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    Il sindaco di Milano Sala ha il Covid

    (ANSA) – MILANO, 11 GIU – Il sindaco di Milano, Giuseppe
    Sala, ha il Covid. Lo ha annunciato lui stesso sulle sue pagine
    social postando una sua foto.   
    “Ho il Covid, il disagio sembra essere relativo, ho dolore ai
    muscoli delle gambe, un po’ di febbre e di tosse – ha spiegato
    -. Questo è il mio caso, non mi avventuro in analisi
    scientifiche che non mi competono. Spero di tornare presto in
    ufficio e a faticare in bicicletta. Intanto si lavora da casa”.   
    (ANSA).   

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    Antimafia, sono 18 gli impresentabili alle comunali

    Sono 18 i candidati alle elezioni amministrative di domenica ritenuti “impresentabili” dalla Commissione Antimafia, secondo il codice di autoregolamentazione dei partiti e la legge Severino. Un elenco ultimato a poche ore dal silenzio elettorale, frutto dello scrutino della Commissione, con l’aiuto della Direzione nazionale antimafia, di procure e tribunali. E proprio mentre si compievano le ultime verifiche a Roma, da Palermo arrivava la notizia dell’arresto di un altro candidato, Francesco Lombardo di Fratelli d’Italia. Sarebbe stato comunque “presentabilissimo”, ha sottolineato il presidente della Commissione Antimafia, Nicola Morra. Sono invece quattro le candidature a Palermo nella “black list”, tre per il centrodestra e uno del Pd, Totò Lentini, Giuseppe Milazzo, Francesco La Mantia, e Giuseppe Lupo. Molti sono in altri capoluoghi, e non solo al Sud: anche a Piacenza, Verona e Gorizia. A Frosinone è stato identificato come impresentabile anche un candidato sindaco, Mauro Vicano, di una lista civica.
    Un dato sottolineato da Morra: “Chi ha fatto le liste poteva essere più prudente”. Alcune situazione emerse “sono imbarazzanti”. Estorsioni, riciclaggio, corruzione, concussione sono alcuni dei reati contestati ai candidati impresentabili, il cui numero è esattamente il doppio rispetto alla precedente tornata elettorale lo scorso autunno, ma sono molti di più anche candidati vagliati 19.782 (erano stati 12mila la volta scorsa) in 57 consigli comunali, 4 capoluoghi di regione (Genova, L’Aquila, Catanzaro e Palermo) e 22 capoluoghi di provincia in 14 regioni. “Le cose avvenute a Palermo rattristano”, ha detto Morra, rilevando tra l’altro che i due candidati Lombardo e Polizzi, sarebbero stati “presentabilissimi” perché lo scrutinio della Commissione si basa su “criteri giuridici”. “I partiti che avevano votato all’unanimità la possibilità di sottoporre preventivamente alla Commissione Antimafia le loro liste, al fine di ripulirle da eventuali impresentabili, hanno deciso all’unanimità di non avvalersi questo strumento – ha ammonito Morra -. E adesso sono gli elettori quelli che dovranno selezionare, distinguere ed eventualmente censurare”. Dopo l’arresto di Lombardo, il candidato sindaco a Palermo per il centrodestra Roberto Lagalla chiede ai partiti “le dimissioni di quanti, eventualmente eletti, risulti avere legami con Cosa nostra. Se ciò non avverrà sarò io a rassegnare le dimissioni”.

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    Bce, centrodestra: 'Attacco contro Italia'. Lunedì riunione urgente della Lega

    Lo stop della Bce all’acquisto di titoli di Stato ha caricato il centrodestra contro la banca centrale proprio nelll’ultimo giorno di campagna per le amministrative . “Bce, Commissione e Parlamento europeo è partito un attacco contro l’Italia, c’è chi specula e vuole svenderci come la Grecia”, l’allarme di Matteo Salvini, che ha convocato una riunione urgente della Lega lunedì, per “reagire subito per difendere il lavoro e i risparmi degli italiani”. Tensioni intrecciate con quelle sul voto europeo sull’auto elettrica, che compattano il centrodestra ancora una volta contro una troika che non è affatto considerata tale dal Pd e tantomeno dal governo. Per Antonio Tajani “la signora Lagarde poteva aspettare qualche mese”, e contesta alla presidente della Bce che sarebbe stato “più giusto attendere di far calare il prezzo dell’energia e poi decidere”. Giorgia Meloni definisce la mossa di Francoforte “intempestiva e inopportuna”, perché “non siamo ora in una posizione tale da rivedere il quantative easing”, la politica per “creare moneta” acquistando titoli di Stato. La leader di FdI auspica che il premier Mario Draghi usi “la sua presunta autorevolezza per chiedere una compensazione per le nazioni che pagheranno di più”.
    Difficile attendersi reazioni a voce alta dall’esecutivo. La Bce decide in autonomia e Draghi non è solito commentare le mosse dell’istituzione che ha guidato otto anni fino al 2019. “La Bce forse o sicuramente smetterà di comprare titoli – osservava il premier a inizio maggio -. Non mi aspetto per il momento grandi traumi”. L’aumento dei tassi “era stato annunciato almeno sei mesi fa. Ma per accorgersene bisogna sapere di cosa si tratta e preoccuparsi di qualcosa d’altro che non lo slogan migliore”, la critica di Luigi Marattin (Iv) a Salvini che ha parlato di un annuncio “dalla sera alla mattina”. P
    roteste affatto inedite. Come quando il leghista a settembre 2014 definiva una “cazzata” la riduzione dei tassi, indicando come “unica soluzione sciogliere l’euro”. Ora Salvini denuncia “un attacco alla vita e all’economia del Paese”, mentre Enrico Letta lancia un appello alla responsabilità: “Ogni fibrillazione in più al governo ha effetti negativi sul debito. L’Italia, per il suo debito pubblico, rischia seriamente con questa instabilità dei mercati”. Non mancano dubbi nel centrosinistra. La svolta della Bce “creerà nuove difficoltà alle famiglie. Abbiamo tutti gli ingredienti per una miscela esplosiva”, secondo il presidente del M5s Giuseppe Conte. Leu teme che spinga “l’eurozona verso la recessione”. Mentre per Carlo Calenda (Azione), Lagarde ha preso una decisione “inevitabile, ma anche un po’ inutile”, perché per raffreddare l’inflazione serve invece “un tetto al prezzo delle materie prime”.

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    A Verona l'abbraccio di Lega e Fdi ma Cds rischia

    L’abbraccio di Verona nella serata di ieri segna una ‘tregua armata’ tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni, finalizzato alla campagna elettorale per le amministrative di Verona, uno dei capoluoghi dove si è consumata la frattura più evidente nel centrodestra. La città scaligera vede giocarsi la partita più interessante delle elezioni amministrative per il Veneto, una sorta di braccio di ferro all’interno della coalizione di centrodestra: qui Forza Italia ha ‘strappato’, appoggiando il temuto ex sindaco Flavio Tosi, mentre Lega-Fdi e i “cespugli” centristi (NcI, Udc, la lista di Brugnaro) vanno con l’uscente Federico Sboarina. Negli altri due capoluoghi invece, Padova e Belluno, le coalizioni sono nella formazione-base, e il centrosinistra cerca la conferma.
    Sboarina, che cinque anni fa aveva vinto da civico con il centrodestra unito, è entrato in Fratelli d’Italia e ha progressivamente spostato a destra la sua amministrazione. Alcune prese di posizione sono state controverse – il “Convegno della famiglia” sostenuto anche da organizzazioni vicine al regime di Putin, le nomine tutte al maschile alla Fiera, con presidenza al leghista Bricolo. Forza Italia ha così deciso di puntare su Tosi, che ancora riscuote un certo seguito in città e torna alla carica con la sua lista “Fare”, ma anche Italia Viva, con Matteo Renzi che ne ha tessuto le lodi in quanto “bravo amministratore”. Per il centrosinistra c’è l’ex calciatore Damiano Tommasi, centrocampista di Roma e Nazionale e alla testa dell’Aic, appoggiato dal “campo largo” che vede tra gli altri Pd, Azione, Europa Verde e M5S. I litigi del centrodestra lo potrebbero favorire per un ballottaggio, ma c’è anche il rischio che possa finire ‘stritolato’ qualora gli avversari si ricompattassero.
    A Padova e sarà una sfida tra manager prestati alla politica, con il sindaco Sergio Giordani che punta alla rielezione contro l’imprenditore Francesco Peghin. La campagna elettorale, inizialmente impostata sul ‘fair play’, è stata ravvivata da qualche polemica che Peghin ha cercato di innescare, negli ultimi giorni, anche denunciando aggressioni nei suoi confronti. Infine a Belluno il centrodestra unito spera in Oscar De Pellegrin, campione paralimpico, dopo dieci anni di opposizione. Dopo due mandati il sindaco uscente Jacopo Massaro lascia il posto a Giuseppe Vignato, manager di grosse aziende come Luxottica, anch’egli appoggiato da un centrosinistra allargato.

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    Catanzaro, centrodestra diviso sfida campo largo Pd-5S

    Da una parte il centrodestra tradizionale, con Lega, Forza Italia e Udc ma orfano dei meloniani, che corrono in autonomia, e di Noi con l’Italia albergata altrove, che punta le sue carte su un candidato sindaco ex Pd e “civico” Valerio Donato, docente universitario. E, dall’altra, il “campo largo” profetizzato da Enrico Letta, a trazione Pd e 5S, presente con proprie liste e simboli, e che a queste latitudini si ripropone, affidandosi ad un altro accademico, Nicola Fiorita. E’ stata la polemica, tanto rivolta all’interno delle coalizioni, quanto diretta agli avversari di schieramento, a tenere banco nelle ultime settimane a Catanzaro, dove si recheranno al voto 73.294 elettori distribuiti in 92 seggi, e dove la campagna elettorale è giunta al rush finale.
    E tutto questo ancora prima che venissero ufficializzati i nomi degli aspiranti sindaci e dei componenti delle liste: lacerazioni profonde che hanno scosso all’interno partiti e coalizioni in campo.Tavoli e riunioni infruttuose, caratterizzate da autentici giri di valzer, con candidature annunciate e poi ritirate, si sono avvicendati in un centrodestra in cerca d’autore e che ha palesato profonde divisioni. Ma il clima di scontro fratricida non ha risparmiato nemmeno il Pd, all’interno del quale si è consumato lo strappo tra Donato, nome troppe volte tirato fuori dal cilindro dei Dem e poi accantonato in passato per la corsa a Palazzo De Nobili, e il partito, erede in parte di quel Pci-Pds-Ds in cui lo stesso docente ha militato per anni e che, adesso, gli ha preferito un altro “prof”. Alla fine attorno a Donato, candidato civico, che da dicembre aveva annunciato la ferrea volontà di misurarsi comunque con l’agone elettorale, si sono ritrovate convintamente la Lega, che in città ha come uomo forte Filippo Mancuso, presidente del Consiglio regionale, e Forza Italia, con liste civiche e formazioni nate anche da pezzi del centro sinistra come Italia Viva. Un’intesa che vede fuori Fratelli d’Italia, in corsa con Wanda Ferro, vicecapogruppo alla Camera, unica donna in lizza per la carica di sindaco, a capo di una sola lista di partito.
    Scelta travagliata anche questa arrivata in zona Cesarini e che può contare sul sostegno, malgrado le scelte differenti di molti suoi ex collaboratori, del sindaco uscente Sergio Abramo. Ma non è tutto: a rendere ancora più ingarbugliata la matassa del centrodestra ci ha poi pensato l’altro candidato di area, Antonello Talerico, presidente dell’Ordine degli avvocati, che è sostenuto da un altro pezzetto di coalizione in fuga, Noi con l’Italia. Mosaico elettorale, quello del capoluogo calabrese, che si completa con le candidature a sindaco di Francesco Di Lieto, avvocato anche lui, vice presidente nazionale del Codacons, portavoce della sinistra radicale e antagonista, che può contare sull’adesione di Rifondazione comunista, Potere al popolo e Calabria resistente e solidale, e dell’imprenditore Antonio Campo, già referente locale di Italexit. A giochi quasi fatti, però, non mancano le incognite. Due le principali: il voto disgiunto e la crescente disaffezione al voto.

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    Voto L'Aquila rilevanza nazionale, sfilata di big

    Il voto amministrativo all’Aquila ha una rilevanza nazionale visto che la città martoriata dalla tragedia del terremoto di 13 anni fa è, insieme a Genova, Palermo e Catanzaro, tra i quattro capoluoghi di regione italiani alle urne in questa tornata elettorale che coinvolge circa 9 milioni di italiani.
    Una valutazione fatta da molti anche alla luce del “brand”: purtroppo il capoluogo dell’Abruzzo è conosciuto in tutto il Paese e nel mondo per il devastante sisma che ha causato 309 morti, 1500 feriti seminando distruzione, e della vicinanza con Roma, circa 100 chilometri. La centralità dell’Aquila è stata confermata nella lunga campagna elettorale e un’autentica sfilata di big nazionali della politica e del governo a sostegno dei quattro candidati: il sindaco uscente e ricandidato per il centrodestra, Pierluigi Biondi, 47 anni, il deputato del Pd Stefania Pezzopane, (62), a capo della coalizione di centrosinistra, il consigliere regionale abruzzese della lista civica Legnini Presidente, Americo Di Benedetto, (54), ex Pd oggi leader del gruppo civico Il Passo Possibile di area centrosinistra, e Simona Volpe, (53), avvocato e manager in una multinazionale, candidato di un altra lista civica, Liber L’Aquila.
    E questa sera chiuderà le danze per Fratelli d’Italia il leader, Giorgia Meloni, con un atteso comizio a sostegno della conferma di Biondi. Nelle passate settimane sono arrivati Enrico Letta, Matteo Salvini, Carlo Calenda, Antonio Tajani, i ministri Andrea Orlando, Roberto Speranza, Renato Brunetta, Mara Carfagna, e Massimo Garavaglia e persino il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri. In questo scenario di grandi attenzioni nazionali si gioca una partita decisiva per il futuro dell’Aquila alle prese nei prossimi cinque anni con il passaggio decisivo per la ricostruzione infrastrutturale ma soprattutto per quella sociale ed economica: per centrare l’obiettivo il nuovo sindaco dell’Aquila avrà a disposizione fondi ingenti ed opportunità irripetibili: secondo una stima nei prossimi cinque anni la disponibilità sarà di circa circa 5 miliardi di euro, 700 milioni annui per complessivi 3,5 mld per il completamento della ricostruzione post terremoto privata ed un impulso forte in quella pubblica, circa 1,8 mld del fondo complementare del Pnrr riservato al cratere del sisma, poste alle quali manca la rilevante quota del Pnrr. Cinque anni fa si erano scontrati Di Benedetto per il centrosinistra, e Biondi che ha vinto, clamorosamente, al ballottaggio, dopo aver perso nettamente il primo turno, 47,7 % a fronte del 35,84% del centrodestra.

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    A Genova Bucci cerca la conferma al primo turno

    Da una parte Marco Bucci, il sindaco uscente che cerca la conferma già al primo turno, dall’altra Ariel Dello Strologo, il candidato del ‘campo largo’ che tanto piace ad Enrico Letta, che partito con un ampio svantaggio di popolarità punta al ballottaggio. Il voto per le comunali a Genova è riassunto in questa fotografia che ritrae il manager con trascorsi americani prestato alla politica, l’uomo che fa, che urla, un pragmatico e l’avvocato dai modi pacati, presidente della comunità ebraica locale. A giocare la partita ci sono 7 candidati e 19 liste, ma per il ruolo di sindaco la sfida è solo tra Bucci e Dello Strologo. Gli altri sono Mattia Crucioli, senatore ex M5s ora in Alternativa c’è, con la lista Uniti per la Costituzione, Cinzia Ronzitti ex commessa, candidata per il Partito comunista dei lavoratori, Antonella Marras, impiegata, sostenuta da Rifondazione, Pci e Sinistra anticapitalista, l’imprenditore indipendente Carlo Carpi (Carpi sindaco – Insieme per Genova) e il no vax Martino Manzano con la lista Movimento 3V (Vaccini, vogliamo verità).Ma a Genova, la città di Beppe Grillo che in campagna elettorale non si è mai visto, non sarà solo una sfida amministrativa. I risultati del voto nella città della Lanterna hanno anche un valore politico. Qui si misura la salute del campo progressista, qui il Pd ha rinunciato all’idea del partito autosufficiente ed è il tessitore di una rete che oltre ai 5 Stelle tiene insieme la Sinistra Italiana di Nicola Fratoianni e i socialisti di Enrico Maraio. Insomma, quello schieramento inclusivo che Letta spera possa vincere le politiche del prossimo anno. Qui ci sono gli occhi puntati sul centrismo portato avanti dal governatore Giovanni Toti con la sua lista e poi ci sono gli innesti nelle liste civiche del sindaco Bucci (ne ha due, Vince Genova e Genova Domani) di esponenti di Italia viva e Azione. Matteo Renzi e Carlo Calenda hanno spiegato la scelta dicendo che non si tratta di una adesione a un progetto politica, ma è l’appoggio al ‘sindaco del fare’. Queste liste potrebbero risultare il primo partito all’interno del centrodestra, rilanciando il progetto centrista di Toti e facendo interrogare i partiti strutturati. In queste settimane il clima da derby nello schieramento si è respirato anche se è stato mascherato con la filosofia ‘conta vincere al primo turno’. La sfida tra Bucci e Dello Strologo è anche la sfida tra due visioni di città. Il sindaco uscente, che nel 2017 strappò la città alla sinistra per la prima volta, punta sulle infrastrutture su una mobilità green e una città smart. “Abbiamo rimesso in moto la città dopo 25 anni”, afferma. Lui è l’uomo del Ponte ricostruito in tempi record. Ma gli oppositori gli dicono che non ha meriti perché ciò è stato possibile con il decreto Genova del Governo Conte 1.Dello Strologo dice che Bucci parla solo a una parte della città, sta con quelli che ce la fanno, mentre il disagio è aumentato, non c’è un assessore al sociale e i giovani fuggono dalla città. “La ricchezza va distribuita con tutti”, dice.Bucci replica: “Per farlo prima va creata, loro sono il partito del no”. Gli ultimi sondaggi lo davano in vantaggio con possibile vittoria al primo turno. Dello Strologo si sente in recupero e afferma: “Il ballottaggio è quasi una certezza, riprendiamoci la città”. Sulla sfida può incidere la scelta di quel 50% che cinque anni fa rimase a casa: un maxi partito che può fare la differenza. (ANSA).   

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    Lotta per i Comuni, ma è già scontro per le politiche

    Si chiude la campagna per le amministrative di domenica, ma lo scontro tra i poli sale a tal punto che sembra di essere già in pieno clima elettorale per le politiche del prossimo anno. La polemica tra centrodestra e centrosinistra va molto oltre i temi sulla gestione dei comuni coinvolgendo invece tanti punti al centro del dibattito nazionale, soprattutto sull’economia: dalla battaglia sulla fine dell’auto a benzina entro il 2035 al Pnrr, dalla lotta sul salario minimo a quella sul reddito di cittadinanza.
    Polemica accesa anche sul tema dei candidati impresentabili: la Commissione Antimafia fa sapere che sta esaminando 62 nominativi. E a Palermo infuriano le polemiche dopo che ieri è stato arrestato un candidato di Forza Italia, oggi uno di Fratelli d’Italia.
    Insomma, malgrado si tratti di un test amministrativo, i comizi di queste ultime ore sembrano essere una prova generale della campagna elettorale del 2023. E tanti spingono per dare un valore politico nazionale ai risultati del voto di oltre 900 comuni Lo fa certamente Enrico Letta che torna rilanciare il suo partito come perno di una futura maggioranza, escludendo prospettive neo-centriste. Durissima la sua bocciatura all’apertura di Calenda a Letizia Moratti come futura candidata in Lombardia. “Noi stiamo discutendo delle candidature, ovviamente di centrosinistra. Sceglieremo e discuteremo con tutti gli alleati, sarei felice di discutere anche con Carlo Calenda”. Ma aggiunge netto:” non è nostra abitudine andare a individuare candidature che stanno dall’altra parte”, Quindi ricorda a tutti che l’anno prossimo la scelta sarà tra il Pd e “le destre”. “Alle prossime politiche – attacca l’ex premier – non ci saranno terze soluzioni, terze opzioni, non ci saranno sfumature. O ci saremo noi, oppure ci saranno le destre, dall’altra parte. E noi non possiamo lasciare il nostro Paese cadere nelle mani di Salvini e Meloni”.
    Nel suo tour elettorale, il segretario dem, vede la possibilità di sfondare, soprattutto al Nord, il muro del centrodestra. “L’altra volta – osserva a Lodi – qui perdemmo e poi perdemmo le politiche. Noi qui siamo impegnati e straimpegnati perchè vincere Lodi significa vincere le politiche prossime”.
    Specularmente anche Giorgia Meloni fa capire di guardare già al 2023 arrivando addirittura a chiedere esplicitamente a Sergio Mattarella che si vada a votare “entro marzo”. “Se qualcuno pensa davvero di portare una legislatura che sta devastando l’Italia avanti di tre mesi per fare prima trecento nomine, chiamerò in causa il Presidente della Repubblica. E’ un’ipotesi – attacca – che trovo intollerabile, impensabile”.
    Un’alzata di scudi che, all’indomani dell’abbraccio di Verona tra lei e Matteo Salvini, allarga il solco interno al centrodestra tra il suo partito e l’asse Forza Italia-Lega. Ma, soprattutto, si tratta di una richiesta che difficilmente troverà grande ascolto.
    Il potere di sciogliere le Camere è prettamente presidenziale: parlarne ora appare prematuro. La legge poi lascia massima autonomia al Colle di scegliere quando agire. E tuttavia, con i tanti impegni internazionali a cui è chiamato a rispondere questo governo, a partire dai tagliandi semestrali del Pnrr, secondo molti osservatori è assai probabile che alla fine lo scioglimento possa avvenire negli ultimi giorni utili, in modo da arrivare al voto a maggio.