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    Addio Scalfari, direttore-filosofo che fondò Repubblica

    Per molti è stato ‘il Fondatore’ o anche ‘Barbapapà’, per la barba patriarcale, che unita al suo carattere deciso e vivace era parte integrante del suo personaggio. Ambizioso, autorevole, d’intelligenza acuta, portato a decidere in prima persona sempre su tutto: queste le virtù e nello stesso tempo i difetti di Eugenio Scalfari che lo hanno portato a trasformare il giornalismo italiano. Giornalista e molto di più, direttore e molto di più, prima di scoprire la vocazione per la filosofia che l’ha portato anche in dialogo con papa Francesco su temi altissimi e contingenti. Alto e basso sono state un po’ le caratteristiche della sua esperienza di vita, puntando sempre in alto senza disdegnare la tenzone, politica, culturale, persino teologica.
    Nato a Civitavecchia il 6 aprile del 1924, Scalfari è stato il primo direttore-manager dell’editoria italiana, padre di due creature editoriali, L’Espresso e Repubblica, nate dal nulla ma che in pochi anni non solo hanno raggiunto i vertici della diffusione, ma hanno anche lasciato un’impronta indelebile nella storia del Paese.
    Dopo la giovinezza a Sanremo, dove al liceo classico ebbe come compagno di banco Italo Calvino, inizia a scrivere su alcune riviste fasciste, per venire poi espulso in quanto ritenuto un imboscato. Nei primi anni ’50 inizia con il Mondo di Pannunzio e l’Europeo di Arrigo Benedetti. Nel ’55 con quest’ultimo fonda L’Espresso, primo settimanale italiano d’inchiesta. Scalfari vi lavora nella doppia veste di direttore amministrativo e collaboratore per l’economia. E quando Benedetti gli lascia il timone nel ’62, diventa il primo direttore-manager italiano, una figura all’epoca assolutamente inedita per l’Italia. Questo doppio ruolo sarà poi anche uno dei fattori del successo di Repubblica. L’Espresso intanto conquista un ruolo importante per il suo coraggio, le inchieste, le battaglie civili. Dopo l’inchiesta sull’Immobiliare, le sofisticazioni alimentari, i poteri nella grande editoria, Scalfari promuove, spesso conducendole in prima persona, inchieste sulla nazionalizzazione dell’energia elettrica, lo scandalo della Federcorsorzi, fino alle rivelazioni scritte con Lino Jannuzzi dei tentativi di golpe di De Lorenzo (’64) che causano pesanti contraccolpi nella vita politica italiana.
    Scalfari viene additato come uno dei principali nemici della Dc, della Montedison, dell’Iri. Proprio sulla scia della campagna sul caso Sifar-De Lorenzo, il Psi gli offre una candidatura in Parlamento che lo porta a diventare deputato nel ’68. La sua carriera parlamentare dura solo una legislatura, mentre i suoi editoriali della domenica sono un appuntamento fisso per decenni. Inizia in quegli anni il gelo con Bettino Craxi che poi sfocerà nelle dichiarate reciproche ostilità su Repubblica negli anni ’80 (e dell’84 il su libro ‘L’anno di Craxi’ con il polemico sottotitolo ‘o di Berlinguer?’).
    Repubblica è la seconda grande impresa di Scalfari, una sfida per creare un giornale d’elite e di massa che il ‘Fondatore’ dirige e controlla in tutto e per tutto. Quello di Repubblica non è comunque un successo scontato. Dopo un anno di attività vende 70mila copie avendo un break-even di 140mila, rischia la chiusura, ma negli anni ’80 comincia un’escalation che porta il giornale formato tabloid a vendere più di 500 mila copie. Nell’86 si arriva per la prima volta al sorpasso in edicola sul Corriere della Sera e, secondo alcuni, alla fondazione di una specie di partito politico, il ‘partito di Repubblica’ che negli anni ’80 si contraddistingue negli attacchi a Craxi e al feeling con la Dc di De Mita e con il Pci di Berlinguer.
    Poi segue una stagione di vicissitudini proprietarie con il tentativo dell’eterno avversario Silvio Berlusconi di scalare il giornale, conclusa in tribunale con il Lodo Mondadori. Fase che porta infine al consolidamento della posizione acquisita. Negli anni ’90 Scalfari comincia a mollare la presa, dopo aver lasciato il consiglio di amministrazione e annunciato varie volte l’intenzione di lasciarne la guida, dà l’addio a Repubblica che nel frattempo ha cambiato veste grafica.
    “Vi lascio il rosmarino per i ricordi, le viole per i pensieri”: è con queste parole che il 3 maggio del 1996 si congeda dopo ’20 anni tre mesi e 2 giorni’ da Repubblica tra le lacrime e gli applausi dei suoi redattori. Scalfari – che lascia il posto a Ezio Mauro, ma resta editorialista del quotidiano – vuole ora sperimentare cosa può fare come individuo senza più ruoli di sorta ‘anche perché – dice salutando i colleghi di Piazza Indipendenza – per chi ha diretto questo giornale qualsiasi altro ruolo è marginale’.
    Negli ultimi anni si è dedicato soprattutto alla scrittura, volumi come l’autobiografia uscita per i suoi 90 anni nel 2014 allegata al quotidiano. Scalfari non ha mai temuto di confrontarsi con i numi tutelari della filosofia moderna. Da Pascal a Montaigne, da Voltaire a Kant, da Nietzsche a Hegel (in ‘Incontro con io’) affronta i temi cari all’Illuminismo (in ‘Alla ricerca della morale perduta’). Nel suo primo romanzo ‘Il labirinto’, uscito nel ’98, erano il rapporto tra sentimenti e ragione, il ruolo che il pensiero esercita nella quotidiana esistenza dell’uomo e il contrasto tra aspirazioni profonde e realtà i temi al centro della sua riflessione, sviluppata poi ancora in ‘L’uomo che credeva in Dio’, ‘Per l’alto mare aperto’, ‘Scuote l’anima mia Eros’, ‘La passione dell’etica’, ‘L’amore, la sfida, il destino’.
    A un suo intervento su fede e laicità, lui che da sempre si dichiarava ateo, rispose Papa Francesco, con una lettera a Repubblica pubblicata l’11 settembre del 2014. L’incontro diventa un libro nel 2019, ‘Il Dio unico e la società moderna. Incontri con Papa Francesco e il Cardinale Carlo Maria Martini’.

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    Morte di Eugenio Scalfari: da Giannini a Civiltà Cattolica, l'addio su Twitter

    L’emozione per la morte di Eugenio Scalfari, figura chiave del giornalismo italiano, grande testimone del ‘900, invade anche i social.
    “Ciao Direttore, con te se ne va la nostra storia, la nostra anima, la nostra Repubblica”, scrive su Twitter Massimo Giannini, già vicedirettore del quotidiano fondato da Scalfari e oggi alla guida della ‘Stampa’.

    Ciao Direttore, con te se ne va la nostra storia, la nostra anima, la nostra Repubblica. #Scalfari pic.twitter.com/dOZXLCrWXg
    — Massimo Giannini (@MassimGiannini) July 14, 2022

    “Addio Direttore. Lavorare con te è stata la cosa più bella che potesse capitarmi nella mia vita di giornalista”, è il commento di Sebastiano Messina.

    Addio Direttore. Lavorare con te è stata la cosa più bella che potesse capitarmi nella mia vita di giornalista. #Scalfari pic.twitter.com/lXbjg8uvdM
    — Sebastiano Messina (@sebmes) July 14, 2022

    “Direttore, precursore, fondatore del giornalismo moderno. Con la morte di Eugenio Scalfari si chiudono tante pagine della nostra storia, della nostra vita, se ne va un secolo di giornalismo. Un giorno triste per tutto il Paese”, è il tweet di Myrta Merlino.
    Per Franco Siddi, già segretario della Federazione nazionale della stampa, Scalfari è stato “una personalità di primo piano del Giornalismo, dell’Editoria, della Scienza Politica. Un protagonista del Secondo Novecento italiano. Omaggio, rispetto, deferenza. Cordoglio”.
    “Ci ha lasciato un gigante del giornalismo e della storia italiana: addio a Eugenio Scalfari. L’intervista sulla questione morale a Berlinguer è uno dei gioielli che Eugenio ci ha lasciato”, riflette Luca Telese.

    Ci ha lasciato un gigante del giornalismo e della storia italiana: addio a Eugenio #Scalfari. L’intervista sulla questione morale a Berlinguer è uno dei gioielli che Eugenio ci ha lasciato
    — Luca Telese (@lucatelese) July 14, 2022

    Anche La Civiltà Cattolica rende omaggio al ‘Fondatore’ postando un editoriale del 2016: “Non considerare nulla come definitivamente perduto. ‘Questo insegnamento di Papa Francesco non è soltanto religioso, è anche culturale e perfino politico’. Ricordiamo così Eugenio Scalfari”.

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    Morto Eugenio Scalfari, LE FOTO

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    Dl aiuti in Senato, M5s non vota. Crisi di governo a un passo

    I 5 stelle non voteranno la fiducia al decreto aiuti che stamani va in Aula al Senato. L’annuncio del leader Giuseppe Conte, aprendo ieri sera l’assemblea congiunta dei parlamentari pentastellati al termine di una giornata convulsa e contraddittoria, mette i governo a un passo dalla crisi. L’orientamento era emerso nel corso del Consiglio nazionale dei pentastellati. Non sono bastate le promesse di un nuovo patto sociale e di nuove misure contro i bassi salari a convincere il M5s e alla vigilia del voto di fiducia in Senato il partito si divide su una decisione sofferta che potrebbe essere prodromica ad altri “strappi” dentro al Movimento, sancendo la rottura netta con il governo Draghi.  
    “Chiederemo di fare una verifica per capire se questa maggioranza c’è ancora o no”, ha detto in tarda serata il segretario del Pd Enrico Letta, secondo cui è “evidente che la scelta annunciata da Conte e dal M5s rimette in discussione molte cose, e in una maggioranza così eterogenea ci sono dei distinguo. Ma io non mi preoccupo, esiste il voto di fiducia che è fondamentale”. Immediata er astata la replica della Lega: “Se i 5Stelle escono dall’Aula, la maggioranza non c’è più: basta con litigi, minacce e ritardi, parola agli italiani”.
    Senza un appoggio chiaro, avrebbe ribadito il premier Mario Draghi direttamente a Conte nel corso di una telefonata, l’esperienza del governo è da considerarsi finita. Il Pd e la Lega lo mettono a verbale, qualsiasi strappo segnerebbe la fine dell’esperienza a Palazzo Chigi. E si andrebbe – avvertono Salvini e Letta – dritti verso nuove elezioni. Con il partito di via Bellerio che rimarca: “senza il voto dei pentastellati la maggioranza non c’è più”. E Giorgia Meloni che aggiunge: “Basta, pietà. Tutti a casa: elezioni subito!” In Senato “non possiamo che agire con coerenza e linearità” rispetto a quanto fatto alla Camera sul dl aiuti, “i cittadini non comprenderebbero una soluzione diversa”, ha spiegato Conte, che nella telefonata con Draghi ha registrato “la sua disponibilità” ma senza accontentarsi di “impegni: occorrono concrete misure”. L’ex premier rivendica al M5s il ruolo di “unica forza politica che sta incalzando il governo sulle emergenze”, e anche l’importanza del Reddito di cittadinanza, avvertendo – anche alzando la voce – che “non permetteremo mai che venga smantellato”.

    Agenzia ANSA

    Il presidente apre la riunione con un intervento trasmesso in streaming (ANSA)

    La difficoltà di prendere la decisione dell’Aventino per il M5s è stata evidente: il Consiglio nazionale, convocato ieri di buon mattino, dopo cinque ore è stato costretto ad aggiornarsi. i vertici sono tornati a vedersi in serata, e poi si sono riuniti anche senatori e deputati. Conte ha sentito il premier che resta irremovibile sulle posizioni espresse pubblicamente il giorno prima in conferenza stampa, o dentro o fuori. La stella polare dell’esecutivo è “fare”, su gran parte dei nove punti dell’agenda cinquestelle il premier ha dichiarato di registrare “convergenze” ma quello che viene considerato inaccettabile è ricevere diktat, da chiunque. E la palla è tornata inesorabile nel campo dell’avvocato: ‘farò quello che posso’, avrebbe chiosato al termine del colloquio, secondo quanto riferito in ambienti parlamentari.
    Ma Conte si è trovato di fronte ad un bivio cruciale: chiedere di votare sì nell’Aula di Palazzo Madama ai suoi e rischiare di spaccare senza ritorno il Movimento, compromettendo la sua leadership; oppure assecondare chi da giorni è in pressing per consumare una rottura definitiva con Palazzo Chigi. Ha prevalso la seconda strada. Ma le pressioni su Giuseppe Conte non sono certo solo interne.
    Il segretario del Pd indica una “svolta” nell’azione del governo che sarebbe irresponsabile non sostenere: “metterlo a rischio ora sarebbe paradossale”, dice anche lui ai suoi deputati e senatori convocati subito dopo pranzo in una riunione congiunta a Montecitorio. Da parte del Pd non ci sono ricatti né ripicche ma se il M5s fa cadere il governo si “va al voto”. E il sospetto dei Dem è che ormai questo sia anche l’obiettivo del centrodestra. Lo dice chiaramente Giuseppe Provenzano, il vice segretario: “stanno provando a cogliere l’attimo, ai 5S chiediamo di non fargli questo regalo”. Salvini professa lealtà ma assicura anche di non essere disponibile a fare la caccia ai “responsabili” in Parlamento. “Meglio – dice – far votare gli italiani che far passare loro 9 mesi sulle montagne russe. Se i 5 stelle faranno una scelta parola agli italiani”. Ma dentro la Lega affiorano posizioni più prudenti: il governatore del Veneto Zaia e quello della Lombardia Attilio Fontana – arrivati a Roma per incontrare proprio Draghi e parlare delle olimpiadi invernali Milano-Cortina – affermano chiaramente di puntare sulla continuità. “Se si può andare avanti anche senza M5s? Giro la domanda – risponde ai cronisti il primo – al presidente Mattarella che, come prevede la Costituzione, sentirà le forze politiche, vedrà i numeri e deciderà”. Ancora diversa, a dire il vero, la posizione di FI: prima Silvio Berlusconi e poi Antonio Tajani si dicono convinti che anche senza il M5S i numeri ci siano per continuare”. Ma quello che “non può’ esserci – aggiungono – è un altro presidente del Consiglio”.
    Si è tenuta l’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari del Pd

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    Governo: Conte-Draghi, ultima trattativa. Senza fiducia il governo finisce

    È ripresa la riunione del Consiglio nazionale del M5s, interrotta nel pomeriggio prima della telefonata fra il leader del Movimento Giuseppe Conte e il premier Mario Draghi. Conte partecipa collegato dalla sede del partito al Consiglio, da cui dovrebbe emergere la linea del M5s in vista del voto di domani in Senato sul decreto aiuti. Subito dopo è in programma alla Camera una riunione di deputati e senatori 5s.

    Agenzia ANSA

    Il presidente dovrebbe aprire la riunione con un intervento trasmesso in streaming (ANSA)

    Governo – dunque – appeso alle decisioni del M5s sulla fiducia al decreto Aiuti. In corso per tutto il giorno, il Consiglio nazionale dei pentastellati non ha ancora portato a una decisione. Anche se, secondo alcune fonti del Movimento, prevarrebbe l’idea dell’Aventino.
    Prima l’ipotesi di un incontro Conte-Draghi, poi una telefonata tra i due.
    LA POSIZIONE DEL GOVERNOIl presidente del Consiglio lo ha fatto capire con chiarezza nella conferenza stampa tenuta dopo l’incontro con i sindacati: l’attuale governo senza i 5 stelle non può andare avanti, a un governo Draghi non può succedere un Draghi bis. Un modo semplice e netto per dire che la fiducia di tutte le componenti della maggioranza su qualsiasi provvedimento rappresenta una condizione necessaria per far continuare l’azione del suo esecutivo. Questo viene tradotto in ambienti di governo come una precisa linea: qualora i 5 stelle dovessero non votare la fiducia al decreto aiuti al Senato, il premier non potrebbe far altro che tirare le sue conclusioni terminando l’azione di governo, dimettendosi. Il boccino è in mano a Conte ed ai 5 stelle, si spiega sempre in ambienti di governo che ribadiscono la totale sintonia con il Quirinale sulla linea da tenere. Una linea che punta ad evitare logoramenti in corso d’opera e un rischioso spirito d’emulazione che sarebbe inaccettabile in vista di importanti scadenze come la sessione di bilancio autunnale. L’esecutivo va avanti con il suo programma e valuterà se si potranno prendere delle iniziative ulteriori su nuove proposte dei partiti.
    La Lega preme per le elezioni: ‘Non ci auguriamo la crisi, ma così non si può andare avanti’. Il leader del Pd Letta avverte: ‘Se il governo cade, si vota e vincerà chi ora è capace di dare risposte al Paese’. Tajani con Draghi: ‘Per Fi non esiste altro premier’. Il governo, intanto, incontra le imprese su taglio del cuneo e salario minimo e lavora al decreto Aiuti-bis: obiettivo Iva zero sul carrello della spesa.
    Lo ha detto anche Draghi, senza i 5 stelle non ci sarà un altro Governo. Se i 5 stelle faranno una scelta parola agli italiani”, secondo il segretario della Lega Matteo Salvini. “Il dibattito è il sale della democrazia, ma in questo momento particolare – ha spiegato il governatore del Veneto Luca Zaia – c’è bisogno di un governo per prendere decisioni strategiche. Io spero che non ci siano motivi perché questo governo cada, perché entreremmo in un limbo pericoloso”. “Noi della Lega abbiamo un ruolo e possiamo giocarcelo fino in fondo, abbiamo le nostre istanze a partire dall’autonomia. Se si può andare avanti anche senza M5s? Giro la domanda al presidente Mattarella che, come prevede la Costituzione, sentirà le forze politiche, vedrà i numeri e deciderà”, aggiunge.
    “Quello che sta facendo il M5S è incomprensibile, ecco perché Silvio Berlusconi e Fi hanno chiesto di verificare se vogliono stare o meno al governo. Senza il M5S i numeri ci sono per continuare però il presidente del Consiglio ha detto che senza il M5S finisce la stagione dell’unità nazionale. Per quanto ci riguarda dopo Draghi non ci sono altri presidenti del Consiglio”. Lo ha detto il coordinatore nazionale di FI ed eurodeputato del Ppe Antonio Tajani parlando con i cronisti a Bruxelles. Quante probabile ha il governo Draghi di sopravvivere? “Non faccio il mago, io mi auguro che sopravviva”, ha aggiunto.
    I senatori del M5s presenti nella commissione Bilancio si sono astenuti sul parere per l’Assemblea al decreto Aiuti, che domani approderà in Aula senza il mandato al relatore. Non sono stati votati gli emendamenti. Lo riferiscono fonti parlamentari. Si tratta di una votazione su un parere che in questo caso viene dato in sede consultiva dalla commissione.
    Francesco Berti lascia il gruppo parlamentare di M5S alla Camera e aderisce a IPF. Lo apprende l’ANSA da fonti parlamentari di maggioranza. Lunedì Berti aveva votato a favore del decreto Aiuti, mentre il resto del suo gruppo non aveva partecipato alla votazione.
    “Io credo che il governo debba andare avanti, sono ottimista per natura” e lancio “un richiamo alla responsabilità a coloro i quali sanno benissimo il periodo che stiamo attraversando”. Lo ha affermato il ministro Luigi Di Maio rispondendo a chi gli chiedeva se il governo cadrà o meno. Di Maio ha ricordato le molteplici cose da fare, tra cui l’attuazione del Pnrr, gli interventi sul cuneo fiscale, il piano benzina, la diplomazia sull’Ucraina e la legge di bilancio, perché “andare in esercizio provvisorio di bilancio sarebbe una sciagura”.
    Si è tenuta l’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari del Pd.

    LA POSIZIONE DEI DEMQuando abbiamo detto ‘il governo deve andare avanti e noi lo sosteniamo fino alla fine delle legislatura’ non lo abbiamo detto solo noi. Ieri ho visto Salvini e Berlusconi: lo diciamo sommessamente, non è che se per ripicca M5s fa cadere il governo non si va al voto. E’ nelle cose, lo hanno detto Salvini e Berlusconi. Il governo ha bisogno di una maggioranza, e lo diciamo a tutte le forze politiche”. Lo ha detto il segretario del Pd Enrico Letta all’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari Dem in corso nella sala della Regina a Montecitorio.”Lo dico con chiarezza a tutti e a nessuno: il semestre di difficoltà che abbiamo davanti richiede più responsabilità. DI fronte ad un autunno caldo le forze politiche responsabili sanno che scelte fare e le fanno. Noi vogliamo dare risposte non lasciando gli italiani senza risposte lasciandogli solo il balsamo dell’ “è stata colpa loro”. La logica del capro espiatorio, La logica del Malaussene non ci appartiene. Non possiamo stare alla finestra. Prenderà voti alle prossime elezioni chi darà risposte”.
    Il Tribunale di Napoli ha rigettato il ricorso degli attivisti iscritti al M5s contro le votazioni sulle modifiche apportate allo Statuto che hanno preceduto l’elezione di Giuseppe Conte alla carica di presidente.

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    M5s: stasera l'assemblea, previsto Conte in streaming

       Slitta alle 21.30 l’assemblea congiunta dei parlamentari del M5s, prevista un’ora prima, visto che il Consiglio nazionale del Movimento è ancora riunito. Secondo quanto si apprende, il presidente Giuseppe Conte dovrebbe aprire l’assemblea con un intervento trasmesso in streaming. 

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    Senato: parità nel regolamento, in arrivo 'senatrice' e 'ministra'

    La parità di genere e il ‘femminile’ potrebbero entrare nel linguaggio ufficiale del Senato. Grazie a un emendamento al nuovo regolamento, ancora all’esame della Giunta per il regolamento di Palazzo Madama e che entrerà in vigore dalla prossima legislatura in linea con il taglio del numero dei parlamentari. L’emendamento è stato proposto dalla senatrice del M5s, Alessandra Maiorino ed è ‘passato’ con il parere favorevole dei relatori. Obiettivo, adeguare di fatto ai tempi il linguaggio aggiungendo in tutte le comunicazioni istituzionali – compreso il testo del regolamento – i nomi dei ruoli e funzioni declinate al femminile ad esempio “senatrice” oltre che senatore, “la presidente” o “la ministra”. Stop quindi al genere unico. Per diventare effettiva, la novità dovrà avere l’ok dell’Aula. Al momento, sul tavolo della Giunta restano da esaminare una quarantina di emendamenti sui 90 presentati complessivamente.