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    Dl riaperture: Camera, ok al testo, passa al Senato

    Via libera dell’Aula della Camera sul decreto legge riaperture, che contiene la fine dello stato di emergenza ed il superamento delle misure di contrasto al Covid, su cui ieri a Montecitorio ha incassato la fiducua. I voti a favore sono stati 316, 48 i contrari, sei gli astenuti. Il testo ora passa al Senato.
    Il Senato ha tempo fini al prossimo 23 maggio il decreto legge, contro cui hanno votato a Montecitorio i deputati di Fdi e di Alternativa. Il decreto legge stabilisce, tra l’altro, la sostituzione la figura commissario straordinario per l’emergenza epidemiologica da Covid-19 con un’unità per il completamento della campagna vaccinale, attiva fino a fine 2022. Arrivano, quindi, allentamenti sull’ obbligo di indossare mascherine e green pass, nelle varie formule, validi fino al 30 aprile; allentamenti che sono stati superati dalle nuove misure in vigore dal primo maggio che confermano comunque le misure precauzionali applicate nelle strutture sanitarie e quelle applicate nella scuola dell’obbligo fino alla fine dell’anno scolastico. Tra le norme inserite in commissione, la possibilità della somministrazione presso le farmacie di vaccini anti SARS-CoV-2 e di vaccini antinfluenzali, un incremento della dotazione organica della Lega italiana per la lotta contro i tumori e un’autorizzazione per il medesimo ente allo svolgimento di procedure concorsuali di reclutamento di personale.

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    Fisco: Salvini, la patrimoniale su casa-risparmi pare sventata

    “Chi la dura la vice, centrodestra compatto come avevamo richiesto. Ora vediamo, ci sono gli ultimi passi, però la patrimoniale sulla casa e sui risparmi pare sventata”. Lo ha dichiarato all’ANSA il leader della Lega Matteo Salvini, dopo il vertice di centrodestra di governo sulla delega fiscale, spiegando che “sì”, la svolta è vicina. 
    Il vertice del centrodestra di governo, con i segretari dei partiti e i capigruppo, è stato convocato per lavorare a un testo che recepisca le modifiche tecniche chieste sulla delega fiscale e la riforma del catasto.
    “Siamo ottimisti, già oggi ci sarà un accordo sulla riforma del catasto che faccia emergere il sommerso”. L’ha detto il coordinatore nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani al termine del vertice. E ha aggiunto che in giornata “una nostra delegazione andrà da Draghi a portare un documento” e che “sono convinto che si possa arrivare a una conclusione”. 
    “E’ dall’inizio della fondazione di Forza Italia – ha detto ancora Tajani – che difendiamo la casa. Anche oggi siamo riusciti a ottenere un risultato positivo. Siamo molto fiduciosi sul fatto che anche la riforma del catasto non conterrà alcun incremento della pressione fiscale. Abbiamo elaborato un testo che abbiamo presentato al governo e siamo ottimisti. Siamo convinti che già oggi si possa raggiungere un accordo”. E ha aggiunto: “È un passo avanti importante, ho parlato più volte con il presidente Draghi. Siamo veramente a un passo dalla svolta che rafforza il governo e conferma che Forza Italia, con tutto il centrodestra di governo, ha difeso il patrimonio degli italiani, ha tenuto fede agli impegni ed è la dimostrazione che FI, stando al governo, può impedire l’aumento della pressione fiscale”.
    “È chiaro che dobbiamo inventarci una nuova politica dei redditi. È una fase in cui le forze politiche e le forze sociali, datori di lavoro e sindacati, devono trovare un punto di approccio comune, altrimenti è un grande problema sopratutto quando inizia un ciclo elettorale”. Lo afferma il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, all’evento del Messaggero ‘Nuovi scenari economici globali’.
    “Le decisioni assunte prima della crisi impongono una riflessione circa dinamiche e tempi con cui dovrà avvenire la marcia verso la carbonizzazione, altrimenti settori industriali nella vecchia Europa rischiano la chiusura e non riaprono più”. “Siderurgia, cartiere, ceramica prima ancora della guerra avevano già di per sé una montagna da scalare”, spiega il ministro, ed è subentrato “l’impazzimento dei prezzi dell’energia che rende impraticabile e insostenibili i conti economici”.

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    Altolà di Conte a Draghi, niente fiducia sul decreto aiuti

    Un po’ in difesa e molto all’attacco: il M5s si sente accerchiato e alza le barricate. “Dicono spesso che vogliamo far cadere il governo. Io comincio a pensare che qualcuno voglia spingerci fuori dall’esecutivo” è l’allarme di Giuseppe Conte che inizia a guardare con sospetto “l’imboscata” in consiglio dei ministri sull’inceneritore di Roma. “Se questa fosse l’intenzione ce lo dicano chiaramente. Chiedo rispetto per gli 11 milioni di cittadini che hanno votato il Movimento” batte i pugni sul tavolo l’ex premier che lancia il suo altolà al governo: “Quella norma che riporta indietro le lancette dell’orologio non è neppure lontanamente coniugabile con il concetto di fiducia. La fiducia semmai la chiediamo noi Chiediamo fiducia e rispetto per i cittadini”. Intanto, spunta l’ipotesi di un nuovo passaggio in Consiglio dei ministri del provvedimento per alcuni “aggiustamenti tecnici” che consentano, ad esempio, una erogazione più veloce possibile del bonus da 200 euro a lavoratori e pensionati: il testo potrebbe arrivare in Cdm già domani quando potrebbe tenersi una nuova riunione. Tra gli aggiustamenti, spiegano fonti di governo, anche l’estensione alle imprese agricole degli aiuti del fondo per le imprese maggiormente colpite dalla crisi in Ucraina. Ma Conte ha il dente avvelenato ; non solo per il caso del termovalorizzatore ma anche per l’attacco del premier al Superbonus. “Mi ha meravigliato che proprio difronte al Parlamento europeo abbia trovato modo di parlare male di una misura che sta facendo correre il Paese” e che “gli ha consentito di fare il giro dell’Europa e fregiarsi dell’aumento del 6% del Pil” ,dice Conte piccato. Rassicura sul fatto che il M5s è sempre stato disponibile a migliorie anti-frodi: “siamo ragionevolmente disposti a migliorare le misure per contrastarle”. Ma lo rode un sospetto. “Non so se sia una rappresaglia: se lo fosse sarebbe molto grave” dice il leader M5s prendendo al balzo la palla che gli lancia il direttore di Tgcom Paolo Liguori. ” Se fosse una rappresaglia alla richiesta di sentire Draghi in Parlamento, come lei dice, sarebbe un’offesa gravissima al popolo italiano. Sarebbe molto grave se si trattasse di una rappresaglia di fronte ad una richiesta, che mi sembra legittima, di avere un primo ministro chiamato a rappresentare in Parlamento e quindi ai cittadini, e non al M5s, quali sono le posizioni che sta portando sul tavolo internazionale” sulla guerra in Ucraina. Già perché c’è anche questa vicenda al tavolo delle frizioni tra il M5s e il premier. Su questo terreno il M5s raccoglie sostenitori, non solo dalla Lega di Salvini ma anche a sinistra: “sulla nostra richiesta mi pare abbiano aderito anche altre forze politiche ed è stata accolta anche nel dibattito pubblico” osserva Conte. Draghi però parla di tregue, “anche localizzate, per permettere le evacuazioni di civili e favorire i negoziati di pace”. “Continuiamo ad aiutare l’Ucraina e a esercitare pressione sulla Russia, perché cessi immediatamente le ostilità” chiarisce il presidente del Consiglio al termine dell’incontro con il primo ministro giapponese Fumio Kishida. Anche il segretario del Pd prova a sedare gli animi. “C’è bisogno di unità come non mai sul governo, se non siamo unti in questa fase… credo che Draghi abbia detto le cose giuste a Strasburgo. L’Italia è il Paese che spinge di più per la pace ma c’è bisogno di maggioranza unita e coesa”. Eppure anche con il Pd Conte vede conti in sospeso da chiarire. “Chi vuole lavorare con noi deve sapere che ci sono principi non negoziabili” attacca l’ex premier che si lamenta : “il Pd era per la transizione ecologica, poi ci propone gli inceneritori. Chi lavora con noi deve chiarire quelle posizioni”. Nel tritacarne finisce anche l’alleanza per le amministrative: “noi abbiamo vincoli stringenti e alcuni pilastri come la cultura della legalità: è capitato che ci fossero progetti che non rispondono ai nostri standard” ha accusato Conte. Ma Letta si morde la lingua: “Io guardo gli argomenti che ci uniscono”. Chi invece dà voce ad alcuni sospetti, che si agitano anche dentro il Movimento, è il senatore dem Andrea Marcucci: “Conte dice che qualcuno vuole spingerli fuori dal governo. A me sembra che siano i Cinque stelle ad avere questo desiderio”.

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    Il Pd ripresenta il ddl Zan al Senato

    Il Partito democratico torna alla carica in Senato con il ddl Zan, contro i reati di omotransfobia e discriminazione. “Una battaglia mai abbandonata”, sono le parole del leader dem Enrico Letta che ripresenta lo stesso testo, approvato dalla Camera, ma affossato a palazzo Madama esattamente sei mesi fa. Il ddl sarà depositato a palazzo Madama, prima firma la capogruppo dem Simona Malpezzi.    “Nessun ultimatum, nessuna sfida, nessuna bandiera”, scandisce Letta nel corso di una conferenza stampa di presentazione in Senato insieme ai parlamentari Pd, Alessandro Zan, Monica Cirinnà e Simona Malpezzi. L’intenzione, precisa è quella di “riannodare quel filo spezzato”. Si torna dunque in Parlamento e si valuteranno anche eventuali modifiche, assicura, purché non stravolgano l’obiettivo: portare a casa una legge contro i crimini d’odio. Ma bisognerà farlo “entro la fine di questa legislatura, – sottolinea il leader dem – oppure sarebbe una sconfitta”, perché “Il tema dei diritti è nel Dna del Pd”, è “il futuro del partito”. Il Partito democartico intanto organizza agorà digitali per una partecipazione dal basso “dopo questo percorso – spiega Zan – presenteremo proposte da presentare alle forze politiche”.    Una strada in salita, ne sono consapevoli i promotori del testo, che sperano forse di portare dalla loro parte almeno qualcuno tra i gruppi che sei mesi fa hanno sbarrato la strada al provvedimento: Lega, Fdi, Iv e Forza Italia. “E’ stata una pagina brutta del Parlamento” afferma il segretario Letta portando alla memoria, “l’applauso di scherno” che seguì l’affossamento della legge il 27 ottobre scorso in Aula a palazzo Madama. Si è trattato, prova a minimizzare, di “un precipitare della situazione, in molti non si sono resi conto bene di quello che stava accadendo”. Ora il Pd farà affidamento sui “Valorosi rappresentanti della commissione giustizia”, una commissione, che però la stessa Cirinnà definisce “difficile”.    Manca ancora in Italia una legge contro i crimini d’odio, ricordano i parlamentari. “Non ce lo siamo dimenticati come non dimentichiamo le immagini tristi dell’occasione persa al Senato- – ricorda Malpezzi – Il percorso si è fermato tra urla, grida e applausi che hanno fatto giro del mondo. E’ stato fermato, ma non ci siamo fermati noi e il Paese che ha chiesto a gran voce di andare avanti”.    “Finché c’è legislatura c’è speranza, – chiosa infine Zan – una legge contro i crimini d’odio esiste in tutta Europa, tranne n Italia, Ungheria e Polonia. E l’Italia non può diventare l’Ungheria di Orban”. .   

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    Kirill, il patriarca miliardario nel mirino dell'Ue

     In Russia li conoscono come “i due Vladimir di San Pietroburgo”: il presidente Putin, fautore della rinascita della potenza russa, e il patriarca Kirill (al secolo Vladimir Gundjaev), sostenitore del ruolo di Mosca come Terza Roma nella difesa dell’ortodossia cristiana contro la decadenza occidentale, che in tale veste ha benedetto anche la guerra in Ucraina. Ma ad unire i due potrebbero essere presto anche le sanzioni europee.
       Dopo aver preso di mira il capo del Cremlino, l’Ue ha infatti deciso di colpire anche le ricchezze del patriarca, che secondo le accuse dell’opposizione – impossibili da verificare – avrebbe un patrimonio di quattro miliardi di dollari. La Chiesa ortodossa russa ha definito “un’assurdità” tali voci, che parlano di ville sul Mar Nero e yacht, conti bancari in Svizzera e orologi da decine di migliaia di euro. Oltre che le teorie sui metodi che avrebbero permesso al capo dei fedeli di tutte le Russie di accumulare una tale ricchezza. A partire da presunte esenzioni fiscali concesse dalle autorità di Mosca alla Chiesa sulla produzione di birra e tabacco. Le smentite non hanno convinto i funzionari europei, che si sono già messi a caccia delle proprietà da sequestrare.    La Chiesa ortodossa ha reagito affermando che il patriarca non si farà “intimidire” perché proviene da una famiglia di religiosi che per decenni è stata vittima della repressione dell'”ateismo militante comunista” senza per questo cedere.    Anche questa un’affermazione su cui i detrattori esprimono dubbi. Kirill, che è nato nel 1946 nell’allora Leningrado (come Putin) e ha scalato la gerarchia ecclesiastica sotto l’Unione Sovietica, ha mantenuto buoni rapporti con le autorità di quel tempo, al punto di essere sospettato da alcuni di essere stato un vero e proprio agente al servizio del Kgb. Sicuramente non ha mai cercato di mettersi di traverso alle politiche dei leader sovietici, contribuendo così alla collaborazione fra Stato e Chiesa che si è affermata già negli anni precedenti alla caduta del comunismo.    Per molti anni prima di ascendere al patriarcato, nel 2009, Kirill ha intessuto buone relazioni con il mondo cattolico, svolgendo importanti incarichi nel dialogo ecumenico. Ciò che ha attirato su di lui le critiche degli ambienti ortodossi estremisti.
    Quella definizione di “chierichetto di Putin” usata da Francesco deve essergli quindi sembrata un tradimento ancor più bruciante. Ciò ha evidentemente contribuito all’attacco frontale lanciato dalla Chiesa russa al Papa, accusato di avere “travisato” la conversazione a distanza tra i due leader religiosi svoltasi il 16 marzo scorso e di ostacolare un “dialogo costruttivo”.
    Don Stefano Caprio, docente di Storia e Cultura russa al Pontificio Istituto Orientale di Roma, che per 13 anni è stato missionario a Mosca e più volte ha incontrato Kirill, dice all’ANSA che il patriarca, guidato dal suo fiuto politico, ha cercato per molto tempo di mantenere una posizione cauta rispetto alla linea del Cremlino. Almeno rispetto agli ambienti monastici più estremisti da cui proviene il padre Tikhon di Pskov, considerato la guida spirituale di Putin. Nel 2014, per esempio, il patriarca rifiutò di prendere parte alle celebrazioni per l’annessione della Crimea (al quale invece era presente l’arcivescovo cattolico Paolo Pezzi) nel timore di perdere il sostegno degli ortodossi ucraini. Ma l’approvazione per l’invasione dell’Ucraina è tornata a sancire la sua alleanza con Putin: “La Russia non ha mai attaccato nessuno”, assicura Kirill. Semplicemente, “ha protetto i suoi confini”.    

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    Caso Petrocelli, dimessi tutti i 20 senatori della Commissione Esteri

    Secondo quanto si apprende da fonti parlamentari, tutti i 20 componenti della commissione Esteri del Senato – escluso il presidente Vito Petrocelli – si sono dimessi dal loro ruolo, come ulteriore pressing per sbloccare la vicenda del presidente pentastellato Petrocelli, a cui da giorni si chiede di lasciare l’incarico per le sue posizioni sulla guerra in Ucraina. Si tratta dei 4 senatori del M5s tra cui la vicepresidente del Senato, Paola Taverna, i 4 della Lega fra cui Matteo Salvini, i 3 componenti di Fi e altrettanti per il Pd e per il gruppo Misto,Casini (Autonomie), Garavini (Iv),Urso (Fdi).
    A questo punto l’iter prevederebbe un intervento della conferenza dei capigruppo e poi la questione passerebbe di nuovo al vaglio della Giunta del regolamento.
    “Inizio ad avere dubbi che ci sia qualcuno che voglia spingere Il Movimento fuori dal governo”, ha detto Conte a margine della presentazione della scuola politica del Movimento. “Non mi risulta – prosegue – che la norma sugli inceneritori a Roma sia stata spinta da Cingolani: lui non c’entra nulla”.

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    Giovanni Melillo è il nuovo procuratore antimafia, sconfitto Gratteri

    Giovanni Melillo, 61 anni, di Foggia, capo di gabinetto di Andrea Orlando quando era ministro della Giustizia e attualmente capo della procura di Napoli, è il nuovo procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Lo ha nominato a maggioranza con 13 voti il plenum del Csm. Sconfitto il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, che era il suo diretto concorrente.