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    Salario minimo, accordo in vista sulla direttiva Ue

    La direttiva europea sul salario minimo è in dirittura d’arrivo. A poco più di un anno e mezzo dalla proposta della Commissione europea, già approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio in prima lettura, il provvedimento secondo le previsioni più accreditate dovrebbe essere oggetto di un accordo nella notte al termine dell’ultimo round di negoziati (il cosiddetto ‘trilogo’) tra Commissione, Parlamento e Consiglio Ue. Un provvedimento molto atteso in Italia – il ministro Andrea Orlando lo ha definito “un assist per i lavoratori” – dove il dibattito politico sul tema si è riacceso in questi ultimi giorni fino a creare qualche tensione all’interno della maggioranza e del governo.
    Ma a Bruxelles sono certi che l’impatto della direttiva non sarà “negativo per la creazione dei posti di lavoro e per l’occupazione”, come ha già avvertito il commissario Ue al Lavoro Nicolas Schmit, ricordando che dopo l’introduzione in Germania l’occupazione è anzi aumentata e che nell’Ue non saranno comunque previsti massimi e minimi salariali. La direttiva punterà invece, secondo quanto già chiarito, a istituire un quadro per fissare salari minimi ‘adeguati ed equi’. L’Italia è tra i sei Paesi dell’Ue a non avere già una regolamentazione in materia, con un dibattito del tutto aperto tra le parti sociali e all’interno del governo stesso. L’idea delle tre istituzioni europee nell’accordo in via di approvazione è di rispettare le diverse tradizioni di welfare dei Ventisette, arrivando però a garantire “un tenore di vita dignitoso”, a ridurre le disuguaglianze e a mettere un freno ai contratti precari e pirata. Si mira poi a “rafforzare il ruolo delle parti sociali e della contrattazione collettiva”.
    La copertura della contrattazione collettiva in particolare dovrebbe venir fissata in una soglia compresa tra il 70% e l’80%, stando ai due obiettivi fissati rispettivamente da Commissione e Parlamento europeo e all’interno dei quali dovrebbe essere trovato un compromesso. Oltre all’Italia il salario minimo non è stato istituito anche in Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Svezia. Dove invece è già previsto, stando agli ultimi dati Eurostat, viaggia tra i 332 euro mensili della Bulgaria e i 2.257 euro del Lussemburgo. In Germania è pari a 1.621 euro. Le definizioni di salario ‘adeguato’ e ‘minimo’ sono altri punti su cui si devono confrontare i negoziatori europei. Anche se il testo sarebbe ormai blindato da un accordo di massima raggiunto tra Francia e Germania e resterebbero da definire solo dettagli tecnici. La nuova direttiva europea potrebbe così essere approvata definitivamente entro giugno facendo scattare da quel momento la tagliola dei due anni per il recepimento negli ordinamenti nazionali. Il provvedimento europeo, ha osservato Orlando “spingerà di più verso interventi che salvaguardino i livelli di salario più bassi e verso una disciplina organica”.
    Il segretario della Cgil Maurizio Landini ha invitato a non ascoltare l’Europa “solo quando ci dice di tagliare le pensioni o cancellare l’articolo 18 o tagliare la spesa sociale. Se finalmente tutta l’Europa si rende conto che salari bassi e lavoratori precari senza diritti mettono in discussione tenuta social, bisogna ascoltarla”. “Abbiamo un problema drammatico di lavoro povero”, la denuncia del segretario del Partito democratico Enrico Letta: “Noi siamo a favore del salario minimo, nella logica della direttiva Ue. Il salario minimo serve a togliere il più possibile dal tavolo le fattispecie di lavoro povero”. Per il vice presidente di FI Antonio Tajani invece “si rischia di abbassare gli stipendi piuttosto che aumentarli”. Mentre per la leader di FdI Giorgia Meloni è “un’arma di distrazione di massa”, quando andrebbe tagliato il cuneo fiscale. Il leader dei Cinque Stelle Giuseppe Conte ha definito “indegno” cercare di rimuovere il reddito di cittadinanza, “anzi dobbiamo lavorare per allargare il fronte – ha ribadito – introducendo anche il salario minimo”.

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    M5s, atteso pronunciamento sullo Statuto. Conte: Non temo ripercussioni

    “Non temo ripercussioni, noi lavoriamo alla luce del sole e in piena trasparenza. Di fronte a un mero provvedimento cautelare e non a una sentenza di merito abbiamo addirittura rivotato e c’è stata un più ampia investitura sia per lo Statuto sia per la mia presidenza. Quindi non abbiamo nulla da temere”. Così il leader del M5s, Giuseppe Conte, rispondendo ai cronisti riguardo al pronunciamento atteso domani del Tribunale di Napoli che si esprimerà sullo Statuto del Movimento e il voto per la sua nomina.    

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    Diffamò l'ex ministra Kyenge, annullate le condanne di Calderoli

    Sono state annullate dalla Cassazione – per il mancato riconoscimento del legittimo impedimento dell’imputato a comparire in udienza per motivi di salute – le condanne di primo e secondo grado nei confronti del vicepresidente del Senato Roberto Calderoli, accusato di diffamazione aggravata dall’odio razziale per aver definito “orango” l’ex ministra dell’Integrazione Cecile Kyenge il 13 luglio del 2013, durante la festa della Lega Nord a Treviglio.
     Adesso il processo – nato su iniziativa della Procura di Bergamo dato che l’ex ministra non ha presentato querela nè chiesto risarcimenti – ripartirà da zero e gli atti sono stati trasmessi al Tribunale di Bergamo, ma la prescrizione è vicina tanto che la difesa di Calderoli ha chiesto alla Suprema Corte di dichiararla. Ma ad avviso degli ‘ermellini’ – come si apprende dalla sentenza 21829 della Quinta sezione penale depositata oggi, relativa all’udienza svoltasi lo scorso 17 maggio – il decorso della prescrizione pari a sette anni e sei mesi dalla data del reato non è ancora maturato in quanto il procedimento ha avuto “una sospensione del termine per 1.071 giorni”, necessario anche per il richiesto intervento della Consulta, spesso tirata in ballo quando i reati sono addebitati a parlamentari.
     Secondo la Cassazione, in maniera immotivata e senza approfondire il caso, il Tribunale di Bergamo nel corso del processo di primo grado, durante l’udienza del 14 gennaio 2019, non aveva riconosciuto il legittimo impedimento a comparire di Calderoli che doveva sottoporsi a un intervento chirurgico e aveva respinto la richiesta di rinvio avanzata dai suoi legali. “I giudici di merito – afferma la Cassazione – senza alcun approfondimento di carattere tecnico, hanno contraddetto la valutazione di un medico (che risulta essere direttore del Dipartimento di chirurgia oncologica dell’Istituto oncologico veneto) che affermava l’indifferibilità di un delicato intervento relativo a una grave patologia”.
     Inoltre, prosegue il verdetto, il Tribunale di Bergamo – con un “errore” non corretto nemmeno dai giudici d’appello – “non ha spiegato in base a quali elementi era possibile sostenere che il delicato intervento potesse essere riprogrammato a distanza di uno o due giorni: affermazione che avrebbe dovuto essere supportata da dati concreti e massime di esperienza che consentivano di ritenere che il differimento fosse compatibile con i tempi necessari per gli esami preparatori, con gli impegni della equipe medica e con le ‘liste di attesa’ delle strutture sanitarie”. “Conseguentemente”, conclude la Cassazione, “devono essere annullate” la sentenza di primo grado del 14 gennaio 2019 (che aveva condannato Calderoli a 18 mesi di reclusione, pena sospesa) e quella emessa dalla Corte di Appello di Brescia il 21 ottobre 2020 che aveva ridotto la pena, e la cui entità non è nota. “Per l’ulteriore corso”, gli ermellini – collegio presieduto da Rosella Catena, relatore Pierangeolo Cirullo – hanno rimandato il fascicolo a Bergamo.
     Non è stata invece esaminata dalla Cassazione – dato la priorità del motivo sul legittimo impedimento – la tesi della difesa di Calderoli che chiede l’assoluzione dell’esponente leghista sostenendo che “la metafora animalesca utilizzata nel corso del comizio” non è diffamatoria essendo “tali tipi di metafora, oramai da tempo entrati nel costume sociale, non più percepiti come diffamatoti, in quanto anche in ambito politico risultano piuttosto diffusi”.    

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    Per referendum nodo quorum, la Lega protesta: 'Oscurati'

    Un anno fa un’inedita coalizione composta dalla Lega e dai Radicali si era data appuntamento in Cassazione per depositare i quesiti di sei referendum sulla giustizia, “una dote” al governo li definì Matteo Salvini in vista della riforma del Csm, all’epoca ancora da mettere a punto. Ora, in una sola settimana, tutti i nodi andranno sciolti: il 12 giugno oltre 50 milioni di italiani sono chiamati ad esprimersi su 5 di quei referendum – quello sulla responsabilità civile dei magistrati non è stato ammesso dalla Consulta – e il 15, quando l’esito sarà ormai certo, il Senato esaminerà la riforma presentata dalla Guardasigilli Marta Cartabia e oggetto di una lunga trattativa. Due percorsi paralleli che ora si incrociano.
    Gli italiani sono chiamati ad esprimersi sulla legge Severino, le misure cautelari, la separazione delle carriere e le valutazioni dei magistrati, e le candidature per il Csm. Questi ultimi tre oggetto anche della riforma, ma non per questo secondo i promotori meno utili. Il risultato cui si guarda è soprattutto l’affluenza, perché il referendum abrogativo richiede la partecipazione del 50% più uno degli elettori. E ritenendo insufficiente lo spazio informativo la Lega e i Radicali protestano: ‘Noi oscurati’, con Salvini che ha parlato di “furto di democrazia”. “Per rompere il muro di silenzio, abbiamo deciso di mettere in atto un’iniziativa forte ma non violenta, uno sciopero della fame”, ha annunciato il senatore Roberto Calderoli, che digiunerà “finché resterò in piedi”.
    Nella tornata referendaria meno polarizzata degli ultimi anni sulle posizioni del Sì o del No, il Movimento Cinque Stelle si è chiamato fuori dal dibattito, ritenendo “il Parlamento la sede per la riforma della Giustizia”. “I cinque quesiti – secondo il presidente M5s Giuseppe Conte – sembrano una vendetta della politica nei confronti della magistratura”. Più variegata la posizione del Pd. Il segretario Enrico Letta ha annunciato che andrà a votare ed esprimerà 5 no: “Penso che questo referendum sia uno strumento sbagliato” e “su alcuni degli argomenti si sta facendo la riforma nel Parlamento”. Qualche veterano invece ha annunciato pubblicamente due o tre sì. Mentre Matteo Renzi, che si asterrà sulla riforma ritenendola troppo tiepida, ha sposato la battaglia della Lega e voterà sì a tutti i quesiti. Pur contraria in toto, l’Anm – che ha protestato con forza contro la riforma proclamando lo sciopero – ha scelto un mezzo silenzio.
    La convinzione è che “non sono referendum che porteranno ad un miglioramento del servizio giustizia”. La principale criticità viene individuata nella separazione delle carriere, i due binari distinti tra pm e giudice – secondo l’Associazione, da sempre contraria – lederebbe il principio di autonomia e indipendenza: “Va in senso contrario a quello che vorremmo, un pm più giudice e meno poliziotto”, ha detto il presidente Giuseppe Santalucia.

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    Ucraina: Mattarella, Italia chiamata ad assicurare la pace

    “Sul versante internazionale la guerra scatenata dalla Federazione russa contro l’Ucraina sta minando le basi della convivenza nel mondo. E’ un grande impegno quello cui siamo chiamati per assicurare pace, sicurezza progresso”. Lo ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella incontrando i vertici dell’Arma dei Carabinieri in occasione del 208 anniversario dell’Arma.    “Sono certo – prosegue Mattarella – che l’Arma saprà costantemente confermare la propria opera ed essere parte significativa dello sforzo nazionale in atto”.    

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    Giornalisti: accordo Anci-Fnsi per uffici stampa Comuni

    (ANSA) – BARI, 06 GIU – Negli uffici stampa dei Comuni o di
    raggruppamenti di Comuni dovranno essere obbligatoriamente
    assunti giornalisti iscritti negli albi professionali (dei
    pubblicisti o professionisti), inquadrati con il contratto della
    pubblica amministrazione come categoria D se laureati, C se non
    laureati. Il requisito dell’iscrizione nell’albo non è invece
    obbligatorio per l’incarico di portavoce degli organi di vertice
    dell’ente. E’ quanto stabilisce il protocollo d’intesa
    sottoscritto oggi a Bari dal presidente dell’Associazione
    nazionale dei Comuni italiani e sindaco di Bari, Antonio Decaro
    e dal segretario generale della Federazione nazionale della
    stampa, Raffaele Lorusso. Tra gli impegni previsti dall’accordo,
    di durata triennale, Anci e Fnsi si impegnano a definire un
    percorso formativo e di aggiornamento, anche con impiego di
    risorse comunitarie.   
    “Per una pubblica amministrazione locale – ha detto Decaro –
    l’interlocuzione costante con i mezzi d’informazione è la
    premessa ineludibile di un corretto e trasparente contatto con i
    cittadini. In un’epoca di affollamento informativo e di
    difficoltà nel distinguere tra notizie attendibili e no, è
    importante che la funzione di ufficio stampa venga affidata a
    ogni livello della pubblica amministrazione a giornalisti
    professionisti, qualificati e preparati”. Lorusso ha ricordato
    che attualmente negli uffici stampa pubblici lavorando circa
    2.500 giornalisti. Il rinnovo del protocollo fra Anci e Fnsi
    rappresenta un ulteriore passo in avanti verso la compiuta
    regolamentazione dell’attività degli uffici stampa nei Comuni
    grandi e piccoli. L’accordo recepisce anche i principi
    dell’intesa sottoscritta fra Aran, organizzazioni sindacali
    della pubblica amministrazione e Fnsi, entrata definitivamente
    in vigore ad aprile scorso. In questo modo sarà garantita ai
    giornalisti l’autonomia professionale e riconosciuta la
    possibilità di accedere all’assistenza sanitaria della Casagit”
    su base volontaria. (ANSA).   

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    Cosa si dice online sui 5 Referendum sulla Giustizia

    Mancano pochi giorni al 12 giugno quando gli italiani saranno chiamati ad esprimere la loro opinione sui cinque referendum, promossi da Lega e Radicali, relativi alla giustizia.
    Secondo un sondaggio, condotto da SWG per La7 tra il 18 e il 23 maggio, l’affluenza dovrebbe essere compresa tra il 26 e il 30% degli aventi diritto. Una percentuale che non consentirebbe di raggiungere il quorum. Tra coloro che hanno intenzione di andare a votare per quanto riguarda la limitazione della custodia cautelare e l’abolizione della “legge Severino” prevarrebbe il no, mentre per gli altri tre quesiti a vincere sarebbe il sì.
    Non solo la propensione ad andare a votare è molto scarsa ma dei cinque quesiti referendari si parla davvero poco, almeno in televisione. Infatti stando ai dati dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni tra il 22 ed il 28 maggio scorso i TG della RAI hanno dedicato l’1.10% del totale del tempo ai referendum, mentre nei programmi extra-TG si scende addirittura allo 0.33%. Maggiore il tempo dedicato dai TG Mediaset ma si resta comunque al 1.45% e all’1,19% per i talk show. Ancor più marginale il tempo dedicato dalle altre emittenti con Discovery che addirittura non ne parla mai.
    Insomma, parrebbe che gli italiani abbiano altri pensieri, a cominciare dalle conseguenze economiche e sociali del conflitto in Ucraina, e che anche l’informazione televisiva non spinga sull’argomento.
    Per approfondire ANSA e DataMediaHub hanno analizzato le conversazioni online (social + news online + blog e forum) negli ultimi trenta giorni relativamente appunto ai referendum.
    Dal 7 maggio al 5 giugno sono state poco più di 12omila le citazioni online, in italiano, di referendum, da parte di circa 38mila utenti unici, i cui contenuti hanno coinvolto (like + reaction + commenti e condivisioni) quasi 632mila persone. A partire dall’inizio di giugno si vede un incremento nelle conversazioni giornaliere sul tema ma si resta comunque su volumi relativamente scarsi rispetto ad altre analisi da noi condotte su altre tematiche.
    A parlare online di referendum sono in netta prevalenza uomini, di età compresa tra 25 e 34 anni, che si interessano più di altro a questioni legate ad aspetti legali e governativi appunto.
    Sul silenzio delle televisioni e la probabile vittoria dell’astensionismo si concentrano buona parte delle conversazioni online relative ai referendum. Polemiche in particolare per il monologo di Luciana Littizzetto andato in onda nell’ultima puntata di ‘Che Tempo Che Fa’ su Rai3, dove l’attrice ha dichiarato di andare al mare il 12 giugno invece di votare per il referendum Giustizia.
    È da intendersi in tal senso la prevalenza di sentiment negativo, di emozioni negative associate alleconversazioni online sul tema, come mostra la word cloud delle parole associate a referendum, con appunto Littizzetto, referendum e votare caratterizzate da sentiment negativo.
    Non a caso è il tweet di Piero Sansonetti, direttore de Il Riformista, che scrive che “La Rai ignora i referendum sulla giustizia. Immagino su indicazione dei partiti. Luciana Littizzetto addirittura propone il boicottaggio. Mamma mia, ragazzi altro che regime!” una delle dichiarazioni che ha coinvolto il maggior numero di utenti. E anche Carlo Cottarelli, che sempre su Twitter scrive che “Mancano 9 giorni al referendum sulla giustizia. Trovo incredibile che se ne parli così poco” ottiene un numero di retweet e di mi piace relativamente significativo.
    In conclusione, pare dunque che coloro che partecipano alle conversazioni online sui referendum abbiano in prevalenza intenzione di andare a votare e con tutta probabilità votare sì ai cinque quesiti ma, come abbiamo visto, le persone coinvolte al riguardo sono una piccola parte mentre la maggioranza sembra poco interessata alla questione a conferma di quanto emerge dal sondaggio di SWG. 

    Datamediahub e referendum

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    Governo: Salvini, larghe intese esperienza irripetibile

    Possibile un nuovo governo di larghe intese? “No basta. Lo abbiamo fatto per superare l’epidemia di Covid che ora spero sia alle spalle”: così ha detto il segretario della Lega Matteo Salvini alla trasmissione Aria pulita su 7 gold.
    “Governare con Pd e Movimento 5 stelle che passano tutto il tempo ad insultare la Lega non è facile. Esperienza doverosa – ha concluso – ma assolutamente irripetibile”.
    “Spero – ha detto Salvini in un altro passaggio – che non ci sia bisogno di votare un nuovo invio di armi e che si voglia usare la diplomazia”. Prima possibile bisogna aprire “Il tavolo di dialogo, che potrebbe essere in Turchia, a me piacerebbe fosse in Vaticano, e poi – ha aggiunto – saranno Ucraina e Russia a decidere”.
    “Il taglio del cuneo fiscale è un abbassamento delle tasse e noi siamo entrati nel governo per questo, Figuratevi se non siamo d’accordo”. “Tagliare le tasse alle imprese significa poter aumentare gli stipendi ai dipendenti” ha spiegato aggiungendo che bisognerebbe cambiare radicalmente il reddito di cittadinanza che “andrebbe girato alle aziende come sconto fiscale se assumono”.