e nei dintorni il paesino è stato trasformato nel fortino di miliziani del battaglione dell’estremo oriente russo: anche qui hanno torturato, ucciso e fatto razzie di tutto quello che potevano, come ha denunciato l’arcivescovo maggiore di Kiev Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina.    Non c’è stata alcuna resistenza. Fino ad allora Lukashivka era un posto tranquillo vicino alla frontiera a nord di Kiev, a due passi da Chernihiv, abitato da contadini che parlano un dialetto a metà tra il russo e l’ucraino: su duecentotrenta abitanti (altri cento erano riusciti a scappare prima) ne sono stati uccisi una decina. I loro corpi fino a poche ore fa erano nei campi, in qualche casa e nel piccolo parco giochi davanti al sagrato della chiesa, ora crollata sotto i colpi della battaglia. Nelle stradine fangose e prive di asfalto girano i cani tra le carcasse, che si saziano con le carogne delle mucche, quelle allevate nel villaggio. Più che di abitazioni si tratta di baracche e in una di queste è stato prelevato Ivan Korobka, 36 anni: “Sono venuti a casa e mi hanno detto: ‘adesso andiamo a parlare’. Si sono seduti di fronte a me, chiedevano: ‘dove sono i soldati ucraini?’. Gli ho risposto che non lo sapevo e loro hanno tirato fuori un pugnale e hanno cominciato a conficcarmelo nelle gambe – dice Ivan mentre mostra tre grosse ferite sulle cosce e mima il gesto delle coltellate -. Per fortuna è arrivato in tempo il loro luogotenente. Li ha fermati e mi ha aiutato a medicarmi”.    Torture e soldati come schegge impazzite, segno che i russi in quei territori erano allo sbando e non riuscivano controllare del tutto le truppe. “Alcuni soldati erano violenti, altri cercavano di tenerli a bada”, spiega la gente. Non si può dire a chi sia andata peggio: un giovane vent’anni è stato lasciato al freddo nudo e con le mani legate dietro alla schiena per ore, anche lui colpevole di non saper dare informazioni sui militari ucraini. Nella fattoria di Olexander Chernenko i miliziani invece hanno fatto irruzione sparando ovunque, prima di sedersi.    Poi hanno tenuto otto civili prigionieri nella cantina per una settimana e hanno portato via cibo, vestiti e stivali. “Persino i calzini”, racconta. Quando si sono ritirati, hanno bruciato i loro stessi carri armati prima di lasciare Lukashivka.    La periferia di Chernihiv è un supplizio senza fine. A Yagydne, un altro villaggio povero a qualche chilometro e quasi tutto distrutto, i 380 abitanti sono stati tenuti prigionieri nel rifugio sotterraneo di una scuola per oltre un mese, con i miliziani russi in superficie che bivaccavano nelle loro case, prendevano quello che volevano e intanto organizzavano l’avanzata. Undici civili sarebbero morti di asfissia o infarto e altri otto uccisi. “Tenendoci il fucile puntato, ci hanno permesso man mano di seppellirli. Per non farci morire di fame, a noi davano il loro cibo”, dice Volodymyr mostrando le tante scatole di cartone delle razioni K dell’esercito russo, contenenti marmellata, fette di pane e scatolette di carne, “mentre nelle nostre case si abbuffavano”. Anche qui ogni giorno passa un pastore. La gente del paesino prega, ma in cambio vuole il tozzo di pane.   

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    Qui Pechino, la Nato non destabilizzi anche l'Asia

    La Cina esorta la Nato “ad astenersi dal tentativo di destabilizzare l’Asia o il mondo in generale”: il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian ha replicato alle recenti valutazioni del suo segretario generale Jens Stoltenberg, secondo cui Pechino pone “una sfida sistemica” alla sicurezza nazionale delle “democrazie”, a meno di una settimana dalla riunione dell’Alleanza che ha visto l’inedita presenza a Bruxelles anche dei partner orientali Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud.    Un campanello d’allarme per la leadership comunista, tanto da spingere Zhao ad attaccare osservando che “la Nato ha già causato il caos in Europa”, a partire dall’Ucraina, e ora “non tenti di farlo in Asia o nel mondo”. Nel briefing quotidiano, il portavoce ha tuonato contro i tentativi di Usa e alleati di creare un cordone di contenimento alla crescita cinese come potenza globale. Ha rivendicato per il Dragone un ruolo di “costruttore di pace mondiale”, di fattore di “sviluppo globale e di difesa dell’ordine internazionale. Continueremo lo sviluppo pacifico che è un’opportunità per il mondo intero, non una minaccia per nessuno”.    Quello che la Nato dovrebbe fare è di smettere “di diffondere osservazioni false e provocatorie” contro la Cina e di abbandonare “il suo approccio conflittuale di tracciare linee basate sull’ideologia”, ha continuato Zhao, perché Pechino è “fortemente insoddisfatta e risolutamente contraria alle recenti accuse infondate e agli attacchi diffamatori”. Vista dalla prospettiva di Pechino, la Nato è una organizzazione militare attraverso il Nord Atlantico che dovrebbe quindi avere un ambito di riferimento ben definito: Zhao, invece, l’ha accusata di aver mostrato i muscoli nella regione Asia-Pacifico e di aver provocato conflitti. La comunità internazionale dovrebbe rimanere “altamente” vigile al clamore di una nuova Guerra Fredda di fronte alla quale dovrebbe opporsi “risolutamente”, ha concluso.    Ad aumentare i sospetti nel quartier generale di Bruxelles della Nato ci sono i sofisticati sistemi missilistici di difesa aerea HQ-22 SAM (surface-to-air missile) consegnati sabato alla Serbia con sei Y-20 da trasporto. Le notizie di stampa del fine settimana sono state confermate dal governo di Pechino, che si è affrettato a precisare che si è trattato di una fornitura militare in termini di normali “progetti di cooperazione” bilaterale “che non hanno nulla a che vedere con la situazione attuale” in Ucraina. Ma l’arrivo di missili cinesi, i primi in Europa, in un’operazione definita “segreta” dai media e in una regione attraversata da perenni tensioni e instabilità come i Balcani, non può che suscitare attenzione e insieme preoccupazione e non solo nelle cancellerie occidentali.    

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    Energia: verso un Cdm mercoledì 13 aprile

     Si dovrebbe tenere mercoledì, secondo quanto si apprende, una nuova riunione del Consiglio dei ministri in tema di energia. Sul tavolo potrebbero arrivare nuove misure per accelerare la produzione di energia da fonti rinnovabili. 
    Intanto, sempre  mercoledì Lega e Forza Italia  incontreranno insieme il presidente del Consiglio, Mario Draghi “per chiedere che non si creino le condizioni per l’aumento delle tasse. Saranno presenti Matteo Salvini, Antonio Tajani e i capigruppo di Camera e Senato”. 

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    Def: il 20 aprile in Aula alla Camera

    L’Aula della Camera esaminerà il documento di economia e finanza il prossimo 20 aprile a partire dalle 9. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo di Montecitorio. 
    Allarme dei commercialisti, la pressione fiscale pesa per il 49% -“La pressione fiscale reale italiana, calcolata al netto del sommerso, ha raggiunto ormai il 49%, il livello più alto d’Europa”, mentre nel 2019 era al 48,2%. Il dato è stato fornito dal Consiglio nazionale de commercialisti nel corso di un’audizione di questo pomeriggio sul Def presso le commissioni Bilancio di Camera e Senato. Per i ricercatori della Fondazione nazionale della categoria professionale Tommaso Di Nardo e Pasquale Saggese, vista “l’elevata quota di economia sommersa e illegale in Italia la pressione fiscale reale”, ossia “il sacrificio davvero imposto alla collettività che opera nell’economia emersa, è di gran lunga più elevato di quello ufficialmente registrato dall’Istat per tutta l’economia”. Pur non essendo, dunque, ancora disponibili le stime Istat dell’economia sommersa per il 2020 e il 2021, i commercialisti hanno sostenuto che, “alla luce dell’incremento della pressione fiscale ufficiale, è comunque possibile ritenere che la pressione fiscale reale si sia incrementata di pari passo. Mantenendo costante la quota di economia sommersa all’11,3% del Pil nominale, come rilevato dall’Istat per il 2019, la pressione fiscale reale nel 2021 raggiunge il 49% del Pil emerso, portando l’Italia al primo posto in Europa”, hanno precisato. Nel 2020 “le misure di sostegno economico e finanziario adottate per fronteggiare la crisi pandemica, hanno permesso di contenere i fallimenti delle imprese e le procedure di sovraindebitamento che interessavano le famiglie e le imprese non fallibili”, poi “nel corso del 2021 si è lentamente ritornati ai valori pre-pandemici”, mentre “oggi rileviamo un deciso incremento delle sofferenze che non si è ancora tradotto nei numeri e nelle statistiche che rendicontano il fenomeno, anche perché le misure di contenimento sono proseguite nel 2021 e in questa prima parte del 2022”. Ad affermarlo il Consiglio nazionale dei commercialisti ascoltato a Montecitorio sul Def. “È indubbio – ha puntualizzato la categoria – che con il venir meno delle misure agevolative delle dilazioni di pagamento dei debiti tributari e contributivi il fenomeno tenderà ad esplodere nei prossimi mesi. Ci auguriamo che le misure di sostegno possano proseguire finché sarà necessario, e che, in particolare, possano essere concesse ulteriori forme di rateizzazione dei debiti tributari e contributivi a regime più ampie”, hanno affermato i professionisti, esternando in Parlamento la loro preoccupazione per la tenuta dei bilanci familiari e delle imprese, interessati oggi da una significativa perdita di potere di acquisto e da una contrazione dei margini a causa della decisa ripresa dell’inflazione.   

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    Via Crucis del Papa al Colosseo, negli ultimi tratti anche una famiglia ucraina insieme a una russa

    Durante la Via Crucis presieduta dal Papa al Colosseo, in programma il prossimo Venerdì Santo alle 21.15, a portare la croce alla 13esima stazione saranno una famiglia russa insieme ad una famiglia ucraina. Alla 14esima e ultima stazione vi sarà invece una famiglia di migranti. Lo ha reso noto la Sala stampa vaticana. In occasione dell’anno dedicato alla famiglia, papa Bergoglio ha affidato la preparazione dei testi delle meditazioni e delle preghiere ad alcune famiglie legate a comunità ed associazioni cattoliche di volontariato ed assistenza.
    Le altre famiglie che porteranno la croce saranno una coppia di giovani sposi, una famiglia in missione, una coppia di sposi anziani, una famiglia con 5 figli, una famiglia con un figlio con disabilità, una famiglia che gestisce una casa di accoglienza, una famiglia che affronta la malattia, una coppia di nonni, una famiglia con figli adottivi, una donna con figli che ha perso il marito, una famiglia con un figlio consacrato, una famiglia che si confronta con la perdita di un figlio. Le meditazioni per ogni stazione sono ispirate al percorso di vita di ciascuna famiglia.
    In particolare, la meditazione che sarà letta durante il tratto delle famiglie ucraina e russa, quando Gesù muore sulla croce, dice: “La morte intorno. La vita che sembra perdere di valore. Tutto cambia in pochi secondi. L’esistenza, le giornate, la spensieratezza della neve d’inverno, l’andare a prendere i bambini a scuola, il lavoro, gli abbracci, le amicizie… tutto. Tutto perde improvvisamente valore. ‘Dove sei Signore? Dove ti sei nascosto? Vogliamo la nostra vita di prima. Perché tutto questo? Quale colpa abbiamo commesso? Perché ci hai abbandonato? Perché hai abbandonato i nostri popoli? Perché hai spaccato in questo modo le nostre famiglie? Perché non abbiamo più la voglia di sognare e di vivere? Perché le nostre terre sono diventate tenebrose come il Golgota?’. Le lacrime sono finite. La rabbia ha lasciato il passo alla rassegnazione. Sappiamo che Tu ci ami, Signore, ma non lo sentiamo questo amore e questa cosa ci fa impazzire. Ci svegliamo al mattino e per qualche secondo siamo felici, ma poi ci ricordiamo subito quanto sarà difficile riconciliarci. Signore dove sei? Parla nel silenzio della morte e della divisione ed insegnaci a fare pace, ad essere fratelli e sorelle, a ricostruire ciò che le bombe avrebbero voluto annientare”.
    E quella della famiglia di migranti, nella stazione finale in cui il corpo di Gesù è deposto nel sepolcro : “Ormai siamo qui. Siamo morti al nostro passato. Avremmo voluto vivere nella nostra terra, ma la guerra ce lo ha impedito. È difficile per una famiglia dover scegliere tra i suoi sogni e la libertà. Tra i desideri e la sopravvivenza. Siamo qui dopo viaggi in cui abbiamo visto morire donne e bambini, amici, fratelli e sorelle. Siamo qui, sopravvissuti. Percepiti come un peso. Noi che a casa nostra eravamo importanti, qui siamo numeri, categorie, semplificazioni. Eppure siamo molto di più che immigrati. Siamo persone. Siamo venuti qui per i nostri figli. Moriamo ogni giorno per loro, perché qui possano provare a vivere una vita normale, senza le bombe, senza il sangue, senza le persecuzioni. Siamo cattolici, ma anche questo a volte sembra passare in secondo piano rispetto al fatto che siamo migranti. Se non ci rassegniamo è perché sappiamo che la grande pietra sulla porta del sepolcro un giorno verrà rotolata via”.