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    M5s: conclusa riunione del consiglio nazionale

    (ANSA) – ROMA, 20 GIU – Si conclusa dopo oltre quattro ore di
    discussione la riunione del consiglio nazionale del Movimento
    Cinque Stelle convocato per esprimersi sulle dichiarazioni di
    Luigi Di Maio e sulla risoluzione della maggioranza in vista
    delle comunicazione di Draghi sul consiglio Ue. (ANSA).   

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    Caos M5s: vertice in serata, attesa per la decisione su Di Maio

    Resa dei conti nel M5s, sul tavolo l’espulsione del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. È convocato per stasera il Consiglio nazionale del Movimento. All’ordine del giorno della riunione la discussione sulla linea politica da tenere sulla risoluzione di maggioranza in vista delle comunicazioni del premier Mario Draghi in Parlamento alla vigilia del Consiglio europeo del 23-24 giugno e sulle dichiarazioni del ministro. Sulle decisioni prese dal Consiglio può essere chiamata ad esprimersi la base del Movimento. 

    Agenzia ANSA

    Conte, i vice, i capigruppo, Patuanelli, i capi dei comitati (ANSA)

    “Cercheremo di fare” il consiglio nazionale “tra oggi e domani. Se c’è l’ipotesi di mettere in discussione il ruolo di Di Maio nel Movimento? Non è quello il punto, ma le posizioni che sta prendendo lui pubblicamente senza confronto interno. E’ pretestuoso dire che la nostra forza politica può costituire un problema per la sicurezza nazionale”, “lo trovo gravissimo” e “parte di un percorso che si pone in contrapposizione con linea che il M5s sta portando avanti in questo momento”, così il viceministro allo sviluppo economico e vicepresidente del M5S Alessandra Todde a Skytg24.
    “Io trovo vergognoso che ieri sia stata fatta circolata una bozza vecchia che non ha niente a che fare con la base su cui stiamo discutendo. La risoluzione deve essere di maggioranza”, ha aggiunto Todde. “I temi che stiamo portando avanti credo siano condivisibili con le altre forze di maggioranza”, ovvero la “de-escalation militare” e “a fronte di un conflitto che si sta allungano far tornare il parlamento centrale”, aggiunge. Todde definisce “Incredibile che siano state fatte delle dichiarazione su una bozza vecchia”.
    Di Maio contrattacca: “I dirigenti della prima forza politica in Parlamento, invece di fare autocritica, decidono di fare due cose: attaccare, con odio e livore, il ministro degli Esteri e portare avanti posizioni che mettono in difficoltà il Governo in sede Ue. Un atteggiamento poco maturo che tende a creare tensioni e instabilità all’interno del Governo. Un fatto molto grave”, afferma il ministro in una nota.
    “La prossima settimana in Parlamento si voterà la risoluzione sulla posizione che il Governo porterà avanti ai tavoli europei. Da Ministro degli Esteri della Repubblica Italiana ho ribadito e continuerò a ribadire che l’Italia non può permettersi di prendere posizioni contrarie ai valori Euro-Atlantici”. “Vengo accusato dai dirigenti della mia forza politica di essere atlantista ed europeista. Lasciatemi dire che, da Ministro degli Esteri, davanti a questa terribile guerra rivendico con orgoglio di essere fortemente atlantista ed europeista”. “Tutti cerchiamo e vogliamo la pace – scrive ancora Di Maio -. Intanto, però, Putin sta continuando a bombardare l’Ucraina, ignorando la richiesta della comunità internazionale di sedersi a un tavolo per i negoziati. Intanto l’esercito russo continua a uccidere civili innocenti e blocca i porti e l’export del grano, rischiando di causare una ulteriore guerra che, a sua volta, potrebbe generare l’aumento di nuovi flussi migratori incontrollati, anche verso il nostro Paese”.

    Agenzia ANSA

    Grillo lo definì ‘il nostro politico’. Ora il gelo con Conte (ANSA)

    Intanto è prevista per domani pomeriggio intorno alle 16 , a quanto si apprende da fonti parlamentari, la riunione tra il sottosegretario agli affari Europei Vincenzo Amendola e i rappresentanti dei partiti di maggioranza per trovare una mediazione che porti alla stesura definitiva della risoluzione da votare in Parlamento.

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    Rischio scissione M5s, i numeri in Parlamento

    La sensazione è di essere arrivati allo scontro finale. Che si tratti di espulsione o scissione, quel che è certo è che i numeri saranno decisivi per determinare quali effetti avrà il terremoto nei Cinque Stelle sugli equilibri parlamentari e di governo. L’eventuale addio di Luigi Di Maio, frutto di una cacciata o per decisione autonoma del ministro, potrebbe infatti provocare un esodo di diverse decine di parlamentari fedeli alla linea governativa del titolare della Farnesina. Indebolendo i gruppi di Giuseppe Conte, ma modificando anche gli equilibri e la geografia parlamentare del Movimento che attualmente conta 72 senatori e 155 deputati.    Il terreno di scontro è il più caldo di tutti: la politica estera. Ma sullo sfondo pesa anche la questione del limite del secondo mandato: allarma molto chi è in Parlamento da 10 anni e, dunque, non più ricandidabile. Su questo punto, in particolare, si sono saldate diverse anime del partito, prima distanti, ora unite nell’ostilità al leader. E così, la componente che fa capo al ministro Di Maio potrebbe allargare il consenso e provocare una frattura più profonda: che si tratti di espulsione o scissione, potrebbero essere fino a 60 i deputati e senatori disposti a seguire il titolare della Farnesina fuori dal Movimento.    Suoi fedelissimi sono considerati la viceministra all’Economia Laura Castelli e parlamentari o ex membri di governi precedenti come Manlio Di Stefano, Vincenzo Spadafora, Mattia Fantinati, Sergio Battelli, Dalila Nesci, Virginia Raggi, Claudio Cominardi Primo di Nicola, gli ex sottosegretari Vacca e Valente. Con Conte, invece, il ministro Stefano Patuanelli e dirigenti di peso come Vito Crimi, Paola Taverna, Ettore Licheri e Alfonso Bonafede.    È evidente che molto dipenderà dalle modalità con cui si arriverà alla spaccatura. E dal posizionamento dei pentastellati rispetto al governo: se dovessero allontanarsi dall’attuale maggioranza di Draghi, infatti, i gruppi di Conte dovrebbero affrontare defezioni più numerose. Tanto più che i sondaggi e i risultati delle recenti amministrative hanno generato timori sul futuro in molti peones. Anche da questi sviluppi dipenderanno, insomma, le scelte dell’area di mezzo, occupata da mediatori come gli attuali capigruppo e i battitori liberi.    Riflettori, dunque, sulle mosse future di Di Maio e dei suoi uomini. E non è un caso che negli ultimi giorni il ministro degli Esteri sia finito sotto la lente di ingrandimento del cosiddetto polo riformista che punta su Beppe Sala come possibile leader. Un’area, quella di centro, che guarda con interesse anche ai moderati di Forza Italia che da tempo sono in sofferenza rispetto alle posizioni più filo-leghiste del loro partito.   

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    Il Consiglio nazionale del M5s, ecco i 14 componenti

    Sono 14 i componenti del Consiglio nazionale del Movimento Cinque Stelle che si riunirà stasera per decidere la linea sulla risoluzione sull’Ucraina e il destino ddel rapporto con Luigi Di Maio.    Oltre al presidente del M5s Giuseppe Conte, fanno parte del Consiglio nazionale i capigruppo di Senato, Camera e Parlamento europeo Mariolina Castellone, Davide Crippa e Tiziana Beghin; i quattro vicepresidenti del Movimento Michele Gubitosa, Mario Turco, Alessandra Todde e Riccardo Ricciardi; il capo della delegazione al governo, il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli.    Ci sono poi il coordinatore del Comitato nazionale progetti Gianluca Perilli, la coordinatrice del comitato per la formazione e l’aggiornamento ed ex sindaca di Torino Chiara Appendino, il coordinatore del Comitato per i rapporti europei e internazionali Fabio Massimo Castaldo e il coordinatore del Comitato per i rapporti territoriali Alfonso Bonafede, ex ministro della Giustizia del governo Conte con la Lega.    Nella composizione del Consiglio nazionale è prevista anche la presenza, ‘se eletto’, di un rappresentante dei parlamentari eletti dei Cinque Stelle nelle Circoscrizioni estere’.    

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    Renzi, 'il centro? Prematuro parlarne. Di Maio leader? Difficile

    Che forma prenderà il polo del centro? “E’ troppo presto per dirlo, perché da qui alle prossime elezioni cambierà tutto e io stavolta non sono ottimista. In ogni caso se si vota nel maggio del 2023, se ne potrà parlare a gennaio-febbraio del ’23, non prima. Chi ne parla ora, fa una discussione da ombrellone. E’ come il calcio mercato perché tra 6 mesi sarà tutto diverso”. A dirlo è il leader di Italia viva, Matteo Renzim ospite di “Mezz’ora in più” su Rai 3.
    Sulla possibilità che Luigi Di Maio sia il nuovo leader del centro,  “Mah, credo sia difficile riciclarsi su posizioni complicate, ad esempio che pensa Di Maio sul garantismo?”, osserva Renzi. “E’ una persona in cerca di autore. Se potessi dirgli una cosa, noi ci aspettiamo le scuse su vicende nostre dal caso Etruria al giustizialismo, ma soprattutto in questa fase la discussione vorremmo che fosse sui temi veri dell’atlantismo e non sul doppio mandato, perché trovo avvilente che loro discutano di questo”.
    Per Renzi “l’area Draghi non è un partito, sennò trasformiamo subito Draghi in un Monti bis”. Quanto al predecessore del presidente del Consiglio a Palazzo Chigi, Giuseppe Conte, “se fosse stato su quel treno  – in viaggio per Kiev come Draghi e i leader di Francia e Germania –  non l’avrebbero messo nemmeno in una cuccetta”. “Il mio non è un insulto – aggiunge Renzi – Dico che Conte è contradditorio perché ha detto no a nuove armi ed è quello che ha messo più armi di tutti”.

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    Di Maio e il MoVimento, c'eravamo tanto amati

     Inciampa sulla guerra in Ucraina – ma è solo la punta dell’iceberg – e poi rischia di sfasciarsi in un Consiglio nazionale notturno, l’amore politico tra Movimento Cinque Stelle e Luigi Di Maio. Un’avventura lunga quasi 15 anni, ma per il giovane parlamentare campano, pur sempre al secondo mandato, sembrano tanti di più: tra campagne elettorali vincenti, feroci sconfitte, una scalata ministeriale di tutto rispetto e faide interne.    A segnarla sono stati anche i rapporti con Beppe Grillo spesso sull’ottovolante. E la sintonia a metà con Giuseppe Conte: prima benedetto come l’avvocato del popolo che conquista Palazzo Chigi e ora acerrimo rivale, bastonato apertamente dopo l’ultimo ko elettorale (‘Alle elezioni amministrative non siamo andati mai così male’) e contestato per l’atteggiamento ribelle (‘Non si può attaccare il governo un giorno sì e uno no’). Fino alla resa dei conti che odora di espulsione per il ministro degli Esteri classe 1986. E che rischia di lasciare sul campo solo Roberto Fico, in memoria dei ‘tre moschettieri’ della prima ora grillina come erano chiamati Di Maio, Alessandro Di Battista e appunto il presidente della Camera.    Un epilogo che per Di Maio arriva a due anni dalle dimissioni come capo politico del M5s. Era il 22 gennaio 2020. Allora chiuse la porta in faccia ai tanti detrattori, quelli che dalle retrovie lo avevano ‘pugnalato alle spalle’. Così disse. ‘I peggiori nemici sono quelli che lavorano al nostro interno, ma per la loro visibilità’, aggiunse.    Cronaca di una storia personale e politica nata in Campania.    Di Maio nel 2007 è all’apertura del primo meetup M5s nella sua città, Pomigliano D’Arco. Ma i primi passi non sono fortunati.    Quando si candida come consigliere comunale nel 2010, incassa 59 voti. L’ostinazione però non gli manca, da semisconosciuto vince le parlamentarie che, nell’anno magico del Movimento, lo portano a Montecitorio. Di Maio parte in sordina, ma la sua elezione a vicepresidente della Camera – il più giovane della storia, a 26 anni – gli vale un passaggio in ascensore verso nell’Olimpo del M5s. È il 21 marzo 2013, l’inizio dell’ascesa. È lui, come lo definisce Grillo, il ‘politico’ del Movimento.    La faccia pulita di Di Maio, di fronte al barricadero Di Battista e al più francescano Fico, funziona e insieme i tre catturano preferenze a destra e a sinistra. Fino alle vittorie a Torino e Roma delle due pentastellate che saranno sindache.    Proprio la Capitale, e le vicende di Virginia Raggi, fanno piombare Di Maio al centro di aspre critiche interne. È la fine del 2016 e c’è la prima vera spaccatura. Ma lui ne esce indenne e dopo un anno viene promosso a capo politico, con voto bulgaro sulla piattaforma Rousseau.    Di lì in poi arrivano i trionfi: l’elezione del 4 marzo 2018, il governo con la Lega e il passo indietro dalla premiership che ne permette la formazione. Giura da vicepremier e ministro dello Sviluppo e del Lavoro. Ma l’abbraccio con Matteo Salvini è mortale. Dopo la caduta del governo Conte 1, inizia a saldarsi l’intesa con il Pd. Segue il fuoco amico, il gelo di Grillo e il passo indietro dalla leadership del Movimento. Ma la rinascita istituzionale è dietro l’angolo e coincide con l’approdo alla Farnesina nel 2019 sotto il Conte bis e con poi la conferma due anni dopo quando a palazzo Chigi arriva Mario Draghi.    Al ministero degli Esteri è uno che studia, si circonda di collaboratori capaci e si conquista il rispetto dei diplomatici.    Ma nel Movimento le cose non migliorano, tanto meno quando arriva Conte. Anzi. Fino alla resa dei conti che sembra inevitabile.    

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    Camera: Vito, lascio Fi e rassegno dimissioni da deputato

    “Signor Presidente della Camera dei deputati, a seguito della mia decisione di lasciare Forza Italia, il partito nelle cui liste sono stato eletto, rassegno le mie dimissioni dal mandato parlamentare. Mi auguro che questa decisione possa contribuire ad aiutare le giovani ed i giovani del nostro Paese a ritrovare il senso della fiducia nelle Istituzioni, nel Parlamento e più in generale nella politica”. E’ quanto si legge in una lettera che Elio Vito ha inviato al presidente della Camera Roberto Fico.

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    Ucraina: Parlamento Kiev vieta libri e musica russi

    (ANSA) – ROMA, 19 GIU – L’Ucraina vieta libri e musica russi.   
    Il Parlamento di Kiev, la Verkhovna Rada, ha approvato un
    disegno di legge che prevede il divieto di importazione e
    distribuzione di volumi e prodotti editoriali da Russia,
    Bielorussia e “territori temporaneamente occupati” e di quelli
    in russo anche da altri Paesi. Secondo quanto riporta Ukrinform,
    il testo, presentato dal primo ministro Denis Shmygal lo scorso
    11 maggio, prevede la risoluzione dell’accordo tra il governo
    dell’Ucraina e il governo della Federazione russa sulla
    cooperazione scientifica e tecnica.   
    Un atro disegno di legge è stato approvato per imporre “un
    divieto assoluto e indefinito di esibizione pubblica, proiezione
    pubblica, manifestazione pubblica” di “cantanti che dopo il 1991
    erano cittadini dello stato aggressore”. Dal divieto, si
    precisa, verranno esclusi i musicisti che hanno condannato
    l’invasione di Mosca, che saranno inclusi in un’apposita “lista
    bianca”. (ANSA).